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Autore: Terre_del_Nord    04/12/2008    14 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Habarcat - I.011 - Nothing's gonna change my world

I.011


Meissa Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mer. 14 aprile 1971

    “Allora ti piace proprio tanto questo disco!”

Mi sollevai a sedere sul divano, sorpresa di trovare Mirzam sulla porta, appoggiato di schiena, con l’aria divertita e il suo bel sorriso: il giorno dopo l'equinozio si era tagliato i capelli, ora erano lunghi al collo, mossi, di un caldo castano ramato. Indossava un paio di pantaloni scuri e una camicia grigio perla lasciata aperta fino a metà del petto, portava la giacca di alta sartoria appoggiata alla spalla e la cravatta slacciata al collo. Non mi aspettavo di vederlo prima del mattino seguente, sapevo che aveva una nuova ragazza e che era letteralmente cotto di lei. Eppure era lì, sulla soglia della Sala dei Trofei, in cui mi ero rifugiata da circa un’ora, di ritorno dal viaggio con la mamma nel Devonshire, per leggere i libri di mio padre e ascoltare un po’ di musica: me lo permetteva solo là dentro, dove gli incantesimi di protezione erano superiori a quelli di tutto il resto della tenuta, nulla di quello che si trovava in quella stanza poteva essere portato fuori, mai. Mai quelle cose dovevano cadere sotto lo sguardo di qualcuno che non appartenesse alla nostra famiglia.

    “Sei tornato?”
    “Eggià”
    “Pensavo che questa fosse la ragazza giusta, Mr. Farfallone!”

Gli feci l'occhietto e lui mi rispose con aria divertita, ma senza alcun cenno di vergogna sul viso. Era sempre il mio Mirzam, ma ormai era un uomo. E sembrava decisamente stanco.

    “Piccola insolente, quando toccherà a te, non avrò pietà, ricordatelo!”

Si avvicinò e mi appioppò un bel bacio sulla guancia, inondandomi del suo profumo, intenso e discreto, ed io gli risposi con una carezza sul viso: adoravo mio fratello, era il mio cavaliere dalla lucente armatura, che mi difendeva sempre, soprattutto quando Rigel era odioso con me. Sembrò leggermi nella mente e mi sorrise ancora di più, con una luce negli occhi che stava a significare che mi sarebbe stato accanto ogni volta che ne avessi avuto bisogno.

    “Allora com’è andata stavolta con la mamma?”

Mi alzai e cercai di nuovo con attenzione l’inizio della traccia di “Across the universe”, poi tornai a sedermi accanto a Mirzam sul divano. Sbuffai appena un po’, rilassandomi solo quando nell’aria si librò la voce di John Lennon.

    “La solita noia, Mir, non capisco perché debba andarci. Perché non posso stare qui con te?”
    “Lo sai ci è toccato a tutti, a turno, ora tocca a te, ma entro l'estate sarà tutto finito. E’ una specie di tradizione per papà, prima d andare a Hogwarts è necessario che tu lo faccia, poi capirai”.
    “Odio tutti questi misteri. Perché nostro padre non deve essere come tutti gli altri, tutti dicono che i babbani sono inferiori a noi, eppure non hanno bisogno di darne prova pratica ai figli!”
    “Al tuo posto non mi lamenterei di papà, se avessimo un padre uguale a tutti gli altri, quel disco te lo potresti sognare, per esempio, e non solo quello!”.

Mi guardò serio, mi sarei volentieri morsa la lingua: aveva ragione, se avessimo avuto per padre Orion Black o, peggio, Abraxas Malfoy… sentii un brivido lungo la schiena, Mirzam mi guardò comprensivo.

    “Si hai ragione, però a volte mi chiedo perché noi dobbiamo essere così diversi dagli altri”.
    “Tu sei la "principessa degli Slytherins", mia cara, come potresti essere uguale agli altri?”

Mi sorrise ed io diventai di fuoco, mentre la sua risata riempiva la stanza.

    “Non ripeterlo mai più, sei crudele, lo sai!”
    “Te l’ho detto, me la sarei legata al dito e mi sarei vendicato!”
    “Ma come fai a giocare su questo?”
    “Perché, piccola mia, tu sarai davvero la "principessa degli Slytherins", tra pochi mesi entrerai nella casa di Salazar, e da quel momento ti prenderai tutto quello che più desideri dalla vita”.

Si fece serio e mi strinse con ancora più calore a sé.

    “Adesso non sto scherzando Meissa, lo credo davvero, certo non importa dove finirai, perché ti vorremo sempre e comunque bene, ma io sono più che convinto che sarai una Slytherin, non chiedermi come lo so, me lo sento e basta.”
    “Tu sei l’unico che ci crede, Mir, gli altri sono tutti rassegnati, nessuno crede che io possa riuscirci! Tutti mi dicono di non pensarci perché sono sicuri che fallirò”.
    “Non è così Mey. Mamma e papà vorrebbero che tu vivessi questi ultimi mesi qui a Herrengton in tranquillità e serenità, così capiresti cosa desideri davvero per te stessa, non per far contenti gli altri. Ti sei mai chiesta se è per te stessa che vorresti entrare a Serpeverde? Sei sicura che quella sia la casa dove vorrai restare per sette anni? Vivere tutta la tua vita secondo i suoi principi e i suoi valori? Tra l’altro se finissi a Serpeverde, per un intero anno, dovresti vedere Lucius Malfoy tutti i giorni. Sei sicura di volerlo?”.

Fu come addentare un limone, il senso di disgusto e di rabbia mi accese il viso di mille colori.

    “Visto? Rifletti bene prima d esprimere un desiderio, sciocchina, lo sai che il mondo vive solo per accontentarti e fare ciò che desideri”.

Mi toccò la punta del naso, come faceva da quando ero piccola ed io mi rilassai nel suo abbraccio: non ero sicura di cosa volessi davvero per me, in genere pensavo che fosse giusto quello che per me desideravano gli altri, anche se sapevo che era un ragionamento sbagliato.

    “Mir, spiegami, perché a casa nostra ci sono così tanti oggetti e libri babbani? Se sono inferiori a noi… perché nostro padre ci permette di leggere e usare certe cose?”
    “Innanzitutto ricordati di non dire MAI a nessuno a scuola che papà ha queste cose, lo sai che molti cercano solo una scusa per romperci le scatole, ok? Poi è sempre meglio conoscere quanto più possibile del mondo: supponi che per qualche motivo tu debba stare tra i babbani per qualche tempo, se non sapessi nulla di come vivono, finiresti nei guai in pochissimo tempo. Quello che insegnano a scuola sui babbani è ridicolo, con questi libri e questi oggetti puoi avere un’idea realistica di come si vive lontano dal mondo magico. Papà è un uomo che pensa a tutto, desidera che siamo pronti a qualsiasi cosa ci riservi il futuro”.
    “Perché? Che cosa deve succedere in futuro, Mir?”
    “Ma nulla sciocchina! Ho detto così per dire! Potrebbe capitare che un giorno tu voglia farti una vacanza tra i babbani, per esempio, magari solo per assistere a un concerto dei tuoi cari Beatles, sarebbe strano, ma non impossibile, e papà non te lo vieterebbe di sicuro, lo sai, è sufficiente che tu faccia quel tuo bel faccino che conosciamo tutti tanto bene!”
    “I Beatles si sono sciolti, non ci saranno più concerti cui assistere, Mir”.
    “E allora? Ti appassionerai a un altro gruppo, cambia poco! Con quel faccino, cambia davvero poco”.

Si era alzato, dandomi le spalle, e si era messo a osservare il mare: aveva un’espressione seria che non gli avevo visto mai, un misto di tristezza e turbamento. Represse a stento una smorfia di dolore ed io mi preoccupai, volevo capire cosa gli fosse successo, ma Mirzam sospirò, e si diresse verso la porta.

    “ Ho chiesto a Donovan Kelly la mano di sua figlia Sile, ci sposeremo il prossimo Yule, volevo che fossi la prima a saperlo. Ci vediamo a cena, sorellina!”

Mi lanciò un bacio in punta di dita e scomparve diretto alle scale. Rimasi impietrita sul divano a fissare il punto da cui mi aveva salutato. Non era vero che nulla avrebbe cambiato il mio mondo…

    Mirzam non sarà più soltanto mio...

***

Meissa Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mer. 21 aprile 1971

Quella mattina mio padre mi raggiunse in camera mia molto presto, mi disse che dovevo andare con lui e che saremmo rimasti da soli tutto il giorno: sfuggire al controllo serrato di mia madre, che alternava lo studio di pozioni e di canto alle orride visite a insulse cittadine babbane o ai nostri parenti, fu per me un toccasana. Adoravo il bosco, i suoni della foresta, gli animali straordinari che vivevano a Herrengton e, soprattutto, ero ormai impaziente di vedere cosa mio padre doveva insegnarmi. Mio fratello lo chiamava “Corso accelerato di magia primordiale”, o semplicemente “Corso di magia Sherton”. Anche mio padre si mostrò contento di passare quella giornata insieme a me: dal ritorno a Herrengton non c’erano state molte occasioni per stare soli e anche lui si rendeva conto che a breve avrebbe dovuto lasciarmi andare, che per 7 lunghi anni non sarei stata più in quella casa se non per brevi periodi …. Se mi fossi sposata presto come avevano fatto i miei genitori, forse non avrei più vissuto a Herrengton, se non pochi giorni all’anno. E questo lo sapevamo entrambi. Al solo pensiero mi rattristai di nuovo. Camminavamo nella boscaglia, mio padre aveva come sempre il passo rapido e leggero di chi preferisce la vita all’aperto, la bacchetta legata alla cintola , una tunica sopra i pantaloni, i capelli legati in una coda e una specie di bisaccia da cacciatore, in cui c’era tutto e di più, tanto era sempre 100mila volte più capiente di quanto si potesse immaginare dall’esterno. Portava in spalla anche una vecchia scopa da Quidditch con cui aveva fatto allenare i miei fratelli negli anni passati e fischiettava un motivetto che non conoscevo; ogni tanto si voltava a guardarmi, sorridente, aveva qualche piano in mente, e la curiosità finì col distrarmi dai miei pensieri malinconici.

    “Credo che qui possa andare.”

Si fermò nel mezzo di una radura, davanti a noi si apriva la faggeta di Herrengton , con i suoi percorsi tortuosi, a est si aprivano gli spazi sconfinati del mare e delle isole; un vento si levava frizzante dal mare, molti metri sotto di noi, e sembrava trasmettermi un’energia strana.

    “Oggi vediamo cosa succede quando sali su una scopa da Quidditch.”

Lo guardai stranita e in parte delusa, non avevo mai apprezzato il gioco, che invece rendeva tanto entusiasti mio padre e i miei fratelli, meno che mai pensavo che la famosa lezione che aspettavo da mesi fosse qualcosa del genere, nemmeno avevo mai provato a volare!

    “Non puoi avere paura di una scopa Mey, ce l’hai nel sangue!”

Mi diede la scopa e riluttante feci i gesti che mio padre mi suggeriva, tenni la scopa al mio fianco, la chiamai, e finalmente sentii il legno nervoso sotto la mie dita.

    “Ora prova a montarci sopra, tenendola salda e cercando di rimanere coi piedi per terra.”
    “Ma…”
    “Non ci sono “ma”, Meissa, prova… io sto qui. Tra pochi mesi dovrai farlo a scuola e di certo, se proprio devi cadere, è meglio che tu abbia solo me a farti da pubblico.”

In effetti non era una idea saggia aspettare di essere ad Hogwarts, di fronte ai figli scemi dei suoi amici, per provare a salire su una scopa. L’inforcai, la sentivo nervosa sotto di me e iniziai ad aver paura, ma per non deludere mio padre, strinsi i denti e riuscii a domarla, o almeno era quello che speravo.

    “Bene, ora vediamo cosa succede se ti dai una spinta per salire.”

Sapevo già che sarei caduta subito, iniziai a sudare freddo, ma non volevo fare una figuraccia di fronte a mio padre e cercai d non mostrarmi spaventata. Stranamente non caddi, anzi, dopo lo stupore iniziale mi sentii libera ed euforica, con la sensazione di sapere bene cosa dovevo fare. E miracolosamente, anche la scopa sembrava sapere benissimo cosa volevo da lei! Mi alzai di più, mentre mio padre mi guardava sorridente, mi mossi delicatamente verso gli alberi di faggio, quasi meravigliandomi di riuscirci, poi presi coraggio e provai ad allontanarmi, salire, ritornare indietro, feci un paio di giri intorno alla posizione iniziale e, infine, scesi lungo la collina. Era facile, era divertente, era assolutamente grandioso! Mi librai di nuovo, questa volta più in alto: mai mi ero sentita così felice, per la prima volta sentivo di essere nel mio elemento, vedevo gli alberi dall’alto, scesi rapida per raccogliere per la mamma un fiore che ammiccava rosso tra il verde acquoso dell’ultima rugiada. Fu allora, forse per troppa sicurezza e incoscienza, che persi il controllo della scopa e mi ritrovai catapultata a terra, a pochi metri dal fiore che m’aveva fatto esagerare… Mio padre corse lungo il fianco della collina per vedere se stavo bene, si chinò su di me mi asciugò una lacrima sulle guance e mi diede un bacio

    “Ti fa male qualcosa?”
    “Il piede…”

Trattenni altre lacrime a stento, mentre mio padre mi risistemava con delicatezza il tallone e la caviglia.

    “Nulla di grave, hai solo preso una botta. Niente male come primo volo: io la prima volta mi sono rotto un polso e distorto una caviglia!”

Sorrise, avevo temuto di averlo deluso, invece era felice e soddisfatto.

    “Hai il volo nel sangue, piccola mia, con qualche altra lezione farò di te una campionessa!”

Mi prese in braccio e con un incantesimo proiettò davanti a sé la scopa, mentre risalivamo la collina. Affondai il viso sul suo petto, i piaceva incredibilmente il suo odore, era forte e bellissimo, nessuno dei suoi amici, neanche quelli che arrivavano alle cene vestiti superbamente, riuscivano a eguagliarne eleganza e bellezza. Avevo perso i miei occhi verdi in quelli azzurri di mio padre.

    “A cosa pensi topolina?”

M’aveva sempre chiamata con quel buffo soprannome, che adoravo, quando eravamo soli.

    “Che ho il padre più bello e forte e meraviglioso del mondo!”

Papà rise e la sua risata riempì la valle: aveva 40 anni da pochi giorni, ma sembrava un ragazzo, pieno di fiducia nella vita e di felicità per la sua meravigliosa famiglia, aver saputo che Mirzam si sarebbe sposato entro l’anno con la figlia di uno dei nostri migliori amici irlandesi, lo aveva riempito di entusiasmo e speranza.

    “Dovrò far sapere a tua madre che ha una rivale che le insidia il mio cuore, allora!”

Mi baciò di nuovo. Ritornati alla radura, mi rimise a terra, con una paio d’ incantesimi silenziosi distese un plaid e tirò fuori dalla bisaccia il necessario per la colazione.

    “Come ti sei sentita mentre volavi?”
    “Era stupendo, era come se fossi fatta d’ aria e di libertà!”

Mio padre capiva la sensazione, era per questo che adorava il volo almeno quanto vivere in quei boschi, lontano da tutto ciò che attraeva tanto i suoi amici.

    “Hai apprezzato il senso della libertà al primo colpo, quando avrai assaporato anche l’ambizione, sarai una campionessa di Quidditch degna del mio nome…”

Si distese sul plaid e si rilassò al sole tiepido del mattino mentre non perdeva una mia mossa, un giorno mi disse che mi considerava la parte più bella di sè, la sua opera d’arte….

    “D’ora in poi lavoreremo molto insieme Meissa, voglio che tu sia preparata quando andrai a scuola…”

Sorrisi tra me, quindi era arrivato il momento, non riuscivo a trattenere la felicità e l’eccitazione.

    “Padre, io sto già facendo esercizio di pozioni…”
    “Sai bene che devo insegnarti cose che a scuola non ti faranno nemmeno vedere, loro seguono il programma del Ministero, io invece devo insegnarti cosa significa essere una Sherton, devo fare di te una Sherton a tutti gli effetti…”

Sapevo che quando era a casa mio padre passava molto tempo nel suo laboratorio nel sotterraneo della villa, dove, al contrario dei miei fratelli, non avevo mai avuto il permesso di entrare, finora, quello che mi stava dicendo era ciò che attendevo da una vita. Papà sorrise di nuovo, mi leggeva tutto quanto avevo nel cuore.

    “Sì, tesoro, ormai sei grande abbastanza per vedere il mio piccolo parco giochi domestico, e non solo quello…”

Si risollevò e mi prese le mani nelle sue.

    “Sarai la migliore del tuo corso, saprai fare incantesimi che gli altri nemmeno si sogneranno mai, e finalmente ti insegnerò a piegare le cose anche senza una bacchetta, forse è ciò che più può esserci utile in futuro… tu hai il fuoco di Salazar nel petto, piccola mia, non è qualcosa che tutti possono vantare, ed io t aiuterò a tirarlo fuori. Verrai da me per un paio di ore tutte le sere, prima d andare a dormire.”

Mi diede un nuovo bacio sulla fronte, poi mentre ancora lo guardavo rapita, fece sparire i resti della colazione e mi fece segno di alzarmi, il piede non faceva più male, potevo seguirlo senza difficoltà, dovevamo arrivare prima di mezzogiorno alla radura dei threstal nel profondo del bosco. Avanzammo come prima, in silenzio, mio padre ogni tanto mi chiedeva di chi fosse una certa orma o a cosa servisse una certa pianta, io rispondevo sempre bene, erano anni che lo seguivo e conoscevo Herrengton come le mie tasche. Arrivammo su uno degli speroni di roccia che scendevano apicco nel mare, mi diede l’acqua certo che ormai avessi sete, si sedette su una roccia appena muschiata e mi guardò con attenzione, mentre io in piedi, spaziavo con gli occhi verso l’orizzonte, privo di nuvole.

    “Volevo chiederti una cosa, Meissa, a proposito del giorno dell’equinozio”
    “Cosa padre?”

Cercava di apparire sereno e distaccato, ma sentivo tensione repressa a stento nella sua voce.

    “Cos’hai visto mentre eri da sola nella grotta della sorgente?”
    “Quello che mi hai detto tu. Ho sentito delle voci che mi invitavano a non farlo, a rinunciare. Perché?”
    “Nient’altro?”
    “Non capisco…”
    “Quando sei scesa nella grotta di Salazar, bendata, ho preso il tuo palmo per inciderlo con la lama, e ho visto chiaramente che ti eri ferita le mani, come se avessi stretto i pugni tanto da affondare le unghie nella tua stessa carne. Voglio che mi dici perché l’hai fatto. Non ti ho mai chiesto nulla di più, nelle scorse settimane, per non turbare tua madre, ma ora…”

Deglutii, non ci avevo voluto pensare, non gliel’avevo voluto dire, non potevo dirgli che mi ero spaventata, che non mi ero sentita pronta.

    “Ho visto un’ombra, ma non so cosa fosse, e occhi rossi di fuoco, e poi me stessa in un giardino che non conoscevo, ho iniziato a pensare forte a te come mi avevi detto di fare e sono riuscita a tornare indietro”
    “Vorrei che mi descrivessi quegli occhi...”

Ci pensai un attimo, per riportare alla mente quell’immagine sfocata, ma non c’era nulla di più nella mia mente.

    “Non ricordo altro, solo che erano occhi rossi, come quelli di un serpente, e nel giardino, c’erano decorazioni slytherins ovunque.”

Mio padre mi guardava attentamente, la sua mascella si contrasse più d una volta. Poi chiuse gli occhi abbandonò a terra tutto quello che aveva tra le mani, alzò le braccia al cielo volgendosi verso est ed iniziò a cantilenare. Dopo lo shock iniziale mi resi conto di comprenderlo, stava lanciando una maledizione antica contro un uomo, non avevo mai visto mio padre fare nulla di simile. La sua voce era irriconoscibile, mi fece gelare il sangue nelle vene.

    “Meissa!”

Lo guardai, mi resi conto che lo stavo fissando impietrita.

    “Chi è quell’uomo? Chi è Tom Riddle?”
    “Tu che ne sai di Tom Riddle?”
    “Ti ho appena sentito fare il suo nome, gli stavi lanciando una maledizione”
    “Salazar… tu hai capito quello che stavo dicendo?”
    “Sì, certo che ti capisco, non sono sorda!”
    “Ti rendi conto, Meissa Deidra Sherton, che tu mi stai parlando in serpentese mentre io, tuo padre, ti sto parlando in serpentese?”
    “Che cosa?”

Si avvicinò a me, osservandomi con attenzione, come se non mi riconoscesse come sua figlia.

    “L’avevi già fatto? Avevi già parlato ai serpenti?”
    “Io non so parlare ai serpenti!”
    “Lo stai facendo anche in questo momento!”
    “Ma…”
    “Vieni con me.”

Mi prese per mano, senza tante cerimonie, anzi in maniera piuttosto brusca e con un “bop” ci smaterializzammo. Mi ci vollero alcuni secondi per ricordare, per capire dove fossimo, non andavamo molto spesso in quella parte della costa di Herrengton. I caratteristici faraglioni creavano un paesaggio quasi irreale, la spiaggia, invece che di sassi e sabbia, era costituita da lingue di calcare che affioravano timide dal mare. Mio padre si tolse la tunica ed entrò in acqua facendomi segno di seguirlo, rabbrividii al solo pensiero.

    "Chi è Riddle?"
    “Le parole non servono a nulla, Meissa, è la magia ciò che conta… e ora abbiamo un motivo in più per darci da fare!”
    "Dimmi chi è, dimmi cosa vuole da noi.”
    “Meissa, ora basta, vieni qui e dimostrami cosa riesci a fare senza alcun insegnamento."

Lo guardai sempre più confusa, non avevo idea di cosa volesse da me. L’acqua era gelida, i vestiti s’inzupparono immediatamente, incollandosi addosso come una morsa di ghiaccio. Sarei sicuramente morta assiderata.

    “Padre…”
    "Hai mai giocato con l’acqua, pensando semplicemente a cosa provano le tue dita mentre la toccano?"

Non capivo, mi sembrava uno scherzo, un tragico e assurdo scherzo, mio padre doveva essere impazzito, io morivo di freddo e lui parlava la lingua dei pazzi.

    "Io non capisco..."
    “Rispondimi… Non hai mai giocato con l’acqua fino a notare qualcosa di strano?”
    “No, non ho mai pensato all’acqua, mentre la toccavo. Padre, sto morendo di freddo... ti prego…"
    "Fallo per me ora, non pensare al freddo, non ti succederà nulla… fidati di me, hai visto, sulla scopa è andato tutto bene, no?"

Era in piedi di fronte a me. Mi prese la mano e la portò a sfiorare appena la superficie, lo guardai, aveva chiuso gli occhi e sembrava completamente rilassato e distaccato dal mondo. Quasi in trance.

    "Non guardare me, io non esisto, esiste solo la materia che stai toccando, devi concentrarti su di lei."

Chiusi gli occhi anch’io e cercai di sgombrare la mente, non dovevo pensare al freddo, non dovevo chiedermi più nulla su Riddle. Mi concentrai sulle onde che mi lambivano, sulla sensazione che irradiavano sulle mie dita e sul mio corpo, sembrava una morbida carezza. Mio padre mosse la mia mano, come se volesse disegnare una forma sinuosa nell’acqua, e per un attimo mi sembrò che la materia liquida diventasse qualcosa di più tangibile, che mi entrasse sotto pelle e scivolasse attraverso le vene dentro il mio corpo. Aprii gli occhi allarmata: avevo sentito materializzarsi quella sensazione dentro di me, fino a percepire qualcosa che si muoveva nel mio stomaco.

    “Vedi? Ora sai di cosa parlo…”

Non aspettò che gli rispondessi, si sedette sul bagnasciuga e mi fece cenno di sedermi ai suoi piedi, con la testa e la schiena accostati al suo petto, mi prese le mani e fece in modo che le poggiassi appena sulle sue, così da sfiorare la superficie, chiusi gli occhi e mi concentrai, fino a non sentire più il freddo che mi penetrava le ossa e le membra.

    "Io sono qui, dietro di te, a proteggerti, lasciati andare e ascolta il mare."

Sentivo la risacca incunearsi tra le nostre mani, nella piccola cavità formata tra le nostre dita. Smisi di pensare, ascoltando solo la brezza che mi accarezzava, il respiro dell’oceano e il cuore di mio padre che pulsava sulla mia schiena. Qualcosa mi diceva che dovevo muovere le mani, come per disegnare dei piccoli arabeschi sull’acqua, papà immerse le sue appena un po’ di più, così da lasciarmi un contatto maggiore e più libero. Sentivo in me la capacità di rendere materiale l’immateriale, apri gli occhi e vidi che dove stavo giocando, l’acqua era diventata più densa, malleabile, il colore era quello cangiante del metallo, sembrava una gigantesca bolla di mercurio in attesa di una forma definitiva. Sollevai la destra e continuai a muovere le dita tracciando disegni in aria, la sinistra uscì dall’acqua tirando via quella bolla che si contorceva in alto, di fronte a me, al gioco delle mie mani. Mi sollevai in piedi, e girando attorno a me stessa in cerchio, scrissi il mio nome nell’aria con le dita, mentre la massa si contorceva assumendo la forma del mio viso.

    “Padre!”

Mio padre era ancora seduto nell’acqua e stava sorridendo, mentre mi osservava. Ero al tempo stesso sbalordita, spaventata ed eccitata.

    "È un bel gioco, vero Meissa?"

Alzò le mani a sua volta e vidi al largo innalzarsi una colonna d’acqua che turbinò a formare un piccolo vortice tra cielo e mare.

    "Pensa cosa potrei fare con quella colonna, se qualcuno fosse qui a spaventarti, come quel giorno nella grotta…"

Lo guardai, lo stomaco stretto nella morsa della paura. Avevo sempre immaginato che mio padre, come tutti i maghi, riuscisse a dominare appieno le proprie forze e quelle della natura solo se aveva una bacchetta in mano. Evidentemente non era così.

    "Questo non è un gioco, vero?"
    “No, Meissa, questa è la magia di Herrengton, la magia dei nostri avi, quella magia primordiale che ci trasmettiamo da millenni col sangue, da prima che qualcuno venisse a colonizzare l’isola, da prima che i fondatori creassero Hogwarts, quella magia che ha spinto Salazar Slytherin dalle paludi del Norfolk fino a queste coste, solo per cercarci. Per cercare i Maghi e il Cammino del Nord. È questa la magia che imparerai a usare, d’ora in avanti. La magia che difenderai a costo della vita.”

Abbassò le mani, riportando in quiete la superficie del mare, tutto intorno a noi. Camminammo nell’acqua fino ad averla all’altezza del mio stomaco.

    "Prendi da te stessa concentrazione e forza e prova d nuovo."

Immersi di nuovo le mani, appoggiandole a quelle di mio padre, mi concentrai sollevandole infine di colpo, un muro d’acqua si era formato poco lontano da noi, incombendo minaccioso: per un attimo mi paralizzai di paura, non sapendo cosa fare e temendo di perdere il controllo. Mossi le dita e quello si contorse di conseguenza. Mio padre era dietro di me, appoggiai la schiena al suo corpo perché mi sorreggesse, ma sapevo che non avrebbe fatto altro, dovevo cavarmela da sola.

    "Cosa vuoi farne, Meissa? Schiantarlo contro i tuoi demoni o contro te stessa? O preferisci lasciarlo andare?”

A sorpresa, mise la sua mano sinistra sulla mia pancia, sembrava bruciarmi la pelle, come fuoco, e risalì di qualche centimetro, fino a raggiungere la giuntura inferiore delle costole all’altezza dello stomaco, premendo sul diaframma e togliendomi il respiro. Non potevo respirare, non potevo allontanarmi, dovevo risolvere la situazione per forza. Mossi la mia destra per allontanare la colonna e la sinistra per difendermi, come se costruissi un muro e la massa d’acqua si spostò più indietro. Abbassai di colpo le mani e il volume si disperse: avevo capito, dovevo volerlo davvero. La pressione di mio padre sul diaframma diminuì all’istante.

    "Molto bene, adesso devi combattere quello che faccio io!"

Con un gesto rapido creò un nuovo turbine, più veloce e potente, che sembrava volerci colpire in pieno. Alzai a mia volta le mani di scatto, mentre la pressione di mio padre sul diaframma aumentò di nuovo strappandomi un grido sordo. La mia colonna si alzò di colpo andando a schiantarsi e riducendosi in schegge liquide, annullando il turbine.

    "Ogni volta che lo rifaremo, io sarò più resistente e tu soffrirai un po’ di più, Meissa, ma alla fine mi vincerai, anche se io dovessi resisterti come un leone. Tu sei nata per essere più forte di me.”

Mi voltai a guardarlo, ma lui si stava già allontanando per riprendere la spiaggia, rimasi indietro, perplessa, chiedendomi come ciò fosse possibile. Uscito dall’acqua, prese la bacchetta e si asciugò, poi, appena gli giunsi accanto, la puntò verso di me, risistemandomi vestiti e capelli.

    “Chiunque ti chieda qualcosa, noi oggi siamo stati a provare la scopa da Quidditch…”
    “Ma la mamma e Mirzam…”
    “Per ora non devono saperlo nemmeno loro, soprattutto del Serpentese, siamo intesi?”
    "Ma..."
    "Siamo intesi, Meissa?"
    “Sì.”

Mi diede la mano e iniziammo a camminare lungo la spiaggia, decisi a tornare a casa senza smaterializzarci di nuovo.

    "Che cosa succederà una volta che avrò il controllo dell’acqua?"
    "Ci sono tante altre cose che devi imparare a controllare..."
    “Altre?”
    “Sarebbe solo un gioco se fosse tutto qua, non credi? Quello che imparerai quest’anno, ti servirà a controllare presto anche te stessa."
    “Che cosa vuoi dire?”
    “Dovrai imparare a fare questo, consapevolmente e volontariamente, senza errori…”

Sotto i miei occhi, stupefatti, mio padre si trasformò in un magnifico gatto tigrato, mi chinai ad accarezzarlo e lui iniziò a fare le fusa: non potevo crederci, avevo già letto degli animaghi, ma non avevo mai sospettato che qualcuno nella mia famiglia lo fosse. Tornato in sé, mi sorrise, beandosi della faccia sconvolta che di sicuro dovevo avere in quel momento.

    “Tu sei un animago? Perché non me l’hai mai detto prima?”
    “No, Meissa, non sono un animago, sono, anzi, io e voi ragazzi, siamo dei maghi animorfi.”

Non finì nemmeno la frase che prese le sembianze di una serpe e, subito dopo, diventò un’aquila: tutto questo mi sconcertò, avevo letto degli animaghi e sapevo che potevano assumere un’unica forma, solo dopo un lungo e difficile studio, quello che avevo visto fare a mio padre andava ben al di là di quanto c’era scritto sui libri.

    “Io non capisco…”
    “Ci sono molte cose che non sai ancora Meissa, non potevo dirtelo prima perché solo adesso sei abbastanza grande da capire che certe cose non vanno raccontate a nessuno, mai, nemmeno a chi ci sta vicino, come amici e parenti. Conosci le leggende sui Maghi del Nord: per secoli abbiamo fatto di tutto per screditarle, al punto che oggi tutti credono che si tratti solo di dicerie, nessuno che non sia di queste terre crede più che certe storie siano dotate di un qualche fondamento. Ora, con il rito di Habarcat, hai raggiunto l’età necessaria per sapere che invece la realtà è questa.”
    “Vuoi dire che le leggende che riguardano Hifrig Sherton e Salazar Slytherin non sono prive di fondamento, ma sono reali?”
    “La maggior parte, sì. Col tempo ti dirò tutto quello che devi sapere. Quello che devi imparare da subito, però, è che a Herrengton tu sei al sicuro da qualsiasi attacco, la magia tradizionale qui non ha valore, quando è usata per minacciare uno Sherton. Fuori dalle terre del Nord, invece, se qualcuno dovesse minacciarti o spaventarti, la magia di Herrengton può farti fare qualsiasi cosa utile a metterti in salvo, anche se non fossi ancora in grado, coscientemente, di evocarla o controllarla: possiamo smaterializzarci, assumere una forma magica, possiamo persino volare e spezzare catene di costrizione magica. Solo un mago eccezionalmente potente potrebbe toglierci la capacità di farlo, ma, nella storia, solo Salazar Slytherin è stato capace di mettere un freno a questo tipo di magia.”

Lo guardavo stupita, quello che mi stava dicendo mi apriva un mondo, quello che mi stava dicendo, significava che eravamo molto al di sopra di quello che avrei mai imparato a Hogwarts, e la cosa più stupefacente, non era affatto necessario studiare per impararla, perché ero…

    “Starai pensando che è tutto meraviglioso e facile, ma non è così, Meissa, nei tempi che viviamo, queste nostre capacità sono il sistema perfetto per finire ad Azkaban e non uscirne mai più. Non c’è bisogno che ti spieghi perché devi, in tutti i modi, evitare di metterti nelle condizioni di dover usare Habarcat: in gioco c’è la vita d tutti noi. Molti scambierebbero questo che è un dono naturale, per Magia Oscura. Io, tua madre e tuo fratello potremmo finire in prigione e voi ragazzi sotto la tutela del Ministero. Prima che tu vada a Hogwarts devo insegnarti a nascondere tutto questo, devo insegnarti a non avere paura di nulla e di nessuno, così che tu non debba mai svelare al mondo in nessun modo come siamo davvero... vuoi farmi delle domande?”
    “La mamma…”
    “Tua madre, come me, non ha idea di cosa sei in realtà capace di fare, io stesso non avevo idea che tu parlassi il serpentese, per esempio.”
    “Sembra tanto grave che io sappia parlarlo…”
    “No, non è grave, ma nessuno deve sapere che sai farlo: molti maghi oscuri erano rettilofoni e quegli ignoranti del Ministero potrebbero farsi idee sbagliate su d te e su di noi.”
    “Vuoi dire che noi siamo maghi Oscuri?”
    “No. Meissa, nessuna magia è cattiva per principio, dipende dall’uso che ne fai. La maggior parte dei maghi ha stabilito di bollare come cattive alcune pratiche magiche, che in realtà non sono pericolose o malvagie, se esercitate con criterio. Io non sono una persona malvagia, Meissa, non intendo fare del male a nessuno, a meno che non si tratti di persona o mago che vuol danneggiare la mia famiglia. Detto questo, però, non accetto che sia un branco di barbogi ignoranti a decidere per me quello che devo o non devo studiare, conoscere e praticare. Io sono nato libero e seguirò solo la mia coscienza, fino alla morte.”
    “Quindi parlare il serpentese…. non è cosa malvagia, ma devo nasconderlo per non subire i pregiudizi degli altri?”
    “Esattamente, è solo un dono di Salazar, come tanti altri. Hifrig sposò la sorella di Salazar, e da allora, godiamo di alcune caratteristiche di quel mago.”
    “Noi però non siamo i suoi eredi…”
    “Certo che no, Meissa, noi siamo ben fieri di essere gli eredi di Hifrig e i custodi di Herrengton, le responsabilità che abbiamo sono più che sufficienti, te lo posso assicurare. Poi a suo tempo ti dirò anche altre cose, che ti faranno essere fiera di quello che sei, e felice di non avere poi molto a che fare con Salazar...”.
    "Ma..."
    "No, ora basta, per oggi basta davvero, ora torniamo a casa e ci rilassiamo un pò.... che ne dici di darmi la rivincita a scacchi?"

Annuii e gli sorrisi. Mio padre mi abbracciò e continuammo a risalire la spiaggia, dinanzi a noi si apriva la boscaglia e un lungo percorso in salita di almeno tre ore per raggiungere il maniero: mi guardò complice e capì subito che dopo tutte le emozioni di quel giorno, quello che desideravo era solo un bel bagno caldo e uno dei dolci di Kreya, così mi strinse ancora di più a sé e con un nuovo “bop” ci ritrovammo nel cortile delle rose, finalmente a casa.

*continua*



NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010). 

Valeria



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