Come le onde del mare nel loro immutabile
fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla Terra, in egual maniera
le onde del destino nel loro divenire dal passato al presente, talora
restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via.
22
LA DECISIONE
Durante le medicazioni, i membri dell’equipaggio le chiesero
tutti di Harlock ma Helèn poté dire poco.
In serata stanca, passando accanto alla mensa, riconobbe il
biondo caschetto di Kei. Si accasciò sulla panca di fronte alla sua amica che
affettuosamente le versò del caffè.
“Siete stati da Harlock?” le chiese. Kei fece cenno
lentamente di sì con il capo, era stanca e preoccupata.
“Per ora io e Yattaran ci divideremo in plancia e ci
manterremo lontani dalle rotte più trafficate, poi… non so”.
“Chi erano i mercenari che hanno assaltato la nave portandovi
via?” chiese Helèn non riuscendo a mascherare l’angoscia.
“Il ‘Branco’ si fanno
chiamare quei porci, ma sono solo delle iene, un gruppo eterogeneo di farabutti.
Venderebbero le loro madri per nulla”. Rispose Kei sprezzante.
“Come sono andate le cose?” l’incalzò Helèn.
“Dopo un giorno circa di viaggio, ci hanno consegnati
ufficiosamente alla Gaia Flett che deve averli pagati molto bene per questo
lavoretto sporco”. Helèn preferì non raccontarle quello che avevano fatto ad
Harlock, la sua amica era già sin troppo angustiata.
“Come vi hanno tenuti durante la detenzione su Tokarga?”
“Bene, pure troppo, bastardi… ma solo perché dovevano
venderci a caro prezzo, eravamo merce preziosa. In questo modo ci avrebbero
dispersi per l’Universo sbarazzandosi di noi in modo ‘pulito’ senza i clamori
di un’esecuzione pubblica”. Disse amaramente sarcastica, poi di colpo “Tu lo
guarirai vero Helèn ?”
“Non lo so Kei, davvero… non lo so”. Rispose scuotendo le
testa, continuando a guardare il nero liquido senza fondo della sua tazza.
“Ho paura Helèn, io gli voglio bene. Tu non lo conosci.
Harlock non può vivere da cieco, lo capisci?” la voce e i trasparenti occhi
della donna tradivano un’angoscia profonda mista a paura. “Sono su questa nave
da quando ero una ragazzina, non l’ho mai visto così”.
“Sì… lo so Kei, gli voglio bene anche io, troppo”. Strinse
forte la mano dell’amica guardandola dritta nelle iridi azzurre. Si alzò ed
uscì diretta da Harlock.
Bussò ed entrò.
Lui se ne stava con la testa reclinata sulla sua grande
sedia. “Come ti senti?” Chiese Helèn avvicinandosi e scrutando da vicino la
benda sugli occhi “Fa male?”
“Sì”
Gli versò un anti dolorifico nel bicchiere con dell’acqua aiutandolo
a bere, scostò un ciuffo di capelli mettendogli una mano sulla fronte per
verificarne la temperatura. Se fosse sopraggiunta la febbre, sintomo di
un’infezione, le cose si sarebbero complicate non poco. Lui le prese la mano
baciandone il palmo. Ma lei la sottrasse allontanandosi.
“Che c’è?” chiese
stupito lui.
Helèn non sapeva da che parte cominciare, voleva correre da
lui e riempirlo di baci e poi di pugni, per essersi distratto, e per sapere
perché non le avesse raccontato nulla su come realmente erano andate le cose
con i mercenari. Teneva le mani serrate guardandolo, cercando con tutta se
stessa di ricacciare indietro le lacrime. Non poteva vederlo così. Ridotto
all’oscurità. Le lacrime uscirono da sole incrinandole la voce.
“Per… perché non mi hai detto che tu ti eri consegnato ai
mercenari in cambio della mia libertà? Perché?”
Harlock attese un attimo, poi spostando la testa nella sua direzione
disse: “A che sarebbe servito?”
“Perché lo hai fatto? Ti hanno massacrato, ti… ti hanno quasi
ucciso!”
“Ma non sono morto”.
“Finiscila dannazione!” Helèn tremava. Non riusciva in nessun
modo ad accettare quella cruda verità. “Come è accaduto?” insisté.
“Cosa?”.
“Come hanno fatto a
colpirti l’occhio? Tu sai bene che è il tuo punto debole. Io ti ho osservato
quando combatti, tendi sempre quasi naturalmente a ripararti la parte sinistra
del viso. Come hanno fatto?”
Harlock non rispose.
“Te lo dico io, eri distratto! Guardavi me. Me e le mie
dannate ferite!” Helèn iper ventilava. “Perché? Perché mi proteggi sempre? Perché?”
chiese disperata.
“Helèn andrà tutto bene” fece lui per tranquillizzarla.
“Rispondi!” gridò lei.
“Non lo so. Davvero. Tu perché lo fai?” chiese calmo lui.
“Perché ti amo!”rispose lei di getto rendendosi subito conto
di quello che aveva appena detto.
Le lacrime ormai
correvano libere lungo le sue gote. “Sì ti amo”. Ripeté a voce bassa quasi a se
stessa. “Ti amo come non ho mai amato nessuno. Di un amore folle e disperato,
che mi fa paura, che dilaga dentro me, che mi fa male qui” disse colpendosi al
centro del petto. “E’ come se ti avessi sempre amato, di un amore che si nutre
di se stesso e di te, che non mi lascia tregua. Perché è un amore impossibile.
Non sarebbe mai dovuto succedere. Mai!”
Harlock si alzò cercando di raggiungerla ma urtò uno dei
piedi della scrivania, tutto ciò che vi era sopra si rovesciò e lui perse per
un istante l’equilibrio. Helèn corse ad aiutarlo, lui la tirò a sé stringendola
forte cercando di vederla oltre le bende. “Mi dispiace non averli osservati
mentre lo dicevi”.
“Co… cosa?”
“I tuoi occhi”. Le sussurrò.
“Tu non capisci, non vedi come sei ridotto?”
“Sei l’ultima cosa che ho visto, va bene così”.
“No, no, non va bene così”. Helèn non riusciva a fermare le
lacrime. Lui si chinò a baciarla “ripetilo” le sussurrò.
Helèn deglutì, poi
sfiorandogli la benda con le dita “Mi spiace, non sarebbe mai dovuto succedere,
mai”.
“Io invece ne sono contento” disse lui seguendo col viso come
un’immagine lontana. “Ho sempre perso quelli a cui volevo bene, per una volta è
a me che è andata male”.
In quelle parole
pronunciate con inconcepibile leggerezza Helèn avvertì una realtà cruda e
pesante. Una verità che suppurava un dolore dal quale lui cercava
disperatamente un’assoluzione. Era come se fosse disposto a tutto per
liberarsene, in qualunque modo ed a qualunque prezzo. Finalmente comprese.
Comprese il perché di quel suo atteggiamento quasi indifferente nei confronti
di quello che gli era accaduto e che tanto la irritava. Era convinto che con la
cecità avrebbe finalmente pagato. Avrebbe finalmente saldato il suo debito. Ma
per cosa? Di cosa si reputava colpevole per pensare ad una pena tanto cara?
Posò la fronte al suo petto, sentiva il suo cuore battere veloce.
“Non è come dici tu. Ed io… io non posso amarti”. Così
dicendo fuggì via.
Helèn trascorse la notte a visionare dal computer testi
medici ed interventi, a riguardare le lastre in suo possesso ma la risposta era
sempre la stessa. Intervento. Un intervento che lei non avrebbe mai potuto fare
o almeno non da sola. Per un intervento di quella natura ci voleva un luminare
del campo, una persona fidata. In ballo c’era la vista di Harlock non poteva
sbagliare o comportarsi con leggerezza. Non poteva portarlo in un centro medico
qualunque di un pianeta qualsiasi lo avrebbero riconosciuto, arrestato.
Trascorse la notte a pensare ad una soluzione. Alla fine credette di averla
trovata, era la meno rischiosa. Spense il PC che le riportò riflessa sul visore
scuro la sua immagine stanca e provata. Si guardò a lungo, poi si massaggiò le
stanche pupille. Tornò da Harlock.
Meeme l’accolse “Ha avuto una notte agitata, credo provi
dolore” disse costernata.“Ti ha cercata continuamente”.
Helèn si avvicinò al
grande letto, fu contenta che lui non potesse vederla, era a pezzi. “Come
stai?” chiese dandogli la solita medicina. Lui prese il bicchiere che lei gli
porgeva non permettendo però che lei lo lasciasse. Le strinse forte le mani
guardandola in volto. Helèn chinò lo sguardo come se attraverso le bende lui
potesse realmente vederla.
“Harlock” lo supplicò.
Lui le lasciò le mani. Quindi sedette sul letto accanto a lui. “Ascoltami. Mi
sono fatta un’idea precisa di quello che hai e di ciò che bisogna fare, più
tardi faremo una tac di conferma ma ne sono piuttosto sicura”.
Harlock ascoltava in silenzio. “Il corpo estraneo entrando
nell’occhio ha lesionato la cornea, l’iride ed il cristallino, la ferita è
circondata dall’emorragia io credo che qualunque cosa sia si trovi nel vitreo o
sulla retina, vada asportato chirurgicamente e presto, il tempo non depone a
nostro favore”.
“Bene. Lo farai tu!”
“No Harlock, io non posso o quantomeno non da sola, è un
delicatissimo intervento di micro chirurgia, neanche il più piccolo errore può
esser commesso durante la rimozione o resterai… cieco, ho bisogno dell’aiuto di
un luminare del campo”.
Harlock la fece
parlare. “Con l’aiuto di Yattaran contatterò un mio professore universitario su
Marte il professor Nakashima, sarebbe meraviglioso averlo qui ma, immagino non
sarebbe prudente. Gli chiederò un consulto e di assistermi durante l’intervento
in videoconferenza”.
“No!” la secca
risposta di Harlock la colpì come uno schiaffo. Era convinta d’aver trovato la
soluzione migliore.
“Per… perché?”
“E’ troppo pericoloso, un contatto così lungo verrebbe
rintracciato scoprendoci e poi chi è questo Nakashima? Uno dei tanti asserviti
che venerano Gaia? I miei uomini sono appena tornati sulla loro nave dopo una
lunga detenzione non li rimetterò ancora una volta in pericolo. E tu non ti
rendi conto che così facendo ti riveleresti? Lo farai tu”.
“No, non posso. Non
diventerai cieco per colpa mia”. Rispose Helèn alzandosi di scatto. “Perché non
lo capisci? Non l’ho mai fatto, ho solo assistito ad interventi del genere”. Era
stanca per la notte insonne, per quello che comunque avrebbe dovuto affrontare,
per quello che aveva detto ad Harlock e soprattutto aveva tanta, tanta paura
per lui.
“Mi spiace, il mio
bene viene dopo quello degli altri”. Fece grave lui.
“Ma possibile che tu non capisca? TU sei il bene degli altri!
Sei il capitano di questa nave, e sei un simbolo per milioni di terrestri.
Possibile che tu non lo sappia. Non sai quante rivolte ci hanno mandato a
sedare ribellioni nate nel tuo nome, tu sei più di una leggenda, sei un
simbolo”.
Crollò in ginocchio accanto al letto. Gli prese una mano
portandosela al viso “Ti prego, ti prego, dimmi di sì. Non mi importa niente di
me, a me importa solo di te. Una volta iniziata l’operazione non so cosa
troverò e dovrò comunque andare avanti, ma da sola non posso farcela. Non
posso. Lui mi deve un favore non ci tradirà. Te lo giuro. Non ti ho mai chiesto
nulla da quando sono qui, fallo per quello che c’è stato tra noi, acconsenti,
ti prego”.
Harlock inspirò profondamente, attese un lungo momento. “E va
bene”.
Lentamente la donna si calmò tornando padrona di sé. “Vado a parlare
con Yattaran dopo torno”. Così dicendo uscì.
Harlock si portò alle labbra le dita bagnate delle sue
lacrime, restò fermo a pensare alle parole che aveva pronunciato: ‘quello che
c’è stato tra noi’ aveva usato il passato.
Come Helèn immaginava Yattaran fu felice di poterle essere
utile, disse che per evitare che la lunga connessione fosse scoperta, avrebbe
creato delle interferenze cambiando continuamente canale, certo il resto
dipendeva da questo professor Nakashima. Si mise subito a lavoro per
contattarlo.
Helèn era davvero a pezzi, Harlock le mancava da morire, per
quanto facesse dei respiri profondi le mancava l’aria. Tornò in infermeria.
Avvisò Meeme e preparò il necessario per la Tac.
Come sempre accadeva, quando lui entrò nell’infermeria, lei
che era di spalle, ne percepì l’aura forte, voltandosi di scatto. Portava dei
vestiti comodi, pantaloni ed un pullover color antracite con cerniera al collo.
Vedere la fascia bianca intorno agli occhi le strinse il cuore. “Controlliamo
la benda” disse facendolo sedere.
Helèn si avvicinò, si chinò in avanti per togliere la
fasciatura, lui voltandosi, le sfiorò
senza volere le labbra. Helèn si ritrasse di colpo. Lui se ne accorse. “Non
vedo, non ho la lebbra”. Disse duro.
Helèn non rispose, si
concentrò esclusivamente sul quello che doveva fare. Fu molto professionale. Ed
alla fine quello che pensava venne confermato dall’esame.
“Yattaran a breve mi chiamerà per il primo contatto con il
professore, se tutto va come spero, già domani potrei operarti, poi ci sarà un
la degenza post operatoria. Chiamo Meeme così ti accompagna in camera tua”.
“Non puoi accompagni tu?”. Helèn acconsentì, prendendolo per
un braccio. Ma anche solo stargli accanto le faceva male. Il suo odore le
inondava le narici, il suo tepore si trasferiva dal suo corpo a quello di lei. La
sua forza mascolina la stordiva. Giunti nella stanza lo fece sedere alla sedia
della scrivania. “Vado a cercare Meeme perché resti con te”.
Lui fece per versarsi da bere ma il vino finì in parte sulla
scrivania in parte per terra. Con un urlo di stizza scaraventò lontano il
bicchiere che si infranse. Helèn corse a pulire. “Vattene! che fai ancora qui?”
le urlò.
“Ti… ti prego non rendere le cose più difficili”.
“Perché diavolo mi tratti così? Mi eviti, ho acconsentito che
quel tuo professore ti aiuti durante l’intervento, ma continui a startene in
quella dannata infermeria”.
“Ti prego non agitarti, ti sale la pressione arteriosa”.
“Al diavolo la mia
pressione” e con un gesto scaraventò via volontariamente tutto quello che era
sulla scrivania. Helèn lo raggiunse fermandolo, cercando di calmarlo.
“Lo faccio per te. Non lo capisci?” disse con voce malferma.
“Per me?” tuonò quasi lui.
“Da quando sono su questa nave ti ho reso più debole, la mia
presenza non ti fa bene. E’ colpa mia se ti sei arreso ai quei mercenari senza
scrupoli, ed è sempre colpa mia se ora sei in questa situazione. Mi manchi da
morire ma credo sia più giusto così. Perdonami”.
“Non sei tu che fai le mie scelte. La vita che conduco è
così. Spietata, disumana. Tu non c’entri. Anzi, tu mi hai aiutato ad affrontare
con spirito nuovo gli ultimi accadimenti, una prova dopo l’altra. Ma se è
questo che vuoi…” così dicendo cercò di raggiungere la grande vetrata. Una mano
avanti a sé, lentamente, giunto la posò sul vetro ghiacciato. Poi vi poggiò la
fronte. Il suo Universo gli mancava. Helèn provò una gran pena, gli si avvicinò
e gli strinse una mano.
Si schiarì la voce. “Stiamo attraversando una nebulosa molto
bella, dai colori che vanno dall’amaranto al giallo. Al centro ci sono dei
corpi luminescenti, sembrano diamanti, i suoi bordi sono frastagliati, d’oro e…
ho paura. Ho solo tanta paura per te” disse guardandolo.
“Io no”. Rispose lui.
Lo abbracciò forte
guardandolo in volto. “Tu… tu non hai paura di nulla”.
“Non è vero. C’è una cosa che mi fa paura”.
“Cosa?” chiese
allibita Helèn.
“Ho paura di perdere le persone a cui voglio bene. E’ per
questo che…” non terminò la frase. Helèn la terminò nella sua testa ‘non ami’. Abbassò
lo sguardo.
Quella notte la donna dormì lì. Harlock era già stato privato
della vista non poteva di colpo privarlo anche del suo amore, ora aveva bisogno
di lei. “Stringimi” gli chiese, mentre un senso di perdita senza confini le
stava pervadendo l’anima. Perché tutto era così ingiusto?
Per quanto avesse lottato con se stessa, il suo posto in quel
momento era accanto a lui.
L’indomani era al computer di Yattaran con una cuffietta
all’orecchio ed un microfono. “Pronto professor Nakashima?”
“Si? Chi parla?”una voce gentile e matura le rispose
dall’alta parte.
La donna sorrise
riconoscendola “Professore sono Helèn, Helèn Sterèn”.
“Helèn? Ma… sei
davvero tu?” rispose l’uomo perplesso.
“Professore ha sempre quei sigari nascosti nel libro di
ambliopia* della sua biblioteca?”
“Ragazza, allora sei
davvero tu. Ma, ma io credevo che…” Disse con tono meravigliato.
“Mi ascolti professore,
non posso rispondere alle sue domande è una lunga storia ed io ho bisogno del
suo aiuto”.
Helèn spiegò per
grandi linee cosa era accaduto al suo paziente ed il motivo per cui non poteva
rivolgersi ai canali ufficiali. Parlò della sua idea di farsi aiutare durante
l’intervento con l’ausilio di una telecamera e riportò l’esito dei suoi esami
omettendo accuratamente di chi si trattasse.
L’uomo, per un lungo momento tacque, comprese che accettare, se
fosse stato scoperto, avrebbe comportato dei rischi soprattutto per lui.
“So cosa sta pensando professore, ma io non ho alternative,
la prego” la voce di Helèn era accorata.
L’uomo allora chiese “E’ qualcuno vicino al tuo cuore come
Tadashi?”
“Sì” rispose Helèn senza esitare “Io l’amo, darei la mia vita
per lui ed è importante che nessuno lo sappia mai professore”.
“Dopo quello che hai fatto per mio figlio Takumi non posso
dirti di no. Sai, mia moglie è morta pochi mesi fa”.
“Non lo sapevo”. Helèn chinò il capo al ricordo di quella
donna rotondetta dal sorriso solare che portava limonata fresca per tutti
durante le lezioni private del professore.
“Ora ho solo mio figlio e non sarebbe accanto a me se non
fosse stato per te, io non dimentico Helèn”.
L’uomo accettò e tutto fu fissato per il giorno dopo. Helèn
si alzò guardando Yattaran, lui le sorrise sornione. Lei comprese che non
avrebbe fatto parola con nessuno di quello che aveva udito durante quella
telefonata, quindi si diresse stancamente negli appartamenti di Harlock.
Lo trovò seduto sul grande letto, la schiena poggiata sui
cuscini, lui si voltò di scatto sentendola entrare. “Allora? Come è andata
Helèn?”
“Bene, ma come fai sempre a sapere che sono io?”. Lui
sorrise, non rispose.
Helèn gli si sedette accanto dall’altra parte del letto,
prendendogli una mano e gli raccontò della telefonata, di chi era il professore,
di come si fosse trovata a salvare durante un attacco, la vita del figlio
anch’egli ufficiale medico della Gaia Fleet. Poi poggiò la testa sul suo cuscino,
i suoi capelli le solleticavano dolcemente il viso, il suo odore la coccolò
dolcemente e tutta la tensione e la stanchezza fino ad allora accumulate ebbero
la meglio. Si addormentò così.
Quando si svegliò era poggiata sulla sua spalla, lui era rimasto
lì. Immobile. “Scusami, perché non mi hai svegliata? Chissà che noia, che hai
fatto tutto il tempo?”
“Avevi bisogno di
dormire. Ho trascorso il tempo ripensando a te mentre danzavi, con gli occhi
della mente ti vedo ancora. Poi adoro ascoltare il suono del tuo respiro
regolare, fai un sacco di suoni buffi”.
“Suoni buffi? Che suoni buffi?” chiese Helèn
“Del tipo ‘pppsss o ‘broth-broth’ ”
Helèn sgranò gli occhi “Ma… ma non è vero!” disse dandogli
dei pugnetti sul petto.
Lui si voltò di scatto fingendo un’atroce dolore all’occhio.
Helèn gridò spaventata “Oddio, che hai? Fammi vedere”.
Così facendo si sbilanciò verso di lui che ne approfittò per
bloccarla saldamente per le braccia baciandola. Lei non reagì rispose al bacio
dolcemente, sorrise “Sei un bugiardo planetario, ed un bravo attore”.
Risero scaricando un po’ della tensione accumulata. Lui
immobile sembrava guardarla. “Sembra anche a te, d’aver vissuto già una
situazione come questa?”
“Si” rispose lui sapendo bene di cosa parlava. Quello strano
senso di già fatto, di già vissuto.
“Forse ci siamo incontrati nei sogni Helèn”.
Restarono così abbracciati, godendo del reciproco sentire in
attesa che arrivasse il giorno dopo.
NOTE
Testo di Ambliopia: L'ambliopia, in oftalmologia è
un'alterazione della visione dello spazio che viene a manifestarsi inizialmente
durante i primi anni di vita.
Capitolo dedicato ad Angelfire.
Sempre grazie alla MIA B-Beta.
E grazie sempre a coloro che leggono e commentano.
Mi scuso con tutti per il ritardo nel postaggio causato da malanni
di stagione e da questa vita in corsa alla quale, a volte, è davvero difficile
star dietro. Una nuova improvvisa attività mi ha assorbita completamente. Forse
anche i prossimi postaggi slitteranno, ne chiedo scusa sin da subito,spero
comprenderete grazie a tutti sempre :-*
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