Corrente
naturale
di ellephedre
Aprile 1997 - Questione di
prospettiva
Per gran parte della sua vita Makoto aveva pensato che le sue mani
fossero troppo grandi. Le dita avevano qualche centimetro di
troppo sulla punta per
essere
davvero belle e sul dorso spuntavano delle venuzze. Le giunture erano
allungate, snelle. Erano mani allenate da combattente.
Lei le guardava e pensava, 'Se solo...' Sognava mani
piccole dalle linee morbide, come quelle di una
ragazza
carina e dolce che tutti gli uomini volevano proteggere.
Ma io non
voglio essere
protetta.
Rifletteva in continuazione su quella
contraddizione. Voleva sentirsi come una principessa delle
favole - adorata,
amata, con
qualcuno che provasse il bisogno di tenerla lontano da tutti i mali del
mondo. Al contempo, desiderava il ruolo di cavaliere. Nella sua testa
la
fiaba perfetta era quella in cui contribuiva al proprio salvataggio al
fianco dell'eroe senza paura, alla pari con lui.
Perché
io non
sono indifesa. Sarebbe bello curarci l'uno dell'altra insieme.
Quel sogno ogni tanto la deprimeva. Viveva in un
mondo in cui non suscitava quel tipo di
sentimento nei ragazzi, solo a causa dell'aspetto con cui era nata.
Io non sono
brutta.
Non in viso - per quanto non fosse neppure bellissima - ma era
il suo
corpo il problema. Era nata nel paese sbagliato, forse nel mondo
sbagliato. Del sesso
sbagliato? No, a lei piaceva molto essere una ragazza, ma
il suo fisico... Qualunque pregio potesse avere, i ragazzi
vedevano
solo che lei era troppo grande e grossa, con caratteristiche maschili
persino nella posa - spalle dritte e decise, mai piegate. La
ragazza perfetta era piccolina, gracile e fine, una
bambolina. Non era previsto che fosse attraente essere alte,
avere
muscoli
visibili e arti importanti, tutt'altro che delicati.
Lei avrebbe potuto smettere di allenarsi, ma a cosa sarebbe
servito?
Sarebbe rimasta sempre alta. Aveva le spalle larghe come alcuni uomini
- le sue erano persino più definite della media maschile. I
suoi polsi non erano sottili e gentili, avevano una circonferenza che
era... be', erano normali e proporzionati al resto di lei. Quindi erano
grandi,
proprio come le sue ginocchia o i suoi piedi. Tolti seno e
fianchi, avrebbe potuto tranquillamente essere
scambiata
per un uomo.
Non riusciva a vivere pensandoci in
continuazione. D'altronde - si ripeteva - il suo aspetto era
un problema solo
quando
pensava a una storia d'amore. Per il resto del tempo, il suo corpo le
piaceva
molto.
Non me ne
vergogno. Essere alta e grande le permetteva di
fare cose impossibili
per una
ragazza comune. Picchiava bulli a mani nude. Batteva anche
quelli
più grossi
di lei - era facile, erano così lenti.
Le piaceva svettare sopra le folle. Voi siete bassi
e io no, non conoscerete mai il mio vantaggio.
Adorava essere più veloce degli altri nella corsa.
Le
ragazze non potevano competere con la lunghezza delle sue gambe e la
maggior parte dei maschi aveva meno muscoli di lei nelle cosce. Per
questo in fondo lei li compativa. Come
potete essere meno forti di me?
Essere agile era parte del suo essere, la
galvanizzava. Non avrebbe saputo esistere nei panni di una
ragazzina goffa
che aveva
continuamente bisogno dell'aiuto di un maschio quando capitava di
menare un po' le mani.
Era combattuta.
Poi aveva conosciuto Usagi e le altre.
"Mako-chan, tu sei molto carina!"
Erano state le prime a farla sentire tanto femminile.
"Che seno!" aveva commentato Minako.
Makoto si era vergognata. "È troppo grosso, vero?"
Sgraziato
e fuori luogo in una ragazzona come lei.
Minako aveva riso. "Per gli uomini non esiste un seno troppo
grande!"
Makoto aveva sorriso al complimento, ma in cuor suo aveva
saputo
diversamente.
Per i ragazzi c'erano caratteristiche che, per quanto buone, potevano
passare in secondo piano se una donna non si adeguava a canoni di
bellezza standard - irraggiungibili per una come lei.
Una volta era andata a fare compere con Ami. In due erano
state
impacciate ed esistanti nello scegliere i vestiti, in attesa
dell'arrivo delle altre. Vedendola guardare giacche e pantaloni, Ami
aveva commentato innocentemente, "Ti piace stare comoda."
Makoto aveva scrollato le spalle. "Non penso che mi stiano
bene abiti
troppo femminili."
"Perché no?"
Non aveva saputo come rispondere alla domanda,
perché Ami
pretendeva risposte serie e articolate. Quella volta Makoto si era
resa conto che in testa aveva solo tante scuse. Si era
buttata: aveva provato un top aderente e una gonna lunga -
abbastanza coprenti per farla sentire a suo agio, pur essendo capi che
sottolineavano le sue forme.
Allo specchio si era piaciuta molto.
Ami le aveva fatto i complimenti. "Stai benissimo."
Anche Rei aveva contribuito alla sua autostima.
"Perché
porti sempre i pantaloncini invece di una minigonna?"
"Mi muovo meglio."
"Dài, non devi sempre prepararti a combattere
mentre sei
con noi.
Una minigonna ti starebbe bene, ti ho vista col costume Sailor."
"... non so se è adatta a me."
"Guarda che fai vedere le gambe come con quei pantaloncini.
Su, provane
una delle mie!"
"No! La tua taglia è troppo piccola!"
"Esagerata, parli come se fossi enorme rispetto a me. Ti
starà
giusto un
po' cortina, ma tanto siamo tra amiche."
Anche le altre l'avevano incoraggiata e così Makoto
aveva
scoperto di non essere tanto più grossa delle sue amiche -
piuttosto, si vestiva come se lo fosse. La minigonna di Rei le cadeva
sulle cosce tre o quattro centimetri troppo in alto per essere decente,
ma per il resto... "Mi piace."
Con un pollice bene in alto, Rei aveva annuito. "Hai visto?
Rendi giustizia a quella mini!"
Da allora Makoto aveva iniziato a valutare con
più
benevolenza il proprio corpo. Era alta, ma aveva le sue buone
qualità. Anche lei
poteva
indossare abiti molto femminili, per valorizzare la
bella rientranza dei fianchi, il sedere alto - merito dell'allenamento
- e tutto il resto: braccia e cosce sode, arti forti, ginocchia
ben formate. Non era brutta: era solo... grande.
Vivo in un
mondo di
uomini troppo piccoli, è questo il problema.
Ogni tanto si godeva un po' di sport in tv, ma come una
sciocca aveva
sempre ritenuto che i giganti di certe discipline fossero scherzi della
natura, un po' come lei.
Siamo fuori
dalla norma,
ma non è una cosa negativa. Abbiamo una 'nostra'
norma. Rispetto a certi nuotatori, professionisti
dell'atletica o
boxeador,
lei era persino piccola. Era un peccato che la maggior parte di quegli
uomini vivessero in paesi lontani.
Non si era scoraggiata. A differenza degli uomini giapponesi,
in fondo
lei non dava tanta importanza all'altezza.
Non voleva un ragazzo che fosse a tutti i costi più
alto di lei:
riusciva a immaginare senza problemi di abbassarsi per un bacio o un
abbraccio. Non trovava svilente l'idea di camminare fianco a fianco con
un uomo che fosse più basso - anche se avere qualcuno
alto almeno quanto lei era il suo ideale. In realtà le
bastava
una persona che la apprezzasse per quello che era e che non la facesse mai sentire male
per le dimensioni del suo fisico.
Se possibile, voleva di più. Se solo
avesse incontrato qualcuno che avesse trovato bello il fatto che
le sue gambe fossero lunghe e le sue braccia forti. Qualcuno che non
dovesse passare oltre quelle caratteristiche, ma che ne fosse attratto.
Era un bel sogno.
Nel
tempo si era invaghita di diversi ragazzi che l'avevano snobbata, ma
aveva imparato a smettere di sentirsi male a causa loro. Era fastidioso
e lei viveva meglio quando si sentiva forte, carina e felice
di essere nel proprio corpo. Se un ragazzo non la guardava con
lo stesso interesse,
scrollava le
spalle e lo dimenticava subito. Minako aveva insistito su quel punto,
convincendola: non valeva la pena di struggersi per qualcuno che,
evidentemente, non era la persona che l'avrebbe fatta felice.
Lui era là fuori, da qualche parte.
Non importa
se non mi
considererai minuta, ma considerami giusta, desiderabile.
Si era attesa di aspettare molti e molti anni per avere
qualcosa di
lontanamente simile.
Era stata più fortunata.
«Stai facendo qualcosa di strano.»
Makoto ridacchiò in silenzio, la guancia appoggiata
contro
la tovaglia che lei e Gen avevano steso sull'erba del
parco. «Cosa intendi?»
Sdraiato, lui aprì un occhio. «Stai
confrontando
la misura delle nostre mani?»
Lei tenne l'avambraccio incrociato con quello di lui, i loro
palmi appoggiati l'uno contro l'altro, le dita aperte.
«Sì.»
Lui non disse niente e Makoto non provò a
spiegargli.
Era un
discorso
lungo, che si era trascinato per anni.
Era guarita dalla sua bassa autostima prima di
incontrarlo, ma con lui aveva scoperto un piacere nuovo,
banalissimo. «Mi piace essere più piccola
di
te.»
Se ne beava: la stazza di Gen le ricordava in continuazione
che non era
sola nell'essere più grande e alta della gente comune. La
loro era una meravigliosa differenza in cui lui le faceva compagnia.
Inoltre... Non ne avrebbe avuto bisogno, ma era un di più
sentirsi minuta accanto a un altro essere umano. Rafforzava l'idea che
lei non fosse mai stata veramente troppo alta, ma che si fosse solo
paragonata alle
persone sbagliate.
«Un giorno potremmo andare in Europa del
Nord. O in
Russia. Ami mi ha detto che lì le persone sono tutte molto
alte.» Loro si sarebbero sentiti normalissimi in quei paesi.
Gen si divertì. «È questo il
problema?
Ti senti troppo grande?»
Non più. «Mi sento normale. Ma quando mi
conviene,
mi piace essere più grossa del prossimo.» A spalle
dritte e braccia incrociate intimidiva ancora la maggior parte dei
prepotenti che incontrava sul proprio cammino, bassi o alti che fossero.
Gen stava ridendo tra sé. «Non sei
grossa.»
«Non sono piccola.»
«Per fortuna.»
Makoto si incuriosì. «In che
senso?»
«Quando mi abbasso a baciarti non mi viene il
torcicollo.»
Ah.
«Sono felice di essere una scelta
conveniente.»
Lui glissò sul discorso. «Come fai a
definirti
grossa?»
Makoto sospirò. «Rispetto alle altre
ragazze.»
«Hm. Io ne ho conosciute tante. Non c'è
molta
differenza
di dimensioni tra te e loro.»
Lui aveva una prospettiva tutta sua.
«È più l'idea che per essere davvero
carina bisogna essere piccoline e fragili.»
«Quelli sono gli standard della massa di uomini
bassi e privi
di muscoli. Si vergognano a confrontare le loro braccia scheletriche
con quelle di una persona in forma.»
Makoto esplose in una risata. Solo con Gen poteva fare quel
tipo di
discorsi.
Lui si girò su un fianco, per circondarla con un
braccio.
«Se tu fossi minuta e fragile, mi vengono in mente tante cose
che non potremmo fare insieme...»
«Lottare?»
«Diciamo così.»
Makoto affondò con la testa nella sua spalla.
«Che
perverso che sei!»
Risero insieme, cercando di non attirare troppo l'attenzione.
Lei gli diede un bacio sulla guancia, spingendolo a tornare
sdraiato. Gli salì sopra con metà del corpo e
sospirò di gioia, tornando a rilassarsi.
Dopo un bel pic-nic all'aperto era bello riposare.
«Tra te e una ragazza piccolina e delicata,
avrei scelto
mille volte
te, solo per l'aspetto.»
Questo la rendeva molto felice. «Grazie.»
«Non devi ringraziarmi. Piuttosto, sai una cosa?
Anche se
essere così alto mi ha fatto sbattere con tante porte, e
certe stanze sono claustrofobiche, sono contento di non essere basso.
Ti avrei voluta lo stesso, ma sarebbe stato più difficile
attirarti.»
Quante sciocchezze. «Ci saremmo scelti lo stesso, a
vicenda.» Lo abbracciò forte. «Ora basta
parlare di dimensioni. Coccoliamoci.»
Lo sentì ridere per il termine, ma sulla sostanza
Gen non
protestò.
Con me non lo
fai mai.
Contenta, Makoto appoggiò la testa sul petto di lui.
Aprile
1997 - Questione di prospettiva - FINE
NdA: questa storia è nata dopo un mio piccolo
studio sui canoni di bellezza giapponesi (ho letto diversi articoli e
alcune testimonianze dirette). I loro canoni sono molto diversi da
quelli occidentali. Qui considereremmo un'amazzone come Makoto una
ragazza molto bella, mentre invece per occhi giapponesi la bellezza
femminile sta nell'avere occhi grandi, un corpo piccolo (se formoso
meglio, ma che sia delicato e infantile nelle dimensioni è
il top), una pelle lattea. Una ragazza che esce da questi canoni non
sarà apprezzata per la sua diversità - almeno non
generalmente. Non è previsto.
Qui in Occidente ci sono limiti su cose diverse - potremmo definirli
canoni meno stringenti, ma in fondo non è vero.
La bellezza è una questione di prospettiva, naturalmente. La
contraddizione per me stava nel fatto che una persona che qui
giudicheremmo bella - come Makoto - in un altro paese potesse sentirsi
brutta proprio per le caratteristiche per cui altrove sarebbe
apprezzata. Un po' in tutte le versioni di Sailor Moon si indicava che
lei aveva problemi col suo fisico, ma non ne ho capito la portata -
credevo che stesse esagerando - finché non ho approfondito
la questione. Ne ho parlato in Verso l'alba, se non sbaglio - i
concetti di base non mi erano nuovi, li avevo già. Suppongo
che sia stato leggere le testimonianze che mi abbia fatto dare vedere
la
questione secondo un approccio più personale e sentito.
Quindi ho voluto scriverne.
In ogni dove, alla fine, il gioco è imparare ad apprezzare
se stessi, quindi ho voluto dedicare un piccolo pezzo a questo percorso
in Makoto. Ricordo vagamente che nella prima serie vestiva abbastanza
maschile, ma non ci metterei la mano sul fuoco. Mi piace immaginare che
le sue amiche abbiano avuto su di lei l'influenza che ho descritto.
Poi, appunto, non penso che Gen abbia risolto tutti i suoi problemi.
Lui è un 'di più', per una ragazza che era
già contenta di se stessa. Ma naturalmente è
sempre bello veder soddisfatti piccoli desideri che uno credeva
irrealizzabili. A Makoto ho voluto dare questo da molto tempo :)
Spero che la storia vi sia piaciuta.
Elle