That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Habarcat - I.011
- Nothing's gonna change my world
Meissa
Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mer. 14 aprile 1971
“Allora
ti piace proprio tanto questo disco!”
Mi sollevai a sedere sul divano, sorpresa di trovare Mirzam sulla
porta, appoggiato di schiena, con l’aria divertita e il suo
bel
sorriso: il giorno dopo l'equinozio si era tagliato i capelli, ora
erano lunghi al collo, mossi, di un caldo castano ramato. Indossava un
paio di pantaloni scuri e una camicia grigio perla lasciata aperta fino
a metà del petto, portava la giacca di alta sartoria
appoggiata
alla spalla e la cravatta slacciata al collo. Non mi aspettavo di
vederlo prima del mattino seguente, sapevo che aveva una nuova ragazza
e che era letteralmente cotto di lei. Eppure era lì, sulla
soglia della Sala dei Trofei, in cui mi ero rifugiata da circa
un’ora, di ritorno dal viaggio con la mamma nel Devonshire,
per
leggere i libri di mio padre e ascoltare un po’ di musica: me
lo
permetteva solo là dentro, dove gli incantesimi di
protezione
erano superiori a quelli di tutto il resto della tenuta, nulla di
quello che si trovava in quella stanza poteva essere portato fuori,
mai. Mai quelle cose dovevano cadere sotto lo sguardo di qualcuno che
non appartenesse alla nostra famiglia.
“Sei tornato?”
“Eggià”
“Pensavo che questa fosse la
ragazza giusta, Mr. Farfallone!”
Gli feci l'occhietto e lui mi rispose con aria divertita, ma senza
alcun cenno di vergogna sul viso. Era sempre il mio Mirzam, ma ormai
era un uomo. E sembrava decisamente stanco.
“Piccola insolente, quando
toccherà a te, non avrò pietà,
ricordatelo!”
Si avvicinò e mi appioppò un bel bacio sulla
guancia,
inondandomi del suo profumo, intenso e discreto, ed io gli risposi con
una carezza sul viso: adoravo mio fratello, era il mio cavaliere dalla
lucente armatura, che mi difendeva sempre, soprattutto quando Rigel era
odioso con me. Sembrò leggermi nella mente e mi sorrise
ancora
di più, con una luce negli occhi che stava a significare che
mi
sarebbe stato accanto ogni volta che ne avessi avuto bisogno.
“Allora
com’è andata stavolta con la mamma?”
Mi alzai e cercai di nuovo con attenzione l’inizio della
traccia
di “Across the universe”, poi tornai a sedermi
accanto a
Mirzam sul divano. Sbuffai appena un po’, rilassandomi solo
quando nell’aria si librò la voce di John Lennon.
“La solita noia, Mir, non
capisco
perché debba andarci. Perché non posso stare qui
con
te?”
“Lo sai ci è
toccato a tutti, a turno,
ora tocca a te, ma entro l'estate sarà tutto finito.
E’
una specie di tradizione per papà, prima d andare a Hogwarts
è necessario che tu lo faccia, poi capirai”.
“Odio tutti questi misteri.
Perché
nostro padre non deve essere come tutti gli altri, tutti dicono che i
babbani sono inferiori a noi, eppure non hanno bisogno di darne prova
pratica ai figli!”
“Al tuo posto non mi
lamenterei di
papà, se avessimo un padre uguale a tutti gli altri, quel
disco
te lo potresti sognare, per esempio, e non solo quello!”.
Mi guardò serio, mi sarei volentieri morsa la lingua: aveva
ragione, se avessimo avuto per padre Orion Black o, peggio, Abraxas
Malfoy… sentii un brivido lungo la schiena, Mirzam mi
guardò comprensivo.
“Si hai ragione,
però a volte mi chiedo
perché noi dobbiamo essere così diversi dagli
altri”.
“Tu sei la "principessa degli
Slytherins", mia cara, come potresti essere uguale agli
altri?”
Mi sorrise ed io diventai di fuoco, mentre la sua risata riempiva la
stanza.
“Non ripeterlo mai
più, sei crudele, lo sai!”
“Te l’ho detto, me
la sarei legata al dito e mi sarei vendicato!”
“Ma come fai a giocare su
questo?”
“Perché, piccola
mia, tu sarai davvero
la "principessa degli Slytherins", tra pochi mesi entrerai nella casa
di Salazar, e da quel momento ti prenderai tutto quello che
più
desideri dalla vita”.
Si fece serio e mi strinse con ancora più calore a
sé.
“Adesso non sto scherzando
Meissa, lo credo
davvero, certo non importa dove finirai, perché ti vorremo
sempre e comunque bene, ma io sono più che convinto che
sarai
una Slytherin, non chiedermi come lo so, me lo sento e basta.”
“Tu sei l’unico che
ci crede, Mir, gli
altri sono tutti rassegnati, nessuno crede che io possa riuscirci!
Tutti mi dicono di non pensarci perché sono sicuri che
fallirò”.
“Non è
così Mey. Mamma e
papà vorrebbero che tu vivessi questi ultimi mesi qui a
Herrengton in tranquillità e serenità,
così
capiresti cosa desideri davvero per te stessa, non per far contenti gli
altri. Ti sei mai chiesta se è per te stessa che vorresti
entrare a Serpeverde? Sei sicura che quella sia la casa dove vorrai
restare per sette anni? Vivere tutta la tua vita secondo i suoi
principi e i suoi valori? Tra l’altro se finissi a
Serpeverde,
per un intero anno, dovresti vedere Lucius Malfoy tutti i giorni. Sei
sicura di volerlo?”.
Fu come addentare un limone, il senso di disgusto e di rabbia mi accese
il viso di mille colori.
“Visto? Rifletti bene prima d
esprimere un
desiderio, sciocchina, lo sai che il mondo vive solo per accontentarti
e fare ciò che desideri”.
Mi toccò la punta del naso, come faceva da quando ero
piccola ed
io mi rilassai nel suo abbraccio: non ero sicura di cosa volessi
davvero per me, in genere pensavo che fosse giusto quello che per me
desideravano gli altri, anche se sapevo che era un ragionamento
sbagliato.
“Mir, spiegami,
perché a casa nostra ci
sono così tanti oggetti e libri babbani? Se sono inferiori a
noi… perché nostro padre ci permette di leggere e
usare
certe cose?”
“Innanzitutto ricordati di non
dire MAI a
nessuno a scuola che papà ha queste cose, lo sai che molti
cercano solo una scusa per romperci le scatole, ok? Poi è
sempre
meglio conoscere quanto più possibile del mondo: supponi che
per
qualche motivo tu debba stare tra i babbani per qualche tempo, se non
sapessi nulla di come vivono, finiresti nei guai in pochissimo tempo.
Quello che insegnano a scuola sui babbani è ridicolo, con
questi
libri e questi oggetti puoi avere un’idea realistica di come
si
vive lontano dal mondo magico. Papà è un uomo che
pensa a
tutto, desidera che siamo pronti a qualsiasi cosa ci riservi il
futuro”.
“Perché? Che cosa
deve succedere in futuro, Mir?”
“Ma nulla sciocchina! Ho detto
così per
dire! Potrebbe capitare che un giorno tu voglia farti una vacanza tra i
babbani, per esempio, magari solo per assistere a un concerto dei tuoi
cari Beatles, sarebbe strano, ma non impossibile, e papà non
te
lo vieterebbe di sicuro, lo sai, è sufficiente che tu faccia
quel tuo bel faccino che conosciamo tutti tanto bene!”
“I Beatles si sono sciolti,
non ci saranno più concerti cui assistere, Mir”.
“E allora? Ti appassionerai a
un altro gruppo,
cambia poco! Con quel faccino, cambia davvero poco”.
Si era alzato, dandomi le spalle, e si era messo a osservare il mare:
aveva un’espressione seria che non gli avevo visto mai, un
misto
di tristezza e turbamento. Represse a stento una smorfia di dolore ed
io mi preoccupai, volevo capire cosa gli fosse successo, ma Mirzam
sospirò, e si diresse verso la porta.
“ Ho chiesto a Donovan Kelly
la mano di sua
figlia Sile, ci sposeremo il prossimo Yule, volevo che fossi la prima a
saperlo. Ci vediamo a cena, sorellina!”
Mi lanciò un bacio in punta di dita e scomparve diretto alle
scale. Rimasi impietrita sul divano a fissare il punto da cui mi aveva
salutato. Non era vero che nulla avrebbe cambiato il mio
mondo…
Mirzam non sarà più soltanto mio...
***
Meissa
Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mer. 21 aprile 1971
Quella mattina mio padre mi raggiunse in camera mia molto presto, mi
disse che dovevo andare con lui e che saremmo rimasti da soli tutto il
giorno: sfuggire al controllo serrato di mia madre, che alternava lo
studio di pozioni e di canto alle orride visite a insulse cittadine
babbane o ai nostri parenti, fu per me un toccasana. Adoravo il bosco,
i suoni della foresta, gli animali straordinari che vivevano a
Herrengton e, soprattutto, ero ormai impaziente di vedere cosa mio
padre doveva insegnarmi. Mio fratello lo chiamava “Corso
accelerato di magia primordiale”, o semplicemente
“Corso di
magia Sherton”. Anche mio padre si mostrò contento
di
passare quella giornata insieme a me: dal ritorno a Herrengton non
c’erano state molte occasioni per stare soli e anche lui si
rendeva conto che a breve avrebbe dovuto lasciarmi andare, che per 7
lunghi anni non sarei stata più in quella casa se non per
brevi
periodi …. Se mi fossi sposata presto come avevano fatto i
miei
genitori, forse non avrei più vissuto a Herrengton, se non
pochi
giorni all’anno. E questo lo sapevamo entrambi. Al solo
pensiero
mi rattristai di nuovo. Camminavamo nella boscaglia, mio padre aveva
come sempre il passo rapido e leggero di chi preferisce la vita
all’aperto, la bacchetta legata alla cintola , una tunica
sopra i
pantaloni, i capelli legati in una coda e una specie di bisaccia da
cacciatore, in cui c’era tutto e di più, tanto era
sempre
100mila volte più capiente di quanto si potesse immaginare
dall’esterno. Portava in spalla anche una vecchia scopa da
Quidditch con cui aveva fatto allenare i miei fratelli negli anni
passati e fischiettava un motivetto che non conoscevo; ogni tanto si
voltava a guardarmi, sorridente, aveva qualche piano in mente, e la
curiosità finì col distrarmi dai miei pensieri
malinconici.
“Credo che qui possa
andare.”
Si fermò nel mezzo di una radura, davanti a noi si apriva la
faggeta di Herrengton , con i suoi percorsi tortuosi, a est si aprivano
gli spazi sconfinati del mare e delle isole; un vento si levava
frizzante dal mare, molti metri sotto di noi, e sembrava trasmettermi
un’energia strana.
“Oggi vediamo cosa succede
quando sali su una scopa da Quidditch.”
Lo guardai stranita e in parte delusa, non avevo mai apprezzato il
gioco, che invece rendeva tanto entusiasti mio padre e i miei fratelli,
meno che mai pensavo che la famosa lezione che aspettavo da mesi fosse
qualcosa del genere, nemmeno avevo mai provato a volare!
“Non puoi avere paura di una
scopa Mey, ce l’hai nel sangue!”
Mi diede la scopa e riluttante feci i gesti che mio padre mi suggeriva,
tenni la scopa al mio fianco, la chiamai, e finalmente sentii il legno
nervoso sotto la mie dita.
“Ora prova a montarci sopra,
tenendola salda e cercando di rimanere coi piedi per terra.”
“Ma…”
“Non ci sono
“ma”, Meissa,
prova… io sto qui. Tra pochi mesi dovrai farlo a scuola e di
certo, se proprio devi cadere, è meglio che tu abbia solo me
a
farti da pubblico.”
In effetti non era una idea saggia aspettare di essere ad Hogwarts, di
fronte ai figli scemi dei suoi amici, per provare a salire su una
scopa. L’inforcai, la sentivo nervosa sotto di me e iniziai
ad
aver paura, ma per non deludere mio padre, strinsi i denti e riuscii a
domarla, o almeno era quello che speravo.
“Bene, ora vediamo cosa
succede se ti dai una spinta per salire.”
Sapevo già che sarei caduta subito, iniziai a sudare freddo,
ma
non volevo fare una figuraccia di fronte a mio padre e cercai d non
mostrarmi spaventata. Stranamente non caddi, anzi, dopo lo stupore
iniziale mi sentii libera ed euforica, con la sensazione di sapere bene
cosa dovevo fare. E miracolosamente, anche la scopa sembrava sapere
benissimo cosa volevo da lei! Mi alzai di più, mentre mio
padre
mi guardava sorridente, mi mossi delicatamente verso gli alberi di
faggio, quasi meravigliandomi di riuscirci, poi presi coraggio e provai
ad allontanarmi, salire, ritornare indietro, feci un paio di giri
intorno alla posizione iniziale e, infine, scesi lungo la collina. Era
facile, era divertente, era assolutamente grandioso! Mi librai di
nuovo, questa volta più in alto: mai mi ero sentita
così
felice, per la prima volta sentivo di essere nel mio elemento, vedevo
gli alberi dall’alto, scesi rapida per raccogliere per la
mamma
un fiore che ammiccava rosso tra il verde acquoso dell’ultima
rugiada. Fu allora, forse per troppa sicurezza e incoscienza, che persi
il controllo della scopa e mi ritrovai catapultata a terra, a pochi
metri dal fiore che m’aveva fatto esagerare… Mio
padre
corse lungo il fianco della collina per vedere se stavo bene, si
chinò su di me mi asciugò una lacrima sulle
guance e mi
diede un bacio
“Ti fa male
qualcosa?”
“Il
piede…”
Trattenni altre lacrime a stento, mentre mio padre mi risistemava con
delicatezza il tallone e la caviglia.
“Nulla di grave, hai solo
preso una botta.
Niente male come primo volo: io la prima volta mi sono rotto un polso e
distorto una caviglia!”
Sorrise, avevo temuto di averlo deluso, invece era felice e soddisfatto.
“Hai il volo nel sangue,
piccola mia, con
qualche altra lezione farò di te una campionessa!”
Mi prese in braccio e con un incantesimo proiettò davanti a
sé la scopa, mentre risalivamo la collina. Affondai il viso
sul
suo petto, i piaceva incredibilmente il suo odore, era forte e
bellissimo, nessuno dei suoi amici, neanche quelli che arrivavano alle
cene vestiti superbamente, riuscivano a eguagliarne eleganza e
bellezza. Avevo perso i miei occhi verdi in quelli azzurri di mio padre.
“A cosa pensi
topolina?”
M’aveva sempre chiamata con quel buffo soprannome, che
adoravo, quando eravamo soli.
“Che ho il padre
più bello e forte e meraviglioso del mondo!”
Papà rise e la sua risata riempì la valle: aveva
40 anni
da pochi giorni, ma sembrava un ragazzo, pieno di fiducia nella vita e
di felicità per la sua meravigliosa famiglia, aver saputo
che
Mirzam si sarebbe sposato entro l’anno con la figlia di uno
dei
nostri migliori amici irlandesi, lo aveva riempito di entusiasmo e
speranza.
“Dovrò far sapere a
tua madre che ha una rivale che le insidia il mio cuore,
allora!”
Mi baciò di nuovo. Ritornati alla radura, mi rimise a terra,
con
una paio d’ incantesimi silenziosi distese un plaid e
tirò
fuori dalla bisaccia il necessario per la colazione.
“Come ti sei sentita mentre
volavi?”
“Era stupendo, era come se
fossi fatta d’ aria e di libertà!”
Mio padre capiva la sensazione, era per questo che adorava il volo
almeno quanto vivere in quei boschi, lontano da tutto ciò
che
attraeva tanto i suoi amici.
“Hai apprezzato il senso della
libertà
al primo colpo, quando avrai assaporato anche l’ambizione,
sarai
una campionessa di Quidditch degna del mio nome…”
Si distese sul plaid e si rilassò al sole tiepido del
mattino
mentre non perdeva una mia mossa, un giorno mi disse che mi considerava
la parte più bella di sè, la sua opera
d’arte….
“D’ora in poi
lavoreremo molto insieme
Meissa, voglio che tu sia preparata quando andrai a
scuola…”
Sorrisi tra me, quindi era arrivato il momento, non riuscivo a
trattenere la felicità e l’eccitazione.
“Padre, io sto già
facendo esercizio di pozioni…”
“Sai bene che devo insegnarti
cose che a
scuola non ti faranno nemmeno vedere, loro seguono il programma del
Ministero, io invece devo insegnarti cosa significa essere una Sherton,
devo fare di te una Sherton a tutti gli effetti…”
Sapevo che quando era a casa mio padre passava molto tempo nel suo
laboratorio nel sotterraneo della villa, dove, al contrario dei miei
fratelli, non avevo mai avuto il permesso di entrare, finora, quello
che mi stava dicendo era ciò che attendevo da una vita.
Papà sorrise di nuovo, mi leggeva tutto quanto avevo nel
cuore.
“Sì, tesoro, ormai
sei grande
abbastanza per vedere il mio piccolo parco giochi domestico, e non solo
quello…”
Si risollevò e mi prese le mani nelle sue.
“Sarai la migliore del tuo
corso, saprai fare
incantesimi che gli altri nemmeno si sogneranno mai, e finalmente ti
insegnerò a piegare le cose anche senza una bacchetta, forse
è ciò che più può esserci
utile in
futuro… tu hai il fuoco di Salazar nel petto, piccola mia,
non
è qualcosa che tutti possono vantare, ed io t
aiuterò a
tirarlo fuori. Verrai da me per un paio di ore tutte le sere, prima d
andare a dormire.”
Mi diede un nuovo bacio sulla fronte, poi mentre ancora lo guardavo
rapita, fece sparire i resti della colazione e mi fece segno di
alzarmi, il piede non faceva più male, potevo seguirlo senza
difficoltà, dovevamo arrivare prima di mezzogiorno alla
radura
dei threstal nel profondo del bosco. Avanzammo come prima, in silenzio,
mio padre ogni tanto mi chiedeva di chi fosse una certa orma o a cosa
servisse una certa pianta, io rispondevo sempre bene, erano anni che lo
seguivo e conoscevo Herrengton come le mie tasche. Arrivammo su uno
degli speroni di roccia che scendevano apicco nel mare, mi diede
l’acqua certo che ormai avessi sete, si sedette su una roccia
appena muschiata e mi guardò con attenzione, mentre io in
piedi,
spaziavo con gli occhi verso l’orizzonte, privo di nuvole.
“Volevo chiederti una cosa,
Meissa, a proposito del giorno dell’equinozio”
“Cosa padre?”
Cercava di apparire sereno e distaccato, ma sentivo tensione repressa a
stento nella sua voce.
“Cos’hai visto
mentre eri da sola nella grotta della sorgente?”
“Quello che mi hai detto tu.
Ho sentito delle
voci che mi invitavano a non farlo, a rinunciare.
Perché?”
“Nient’altro?”
“Non
capisco…”
“Quando sei scesa nella grotta
di Salazar,
bendata, ho preso il tuo palmo per inciderlo con la lama, e ho visto
chiaramente che ti eri ferita le mani, come se avessi stretto i pugni
tanto da affondare le unghie nella tua stessa carne. Voglio che mi dici
perché l’hai fatto. Non ti ho mai chiesto nulla di
più, nelle scorse settimane, per non turbare tua madre, ma
ora…”
Deglutii, non ci avevo voluto pensare, non gliel’avevo voluto
dire, non potevo dirgli che mi ero spaventata, che non mi ero sentita
pronta.
“Ho visto un’ombra,
ma non so cosa
fosse, e occhi rossi di fuoco, e poi me stessa in un giardino che non
conoscevo, ho iniziato a pensare forte a te come mi avevi detto di fare
e sono riuscita a tornare indietro”
“Vorrei che mi descrivessi
quegli occhi...”
Ci pensai un attimo, per riportare alla mente quell’immagine
sfocata, ma non c’era nulla di più nella mia mente.
“Non ricordo altro, solo che
erano occhi
rossi, come quelli di un serpente, e nel giardino, c’erano
decorazioni slytherins ovunque.”
Mio padre mi guardava attentamente, la sua mascella si contrasse
più d una volta. Poi chiuse gli occhi abbandonò a
terra
tutto quello che aveva tra le mani, alzò le braccia al cielo
volgendosi verso est ed iniziò a cantilenare. Dopo lo shock
iniziale mi resi conto di comprenderlo, stava lanciando una maledizione
antica contro un uomo, non avevo mai visto mio padre fare nulla di
simile. La sua voce era irriconoscibile, mi fece gelare il sangue nelle
vene.
“Meissa!”
Lo guardai, mi resi conto che lo stavo fissando impietrita.
“Chi è
quell’uomo? Chi è Tom Riddle?”
“Tu che ne sai di Tom
Riddle?”
“Ti ho appena sentito fare il
suo nome, gli stavi lanciando una maledizione”
“Salazar… tu hai
capito quello che stavo dicendo?”
“Sì, certo che ti
capisco, non sono sorda!”
“Ti rendi conto, Meissa Deidra
Sherton, che tu
mi stai parlando in serpentese mentre io, tuo padre, ti sto parlando in
serpentese?”
“Che cosa?”
Si avvicinò a me, osservandomi con attenzione, come se non
mi riconoscesse come sua figlia.
“L’avevi
già fatto? Avevi già parlato ai
serpenti?”
“Io non so parlare ai
serpenti!”
“Lo stai facendo anche in
questo momento!”
“Ma…”
“Vieni con me.”
Mi prese per mano, senza tante cerimonie, anzi in maniera piuttosto
brusca e con un “bop” ci smaterializzammo. Mi ci
vollero
alcuni secondi per ricordare, per capire dove fossimo, non andavamo
molto spesso in quella parte della costa di Herrengton. I
caratteristici faraglioni creavano un paesaggio quasi irreale, la
spiaggia, invece che di sassi e sabbia, era costituita da lingue di
calcare che affioravano timide dal mare. Mio padre si tolse la tunica
ed entrò in acqua facendomi segno di seguirlo, rabbrividii
al
solo pensiero.
"Chi è Riddle?"
“Le parole non servono a
nulla, Meissa,
è la magia ciò che conta… e ora
abbiamo un motivo
in più per darci da fare!”
"Dimmi chi è, dimmi cosa
vuole da noi.”
“Meissa, ora basta, vieni qui
e dimostrami cosa riesci a fare senza alcun insegnamento."
Lo guardai sempre più confusa, non avevo idea di cosa
volesse da
me. L’acqua era gelida, i vestiti s’inzupparono
immediatamente, incollandosi addosso come una morsa di ghiaccio. Sarei
sicuramente morta assiderata.
“Padre…”
"Hai mai giocato con l’acqua,
pensando semplicemente a cosa provano le tue dita mentre la toccano?"
Non capivo, mi sembrava uno scherzo, un tragico e assurdo scherzo, mio
padre doveva essere impazzito, io morivo di freddo e lui parlava la
lingua dei pazzi.
"Io non capisco..."
“Rispondimi… Non
hai mai giocato con l’acqua fino a notare qualcosa di
strano?”
“No, non ho mai pensato
all’acqua,
mentre la toccavo. Padre, sto morendo di freddo... ti prego…"
"Fallo per me ora, non pensare al
freddo, non ti
succederà nulla… fidati di me, hai visto, sulla
scopa
è andato tutto bene, no?"
Era in piedi di fronte a me. Mi prese la mano e la portò a
sfiorare appena la superficie, lo guardai, aveva chiuso gli occhi e
sembrava completamente rilassato e distaccato dal mondo. Quasi in
trance.
"Non guardare me, io non esisto, esiste
solo la materia che stai toccando, devi concentrarti su di lei."
Chiusi gli occhi anch’io e cercai di sgombrare la mente, non
dovevo pensare al freddo, non dovevo chiedermi più nulla su
Riddle. Mi concentrai sulle onde che mi lambivano, sulla sensazione che
irradiavano sulle mie dita e sul mio corpo, sembrava una morbida
carezza. Mio padre mosse la mia mano, come se volesse disegnare una
forma sinuosa nell’acqua, e per un attimo mi
sembrò che la
materia liquida diventasse qualcosa di più tangibile, che mi
entrasse sotto pelle e scivolasse attraverso le vene dentro il mio
corpo. Aprii gli occhi allarmata: avevo sentito materializzarsi quella
sensazione dentro di me, fino a percepire qualcosa che si muoveva nel
mio stomaco.
“Vedi? Ora sai di cosa
parlo…”
Non aspettò che gli rispondessi, si sedette sul bagnasciuga
e mi
fece cenno di sedermi ai suoi piedi, con la testa e la schiena
accostati al suo petto, mi prese le mani e fece in modo che le
poggiassi appena sulle sue, così da sfiorare la superficie,
chiusi gli occhi e mi concentrai, fino a non sentire più il
freddo che mi penetrava le ossa e le membra.
"Io sono qui, dietro di te, a
proteggerti, lasciati andare e ascolta il mare."
Sentivo la risacca incunearsi tra le nostre mani, nella piccola
cavità formata tra le nostre dita. Smisi di pensare,
ascoltando
solo la brezza che mi accarezzava, il respiro dell’oceano e
il
cuore di mio padre che pulsava sulla mia schiena. Qualcosa mi diceva
che dovevo muovere le mani, come per disegnare dei piccoli arabeschi
sull’acqua, papà immerse le sue appena un
po’ di
più, così da lasciarmi un contatto maggiore e
più
libero. Sentivo in me la capacità di rendere materiale
l’immateriale, apri gli occhi e vidi che dove stavo giocando,
l’acqua era diventata più densa, malleabile, il
colore era
quello cangiante del metallo, sembrava una gigantesca bolla di mercurio
in attesa di una forma definitiva. Sollevai la destra e continuai a
muovere le dita tracciando disegni in aria, la sinistra uscì
dall’acqua tirando via quella bolla che si contorceva in
alto, di
fronte a me, al gioco delle mie mani. Mi sollevai in piedi, e girando
attorno a me stessa in cerchio, scrissi il mio nome nell’aria
con
le dita, mentre la massa si contorceva assumendo la forma del mio viso.
“Padre!”
Mio padre era ancora seduto nell’acqua e stava sorridendo,
mentre
mi osservava. Ero al tempo stesso sbalordita, spaventata ed eccitata.
"È un bel gioco, vero Meissa?"
Alzò le mani a sua volta e vidi al largo innalzarsi una
colonna
d’acqua che turbinò a formare un piccolo vortice
tra cielo
e mare.
"Pensa cosa potrei fare con quella
colonna, se
qualcuno fosse qui a spaventarti, come quel giorno nella
grotta…"
Lo guardai, lo stomaco stretto nella morsa della paura. Avevo sempre
immaginato che mio padre, come tutti i maghi, riuscisse a dominare
appieno le proprie forze e quelle della natura solo se aveva una
bacchetta in mano. Evidentemente non era così.
"Questo non è un gioco, vero?"
“No, Meissa, questa
è la magia di
Herrengton, la magia dei nostri avi, quella magia primordiale che ci
trasmettiamo da millenni col sangue, da prima che qualcuno venisse a
colonizzare l’isola, da prima che i fondatori creassero
Hogwarts,
quella magia che ha spinto Salazar Slytherin dalle paludi del Norfolk
fino a queste coste, solo per cercarci. Per cercare i Maghi e il
Cammino del Nord. È questa la magia che imparerai a usare,
d’ora in avanti. La magia che difenderai a costo della
vita.”
Abbassò le mani, riportando in quiete la superficie del
mare,
tutto intorno a noi. Camminammo nell’acqua fino ad averla
all’altezza del mio stomaco.
"Prendi da te stessa concentrazione e
forza e prova d nuovo."
Immersi di nuovo le mani, appoggiandole a quelle di mio padre, mi
concentrai sollevandole infine di colpo, un muro d’acqua si
era
formato poco lontano da noi, incombendo minaccioso: per un attimo mi
paralizzai di paura, non sapendo cosa fare e temendo di perdere il
controllo. Mossi le dita e quello si contorse di conseguenza. Mio padre
era dietro di me, appoggiai la schiena al suo corpo perché
mi
sorreggesse, ma sapevo che non avrebbe fatto altro, dovevo cavarmela da
sola.
"Cosa vuoi farne, Meissa? Schiantarlo
contro i tuoi
demoni o contro te stessa? O preferisci lasciarlo andare?”
A sorpresa, mise la sua mano sinistra sulla mia pancia, sembrava
bruciarmi la pelle, come fuoco, e risalì di qualche
centimetro,
fino a raggiungere la giuntura inferiore delle costole
all’altezza dello stomaco, premendo sul diaframma e
togliendomi
il respiro. Non potevo respirare, non potevo allontanarmi, dovevo
risolvere la situazione per forza. Mossi la mia destra per allontanare
la colonna e la sinistra per difendermi, come se costruissi un muro e
la massa d’acqua si spostò più
indietro. Abbassai
di colpo le mani e il volume si disperse: avevo capito, dovevo volerlo
davvero. La pressione di mio padre sul diaframma diminuì
all’istante.
"Molto bene, adesso devi combattere
quello che faccio io!"
Con un gesto rapido creò un nuovo turbine, più
veloce e
potente, che sembrava volerci colpire in pieno. Alzai a mia volta le
mani di scatto, mentre la pressione di mio padre sul diaframma
aumentò di nuovo strappandomi un grido sordo. La mia colonna
si
alzò di colpo andando a schiantarsi e riducendosi in schegge
liquide, annullando il turbine.
"Ogni volta che lo rifaremo, io
sarò
più resistente e tu soffrirai un po’ di
più,
Meissa, ma alla fine mi vincerai, anche se io dovessi resisterti come
un leone. Tu sei nata per essere più forte di me.”
Mi voltai a guardarlo, ma lui si stava già allontanando per
riprendere la spiaggia, rimasi indietro, perplessa, chiedendomi come
ciò fosse possibile. Uscito dall’acqua, prese la
bacchetta
e si asciugò, poi, appena gli giunsi accanto, la
puntò
verso di me, risistemandomi vestiti e capelli.
“Chiunque ti chieda qualcosa,
noi oggi siamo stati a provare la scopa da
Quidditch…”
“Ma la mamma e
Mirzam…”
“Per ora non devono saperlo
nemmeno loro, soprattutto del Serpentese, siamo intesi?”
"Ma..."
"Siamo intesi, Meissa?"
“Sì.”
Mi diede la mano e iniziammo a camminare lungo la spiaggia, decisi a
tornare a casa senza smaterializzarci di nuovo.
"Che cosa succederà una volta
che avrò il controllo dell’acqua?"
"Ci sono tante altre cose che devi
imparare a controllare..."
“Altre?”
“Sarebbe solo un gioco se
fosse tutto qua, non
credi? Quello che imparerai quest’anno, ti servirà
a
controllare presto anche te stessa."
“Che cosa vuoi dire?”
“Dovrai imparare a fare
questo, consapevolmente e volontariamente, senza
errori…”
Sotto i miei occhi, stupefatti, mio padre si trasformò in un
magnifico gatto tigrato, mi chinai ad accarezzarlo e lui
iniziò
a fare le fusa: non potevo crederci, avevo già letto degli
animaghi, ma non avevo mai sospettato che qualcuno nella mia famiglia
lo fosse. Tornato in sé, mi sorrise, beandosi della faccia
sconvolta che di sicuro dovevo avere in quel momento.
“Tu sei un animago?
Perché non me l’hai mai detto prima?”
“No, Meissa, non sono un
animago, sono, anzi, io e voi ragazzi, siamo dei maghi
animorfi.”
Non finì nemmeno la frase che prese le sembianze di una
serpe e,
subito dopo, diventò un’aquila: tutto questo mi
sconcertò, avevo letto degli animaghi e sapevo che potevano
assumere un’unica forma, solo dopo un lungo e difficile
studio,
quello che avevo visto fare a mio padre andava ben al di là
di
quanto c’era scritto sui libri.
“Io non
capisco…”
“Ci sono molte cose che non
sai ancora Meissa,
non potevo dirtelo prima perché solo adesso sei abbastanza
grande da capire che certe cose non vanno raccontate a nessuno, mai,
nemmeno a chi ci sta vicino, come amici e parenti. Conosci le leggende
sui Maghi del Nord: per secoli abbiamo fatto di tutto per screditarle,
al punto che oggi tutti credono che si tratti solo di dicerie, nessuno
che non sia di queste terre crede più che certe storie siano
dotate di un qualche fondamento. Ora, con il rito di Habarcat, hai
raggiunto l’età necessaria per sapere che invece
la
realtà è questa.”
“Vuoi dire che le leggende che
riguardano
Hifrig Sherton e Salazar Slytherin non sono prive di fondamento, ma
sono reali?”
“La maggior parte,
sì. Col tempo ti
dirò tutto quello che devi sapere. Quello che devi imparare
da
subito, però, è che a Herrengton tu sei al sicuro
da
qualsiasi attacco, la magia tradizionale qui non ha valore, quando
è usata per minacciare uno Sherton. Fuori dalle terre del
Nord,
invece, se qualcuno dovesse minacciarti o spaventarti, la magia di
Herrengton può farti fare qualsiasi cosa utile a metterti in
salvo, anche se non fossi ancora in grado, coscientemente, di evocarla
o controllarla: possiamo smaterializzarci, assumere una forma magica,
possiamo persino volare e spezzare catene di costrizione magica. Solo
un mago eccezionalmente potente potrebbe toglierci la
capacità
di farlo, ma, nella storia, solo Salazar Slytherin è stato
capace di mettere un freno a questo tipo di magia.”
Lo guardavo stupita, quello che mi stava dicendo mi apriva un mondo,
quello che mi stava dicendo, significava che eravamo molto al di sopra
di quello che avrei mai imparato a Hogwarts, e la cosa più
stupefacente, non era affatto necessario studiare per impararla,
perché ero…
“Starai pensando che
è tutto
meraviglioso e facile, ma non è così, Meissa, nei
tempi
che viviamo, queste nostre capacità sono il sistema perfetto
per
finire ad Azkaban e non uscirne mai più. Non
c’è
bisogno che ti spieghi perché devi, in tutti i modi, evitare
di
metterti nelle condizioni di dover usare Habarcat: in gioco
c’è la vita d tutti noi. Molti scambierebbero
questo che
è un dono naturale, per Magia Oscura. Io, tua madre e tuo
fratello potremmo finire in prigione e voi ragazzi sotto la tutela del
Ministero. Prima che tu vada a Hogwarts devo insegnarti a nascondere
tutto questo, devo insegnarti a non avere paura di nulla e di nessuno,
così che tu non debba mai svelare al mondo in nessun modo
come
siamo davvero... vuoi farmi delle domande?”
“La
mamma…”
“Tua madre, come me, non ha
idea di cosa sei
in realtà capace di fare, io stesso non avevo idea che tu
parlassi il serpentese, per esempio.”
“Sembra tanto grave che io
sappia parlarlo…”
“No, non è grave,
ma nessuno deve
sapere che sai farlo: molti maghi oscuri erano rettilofoni e quegli
ignoranti del Ministero potrebbero farsi idee sbagliate su d te e su di
noi.”
“Vuoi dire che noi siamo maghi
Oscuri?”
“No. Meissa, nessuna magia
è cattiva
per principio, dipende dall’uso che ne fai. La maggior parte
dei
maghi ha stabilito di bollare come cattive alcune pratiche magiche, che
in realtà non sono pericolose o malvagie, se esercitate con
criterio. Io non sono una persona malvagia, Meissa, non intendo fare
del male a nessuno, a meno che non si tratti di persona o mago che vuol
danneggiare la mia famiglia. Detto questo, però, non accetto
che
sia un branco di barbogi ignoranti a decidere per me quello che devo o
non devo studiare, conoscere e praticare. Io sono nato libero e
seguirò solo la mia coscienza, fino alla morte.”
“Quindi parlare il
serpentese…. non
è cosa malvagia, ma devo nasconderlo per non subire i
pregiudizi
degli altri?”
“Esattamente, è
solo un dono di
Salazar, come tanti altri. Hifrig sposò la sorella di
Salazar, e
da allora, godiamo di alcune caratteristiche di quel mago.”
“Noi però non siamo
i suoi eredi…”
“Certo che no, Meissa, noi
siamo ben fieri di
essere gli eredi di Hifrig e i custodi di Herrengton, le
responsabilità che abbiamo sono più che
sufficienti, te
lo posso assicurare. Poi a suo tempo ti dirò anche altre
cose,
che ti faranno essere fiera di quello che sei, e felice di non avere
poi molto a che fare con Salazar...”.
"Ma..."
"No, ora basta, per oggi basta davvero,
ora torniamo
a casa e ci rilassiamo un pò.... che ne dici di darmi la
rivincita a scacchi?"
Annuii e gli sorrisi. Mio padre mi abbracciò e continuammo a
risalire la spiaggia, dinanzi a noi si apriva la boscaglia e un lungo
percorso in salita di almeno tre ore per raggiungere il maniero: mi
guardò complice e capì subito che dopo tutte le
emozioni
di quel giorno, quello che desideravo era solo un bel bagno caldo e uno
dei dolci di Kreya, così mi strinse ancora di più
a
sé e con un nuovo “bop” ci ritrovammo
nel cortile
delle rose, finalmente a casa.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio
2010).
Valeria
Scheda
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