Capitolo
14
Lorcan
era esausto. Di
notte non dormiva e di giorno i professori non facevano altro che
svegliarlo e
disturbare il suo tanto ricercato riposo. La conclusione era che non
riusciva a
far passare due ore consecutive senza provare a chiudere occhio e allo
stesso
modo non poteva riposare per nemmeno trenta stupidi minuti.
Di
notte proprio non se ne
parlava. La mente, che fino a quel momento non aveva fatto altro che
pregare per
un attimo di riposo, sembrava improvvisamente sveglia e pronta a fargli
passare
una nottataccia.
Lui
ed Albus non si
parlavano.
Non
che cercasse di
cambiare la cosa, ma il migliore amico non l’aveva cercato e
lui aveva lasciato
stare.
Sapeva
di dovergli dare
tempo. Ed era questo quello che si ripeteva tutti i giorni
convincendosi che
fosse il motivo per cui non gli si avvicinava.
La
verità era che aveva
una paura fottuta di quello che avrebbe potuto dirgli. Aveva paura
della
possibilità in cui Albus gli urlava in faccia di non volerlo
più vedere, di
stargli lontano.
Aveva
paura che lui
provasse repulsione nei suoi confronti.
Scorpius
cercava di capire
cosa fosse successo tra i due e di fare il mediatore pacifico. Non che
quel
ruolo gli riuscisse bene, ma non dava segni di voler arrendersi.
Continuava
semplicemente a girare come una trottola tra i due. Lorcan non aveva la
forza,
e nemmeno la voglia, di respingerlo, ma non aveva niente da dire.
Quindi
passavano le giornate in silenzio e Scorpius non si azzardava a
lamentarsi.
Louis
aveva provato ad
avvicinarsi più volte, per parlarsi, per chiarirsi. Ma di
certo quello non era
nelle intenzioni di Lorcan. Non era giusto prendersela con Louis, lo
sapeva, ma
non riusciva a fare altro che fingere di essere arrabbiato con lui per
non
ammettere di esserlo con se stesso.
Per
avergli urlato
addosso, per aver baciato Albus, per non muovere un dito per far
sì che le cose
cambiassero.
Quella
mattina Lorcan si
alzò dal letto, come sempre, prima che gli altri due
potessero anche solo
pensare di aprire gli occhi. Negli ultimi giorni era sempre
così, rientrava
tardi, passava una notte insonne ed usciva prima dell’alba.
Si
fece una doccia veloce
senza guardarsi allo specchio. Non voleva vedere il suo viso sciupato,
le occhiaie
profonde, la carnagione pallida.
Era
diventato uno schifo.
L’ultima volta che si era guardato allo specchio risaliva ad
almeno una
settimana prima e il suo riflesso lo aveva spaventato. Non era
più lui.
Finalmente era riuscito nel suo intento di trasformarsi in un qualcun
altro,
perché il viso che vedeva riflesso, l’espressione
che vedeva riflessa non aveva
niente del ragazzo che era prima di quell’estate. Non aveva
la spensieratezza,
non aveva la speranza, non aveva niente.
Prese
la sua sacca e uscì
dal dormitorio facendo attenzione a non svegliare i suoi compagni.
Chiuse
il quadro che
copriva l’entrata del dormitorio dietro di sé e si
diresse verso la torre di
astronomia. Era il posto perfetto per restare da soli, tranquillo e
solitario.
Nessuno che vedeva, nessuno che ascoltava.
Spesso
però Lorcan si
chiedeva se fosse davvero necessario rintanarsi negli angoli bui per
impedire
di essere sentiti, perché nessuno l’aveva mai
ascoltato. Nessuno si era accorto
delle sue grida, delle sue richieste di aiuto.
Lorcan,
anche se non lo
avrebbe mai ammesso, non voleva stare solo, ma lo era sempre, anche
quando era
circondato da persone.
Entrò
in Sala Grande
quando ormai era già piena e si diresse al tavolo dei
Serpeverde, sedendosi
all’estremità, lontano di una decina di posti da
Albus e Scorpius che
chiacchieravano tranquillamente con Alexander Nott.
Non
lo notarono e Lorcan
non fece niente per farsi notare. Si servì un paio di
pancake e un tazza di
caffè, sentendo la familiare sensazione di sonno farsi
strada dentro di lui.
Se
avesse continuato a non
dormire prima o poi sarebbe crollato, doveva trovare un modo per uscire
da
quello stato catatonico in cui era caduto.
<<
Ma che cazzo
>>
Una
serie di imprecazione
si diffuse per tutti e quattro i tavoli di Hogwarts, risvegliando
Lorcan dalla
trance in cui era caduto.
Alzò
gli occhi e rimase
stupito da quello che trovò davanti a sé.
Centinaia e centinaia di cartoline
cadevano dal soffitto incantato di Hogwarts, finendo nella colazione e
tra i
capelli degli studenti che si lamentavano.
Quando
i primi si
accorsero di ciò che quelle cartoline erano davvero un
silenzio inquietante e
sorpreso calò nel castello, rotto subito dopo dai commenti
sussurrati a bassa
voce fatti al vicino, le risate e le occhiate lanciate al tavolo dei
Serpeverde.
Una
delle cartoline era
finita esattamente al centro del piatto di Lorcan, girata, con la parte
bianca
rivolta verso di lui.
Ancora
prima di poter
capire di cosa si trattasse, Lorcan sentì la pesantezza
degli sguardi degli studenti
su di sé.
Spalancò
gli occhi e
osservò ciò che gli si presentava davanti con
orrore e paura. Ciò che vedeva
era una foto sua e di Albus.
Mentre
si baciavano.
Lui
ed Albus.
Che
si baciavano.
La
prima cosa che avvertì
fu lo stomaco contorcersi al pensiero che ciò che vedeva non
sarebbe mai
successo ancora. La seconda cosa fu il cuore rompersi nel petto nel
rendersi
conto che erano carini insieme, ma
che quello non avrebbe cambiato niente.
La
terza e la più
devastante fu il peso degli sguardi su di lui, delle chiacchiere, delle
risate,
degli insulti. E si sentì cadere.
Alzò
lo sguardo
incontrando quello assolutamente incredulo di Scorpius. E poi li vide.
Quegli
occhi verdi che lo fissavano intraducibili.
Non
capì se Albus fosse
arrabbiato, dispiaciuto, sorpreso. Se lo odiava o se gli voleva ancora
bene.
Si
sentì distrutto. Si
sentì improvvisamente devastato, stanco. Morto.
Quegli
occhi che tanto
amava lo avevano ucciso.
Si
alzò e si diresse verso
l’uscita. Camminò lentamente, evitando gli
sguardi, comportandosi come se nulla
fosse successo.
Non
avrebbe concesso a
nessuno la soddisfazione di vederlo a pezzi, perché era
chiaramente quello il
motivo per cui avevano fatto quello scherzo. Non poteva essere
altrimenti,
perché era chiaro che quelle foto avrebbero rovinato
un’amicizia e soprattutto
devastato una persona.
Come
si poteva giocare con
i sentimenti altrui in questo modo? Come si poteva essere tanto
insensibili?
Come poteva guardarcisi ancora allo specchio dopo aver appena ucciso
qualcuno?
Perché
Lorcan si sentiva
morto.
Quando
oltrepassò il
portone corse. Corse come non aveva mai fatto. Corse lontano da suo
fratello
che si era alzato e lo aveva seguito. Corse lontano dalle grida di
Scorpius.
Corse lontano dallo sguardo dispiaciuto di Louis. E corse via da Albus.
Corse
via anche da se
stesso perché non si voleva più.
<<
Il ballo del
ceppo segna l’unione tra le scuole. Andarci con qualcuno
proveniente da una
scuola diversa sarebbe l’obbiettivo >>
<<
No >>
<<
Sarebbe una bella
serata >>
<<
No >>
<<
Per non parlare
poi del dopo serata >>
<<
No >>
<<
Saprei come farti
divertire >>
<<
No >>
<<
Immagina le mie
mani… >>
<<
No, no e ancora
no >>
Alice
lo interruppe prima
che potesse continuare a dire stronzate, alzando una mano davanti al
suo viso e
facendogli segno di stare zitto.
<<
Non andrò al
ballo e non ci andrei mai con te >>
<<
Credo che tu
abbia troppi pregiudizi >>
La
ragazza sbuffò,
evidentemente scocciata, ma quello non fece cambiare
l’espressione di malizia e
superbia che Filip aveva dipinta in volto.
Quel
ragazzo non si
arrendeva mai. Più volte durante la settimana
l’aveva avvicinata cercando di
convincerla ad andare al ballo con lui. Non si era fermato neanche
davanti ad
una fattura orcovolante e ad uno schiantesimo ben assestato. Doveva
ammettere
che fosse molto più coraggioso di quanto lo avesse giudicato
all’inizio.
E
anche molto più
ostinato, purtroppo.
<<
Non mi interessa
una relazione >> disse con voce ferma.
Gli
rivolse un’occhiata veloce
e, anche se a malincuore, dovette ammettere che Filip era decisamente
un bel
ragazzo. A tutti gli effetti desiderabile.
Capelli
biondi come il
grano e leggermente ricci, occhi celesti, spalle possenti, petto ampio
e
addominali scolpiti.
Come
faceva a sapere
quanto fossero ben fatti i suoi addominali? Beh, non era poi tanto
strano
trovare uno dei campioni di Durmstrang correre a torso nudo in riva al
lago
nero o semplicemente liberarsi della maglia nei momenti più
impensabili con la
più banale scusa del ‘qui fa proprio
caldo’.
Ma
che diamine, erano a
Novembre, non faceva caldo proprio per niente.
<<
Nessuna relazione
>>
Non
che Alice fosse
interessata alla forma fisica di Filip. Non si era mai ritrovata a
spiare il
ragazzo durante i suoi esercizi, come molte altre, ma sì,
aveva degli occhi.
Sì, era una ragazza. E ancora sì, i suoi ormoni
funzionavano perfettamente,
nonostante le vivide proteste della padrona.
<<
Non sono
interessata a legami carnali >> mentì Alice,
cercando di convincere anche
se stessa.
Poteva
benissimo vivere
senza. Lo aveva fatto fino a quel momento.
<<
Non sono
interessata ai legami e basta >> aggiustò il
tiro, sperando che quella
volta le parole uscite dalla sua bocca corrispondessero a
verità.
E
ancora una volta dovette
mordersi la lingua e rimproverarsi per quella stupida bugia.
Il
problema era che Alice
cominciava a soffrire la solitudine. Era sempre stata bene da sola, ma
ultimamente cominciava a sentire il bisogno di rintanarsi in posti dove
qualcuno poteva circondarla. Anche senza parlare, anche senza
guardarla.
Sentiva
sempre la mancanza
di Axel e Shailene quando non passava del tempo con loro.
Alice
dopo sedici anni
passati in solitudine cominciava a sentirsi veramente sola.
Adesso,
vuoi che siano gli
ormoni o dei stupidi sogni di ogni ragazzina, ma aveva bisogno di
persone
intorno a sé, perché la solitudine aveva
cominciato a spaventarla.
E se
fosse morta? Chi ci
sarebbe stato a piangere per lei? Sua madre e suo padre, forse. E poi?
E poi
niente.
La
Paciock era sempre
stata abbastanza drammatica e non faceva altro che immaginare il suo
funerale a
cui erano presenti solo due persone che non sembravano nemmeno soffrire
poi
molto.
Era
stata così brava ad
allontanare tutti e a diventare quella che era da spaventare
addirittura se
stessa.
Perché
l’aveva fatto?
Alice non sapeva rispondersi.
Era
così. Era sempre stata
così.
Forte,
decisa, solitaria,
silenziosa, anticonformista. Forse un po’ cattiva.
La
mattina si alzava,
contornava gli occhi di nero, legava i capelli la maggior parte delle
volte, ed
usciva senza nemmeno stupirsi. Era normale, perché lei era
sempre stata così.
Nessuna
maschera, nessun
travestimento.
Alice
era esattamente la
stronza che mostrava e sapeva di non meritare che qualcuno tenesse
veramente a
lei.
Ma ci
sperava lo stesso.
<<
Saprei farti
divertire >> sussurrò ancora Filip,
avvicinandosi di un passo, ma
restando a distanza di sicurezza.
Alice
lo incuriosiva. Gli
piaceva. Era bella, ironica, spavalda, incurante. Un personaggio molto
interessante, ma Filip non era scemo, si era già beccato
più di un incantesimo
e, anche se non avrebbe rinunciato, gli sarebbe piaciuto evitarne
altri.
<<
Mi dispiace, ma
la nostra Alice ha già un appuntamento per il ballo
>>
Ovviamente
la voce che
aveva parlato non era della ragazza.
Lysander
Scamander fece la
sua gloriosa comparsa in scena. Circondò le spalle esili
della Serpeverde con
un braccio e la strinse leggermente quando provò a
liberarsi.
Alice
si girò stupefatta
verso di lui, guardandolo con un misto di sorpresa e irritazione. Si
agitò
sotto quello strano abbraccio con la sola conseguenza di far aumentare
la
stretta del ragazzo.
Ma
che diavolo avevano
tutti e due?
<<
Ma vuoi
lasciarmi? >> sbraitò la mora, scocciata.
Cercò
di mantenere una
smorfia vicina all’indifferenza per non dare a nessuno di
loro la possibilità
di avere la soddisfazione di farla arrabbiare. Ma due erano davvero
troppi e
l’irritazione era chiaramente visibile sul viso di Alice,
soprattutto in quegli
occhi così chiari.
<<
Oh >> disse
Scamander rivolgendosi all’altro << Sai
com’è, non sopporta le
manifestazioni di affetto in pubblico >>
spiegò alzando le spalle e
sorridendo.
<<
Comunque per
adesso è prenotata, ma magari puoi provarci la prossima
volta >>
Filip
li osservò per
qualche secondo prima di alzare le spalle.
<<
Ci vediamo al
ballo Alice >>
Disse
e se ne andò con un
cenno di saluto ai due.
Alice
lo guardò sbigottita
e rivolse lo stesso sguardo a Lysander che aveva ancora il braccio
intorno alle
sue spalle. Con una smorfia stizzita si liberò dalla presa
del ragazzo e
cominciò a camminare a passo veloce verso
l’entrata della scuola.
Lysander
la osservò.
Indossava la divisa della scuola, ma riusciva a darle un tocco
decisamente
personale. Le calze pesanti strappate in alcuni punti, gli anfibi neri
e
pesanti ai piedi, la giacca di pelle sopra la camicia bianca, la
cravatta
allentata.
Osservò
i pugni chiusi
lungo i fianchi e i capelli legati in due trecce e sorrise.
Le
corse dietro e la
raggiunse, adattando il suo passo alla camminata furiosa di lei.
<<
Allora, hai già
deciso cosa indossare? >> le chiese con un sorriso
innocente sul viso.
<<
Io non ci vengo
al ballo con te >>
Lysander
schioccò la
lingua sul palato.
<<
Dovresti
ringraziarmi per averti liberato di quello lì
>> disse divertito.
Ovviamente
non lo pensava
davvero. Alice avrebbe benissimo potuto farcela da sola.
<<
Io non ci vengo
al ballo con te >> ripeté ancora una volta,
ancora più convinta di prima.
Il
Grifondoro agitò una
mano davanti al viso, come se stesse dicendo una cosa di poco conto.
<<
Oh, dai, non fare
la difficile. È solo una serata >>
<<
Io non… >>
cominciò lei, con tutta l’intenzione di ripetere
quello che oramai sembrava
essere diventato un mantra, ma l’altro la interruppe.
<<
Ti tratterò come
una principessa >>
Alice
si esibì in una
smorfia disgustata e quella frase bastò a farle interrompere
la marcia.
Lysander fece altri due passi prima di accorgersene e tornare indietro
ridendo.
<<
Non sono una
principessa >> disse con tanto ribrezzo da aumentare le
risate del
castano.
<<
Oh, non ti
preoccupare. Non ti costringerò a mettere un vestito rosa
sbrilluccicante e non
verrò a prenderti con una carrozza. Né ti
salverò come se fossi una donzella in
pericolo >>
Alice
lo fissò per alcuni
istanti.
Lysander
non era bello
quanto Filip e quello lo aveva constatato fin da subito. I capelli
erano più
tendenti al castano e gli occhi al nocciola, ma erano verdi in quel
momento, il
naso era forse troppo grande e non aveva un fisico robusto e
altrettanto
scolpito come l’altro. Ma era senza dubbio attraente e Alice
capì che quello
che faceva cadere tutte le ragazze ai suoi piedi era
l’atteggiamento.
Ma a
lei era indifferente.
Bugia.
Probabilmente
era quello
il motivo per cui Lysander si era avvicinato, perché pensava
che lei non
conoscesse la sua esistenza. Ma si era sbagliato.
Alice
ammetteva che fosse
un bel ragazzo, magari anche piacevole. Ammetteva di essere attratta da
lui. Ma
la cosa che la rendeva diversa da tutte le altre era che non le
importava.
Perché Lysander poteva essere affascinante quanto gli
pareva, e di certo non
gli era indifferente, ma Alice non smaniava dalla voglia di passare una
serata
con lui, non lo sognava, né lo definiva il ragazzo perfetto
perché non lo era.
<<
Perché dovrei
uscire con te? >> gli concesse, esasperata.
Lysander
sorrise.
<<
Perché per una
sera, mi concederei di essere io la donzella in pericolo e ti
farò credere di
potermi salvare >> scherzò lui.
Alice
lo fissò e sbatté un
paio di volte le palpebre prima di scoppiare a ridere.
Non
aveva mai avuto quello
spirito da crocerossina che invece era appartenuto a sua madre e
Lysander non
gli era mai interessato, ma era riuscito a catturare la sua attenzione.
Lysander
non era mai stato
al centro dei suoi pensieri, ma l’aveva fatta sorridere.
Lysander
non era l’uomo
dei suoi sogni perché quello non esisteva, ma
l’aveva fatta ridere.
Lysander,
in quell’attimo,
aveva sbloccato qualcosa in lei e non perché fosse bello o
affascinante, ma
perché era stato spontaneo e divertente, aggettivi che Alice
aveva addirittura dimenticato.
Forse
si meritava una
possibilità.
Lorcan
non aveva pianto.
Ci aveva provato, ma le lacrime proprio non volevano saperne di uscire
anche se
lui ne aveva un bisogno malato.
Si
era aspettato di
sentirsi vuoto, di sentirsi morto come durante i primi minuti dopo aver
visto
quella dannatissima foto. Si era aspettato di sentirsi privo di
emozioni e lo
aveva sperato. Lo aveva sperato perché per un momento non
aveva provato niente,
nemmeno il dolore o la repulsione. Niente ed era quasi in pace.
Ma
poi tutto era arrivato.
La sofferenza, le ferite, l’odio, l’amore, il
disgusto, la negazione, il
ribrezzo. Tutto. E l’aveva sopraffatto.
Ma
non era riuscito a
piangere nemmeno una lacrima.
Era
andato sotto il
Platano Picchiatore, ormai così vecchio da non provare
nemmeno a fargli del
male, e si era seduto. Aveva chiuso gli occhi ed aveva aspettato quasi
con
impazienza che quei rami tornassero in vita e lo schiacciassero.
Perché
quello era troppo.
Era troppo pieno di tutte le emozioni e non riusciva a liberarsi.
Ma
non poteva fare niente.
Quindi
aveva chiuso gli
occhi, poggiato la schiena al legno e si era lasciato dilaniare dal
dolore. Si
era lasciato spaccare, spezzare, lacerare dalle emozioni.
Lo
aveva sentito quando si
era seduto, ma non aveva aperto gli occhi, non gli importava di chi
fosse, non
gli importava che qualcuno lo vedesse.
Il
nuovo arrivato aveva
borbottato un ‘ciao’ e lui lo aveva riconosciuto,
dopo di che non aveva più
parlato, ma lui sapeva che fosse ancora lì, seduto al suo
fianco.
Louis
era stato
silenzioso, aveva rispettato la sua volontà di restare in
silenzio.
Era
stato in silenzio con
lui e Lorcan si sentì in colpa per come lo aveva trattato.
Louis non c’entrava
niente.
Erano
restati in silenzio
ed il Tassorosso non si era lamentano, non aveva sbuffato, aveva
semplicemente
aspettato che lui parlasse.
E
Lorcan lo aveva fatto,
dopo un po’.
<<
Mi dispiace
>> aveva detto, restando con gli occhi chiusi.
<<
Non è importante
>> aveva risposto Louis, tranquillo.
Allora
l’altro aveva
aperto gli occhi e lo aveva guardato di traverso perché lui
doveva essere
arrabbiato. Perché lo aveva trattato male, da zerbino, e non
se lo meritava.
<<
Lo è >>
Il
ragazzo aprì gli occhi
a sua volta e si sedette incrociando le gambe, mettendosi davanti a
Lorcan.
<<
So cosa
significa, Lor. So cosa significa essere secondi, anzi non essere
scelti
affatto >> fece un sorrisino triste << So
cosa significa essere
messi da parte >>
<<
Tu ti sei messo
da parte da solo, Lou. I tuoi cugini ti vogliono bene >>
<<
Non sono
abbastanza >>
Lorcan
si arrabbiò, perché
non era vero.
<<
Chi lo dice?
>>
<<
Lo riconosco. I
miei cugini sono tutti… particolari >> storse
le labbra a quell’aggettivo
perché non era giusto, ma non ne trovò uno
migliore << Io non ho niente
di speciale >>
<<
Smettila di
autocommiserarti. Non risolverai niente comportandoti così
>>
<<
Nemmeno tu
>>
Restarono
in silenzio per
qualche secondo. La natura, intorno a loro, riempì il
silenzio con il fruscio
delle foglie e il vento che scompigliava i capelli ad entrambi. Louis
alla fine
prese quel poco coraggio che aveva, lo raccolse tutto e lo
utilizzò, anche se
quello che stava per fare poteva essere considerato sbagliato.
Puntò
le mani a terra e si
sporse verso Lorcan, sfiorando la bocca con la sua e, vedendo che non
si
allontanava, premendo con più decisione. Fu un bacio dato di
sfuggita, appena
accennato. Improvvisato.
Lorcan
lo fissò ad occhi
sbarrati e seguì il ragazzo in tutti i suoi movimenti. Louis
si alzò, si pulì i
pantaloni e gli lanciò un’occhiata.
<<
So essere la
seconda scelta, Lorcan. Anche se fa male >>
Se ne
andò e sapeva di
aver fatto la cosa sbagliata. Forse non per Lorcan, perché
lui aveva un
disperato bisogno di qualcuno che condividesse le sue pene, ma per se
stesso.
Perché
era vero, Louis era
abituato ad essere la seconda scelta, l’opzione di riserva,
ma non era vero che
faceva male. Era straziante.
E la
cosa peggiore era che
Lorcan aveva ragione. Era lui che decideva di essere secondo.
Lorcan
si alzò dalla sua
postazione e si diresse verso il castello. Era sera ormai e aveva
bisogno di
dormire e di mangiare. Aveva saltato tutte le lezioni, ma non gli
importava.
Voleva
solo andare al
letto e rilassarsi.
<<
Ehi, checca
>>
Lorcan
non si fermò, pur
sapendo che era destinato a lui quel saluto. Continuò a
camminare.
<<
Ehi, parlo con te
>>
Una
mano gli afferrò il
braccio e il Serpeverde si ritrovò sbattuto contro il muro.
Soffocò un gemito
di dolore, quando avvertì una parte di pietra sporgente
colpirgli lo spazio in
mezzo alle scapole, ma non si azzardò a replicare.
Non
li guardò negli occhi,
non voleva farlo, ma seppe che non li conosceva nemmeno. Non sapeva chi
fossero, non ricordava le loro voci né tantomeno i loro
visi.
E
allora cosa volevano da
lui? Perché non lo lasciavano in pace?
<<
Lasciatemi stare
>>
Gli
altri risero. Erano
tre. Uno lo reggeva al muro, tenendolo per le spalle, gli altri due gli
stavano
vicino, con le braccia incrociate al petto e un ghigno dipinto sulle
labbra.
<<
Stai calmo
finocchio, vogliamo solo sapere se d’ora in poi dovremmo
girare con dei tappi
in culo >>
Era
sempre quello che lo
teneva fermo a parlare.
Lorcan
non seppe perché,
ma si ritrovò a rispondere. Si ritrovò a fare
qualcosa una volta tanto e non
lasciare che tutto gli passasse davanti come se non fosse la sua vita.
Perché
quella era la sua vita, per la miseria.
<<
Ero gay anche
prima di oggi, imbecilli, e mi pare che non abbia mai provato a
molestarvi. Non
rientrate nei miei desideri >>
Quello
che lo reggeva lo
spinse di più verso il muro e fece un segno con la testa
verso uno degli altri.
Il pugno che lo colpì allo stomaco gli fece mancare il
respiro. Rimase a bocca
aperta e la chiuse solo quando un altro pugno, proveniente dalla parte
opposta,
lo colpì un po’ più sopra, alle
costole.
Cercò
di non lamentarsi. E
cercò davvero di stare in silenzio, ma non ci
riuscì perché si era stufato.
Si
era davvero stufato di
lasciarsi trasportare.
Questa è la mia vita e
devo reagire. È la mia vita.
Il
Serpeverde si esibì in
una risata sprezzante.
<<
Cos’è, siete dei
gay repressi? Vi dispiace così tanto non rientrare nelle mie
grazie? >>
Un
pugno lo colpì sul viso
proprio mentre un calcio lo colpiva alla pancia, costringendolo a
piegarsi dal
dolore. Non poté fare niente per evitare una ginocchiata in
pieno viso che gli
fece sanguinare il naso.
Si
preparò per un altro
colpo, ma una voce interruppe il massacro.
<<
Allontanatevi
subito >>
Ordinò
qualcuno che Lorcan
non riconobbe. La voce era familiare, sapeva di averla ascoltata e di
averci
parlato anche più di una volta, ma allo stesso modo aveva
capito che era da
troppo tempo che non l’ascoltava per riconoscere davvero di
chi fosse.
<<
Tre contro uno.
Che schifo >>
Il
Serpeverde alzò il
viso, incontrando i lineamenti conosciuti di James Sirius Potter che li
fissava
con disgusto. Ma non fissava con disgusto lui, non lo disprezzava.
Il
ragazzo era
apparentemente rilassato. Le mani nelle tasche dei pantaloni della
divisa, le
gambe rilassate, la bacchetta lasciata nella tasca interna del mantello
senza
nemmeno provare a prenderla.
Il
capo dei tre rise.
<<
Ma quindi hai una
storia con entrambi i Potter? Mh, interessante. In questa scuola ci
sono più
malati di quanti mi aspettassi >>
Quella
parola colpì
Lorcan. Malati. Era questo che
era?
Malato?
Scosse
la testa con
convinzione. Essere gay non era una malattia. Non era sbagliato. Lo
sapeva, lo
sapeva, lo sapeva. Ma allora perché era così
facile credergli? Perché era così
facile convincersi di essere lui quello sbagliato? Perché
quelle parole
risultavano così vere?
James
fece per ribattere,
ma non ci riuscì perché un lampo di luce
colpì il ragazzo che teneva Lorcan al
muro in pieno petto e fu scaraventato sul muro poco distante da loro.
Tutti
si girarono
osservando stupefatti una ragazzina con la bacchetta sguainata. Tutti
riconobbero le treccine e gli occhi circondati di nero. Alice si
avvicinò con
lentezza a colui che aveva appena schiantato e si piegò
sulle ginocchia per
poterlo guardare negli occhi.
Era
furiosa, ma sorrise,
quasi angelica.
<<
Sì, hai ragione,
ci sono più malati di quanti mi aspettassi in questa scuola
e tu sei quello
messo peggio >>
Nello
stesso momento un
rumore sordo di qualcuno che venina sbattuto al muro attirò
l’attenzione di
tutti i presenti, compresa quella di Alice.
Lysander
Scamander aveva
appena inchiodato uno degli aggressori alla parete e con un braccio gli
spingeva il collo. Il viso era trasfigurato in una smorfia
d’ira e non c’era
traccia del sorriso che aleggiava sempre sulle labbra.
Quello
era suo fratello.
<<
Non. Azzardatevi.
A. Toccare. Mio. Fratello. Mai. Più >>
scandì ogni parola, rafforzando la
presa ad ogni lettera.
Gli
sferrò un cazzotto in
pieno viso e poi lo lasciò cadere, resistendo alla
tentazione di prenderlo a
calci.
<<
Se vi vedo ancora
intorno a Lorcan vi farò pentire di aver anche solo pensato
di avvicinarvi
>> minacciò con voce cupa.
<<
Siete gay
entrambi. Ma che è, una cosa di famiglia? >>
disse l’unico dei tre che
era rimasto in piedi.
James
fece un passo in
avanti nello stesso momento in cui Lysander si avvicinò ed
Alice impugnò di
nuovo la bacchetta, ma tutti vennero interrotti da una voce. Che non
era quella
dei ragazzi a terra né quella di Lorcan.
<<
Che succede qui?
>>
Albus
Potter si avvicinò
al gruppetto, osservandoli tutti. Guardò suo fratello e
lanciò un occhiata
perplessa a Lysander ed Alice prima di soffermarsi su Lorcan. E
capì.
Lo
guardò sofferente e
capì cosa fosse successo.
<<
Stai bene?
>> chiese, avvicinandosi a lui e cercando di aiutarlo a
mettersi in
piedi.
Lorcan
lo fissò incredulo
e guardò tutti gli altri con la stessa espressione. Ma che
cos’era, una
congiura?
Avevano
deciso di farsi
tutti una passeggiata quando lo stavano picchiando? Doveva davvero
sorbirsi
anche quell’umiliazione?
Per
la prima volta
desiderò di non aver incontrato Albus.
Che ironia di merda che ha la vita.
<<
Sto bene >>
si alzò e si staccò dall’amico,
guardandolo con dolore.
Solo
vederlo gli faceva
male.
Si
avvicinò al fratello e
gli posò una mano sulla spalla e guardò gli altri
due con gratitudine.
<<
Ce la faccio da
solo >> disse sicuro.
Perché
si era stancato di
essere salvato. Non ne aveva bisogno, sapeva farlo per conto suo.
Poteva
benissimo salvarsi da solo.
Si
avvicinò all’ultimo
ragazzo e per un attimo fu sul punto di colpirlo, ma poi si trattenne.
Lui non
era come loro.
<<
Non mi importa
quello che pensi. Non devo piacerti, non voglio piacerti. E se non lo
sapessi,
siamo nel ventunesimo secolo e l’unico che dovrebbe
vergognarsi di se stesso
sei proprio tu. E i tuoi amici –li indicò-.
Perché è assurdo che troviate
malato essere gay. Io non me ne vergogno >>
Sorrise
ad Alice,
scompigliò i capelli a Lysander, tirò un pugno
scherzoso sulla spalla di James,
che, per un attimo, si concesse un sorriso, abbracciò Albus
che, dopo un
momento di esitazione, ricambio la stretta amichevole e se ne
andò.
Questa è la mia vita. E
la rivoglio.
Angolo
Autrice
Ecco
qui il
quattordicesimo capitolo! So di essere un po’ in ritardo, ma
sono stata
leggermente impegnata ultimamente. Però in questo momento mi
trovo al letto
malata e ho pensato che fosse davvero ora di aggiornare.
Credo
che prima della fine
della prima parte della storia, la situazione di Lorcan non si
risolverà. Nel senso
che verrà lasciata in sospeso così, sia con Albus
che con Louis, perché ci sono
molti altri personaggi che avranno uno spazio.
Dopo
di che, volevo
ricordarvi FACEBOOK
e semplicemente chiedere una piccola recensione per sapere cosa ne
pensate.
Ringrazio
che legge,
segue/preferisce/ricorda la storia e soprattutto chi recensisce!
Ci sentiamo presto!
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