Dicono che i
fiori fioriscano una volta sola. Appassiscono o si piegano al vento e
all'improvviso sembrano più vivaci, certo, ma per rinascere
devono morire, e una volta morti non sono mai più gli
stessi. Alex non è così. Alex sembra sbocciare
ogni secondo, ogni centimetro della sua pelle diafana abbraccia e
ricambia il sorriso del sole e ogni ciuffo nocciola che gli nasconde la
fronte ha le stesse sfumature del legno più pregiato,
così bello e raro che solo i suoi oceani d'occhi riescono ad
ammaliarti maggiormente. E non bisognerebbe neanche chiamarli oceani,
sono deserti dove le tempeste sono ricordi e le rocce i punti fermi che
hai sempre cercato, sabbie mobili che ti fanno tremare le caviglie e ti
cingono la vita in un abbraccio che ti catapulta nell'ignoto, una
dimensione che altrimenti non avresti neanche mai immaginato. Alex
è qualcos'altro, un essere che dovrebbe e fa del suo meglio
per essere umano ma che in realtà ha una natura e un'origine
tutte sue, un tocco che ricuce ma sfiora, a metà tra un
soffio e un pensiero; che ogni volta che schiude le labbra ti fa venir
voglia di essere sperduto sulle cime di una montagna giusto per
osservare il contrasto tra il suo calore e la neve, per poterlo
sfiorare in tutti i suoi strati e vedere se sarebbe uguale al tatto, se
ora stia fingendo o se lo farebbe allora, avvolto in tutta la piuma e
la stoffa che ha trovato nell'armadio e si è gettato addosso
senza accertarsi che gli stesse bene. Gli sta tutto bene. Potrei
ricoprirlo di fango e la gente penserebbe che si sia sporcato coprendo
dei ragazzi da un fuoristrada troppo veloce. E la cosa è che
potrebbe perfettamente accadere, sarebbe da lui provarci.
Credo che Alex abbia un
dono. E non lo dico come intendono gli altri, solo perché
è bello come una divinità greca o radioso i ogni
luce; mi riferisco più a come scrive, come il suo magnetismo
attiri tutti i fenomeni più eccezionali dell'universo, come
qualunque cosa faccia la faccia quasi nessuno l'avesse anche solo mai
concepita prima d'ora. Ogni cosa che passa per le sue dita lunghe e
attente diventa ate, scompare dal pianeta per riapparire al suo vero
posto quasi si fosse creata da sola. Mi riferisco più a come
dedica la sua vita alla dimensione a cui appartiene, a come sembra
essere nato per essere la persona che è. E Dio, non so
spiegarmi perché sia in una band con me ma a volte quando
sfioro una corda riesco a sentire l'elettricità che lo
caratterizza corrermi lungo le vene e urlare, cantare, gridare a
squarciagola, perché non c'è niente al mondo di
più bello di una persona come Alex.
E tutte le frasi
già dette, i libri già scritti e i poemi
già dedicati, è come se esistessero per lui, come
se gli altri riuscissero a percepirlo pur senza averlo mai incontrato e
cercassero di comunicare a un mondo non abbastanza attento il miracolo
che si sentono in petto e che ora cammina lungo Baltimora, un
ritornello fra i denti e la pelle di qualcun altro tra le dita. A volte
mi chiedo se siamo tutti sintonizzati sullo stesso canale, se le onde
radio passino e si riproducano attraverso i nostri midolli ossei
piuttosto che grazie a lavoratori appositi. O forse è capace
di parlare senza parole, senza note, senza pennelli e onde d'urto;
senza silenzio e senza rivolte, senza sguardi e senza intrappolare
istanti. Forse basta il suo respiro, l'abbassarsi e l'alzarsi regolari
del suo petto, a mandarci un brivido lungo la colonna vertebrale e a
farci lottare per qualcosa d'indefinito che non sappiamo dove ma
sappiamo che c'è. E forse è questo, la pelle
d'oca: il nostro organismo che arriva a capirlo, che rimbomba
all'interno della sua cassa toracica e per qualche secondo ha la
possibilità di esplorare l'universo.
Non credo sarei lo
stesso senza Alex. Non credo sarei o saremmo, se fossi interessato al
rapporto che ha con gli altri, oltre a quello che ha con me. Ma sono
egocentrico e egoista e l'unica cosa a cui riesco a pensare
è che ora la sua mano è al sicuro nella mia, non
cinta attorno alla vita di qualcuna che se vuole capirlo sinceramente
non lo conosce abbastanza dal principio, perché una persona
come Alex lo senti dal primo momento, non potrai mai rivelarla
interamente. E invece lei prova e prova, trasforma la sua magia in
formule matematiche e le incognite del suo carattere in scarabocchi che
crede la porteranno alla fine del tunnel; solo che sbaglia,
perché Alex è una stella e lei sta cercando di
schiarirlo con una torcia usa-e-getta, e non basterebbe tutto il
carbone del mondo per far apparire una macchia sulle sue dita perfette.
Ma alla fine che vuoi
che ne sappia io, sono solo un ragazzino innamorato che sente la vita
scorrergli in corpo solo quando il suo cantante lo riconosce e brilla
per lui, non è come se conoscessi la galassia e le sue leggi
e avessi anche solo la più pallida idea di tutti i grandi
eventi che hanno scolpito l'umanità. Però conosco
tutte le sue catastrofi, tutte le buche in cui è inciampato
negli anni cosa lo fa fingere e cosa lo scaraventa in un'altra
dimensione. Non so niente eppure so tutto, e per quanto Rian mi lasci
in giro giornali, novelle e accenni alla fine sono in pace
così. Voglio dire, non so neanche se sia un modo di dire
corretto ma se ha oltrepassato le labbra di velluto di Alex
è un termine più che valido per me. Nell'uragano
d'incertezze in cui vortico lui è l'occhio del ciclone e non
si rifiuta la terraferma quando si affoga, specialmente se è
ciò che hai sempre sognato.
«Jack, ti
voglio bene» sorride, spostandomi i capelli dal viso con la
mano libera. Siamo a casa sua, sdraiati sul divano, e una delle nostre
serie preferite riempie il silenzio altrimenti colmo dei nostri
respiri. Non sapevo gli piacesse ma in questo momento sembra che non
potesse essere altrimenti.
«Anch'io
Lex» mormoro in risposta. La coperta che mi ha regalato per
Natale perché la circolazione mi abbandona troppo facilmente
in inverno ci ricopre e sembra allo stesso tempo leggera come l'aria e
tiepida come una pelliccia, eccetto che so che è il calore
di Alex a tenerci coloriti. La mia testa è sulla sua spalla
e la sua sulla mia fronte, come mi ha sistemato lui. All'inizio ha
giocherellato con la mia mano sinistra ma ora le nostre dita sono a
metà intrecciate e strette attorno ai nostri palmi. Mi
guarda e sorride, ignaro di come la luce fioca bloccata dalle tende gli
faccia brillare le iridi quasi le stesse ridipingendo. Come se avesse
bisogno di diventare ancora più fuori dal mondo.
Il suo petto si alza e
abbassa quasi impercettibilmente, incastrato al ritmo del mio respiro.
Il suo battito è ipnotico, mi trascina lontano da casa sua e
mi spinge lungo uno scivolo al buio, dove ogni giro è una
contrazione del suo cuore, ogni lampo di coscienza un rilassamento.
Darei qualsiasi cosa perché questo stato di quiete durasse
per sempre; invece prima che possa controbattere il mio collo cede e in
pilota automatico gli poso la testa in grembo, vicino allo stomaco.
Abbassa gli occhi per sorridermi e mi accoccolo più vicino a
lui, cercando lo sguardo di uno degli attori. Potrei dire qualcosa ma
non ne ho bisogno. Mi accarezza i capelli e lasciamo che le urla dallo
schermo piatto non rimangano inascoltate.
Dicono che quando riesci
a stare in silenzio con qualcuno senza sentirti a disagio è
perché tra voi due c'è un rapporto profondo.
Questo è se non ti senti fuori posto o non stai meramente
ignorando e venendo ignorato, certo. Se il silenzio è pieno
di colori e sembra accarezzarti appena, ti riempie lo stomaco di
scintille e allo stesso tempo ti culla, allora la persona che ti
respira accanto è radicata a fondo nelle tue vene. A questo
dò ragione. Passo così tanto tempo con Alex e mi
affido così tanto a lui che non sono più
così sicuro di dove i nostri confini di stato si separino e
guardo ai nostri perimetri come uno solo, quasi lui fosse la terraferma
e io un'isola ma una striscia netta ma invisibile ci tenesse l'uno
attaccato all'altro senza possibilità di distacco senza
frane o esplosioni, e sebbene lui non abbia bisogno di una penisola per
sopravvivere un'onda anomala tra noi cambierebbe molto più
di quel passaggio e di un'ecosistema.
A volte ci penso, a cosa
succederebbe se la band finisse e Alex cominciasse a vedermi come un
vecchio compagno di avventure da esporre assieme agli altri trofei. A
volte vorrei fossimo su un treno ma non credo di avere abbastanza
controllo su me stesso da non incrinarmi in caso non fossi l'ultima
fermata. In caso fossi a metà strada. In realtà
Alex non mi sta dando molti segnali, credo una persona qualunque non
gli darebbe il minimo peso, ma né io né lui siamo
qualcun altro e a volte questo mi paralizza. Non ho mai le parole
giuste e sono ancora più impacciato coi gesti ma spero
sappia che i miei sguardi sono veri; che penso davvero ciò
che dico, dice, diciamo — ogni parola, ogni accenno, ogni
volta che le sue labbra si dividono, quello che ci riempie non finisce
mai nel cestino; aspetto che se ne vada o chiuda le palpebre e lo
raccolgo, lo nascondo nella tasca piccola dello zaino, nel portafoglio
tra la nostra foto e gli scontrini del reparto dischi; mi aggrappo a
quell'essenza di lui con tutto me stesso e faccio di tutto per tenerla
viva, accesa, luminosa come la prima volta che l'ho visto.
Benedetti aerei.
Benedette barche, macchine, agenzie per traslochi; benedetto tutto
quello che l'ha portato qui. Quando è arrivato non conosceva
nessuno, ora tutte le strade gridano il suo nome. E la mia anima si
accartoccia, si apre, si tende verso di lui, esita e ritrae la mano;
urla sott'acqua, brucia nell'artico, scala la fossa delle Marianne e
sprofonda nell'Everest; si contorce in nuvole di colore e cerca di dare
un senso a tutto quanto, mai davvero concentrata abbastanza su qualcosa
che non sia la maniera in cui il suo viso riflette i raggi del sole,
come ogni lembo della sua pelle chiara sembri abbracciarlo e
accarezzarlo. Solo che sono solo un altro eco in una caverna, non
può sentire il tremore del mio silenzio quando le mille
sfumature delle rocce gli riempiono persino i polmoni.
Per questo trovo strano
che durante i concerti riesca a vedermi. Quando chiunque dubiterebbe di
lui, butta al vento tutte le scuse che gli offrono e si sporge
nell'abisso dei miei occhi per una, due, cento manciate di secondi,
quasi stesse cercando di vedere il fondo prima di tuffarsi. In questi
momenti mi sento come un buco nero, divoro e non restituisco la luce
perché la mia forza di gravità non è
abbastanza decisa da attrarre lui. Però mi sorride, tasta il
terreno, fa capolino nella mia testa e non ne sembra dispiaciuto.
Forse è
questa una delle cose più belle. Non è mai
dispiaciuto, non di come ho disposto i miei mattoni, non di come la mia
pittura si stia screpolando davanti alle intemperie e non di come i
fiori nei miei vasi fatichino a sopravvivere nei mesi estivi; mi guarda
e vede le mie fondamenta, i miei progetti, le centinaia di cartacce e
le lattine vuote che cerco con tutto me stesso di evitare si accascino
contro il mio portone. Mi vede per quello che voglio e cerco di essere,
non per il modo goffo e gli errori che commetto nel tentativo di
solcare il mio traguardo. Per quanto ne so, potrei rovinare tutto
quello che ho costruito finora provando a ricucire un dettaglio poco
importante e lui mi presenterebbe ancora come se fossi la persona
più spettacolare del mondo.
Salto il più
in alto possibile e roteo su me stesso, stringendo gli occhi quando
atterro. Le luci dello stage e quelle alla fine della sala mi
abbagliano, vivide e accese come solo ai concerti è
permesso. Mi sposto il ciuffo dagli occhi scuotendo la testa e un po'
del mio sudore atterra sulla guancia di Alex, che sta camminando verso
di me, labbra schiuse e microfono in mano. Il pubblico urla, canta,
balla e salta a ogni incrinatura, ogni sfumatura nel timbro della sua
voce, e per qualche frazione di secondo sembriamo parte della stessa
creatura, come se questa venue fosse un grembo e noi fossimo tante
piccole cellule, rinchiusi nello stesso organismo e intenti a cercare
di farlo esistere nel modo migliore possibile, diversi e uguali allo
stesso tempo. Le nostre casse toraciche sprofondano tutte sotto il
tocco di Zack sul suo basso, le nostre gole bruciano tutte mentre
cerchiamo di sradicare e urlare via tutto il dolore e la paura, la
rabbia e la disperazione, mentre cristo, diamo del nostro meglio per
incendiare tutto quello che ci avvelena e divora da dentro, per cui non
veniamo trattati come alto che merda; la batteria di Rian ci rimbomba
in ogni organo, non solo nelle orecchie, e se anche non sono la
ciliegina sulla torta per molta gente, ogni volta che sfioro la
chitarra raccolgo il mio cuore dal selciato, e qualsiasi cosa dicano
gli altri è molto più di quanto possa suggerire.
Cristo, quando siamo lì e suoniamo è tutto al
meglio, la realtà non potrebbe essere più
perfetta.
Alex appoggia il gomito
sulla mia spalla e continua a soffiare la sua vita nel microfono, il
manico della mia chitarra a pochi centimetri dalla sua pelle accaldata.
Se perdessi anche solo un po' la presa rischierei di farlo sanguinare;
ma li continua a cantare e le mie dita stringono forte le corde. Alex
mi guarda e ricambio, inclinando il viso per vedere oltre le luci
riflesse nel suo sguardo. Lui si sporge e mi bacia, piano e lentamente
ma con l'effetto di mille uragani; e quando ci stacchiamo non
distogliamo lo sguardo, tra le migliaia di urla tutt'attorno. Sento un
vetro frantumarsi e cadere attorno a noi ma so che non è
reale. E' la mia tristezza che se ne va, i miei pensieri che crollano
spezzati dalla brezza soffice che è il suo respiro. Mi
guarda ancora e riprende a cantare, e so che mi chiederebbe di unirmi a
lui se solo fossi meno stonato. Non che sia senza speranza,
è solo che preferisco colorarmi della sua voce e lui lo
accetta, senza rendere il mondo partecipe della nostra
complicità. Siamo complici di molte cose, noi.
«...And I'm
the pen». Improvvisamente tutto finisce e rimaniamo in piedi
nel silenzio di mille cuori urlanti, le note perse a mezz'aria e i
nostri respiri che continuano a spezzarsi e ricostruirsi senza tregua.
Scintille metaforiche e reali sbocciano tutt'intorno, mentre
c'inchiniamo e sorridiamo finché le guance non sfuggono al
nostro controllo. Alex è di nuovo accanto a me e so che
è come dovrebbe essere.
«Ehi
Lex» la mia voce sembra sfuggire dalle labbra di qualcun
altro ma lui si gira lo stesso, il beanie tra le dita affusolate e i
capelli scompigliati.
«Jackie»
esclama, lo stesso soprannome da quando è entrato nella mia
vita, tra cumuli di scatoloni, "eppure ero sicuro che fosse qui" e
detti mai immaginati. Respiro a fondo e mi sembra di sentire l'odore
muschiato dell'Essex riempirmi i polmoni.
«Mi chiedevo
se ti andasse di fare un giro» mormoro, appoggiandomi allo
stipite della porta. Lui ride tra sé e sé, guarda
il beanie poi me e poi sorride di nuovo, infilandoselo in testa. Pochi
secondi dopo i nostri passi si confondono con gli altri mille delle
folle diurne, ora al sicuro tra le braccia di qualcosa che raramente
meritano, e le sfumature della notte si fanno più intense,
quasi ogni dettaglio insistesse gridasse per essere guardato.
Consciamente non conosco Ashville, mi fulminino se l'abbia mai anche
solo sentita nominare o scorta su qualche mappa geografica, eppure ora
i miei piedi si muovono come se fosse casa, e tra i vicoli e i
condomini abbandonati mi sembra di trovare un filo, quasi io e Alex
fossimo Arianna e Teseo, eccetto che non fuggiremo l'uno all'altro
appena messo alle spalle il nemico.
«Che cristo di
notte» commenta, il mento elevato verso il cielo. Ma che
nemico? La vita frenetica dei tour? Le case discografiche troppo esose,
le fidanzate troppo egocentriche? O sono le cose di tutti i giorni, i
pensieri di tutte le notti, che ci paralizzano e rinchiudono
nell'armadio coi nostri scheletri?
«A volte mi
chiedo cosa ti abbia spinto per questa strada» mormoro la
normalità, la ripetuta domanda a cui non manca mai risposta;
eppure mi guarda come se fossero parole che non ha mai sentito. So che
io le mie paure non le saprei affrontare altrimenti. «A parte
l'ovvio, certo. O anche con l'ovvio, alla fine è sempre
tutto buio».
«Francamente
non ne ho idea. Voglio dire, non so perché voglio che
sappiano. Perché voglio che le mie parole siano respirate e
assaporate, invece che solo intrappolate nell'inchiostro o sullo
schermo del computer di qualcun altro. A volte mi dico che voglio
impedirmi di cadere a pezzi, ma cantare non significa esorcizzare i
tuoi demoni delle tre di notte; è dipingerli attraverso la
loro ombra a mezzogiorno, quando sei forte e deciso e ti sembra che
potresti abbatterli a mani nude, illeso come fossi appena nato. Eppure
quando nasci c'è quel periodo di terrore in cui non respiri,
non sei ancora pronto ad afferrare l'ossigeno che ti circonda e
collassi su te stesso; e tutti sembrano dimenticare o tralasciare,
perché nascere è bello, nascere è
poesia. Ma in tutto questo sono intrappolato nel panico che sale, nei
"cristo non so cosa fare", nei "cazzo sto morendo". E lo so che non sto
morendo, lo so che fra un po' respirerò e
acquisirò colore, ma in questo momento sono seppellito vivo
dentro me stesso, a vivere e rivivere il primo istante sulla terra, il
terrore che ci abbraccia dal principio». Fa una
pausa. «Forse voglio essere ascoltato
perché sto cercando risposte. E' più semplice se
guardi gli altri, è così che la maggior parte
delle idee emerge. O lo è? O sono solo immerse in un
calderone bollente e vedono la superficie solo quando son pronte? Forse
cerco in loro quello che non faccio, cerco d'individuare le loro basi
perché invece di costruirmi ho scavato tunnel. Forse voglio
illudermi di non essere solo, forse voglio illudermi di esserlo. A
volte ho paura che sia tutto solo un mucchio di forse, l'ouroboros che
si morde la coda ma non è in grado di rinascere o
abbandonare definitivamente né il futuro né il
passato, soffocando nel presente». La sua voce non trema ma
la mia cassa toracica sta pugnalando tutto ciò che dovrebbe
proteggere. Rifiuta lo sguardo all'orizzonte e attraversa i miei
zigomi, planando nei miei occhi. Non si sforza di sorridere; sa che se
avessi le parole sarei io a parlarne. Non so perché sono
qui, non perché non ci sono. Ma so che il mio universo si
rompe senza di lui, e questo mi basta.
«A volte penso
di portarti in Belgio. Pagare un biglietto qualunque e sederci su un
treno, quasi fossimo parte di un quadro animato, una storia che si
avvera. Ti regalerei un bloc-notes e giocheresti con la penna assorto
nei tuoi pensieri, e io mi troverei dilaniato tra quale opera d'arte
guardare. Sceglierei te e dopo un po' sorrideresti, senza mai dirmi
cosa ti ha fatto brillare il volto ma senza mai far aumentare la
distanza tra di noi».
Lui sorride al mio
fianco e io alzo lo sguardo alla luna, chiudendo poco una palpebra per
sfuggire ai lampioni.
«Altre volte
invece penso che sia stupido che possa farlo, che il fatto che tu sia
confinato in poco più di duecento ossa sia inaccettabile e
che ci debba essere stato un errore enorme da qualche parte,
perché una creatura come te è ovunque e da
nessuna parte, abbraccia tutto e niente. A volte mi chiedo come
funzioni tutto questo, a volte mi rattrista vederti sulla prima linea
con tutte le tue toppe e le tue cicatrici sapendo che se tornassi
indietro te le faresti di nuovo per proteggermi. A volte mi sembra di
poter stringere tutto, a volte sprofondo e non so più se
sono nella tua anima o dentro me stesso. A volte non so nemmeno
cos'è, me stesso».
Il ciuffo dorato gli
scivola sugli occhi e lui lo sposta voltandosi a guardarmi.
«Sapere in che oceano stai sprofondando non aiuta a ritrovare
la superficie» commenta in un soffio, rivolgendolo forse un
po' più a sé stesso che a me. Esita, mordendosi
il labbro inferiore. «Ma se ti trovi in una vasca,
essere cosciente del fondale aiuta a rispingerti verso
l'alto» espira, centrando appieno il mio problema con le
metafore. Più con la vita, in realtà. Vivere in
tour è una rappresentazione della mia vita emotiva -
è tutto in movimento, necessità frenetiche a cui
da solo non posso provvedere e intoppi cui da solo non avrei mai
pensato; un giorno sei in un posto e un altro sei perso nel nulla
circondato da segni che non capisci. Esci dal guscio per cercare di
dare un senso a tutto, partendo anche solo dalle basi, e ti ritrovi in
ginocchio in un angolo a vomitare l'anima abbracciato a una bottiglia
neanche un'ora più tardi, una paura martellante che ti
corrode dalle viscere ai capelli e ti mozza il respiro che non sei
neanche poi così sicuro di meritare.
«A volte non
riesco a smettere di pensare che vivere sul fondo del mare sarebbe la
scelta migliore. Mi decomporrei e aiuterei nuove creature a nutrirsi,
crescere più robuste. Sarebbe qualcosa di concreto, per una
volta».
Alex non risponde.
Nessuno ne parla mai apertamente ma giriamo attorno alla fine di tutto
quello che c'infesta piuttosto spesso. E' più un avvicinarsi
in punta di piedi fino a stringere tra le mani il metallo delle
barricate, spingersi il cuore di nuovo in fondo alla gabbia toracica e
scivolare davanti al parapetto, esitando nel reggersi o meno. A volte
lui è dall'altra parte, a volte lo sono io; più
spesso però siamo insieme sull'orlo del cornicione,
aggrappati solo ai nostri respiri e senza uno straccio d'idea sul
perché non dovremmo avvolgerci nelle nuvole e lasciare che
questo sia il nostro everything better plan. Siamo davvero liberi solo
quando siamo insieme, e anche se sembra stupido quando proiettiamo i
nostri corpi nel vuoto che ci precede il mondo alle nostre spalle non
è che una cella, l'aria davanti la nostra vera patria. E non
intendo la caduta, il momento in cui solo le mani dell'altro saranno
più un abbraccio; non intendo la morte, o il coma o
l'incoscienza, intendo semplicemente quello che ho detto. Seduto sul
bilico ho più spazio vitale di quanto ne avrei mai nel mondo
reale, e dividerlo con Alex lo rende ancora più enorme. A
volte credo che parlarne direttamente permetterebbe alle infezioni, ai
gas di scarico e agli errori esterni d'inquinare questo spazio,
strapparmelo via e rinchiudermi nella mia vita, costringendomi ad
affrontare il fantasma che spero di non essere; altre mi rendo conto
che a forza di danzare sulla lama di un coltello qualcosa potrebbe
sfilacciarsi. Ho paura che quello possa essere la mia amicizia con
Alex. Ma quando sei conscio che più spesso di quanto
vorresti ammettere sei tentato dal cingerti il collo e dare un calcio
alla sedia, come fai a dire alla persona più importante
della tua vita che c'è qualcosa di più oltre al
silenzio eterno? Come puoi sperare di convincerla di ciò a
cui non credi neanche tu?
«Credo che ci
sia qualcosa di astratto nella tua concezione di concreto. Diventar
cibo per pesci - poetico certo, ma altereresti il loro ecosistema.
Qualcuno di loro abbasserebbe la guardia e sarebbe mangiato da un altro
pesce. Un progredirsi della legge del più forte, o del
più crudele, se preferisci. L'interno concetto del crescere
più robusto e vivere meglio è astrazione prima
che vita».
«Penso solo
che questo non sia il mondo adatto a me»; la mia voce resiste
alla pressione ma il mio battito è sotto lo zero. Alex non
può rispondere; in tutto il suo splendore sa che non
può rinascere dentro di me per far sì che vada
tutto bene. Mi mordo il labbro e continuiamo a camminare.
«Se
può essere d'aiuto puoi venire a vivere nel mio mondo -
magari all'inizio avrai qualche problema ad ambientarti ma ti
assicuro che tutto qui è più che
abbastanza, dato che il mio mondo sei tu» mormora
sofficemente dopo un po', guardandomi coi suoi occhi chiari come il
cristallo e scuri come l'ombra. Sorrido piano e lui ricambia, le sue
dita improvvisamente intercalate con le mie. «Penso faccia
schifo non sapere chi, cosa o perché sono»
ammette, «ma alla fine della giostra sono felice di esser
perso nel nostro caos». Mi stringe la mano dolcemente e con
vigore, come se ne avesse un bisogno primitivo,
viscerale. «Non credo vorrei essere risolto se tu
stessi ancora lavorando sui tuoi problemi».
La notte ci ha
ricoperti, portandosi via piccoli dettagli e mozziconi di sigaretta dal
letto di ciottoli, ma la luce tremolante delle stelle è
ancora abbastanza per guardarlo in faccia e innamorarsi di tutto
ciò che è. Mi ritrovo avvinghiato a lui in una
cinta che è nata da sola, le mie dita fra i suoi capelli e
le sue labbra fine pressate contro il mio petto. Spero che il battito
del mio cuore non lo assordi, che tutte le esplosioni nel mo stomaco
non arrivino a ferirlo. E' impossibile da esprimere ma appena il suo
calore diventa mio il respiro nei miei polmoni cessa di essere scarti e
mi riempie le arterie, colorando tutto con pennellate brillanti e
sensazioni straniere; appena il suo corpo s'intreccia al mio mi rendo
conto di quanto stessi morendo per un abbraccio. Credo di star
piangendo ma spero di no, le mie lacrime sarebbero catrame e vetri
rotti e la pelle perfetta di Alex non andrebbe sfiorata neanche con le
parole.
«Passerei la
mia vita a cercare di liberarti dalle catene della tua mente
Lex» sussurro. Non è abbastanza, niente
è abbastanza. Le parole scappano e si rintanano dietro ai
mobili, sculture di polvere e frammenti fuori dal tempo, facendo
capolino fra pensieri annebbiati, da qualche parte tra fantasia e
realtà - o sono mai esistite? «Vorrei ci fosse un
modo per mostrarti che sei l'ago nel mio pagliaio, il fiore che ha
salvato e continua a salvare la mia landa desolata ogni volta che penso
che nemmeno un secondo diluvio universale potrebbe aiutarmi. Sei una
persona così speciale che non sei neanche una persona. Sei
le luci del nord, la linea di ghiaccio che separa il mondo dal bruito
esterno, l'unico sentimento che davvero non si potrà mai
spiegare». Sorride sotto le mie dita e la sua bocca accende
un incendio nella savana di sterpi e cartacce che mi ritrovo in
petto. «Cristo Alex, sei la cosa più
bella della mia vita, sei l'unica persona per cui vivrei mille e mille
volte senza mai una tregua. Rinascerei durante la fine dell'universo
pur di sapere che non sei lì abbandonato a te stesso mentre
l'apocalisse si scatena. Sarei migliore solo per riportarti in
piedi».
Il pianeta è
immobile attorno a noi ma i capelli di Alex sono un tornado e le
detonazioni nel mio sangue mi fanno girare la testa. Mi stringe
più forte, come se fosse in bilico e avesse bisogno di
affidarsi completamente a qualcosa per non affondare, e lo cingo con
più decisione che posso, strizzando le palpebre per vedere
solo lui. Come se vedessi mai qualcos'altro.
«Ti voglio
bene Jack» mormora. Il mio petto è umido ma
potrebbe essere la nebbia.
«Ti voglio
bene Alex». Mi stringe a sua volta e qualcosa scatta dentro
di me, qualcosa che so si batte in tutti e due da quando ci siamo
incrociati anni fa, due ragazzini con l'universo nelle vene e
sanguisughe su ogni centimetro di pelle libera. Mi ricordo di averlo
incontrato e di aver letto nei suoi occhi la stessa paura e lo stesso
bisogno di spezzarsi la schiena per ciò che credeva giusto,
la stessa voglia di sputare in faccia a tutto lo schifo del mondo senza
però arrivare mai a odiarlo; mi ricordo di aver sfiorato il
suo sguardo e prima che me ne fossi accorto la mia mano aveva
già stretto la sua, solo che invece di osservarci sbigottiti
e imbarazzati lui aveva ricambiato la stretta con ancora più
decisione e aveva lasciato che le nostre dita si intrecciassero in un
saluto nato da solo. Mi ricordo di aver sorriso, e che per la prima
volta sono stato sincero. E quella è stata la prima volta
che il mio cuore ha battuto davvero.
Dicono che Parigi valga
bene una messa — non so come mi senta al riguardo ma so che
Alex val bene una vita. Siamo qui abbracciati in una città
che è arte a sé stante e se scattasse un allarme
sarebbe perché il dipinto più bello del mondo sta
piangendo tra le mie braccia, intrappolato in quell'attimo tra la
caduta e la mano che ti cinge il polso per trarti lontano dalle spine,
anche se nella spirale siamo intrappolati in due e non ci siamo mai
lasciati andare dall'istante in cui siamo emersi dal nostro niente. Non
so riguardo Parigi, ma Alex vale molto più di una vita. Alex
val bene qualsiasi tortura.
Dedicata
a Marta, perché dopo tutto quello che è successo
in quest'anno due giorni fa ho sognato di abbracciarti un'altra volta e
mi sono svegliata piangendo. Mi manchi. Guardo il tuo braccialetto
tutti i giorni, e tutti i giorni mi ricordo di quello che hai fatto per
me quando nient'altro sembrava funzionare. Sei ogni canzone dolce dei
Brand New, e Josie dei blink non fa che urlare il tuo nome.
I
hope for your sake I miss you more than you miss me.
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