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Autore: Terre_del_Nord    20/11/2008    16 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Habarcat - I.006 - Dissapori

I.006


Regulus Black
12, Grimmauld Place, Londra - ven. 15 gennaio 1971

Gli Sherton arrivarono sul presto, via metro polvere, un pomeriggio stranamente tiepido e soleggiato, tale da rendere ariosa e luminosa persino la nostra austera dimora: casa Black era una vera reggia, racchiusa in un palazzo di città, bellissima, ricca e nobile, ma un po’ seria, persino per me che facevo dei dettami dei miei genitori i pilastri su cui muovere ogni passo della mia esistenza. Quando apparvero dal caminetto del Salone dell’Arazzo, la luce naturale che filtrava dall’esterno attraverso i velluti e i broccati che addobbavano le finestre, sembrò intensificarsi, donando a tutte le cose, alla mia famiglia e a me una maggiore vita. Sapevo dalle storie di mio padre che la magia di Herrengton andava al di là di quella tradizionale, qualcosa che aveva a che fare strettamente con le forze della natura e il sangue degli “eletti”, e mi chiesi se magari anche quella luce fosse non soltanto una mia fantasia, ma l’effettiva espressione del loro potere, tanto ero affascinato da quelle leggende. Mia madre, in trepidante attesa, era andata subito loro incontro, abbracciando e baciando Deidra e sorridendo civettuola ad Alshain, poi, dopo aver preso per mano un’incerta Meissa, li aveva invitati ad accomodarsi per un the. Mio fratello ed io li attendevamo in piedi dietro alla poltrona su cui era seduto nostro padre, accanto al caminetto: come ci aveva insegnato papà, ci avvicinammo eleganti e aggraziati, nei nostri vestiti nuovi e più belli, Sirius in un completo blu, io vestito di grigio antracite, e rendemmo loro omaggio, facendo galantemente il baciamano alle nostre ospiti, sotto gli occhi orgogliosi dei nostri genitori e quelli divertiti di Sherton e sua moglie. Con mio fratello eravamo scesi già da oltre un’ora per essere istruiti di nuovo su ciò che avremmo potuto e dovuto fare e dire e, soprattutto Sirius, su ciò che mai e poi mai avremmo dovuto fare. Non capivo il perché, ma delle tante visite che ricevevamo, quella pareva innervosire seriamente mia madre, come se non avessimo invitato gli amici di papà, ma qualcuno che fosse più importante persino del Ministro della Magia. E notoriamente mia madre nemmeno di lui aveva alcuna soggezione! Inoltre gli Sherton in quel periodo erano venuti spesso a casa nostra, l’unica differenza era che quel giorno, per la prima volta, la figlia avrebbe accompagnato i genitori. Ed era impossibile che mia madre avesse timore di una ragazzina! Quale che fosse la ragione, da quando avevamo ricevuto il gufo in cui ci confermarono la loro presenza per quel venerdì, il pensiero degli Sherton divenne un’ossessione al 12 di Grimmauld Place. La mamma era diventata veramente maniacale nel curare i nostri aspetti, portandoci dalla sarta per provare vari vestiti nuovi e, a casa, facendoci sedere su più divani in più stanze, fino a scegliere quello accanto alla finestra del Salone degli Arazzi come scenario per quell’incontro: sembrava quasi che dovesse mostrarci nella luce migliore, come fossimo merce da vendere. E se nostra madre, in fondo, era sempre stata un po’ strana e ci aveva abituato a quelle scene surreali, questa volta nostro padre sembrava condividere le sue bizzarrie, arrivando a voler assistere alla prova dei vestiti in sartoria e dando personalmente suggerimenti e direttive su come voleva che ci presentassimo ai suoi ospiti. E ora finalmente eravamo tutti lì.
In un primo momento rimanemmo insieme nel salone, ma dopo un rapido scambio di chiacchiere e complimenti, nostro padre e il suo amico si ritirarono nello studio per parlare e fumare per conto proprio. Noi ragazzi, la signora Deidra e nostra madre rimanemmo nella stanza: io e mio fratello, come da accordi, ci sedemmo sul divano posto tra la finestra e l’arazzo, di lato a quello più lungo posto a guardare la parete su cui si accomodarono Meissa e sua madre. La mamma si arroccò di fianco alla signora Sherton, con la scusa di ammirare il bambino, ma probabilmente per avere una posizione privilegiata da cui sbirciare meglio l’aspetto, le azioni e le impressioni della ragazzina. Già a un primo colpo d’occhio le tre streghe erano una meravigliosa espressione della bellezza purosangue: mia madre era superba in un abito blu semplice ed elegante, che ne esaltava il fisico a dir poco perfetto ed era impreziosita come sempre dai suoi gioielli più belli; la signora Sherton aveva un magnifico abito ampio, verde smeraldo, elegante e sobrio, a stringere le forme ancora generose per la recente gravidanza e i capelli raccolti in uno chignon morbido, che metteva in risalto il candore della sua pelle e il collo da cigno, su cui faceva bella mostra di sé un medaglione con le serpi d’argento e smeraldo di casa Sherton. Sua figlia infine, come avevo già intuito la notte di Yule, sembrava un angelo, con i capelli raccolti in una treccia corposa, corvina, e il fisico minuto chiuso in un bell’abito borgogna. Per evitare di fare figuracce osservandola con insistenza, finsi di studiare l’arazzo che era appeso alla parete accanto a me: quell’intreccio di nomi, volti e date era la dimostrazione di come, benché ormai alla lontana, fosse il sangue, nobile e puro, oltre all’amicizia, a legare saldamente le nostre famiglie. Eppure non riuscivo a mantenere a lungo i miei proponimenti, non riuscivo a fare a meno di guardarla, di sottecchi o apertamente, e sentivo che le guance mi diventavano color rubino ogni volta che intercettavo i suoi occhi o che qualcuno nella stanza sembrasse intuire i miei pensieri. Il fatto era che non avevo mai visto una ragazzina così bella, certo le figlie di zia Druella erano giovani donne meravigliose, Bellatrix in maniera particolare era, secondo me, una gioia per gli occhi e forse la figlia di Sherton mi aveva colpito proprio perché aveva gli stessi colori della mia cugina più grande. Con, in più, quegli straordinari occhi verdi da cui a fatica riuscivo in quel momento a staccare lo sguardo.
Meissa si era seduta in silenzio sul divano di fianco al nostro guardandosi attorno curiosa, osservando attentamente noi, ma attratta soprattutto dall’arazzo su cui era ricamato l’albero genealogico della mia famiglia: immaginavo come dovesse sentirsi di fronte alla manifestazione della purezza e della nobiltà dei Black, anche se sapevo benissimo che la sua famiglia era una delle pochissime in Gran Bretagna a essere al nostro livello. Quando ci guardavamo, io cedevo sempre per primo, mentre lei sembrava sostenere tranquillamente il mio sguardo con aria impassibile, anche se avrei scommesso che volesse sorriderci, persino a Sirius, che aveva la solita faccia da idiota e non capivo se volesse deriderla, mettendo tutti quanti noi in imbarazzo, o per una volta avesse trovato chi suscitasse anche in lui l’orgoglio di essere un Black, che pareva non attecchisse mai in quella sua mente malata. A dire il vero ultimamente mio fratello sembrava essersi dato una calmata, e questo, unito al fatto che ora avevo una stanza tutta mia, aveva significato per me lunghe settimane di pace lontano dai guai che creava lui. Certo, non averlo più accanto, notte e giorno, significava anche annoiarsi più spesso e sentirsi a volte più soli, ma alla lunga era un prezzo equo per la tranquillità che ne avevo guadagnato: era meraviglioso sapere che non sarei più stato punito a causa sua! Smisi di preoccuparmi di mio fratello, che al momento manteneva quel basso profilo che nelle ultime settimane gli aveva garantito l’impunità, parlando solo se interpellato, lanciando sorrisi e fugaci occhiate interessate alla ragazzina, forse aspettandosi di riceverne a sua volta, invano.
La mamma in quel momento stava chiedendo a Meissa se trovava il Wiltshire bello come la sua Scozia e la ragazzina, abbastanza impacciata, non riusciva a essere convincente affermando che si stava divertendo. Sembrava proprio a disagio quando nostra madre la guardava e le rivolgeva la parola, e questo pareva mortificarla parecchio, ma io sapevo che persino alcuni adulti si sentivano in difficoltà con Walburga Black, e se solo fosse stata una cosa opportuna, le avrei detto apertamente di non preoccuparsi di nulla, perché tutti noi, in quella stanza, la trovavamo semplicemente deliziosa. Non potendo farlo mi limitai a sorriderle, ricevendo a sorpresa un sorriso come risposta: era bellissima, era davvero un angelo sceso a Grimmauld Place per rendere ancora più meravigliosa la mia vita già perfetta. Fu allora che voltandomi verso mio fratello mi accorsi della sua espressione strana, lo conoscevo abbastanza bene da capire che ne stava studiando una delle sue e mi si gelò letteralmente il sangue: avendo per anni subito ogni serie di dispetto, sapevo quale mente bacata si nascondesse dietro quell’aria da bravo ragazzino, e purtroppo, a parte i miei genitori che l’avevano inquadrato perfettamente, nessuno riusciva a credere che fosse una tale calamità. Piccoso com’era, c’era da aspettarsi che stavolta tirasse un brutto scherzo alla piccola Sherton, mettendoci tutti in ridicolo e magari mandando a monte la vacanza in Scozia, solo perché lei aveva sorriso a me e non a lui. Così, quando nostra madre e la signora Sherton ci diedero il permesso di invitare Mey a giocare con noi nella stanza a fianco, mi preparai al peggio.

    “Se vuoi puoi venire di sopra, il tempo che andiamo a prendere i giochi!”.

Aveva già fatto quattro o cinque gradini e la guardava con occhi invitanti, la tipica faccia con cui in genere abbindolava chi non lo conosceva, ma Meissa restava nell’ingresso, sembrava perplessa.

    “Ma Sirius, non possiamo…”.
    “Non badare al moccioso, dai, vieni!”

Sirius sapeva bene quanto me che non avevamo il permesso di invitare nessuno di sopra, né tanto meno mi sembrava conveniente che Meissa si avventurasse in casa d’altri senza il permesso di sua madre. La ragazzina sembrava combattuta, si guardò un paio d volte attorno, rivolgendo l’attenzione allo studio da cui arrivavano le risate di mio padre e di Alshain, e all’ingresso della sala in cui avevamo lasciato le nostre madri. E soprattutto aveva guardato poco entusiasta il portaombrelli all’ingresso e la cupa scalinata da cui facevano capolino ritratti di antenati e teche, in cui erano conservati, lei non poteva ancora saperlo, le teste mozzate di numerosi elfi che avevano servito la famiglia Black. Fu probabilmente il ghigno canzonatorio di Sirius a convincerla, perché all’improvviso, senza dire una parola, iniziò a salire i primi gradini: a quanto pareva non era il tipo che lasciasse cadere le sfide, o che volesse farsi etichettare come una ragazzina paurosa. A quel punto, poiché ormai tutto stava andando a favore di mio fratello, invece di far intervenire la mamma, decisi di raggiungerli e con un paio d balzi, dopo essermi portato al suo fianco, la sorpassai di qualche gradino, così che se davvero Sir aveva in mente qualcosa, sarei riuscito a interferire. Non che mi preoccupassi dei guai in cui poteva cacciarsi, ma non volevo assolutamente che Meissa pensasse male di tutti noi. Inoltre, se davvero mio fratello avesse fatto il matto, come temevo, se avessi subito al posto di Mey la pazzia di Sirius, sarei apparso agli occhi di tutti come un eroe, e questo mi avrebbe ripagato ampiamente anche dal prendermi un pugno sul naso o sopportare uno qualsiasi degli stupidi scherzi di quella canaglia. Iniziai a rallentarla e distanziarla da mio fratello, facendo il cicerone e raccontandogli qualche aneddoto buffo su alcuni dei nostri antenati che stavano russacchiando nelle loro cornici dorate, avendo ben cura che mai il suo sguardo finisse su qualche orrida testa d’elfo: fui talmente bravo, per un po’, che non solo riuscii a catturare la sua attenzione, ma di fronte alla trisavola Ursula e al vecchio Phineas, che dormivano letteralmente a bocca aperta, finimmo col ridere sonoramente, allietando la cupa scalinata, disturbando parte del parentame dipinto, e probabilmente facendo infuriare ancora di più mio fratello, che stava ormai un piano più in alto rispetto a noi.
Mi sentivo il più felice della terra, Meissa oltre a essere graziosa era anche simpatica e gentile ed io iniziai a lanciarmi nei sogni che ormai dalla notte di Yule caratterizzavano completamente le mie giornate. Come figlio di Orion e Walburga Black a dieci anni io avevo già tutto, ricchezza, bellezza, purezza, fama, reputazione. Sfruttando l’amicizia che ci legava agli Sherton, sapevo che un giorno, se solo l’avessi voluto e chiesto, mio padre avrebbe potuto intercedere per me presso il suo migliore amico ottenendo la mano di sua figlia per me. Era così che avveniva nelle famiglie come la nostra. E lei, la ragazzina che era già ora nelle mire e nei sogni di metà delle famiglie purosangue del mondo magico, a quel punto sarebbe stata al mio fianco per tutta la mia vita, rendendola meravigliosa, proprio com’era meraviglioso quel preciso istante. Nulla rendeva quel sogno privo di fondamento, vero, ma esisteva un unico, semplice e inesorabile dettaglio che poteva vanificare tutto, e in quel momento si trovava dieci scalini avanti a me: mio fratello, Sirius Black. Era lui il maggiore, quindi era lui l’erede della nobile casata dei Black, e questo era già un ostacolo non da poco, inoltre, se crescendo non avesse migliorato il pessimo carattere che si ritrovava, poteva costituire una specie di bomba a orologeria per la reputazione di tutti noi.
Fu così che mi distrassi. Pensando ai danni che poteva fare mio fratello al mio futuro. E proprio allora Sirius mi chiamò dal pianerottolo di sopra, io m sporsi, Meissa si voltò per vedere cosa volesse mio fratello e finì col trovarsi accanto al muro all’altezza dell’antenato Arcturus, che urlava smodatamente quando vedeva estranei avventurarsi fino al suo cospetto senza essergli prima stati presentati degnamente. A peggiorare il tutto, il ritratto era posto di fronte a una testa di elfo particolarmente orrida, Rubidius, sacrificato alle ire di mia madre poco prima della mia nascita. Tutto avvenne in pochi istanti, lo zio dal ritratto ululò, costringendo Mey a passare vicino all’elfo decapitato: la vidi sorpresa e sconvolta dalle urla, mettere a fuoco gli orridi resti del domestico e farsi pallida, incapace di pronunciare una qualsiasi parola. Al contrario di quanto temevo, non urlò isterica, né si mise a piangere, spaventata, era solo pietrificata dallo shock. Non riuscii a far altro che sussurrarle un timido “Scusa”, che forse nemmeno sentì, perché subito mia madre e la nostra ospite si affacciarono per capire cosa stesse accadendo e immediatamente la mamma m incolpò per aver attirato l’ospite lungo le scale, benché non ne avessi il permesso, mettendomi così in imbarazzo con Deidra e suo marito che era uscito, allarmato a sua volta, dallo studio di mio padre.
Intanto mio fratello era sceso dalla sua stanza con la scatola degli scacchi, si era avvicinato a Meissa, lanciandomi un’occhiata trionfale che sembrava dirmi “bravo il mio piccolo idiota!”, le aveva offerto la mano sorridente e la stava aiutando a tornare di sotto; mi si gelò il sangue quando vidi che lei gli sorrideva, anche se parecchio intimidita. Quando alla fine scesi a mia volta, sotto lo sguardo spietato di mia madre e quello sorpreso e forse deluso degli Sherton, trovai Mey seduta sul divano, ancora pallida e sovrappensiero, e Sirius seduto sul tappeto di fronte a lei, che cercava di corromperla dando fondo alla sua scorta di ciocco rane e tutti gusti +1. Mi avvicinai pentito e le chiesi nuovamente scusa, ricevendo un sorriso incoraggiante, che m risollevò dai 5 metri sottoterra in cui ero sprofondato: ora avrei potuto affrontare con coraggio e speranza anche la sala delle torture di mio padre, se ne avesse avuta una.
Il resto del pomeriggio trascorse così, ero in stato confusionale e mi vergognavo, ma nella mia mente iniziava a formarsi un’immagine; appena gli ospiti tornarono a casa, m preparai alla punizione e, infatti, rimediai da mio padre, ancora sconvolto per la figuraccia che gli avevo causato, quasi una settimana di confino in camera. Mio fratello mi guardò serafico, con una strana luce negli occhi mentre filavo per le scale, diretto in camera, dove mi tuffai nel mio baldacchino lasciando scorrere i miei pensieri. No, non era stato un caso, anche se nessuno poteva immaginarlo, la verità era che Sirius se l’era studiata da tempo, quella giornata: era cambiato, si era tranquillizzato dopo che io l’avevo colpito, lui non si era vendicato, né m aveva denunciato, mi aveva anzi ignorato per settimane. Ma solo uno stupido poteva pensare che fosse finita lì. Ed io ero stato uno stupido. No, Sirius me l’aveva fatta pagare, nel modo che finora non avevamo sperimentato mai, aveva giocato non di muscoli, come suo solito, ma d’astuzia, m aveva usato per i suoi giochetti e aveva fatto ricadere le sue colpe su di me. Era stato maledettamente bravo, non c’era niente da dire. Finita la punizione, lo vidi, dal modo in cui m squadrava di sottecchi, voleva capire se avevo intuito, ma non gli diedi soddisfazioni, mi mostrai un agnellino in balia della sua follia, confuso e incredulo, ma avevo ben chiaro il suo gioco.
E nei miei sogni, ora, accanto a Meissa, volava il demone della vendetta.



*continua*



NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).

Valeria



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