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Autore: _Wonderwall_    17/02/2015    3 recensioni
Lysander Scamander, oramai arrivato al suo ottavo anno ad Hogwarts, poteva affermare che aveva tutto e che, molto probabilmente, era la persona più felice in quel dannatissimo castello.
Lorcan Scamander era tutto quello che non voleva essere.
Ted Lupin era soddisfatto della sua vita.
Alice Paciock era diversa. Era totalmente diversa da suo padre sia per aspetto fisico che per carattere e sua madre le aveva conferito giusto qualche tratto del viso.
James Sirius Potter era stanco. Era stanco ed aveva cominciato a stancarsi alla tenera età di quattordici anni.
Axel Lovegood era strano. Era tutto ciò che ci si potesse aspettare da qualcuno appartenente a quella famiglia.
Louis Weasley era normale.
***
Una generazione che ha avuto tutto senza dover fare nulla, figlia di eroi, ma normale, dannatamente umana.
E se si trovasse davanti ad un pericolo peggiore del precedente? Una generazione senza eroi sarà in grado di vincere o perlomeno sopravvivere?
“Ognuno di noi è un eroe”
“Gli eroi non esistono”
“Vedi, Lily, in una guerra non ci sono né vincitori né vinti, solo morti e sopravvissuti”
“Vivere senza di te è come morire”
(Nella mia storia gli anni passati ad Hogwarts non sono più sette, ma nove)
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Alice, Paciock, Alice, Paciock, Jr, James, Sirius, Potter, Lorcan, Scamandro, Louis, Weasley, Lysander, Scamandro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo 14
 
 
Lorcan era esausto. Di notte non dormiva e di giorno i professori non facevano altro che svegliarlo e disturbare il suo tanto ricercato riposo. La conclusione era che non riusciva a far passare due ore consecutive senza provare a chiudere occhio e allo stesso modo non poteva riposare per nemmeno trenta stupidi minuti.
Di notte proprio non se ne parlava. La mente, che fino a quel momento non aveva fatto altro che pregare per un attimo di riposo, sembrava improvvisamente sveglia e pronta a fargli passare una nottataccia.
Lui ed Albus non si parlavano.
Non che cercasse di cambiare la cosa, ma il migliore amico non l’aveva cercato e lui aveva lasciato stare.
Sapeva di dovergli dare tempo. Ed era questo quello che si ripeteva tutti i giorni convincendosi che fosse il motivo per cui non gli si avvicinava.
La verità era che aveva una paura fottuta di quello che avrebbe potuto dirgli. Aveva paura della possibilità in cui Albus gli urlava in faccia di non volerlo più vedere, di stargli lontano.
Aveva paura che lui provasse repulsione nei suoi confronti.
Scorpius cercava di capire cosa fosse successo tra i due e di fare il mediatore pacifico. Non che quel ruolo gli riuscisse bene, ma non dava segni di voler arrendersi. Continuava semplicemente a girare come una trottola tra i due. Lorcan non aveva la forza, e nemmeno la voglia, di respingerlo, ma non aveva niente da dire. Quindi passavano le giornate in silenzio e Scorpius non si azzardava a lamentarsi.
Louis aveva provato ad avvicinarsi più volte, per parlarsi, per chiarirsi. Ma di certo quello non era nelle intenzioni di Lorcan. Non era giusto prendersela con Louis, lo sapeva, ma non riusciva a fare altro che fingere di essere arrabbiato con lui per non ammettere di esserlo con se stesso.
Per avergli urlato addosso, per aver baciato Albus, per non muovere un dito per far sì che le cose cambiassero.
Quella mattina Lorcan si alzò dal letto, come sempre, prima che gli altri due potessero anche solo pensare di aprire gli occhi. Negli ultimi giorni era sempre così, rientrava tardi, passava una notte insonne ed usciva prima dell’alba.
Si fece una doccia veloce senza guardarsi allo specchio. Non voleva vedere il suo viso sciupato, le occhiaie profonde, la carnagione pallida.
Era diventato uno schifo. L’ultima volta che si era guardato allo specchio risaliva ad almeno una settimana prima e il suo riflesso lo aveva spaventato. Non era più lui. Finalmente era riuscito nel suo intento di trasformarsi in un qualcun altro, perché il viso che vedeva riflesso, l’espressione che vedeva riflessa non aveva niente del ragazzo che era prima di quell’estate. Non aveva la spensieratezza, non aveva la speranza, non aveva niente.
Prese la sua sacca e uscì dal dormitorio facendo attenzione a non svegliare i suoi compagni.
Chiuse il quadro che copriva l’entrata del dormitorio dietro di sé e si diresse verso la torre di astronomia. Era il posto perfetto per restare da soli, tranquillo e solitario. Nessuno che vedeva, nessuno che ascoltava.
Spesso però Lorcan si chiedeva se fosse davvero necessario rintanarsi negli angoli bui per impedire di essere sentiti, perché nessuno l’aveva mai ascoltato. Nessuno si era accorto delle sue grida, delle sue richieste di aiuto.
Lorcan, anche se non lo avrebbe mai ammesso, non voleva stare solo, ma lo era sempre, anche quando era circondato da persone.
 
 
 
Entrò in Sala Grande quando ormai era già piena e si diresse al tavolo dei Serpeverde, sedendosi all’estremità, lontano di una decina di posti da Albus e Scorpius che chiacchieravano tranquillamente con Alexander Nott.
Non lo notarono e Lorcan non fece niente per farsi notare. Si servì un paio di pancake e un tazza di caffè, sentendo la familiare sensazione di sonno farsi strada dentro di lui.
Se avesse continuato a non dormire prima o poi sarebbe crollato, doveva trovare un modo per uscire da quello stato catatonico in cui era caduto.
<< Ma che cazzo >>
Una serie di imprecazione si diffuse per tutti e quattro i tavoli di Hogwarts, risvegliando Lorcan dalla trance in cui era caduto.
Alzò gli occhi e rimase stupito da quello che trovò davanti a sé. Centinaia e centinaia di cartoline cadevano dal soffitto incantato di Hogwarts, finendo nella colazione e tra i capelli degli studenti che si lamentavano.
Quando i primi si accorsero di ciò che quelle cartoline erano davvero un silenzio inquietante e sorpreso calò nel castello, rotto subito dopo dai commenti sussurrati a bassa voce fatti al vicino, le risate e le occhiate lanciate al tavolo dei Serpeverde.
Una delle cartoline era finita esattamente al centro del piatto di Lorcan, girata, con la parte bianca rivolta verso di lui.
Ancora prima di poter capire di cosa si trattasse, Lorcan sentì la pesantezza degli sguardi degli studenti su di sé.
Spalancò gli occhi e osservò ciò che gli si presentava davanti con orrore e paura. Ciò che vedeva era una foto sua e di Albus.
Mentre si baciavano.
Lui ed Albus.
Che si baciavano.
La prima cosa che avvertì fu lo stomaco contorcersi al pensiero che ciò che vedeva non sarebbe mai successo ancora. La seconda cosa fu il cuore rompersi nel petto nel rendersi conto che erano carini insieme, ma che quello non avrebbe cambiato niente.
La terza e la più devastante fu il peso degli sguardi su di lui, delle chiacchiere, delle risate, degli insulti. E si sentì cadere.
Alzò lo sguardo incontrando quello assolutamente incredulo di Scorpius. E poi li vide. Quegli occhi verdi che lo fissavano intraducibili.
Non capì se Albus fosse arrabbiato, dispiaciuto, sorpreso. Se lo odiava o se gli voleva ancora bene.
Si sentì distrutto. Si sentì improvvisamente devastato, stanco. Morto.
Quegli occhi che tanto amava lo avevano ucciso.
Si alzò e si diresse verso l’uscita. Camminò lentamente, evitando gli sguardi, comportandosi come se nulla fosse successo.
Non avrebbe concesso a nessuno la soddisfazione di vederlo a pezzi, perché era chiaramente quello il motivo per cui avevano fatto quello scherzo. Non poteva essere altrimenti, perché era chiaro che quelle foto avrebbero rovinato un’amicizia e soprattutto devastato una persona.
Come si poteva giocare con i sentimenti altrui in questo modo? Come si poteva essere tanto insensibili? Come poteva guardarcisi ancora allo specchio dopo aver appena ucciso qualcuno?
Perché Lorcan si sentiva morto.
Quando oltrepassò il portone corse. Corse come non aveva mai fatto. Corse lontano da suo fratello che si era alzato e lo aveva seguito. Corse lontano dalle grida di Scorpius. Corse lontano dallo sguardo dispiaciuto di Louis. E corse via da Albus.
Corse via anche da se stesso perché non si voleva più.
 
 
 
 
 
<< Il ballo del ceppo segna l’unione tra le scuole. Andarci con qualcuno proveniente da una scuola diversa sarebbe l’obbiettivo >>
<< No >>
<< Sarebbe una bella serata >>
<< No >>
<< Per non parlare poi del dopo serata >>
<< No >>
<< Saprei come farti divertire >>
<< No >>
<< Immagina le mie mani… >>
<< No, no e ancora no >>
Alice lo interruppe prima che potesse continuare a dire stronzate, alzando una mano davanti al suo viso e facendogli segno di stare zitto.
<< Non andrò al ballo e non ci andrei mai con te >>
<< Credo che tu abbia troppi pregiudizi >>
La ragazza sbuffò, evidentemente scocciata, ma quello non fece cambiare l’espressione di malizia e superbia che Filip aveva dipinta in volto.
Quel ragazzo non si arrendeva mai. Più volte durante la settimana l’aveva avvicinata cercando di convincerla ad andare al ballo con lui. Non si era fermato neanche davanti ad una fattura orcovolante e ad uno schiantesimo ben assestato. Doveva ammettere che fosse molto più coraggioso di quanto lo avesse giudicato all’inizio.
E anche molto più ostinato, purtroppo.
<< Non mi interessa una relazione >> disse con voce ferma.
Gli rivolse un’occhiata veloce e, anche se a malincuore, dovette ammettere che Filip era decisamente un bel ragazzo. A tutti gli effetti desiderabile.
Capelli biondi come il grano e leggermente ricci, occhi celesti, spalle possenti, petto ampio e addominali scolpiti.
Come faceva a sapere quanto fossero ben fatti i suoi addominali? Beh, non era poi tanto strano trovare uno dei campioni di Durmstrang correre a torso nudo in riva al lago nero o semplicemente liberarsi della maglia nei momenti più impensabili con la più banale scusa del ‘qui fa proprio caldo’.
Ma che diamine, erano a Novembre, non faceva caldo proprio per niente.
<< Nessuna relazione >>
Non che Alice fosse interessata alla forma fisica di Filip. Non si era mai ritrovata a spiare il ragazzo durante i suoi esercizi, come molte altre, ma sì, aveva degli occhi. Sì, era una ragazza. E ancora sì, i suoi ormoni funzionavano perfettamente, nonostante le vivide proteste della padrona.
<< Non sono interessata a legami carnali >> mentì Alice, cercando di convincere anche se stessa.
Poteva benissimo vivere senza. Lo aveva fatto fino a quel momento.
<< Non sono interessata ai legami e basta >> aggiustò il tiro, sperando che quella volta le parole uscite dalla sua bocca corrispondessero a verità.
E ancora una volta dovette mordersi la lingua e rimproverarsi per quella stupida bugia.
Il problema era che Alice cominciava a soffrire la solitudine. Era sempre stata bene da sola, ma ultimamente cominciava a sentire il bisogno di rintanarsi in posti dove qualcuno poteva circondarla. Anche senza parlare, anche senza guardarla.
Sentiva sempre la mancanza di Axel e Shailene quando non passava del tempo con loro.
Alice dopo sedici anni passati in solitudine cominciava a sentirsi veramente sola.
Adesso, vuoi che siano gli ormoni o dei stupidi sogni di ogni ragazzina, ma aveva bisogno di persone intorno a sé, perché la solitudine aveva cominciato a spaventarla.
E se fosse morta? Chi ci sarebbe stato a piangere per lei? Sua madre e suo padre, forse. E poi? E poi niente.
La Paciock era sempre stata abbastanza drammatica e non faceva altro che immaginare il suo funerale a cui erano presenti solo due persone che non sembravano nemmeno soffrire poi molto.
Era stata così brava ad allontanare tutti e a diventare quella che era da spaventare addirittura se stessa.
Perché l’aveva fatto? Alice non sapeva rispondersi.
Era così. Era sempre stata così.
Forte, decisa, solitaria, silenziosa, anticonformista. Forse un po’ cattiva.
La mattina si alzava, contornava gli occhi di nero, legava i capelli la maggior parte delle volte, ed usciva senza nemmeno stupirsi. Era normale, perché lei era sempre stata così.
Nessuna maschera, nessun travestimento.
Alice era esattamente la stronza che mostrava e sapeva di non meritare che qualcuno tenesse veramente a lei.
Ma ci sperava lo stesso.
<< Saprei farti divertire >> sussurrò ancora Filip, avvicinandosi di un passo, ma restando a distanza di sicurezza.
Alice lo incuriosiva. Gli piaceva. Era bella, ironica, spavalda, incurante. Un personaggio molto interessante, ma Filip non era scemo, si era già beccato più di un incantesimo e, anche se non avrebbe rinunciato, gli sarebbe piaciuto evitarne altri.
<< Mi dispiace, ma la nostra Alice ha già un appuntamento per il ballo >>
Ovviamente la voce che aveva parlato non era della ragazza.
Lysander Scamander fece la sua gloriosa comparsa in scena. Circondò le spalle esili della Serpeverde con un braccio e la strinse leggermente quando provò a liberarsi.
Alice si girò stupefatta verso di lui, guardandolo con un misto di sorpresa e irritazione. Si agitò sotto quello strano abbraccio con la sola conseguenza di far aumentare la stretta del ragazzo.
Ma che diavolo avevano tutti e due?
<< Ma vuoi lasciarmi? >> sbraitò la mora, scocciata.
Cercò di mantenere una smorfia vicina all’indifferenza per non dare a nessuno di loro la possibilità di avere la soddisfazione di farla arrabbiare. Ma due erano davvero troppi e l’irritazione era chiaramente visibile sul viso di Alice, soprattutto in quegli occhi così chiari.
<< Oh >> disse Scamander rivolgendosi all’altro << Sai com’è, non sopporta le manifestazioni di affetto in pubblico >> spiegò alzando le spalle e sorridendo.
<< Comunque per adesso è prenotata, ma magari puoi provarci la prossima volta >>
Filip li osservò per qualche secondo prima di alzare le spalle.
<< Ci vediamo al ballo Alice >>
Disse e se ne andò con un cenno di saluto ai due.
Alice lo guardò sbigottita e rivolse lo stesso sguardo a Lysander che aveva ancora il braccio intorno alle sue spalle. Con una smorfia stizzita si liberò dalla presa del ragazzo e cominciò a camminare a passo veloce verso l’entrata della scuola.
Lysander la osservò. Indossava la divisa della scuola, ma riusciva a darle un tocco decisamente personale. Le calze pesanti strappate in alcuni punti, gli anfibi neri e pesanti ai piedi, la giacca di pelle sopra la camicia bianca, la cravatta allentata.
Osservò i pugni chiusi lungo i fianchi e i capelli legati in due trecce e sorrise.
Le corse dietro e la raggiunse, adattando il suo passo alla camminata furiosa di lei.
<< Allora, hai già deciso cosa indossare? >> le chiese con un sorriso innocente sul viso.
<< Io non ci vengo al ballo con te >>
Lysander schioccò la lingua sul palato.
<< Dovresti ringraziarmi per averti liberato di quello lì >> disse divertito.
Ovviamente non lo pensava davvero. Alice avrebbe benissimo potuto farcela da sola.
<< Io non ci vengo al ballo con te >> ripeté ancora una volta, ancora più convinta di prima.
Il Grifondoro agitò una mano davanti al viso, come se stesse dicendo una cosa di poco conto.
<< Oh, dai, non fare la difficile. È solo una serata >>
<< Io non… >> cominciò lei, con tutta l’intenzione di ripetere quello che oramai sembrava essere diventato un mantra, ma l’altro la interruppe.
<< Ti tratterò come una principessa >>
Alice si esibì in una smorfia disgustata e quella frase bastò a farle interrompere la marcia. Lysander fece altri due passi prima di accorgersene e tornare indietro ridendo.
<< Non sono una principessa >> disse con tanto ribrezzo da aumentare le risate del castano.
<< Oh, non ti preoccupare. Non ti costringerò a mettere un vestito rosa sbrilluccicante e non verrò a prenderti con una carrozza. Né ti salverò come se fossi una donzella in pericolo >>
Alice lo fissò per alcuni istanti.
Lysander non era bello quanto Filip e quello lo aveva constatato fin da subito. I capelli erano più tendenti al castano e gli occhi al nocciola, ma erano verdi in quel momento, il naso era forse troppo grande e non aveva un fisico robusto e altrettanto scolpito come l’altro. Ma era senza dubbio attraente e Alice capì che quello che faceva cadere tutte le ragazze ai suoi piedi era l’atteggiamento.
Ma a lei era indifferente.
Bugia.
Probabilmente era quello il motivo per cui Lysander si era avvicinato, perché pensava che lei non conoscesse la sua esistenza. Ma si era sbagliato.
Alice ammetteva che fosse un bel ragazzo, magari anche piacevole. Ammetteva di essere attratta da lui. Ma la cosa che la rendeva diversa da tutte le altre era che non le importava. Perché Lysander poteva essere affascinante quanto gli pareva, e di certo non gli era indifferente, ma Alice non smaniava dalla voglia di passare una serata con lui, non lo sognava, né lo definiva il ragazzo perfetto perché non lo era.
<< Perché dovrei uscire con te? >> gli concesse, esasperata.
Lysander sorrise.
<< Perché per una sera, mi concederei di essere io la donzella in pericolo e ti farò credere di potermi salvare >> scherzò lui.
Alice lo fissò e sbatté un paio di volte le palpebre prima di scoppiare a ridere.
Non aveva mai avuto quello spirito da crocerossina che invece era appartenuto a sua madre e Lysander non gli era mai interessato, ma era riuscito a catturare la sua attenzione.
Lysander non era mai stato al centro dei suoi pensieri, ma l’aveva fatta sorridere.
Lysander non era l’uomo dei suoi sogni perché quello non esisteva, ma l’aveva fatta ridere.
Lysander, in quell’attimo, aveva sbloccato qualcosa in lei e non perché fosse bello o affascinante, ma perché era stato spontaneo e divertente, aggettivi che Alice aveva addirittura dimenticato.
Forse si meritava una possibilità.
 
 
 
 
Lorcan non aveva pianto. Ci aveva provato, ma le lacrime proprio non volevano saperne di uscire anche se lui ne aveva un bisogno malato.
Si era aspettato di sentirsi vuoto, di sentirsi morto come durante i primi minuti dopo aver visto quella dannatissima foto. Si era aspettato di sentirsi privo di emozioni e lo aveva sperato. Lo aveva sperato perché per un momento non aveva provato niente, nemmeno il dolore o la repulsione. Niente ed era quasi in pace.
Ma poi tutto era arrivato. La sofferenza, le ferite, l’odio, l’amore, il disgusto, la negazione, il ribrezzo. Tutto. E l’aveva sopraffatto.
Ma non era riuscito a piangere nemmeno una lacrima.
Era andato sotto il Platano Picchiatore, ormai così vecchio da non provare nemmeno a fargli del male, e si era seduto. Aveva chiuso gli occhi ed aveva aspettato quasi con impazienza che quei rami tornassero in vita e lo schiacciassero.
Perché quello era troppo. Era troppo pieno di tutte le emozioni e non riusciva a liberarsi.
Ma non poteva fare niente.
Quindi aveva chiuso gli occhi, poggiato la schiena al legno e si era lasciato dilaniare dal dolore. Si era lasciato spaccare, spezzare, lacerare dalle emozioni.
Lo aveva sentito quando si era seduto, ma non aveva aperto gli occhi, non gli importava di chi fosse, non gli importava che qualcuno lo vedesse.
Il nuovo arrivato aveva borbottato un ‘ciao’ e lui lo aveva riconosciuto, dopo di che non aveva più parlato, ma lui sapeva che fosse ancora lì, seduto al suo fianco.
Louis era stato silenzioso, aveva rispettato la sua volontà di restare in silenzio.
Era stato in silenzio con lui e Lorcan si sentì in colpa per come lo aveva trattato. Louis non c’entrava niente.
Erano restati in silenzio ed il Tassorosso non si era lamentano, non aveva sbuffato, aveva semplicemente aspettato che lui parlasse.
E Lorcan lo aveva fatto, dopo un po’.
<< Mi dispiace >> aveva detto, restando con gli occhi chiusi.
<< Non è importante >> aveva risposto Louis, tranquillo.
Allora l’altro aveva aperto gli occhi e lo aveva guardato di traverso perché lui doveva essere arrabbiato. Perché lo aveva trattato male, da zerbino, e non se lo meritava.
<< Lo è >>
Il ragazzo aprì gli occhi a sua volta e si sedette incrociando le gambe, mettendosi davanti a Lorcan.
<< So cosa significa, Lor. So cosa significa essere secondi, anzi non essere scelti affatto >> fece un sorrisino triste << So cosa significa essere messi da parte >>
<< Tu ti sei messo da parte da solo, Lou. I tuoi cugini ti vogliono bene >>
<< Non sono abbastanza >>
Lorcan si arrabbiò, perché non era vero.
<< Chi lo dice? >>
<< Lo riconosco. I miei cugini sono tutti… particolari >> storse le labbra a quell’aggettivo perché non era giusto, ma non ne trovò uno migliore << Io non ho niente di speciale >>
<< Smettila di autocommiserarti. Non risolverai niente comportandoti così >>
<< Nemmeno tu >>
Restarono in silenzio per qualche secondo. La natura, intorno a loro, riempì il silenzio con il fruscio delle foglie e il vento che scompigliava i capelli ad entrambi. Louis alla fine prese quel poco coraggio che aveva, lo raccolse tutto e lo utilizzò, anche se quello che stava per fare poteva essere considerato sbagliato.
Puntò le mani a terra e si sporse verso Lorcan, sfiorando la bocca con la sua e, vedendo che non si allontanava, premendo con più decisione. Fu un bacio dato di sfuggita, appena accennato. Improvvisato.
Lorcan lo fissò ad occhi sbarrati e seguì il ragazzo in tutti i suoi movimenti. Louis si alzò, si pulì i pantaloni e gli lanciò un’occhiata.
<< So essere la seconda scelta, Lorcan. Anche se fa male >>
Se ne andò e sapeva di aver fatto la cosa sbagliata. Forse non per Lorcan, perché lui aveva un disperato bisogno di qualcuno che condividesse le sue pene, ma per se stesso.
Perché era vero, Louis era abituato ad essere la seconda scelta, l’opzione di riserva, ma non era vero che faceva male. Era straziante.
E la cosa peggiore era che Lorcan aveva ragione. Era lui che decideva di essere secondo.
 
 
Lorcan si alzò dalla sua postazione e si diresse verso il castello. Era sera ormai e aveva bisogno di dormire e di mangiare. Aveva saltato tutte le lezioni, ma non gli importava.
Voleva solo andare al letto e rilassarsi.
<< Ehi, checca >>
Lorcan non si fermò, pur sapendo che era destinato a lui quel saluto. Continuò a camminare.
<< Ehi, parlo con te >>
Una mano gli afferrò il braccio e il Serpeverde si ritrovò sbattuto contro il muro. Soffocò un gemito di dolore, quando avvertì una parte di pietra sporgente colpirgli lo spazio in mezzo alle scapole, ma non si azzardò a replicare.
Non li guardò negli occhi, non voleva farlo, ma seppe che non li conosceva nemmeno. Non sapeva chi fossero, non ricordava le loro voci né tantomeno i loro visi.
E allora cosa volevano da lui? Perché non lo lasciavano in pace?
<< Lasciatemi stare >>
Gli altri risero. Erano tre. Uno lo reggeva al muro, tenendolo per le spalle, gli altri due gli stavano vicino, con le braccia incrociate al petto e un ghigno dipinto sulle labbra.
<< Stai calmo finocchio, vogliamo solo sapere se d’ora in poi dovremmo girare con dei tappi in culo >>
Era sempre quello che lo teneva fermo a parlare.
Lorcan non seppe perché, ma si ritrovò a rispondere. Si ritrovò a fare qualcosa una volta tanto e non lasciare che tutto gli passasse davanti come se non fosse la sua vita. Perché quella era la sua vita, per la miseria.
<< Ero gay anche prima di oggi, imbecilli, e mi pare che non abbia mai provato a molestarvi. Non rientrate nei miei desideri >>
Quello che lo reggeva lo spinse di più verso il muro e fece un segno con la testa verso uno degli altri. Il pugno che lo colpì allo stomaco gli fece mancare il respiro. Rimase a bocca aperta e la chiuse solo quando un altro pugno, proveniente dalla parte opposta, lo colpì un po’ più sopra, alle costole.
Cercò di non lamentarsi. E cercò davvero di stare in silenzio, ma non ci riuscì perché si era stufato.
Si era davvero stufato di lasciarsi trasportare.
Questa è la mia vita e devo reagire. È la mia vita.
Il Serpeverde si esibì in una risata sprezzante.
<< Cos’è, siete dei gay repressi? Vi dispiace così tanto non rientrare nelle mie grazie? >>
Un pugno lo colpì sul viso proprio mentre un calcio lo colpiva alla pancia, costringendolo a piegarsi dal dolore. Non poté fare niente per evitare una ginocchiata in pieno viso che gli fece sanguinare il naso.
Si preparò per un altro colpo, ma una voce interruppe il massacro.
<< Allontanatevi subito >>
Ordinò qualcuno che Lorcan non riconobbe. La voce era familiare, sapeva di averla ascoltata e di averci parlato anche più di una volta, ma allo stesso modo aveva capito che era da troppo tempo che non l’ascoltava per riconoscere davvero di chi fosse.
<< Tre contro uno. Che schifo >>
Il Serpeverde alzò il viso, incontrando i lineamenti conosciuti di James Sirius Potter che li fissava con disgusto. Ma non fissava con disgusto lui, non lo disprezzava.
Il ragazzo era apparentemente rilassato. Le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa, le gambe rilassate, la bacchetta lasciata nella tasca interna del mantello senza nemmeno provare a prenderla.
Il capo dei tre rise.
<< Ma quindi hai una storia con entrambi i Potter? Mh, interessante. In questa scuola ci sono più malati di quanti mi aspettassi >>
Quella parola colpì Lorcan. Malati. Era questo che era? Malato?
Scosse la testa con convinzione. Essere gay non era una malattia. Non era sbagliato. Lo sapeva, lo sapeva, lo sapeva. Ma allora perché era così facile credergli? Perché era così facile convincersi di essere lui quello sbagliato? Perché quelle parole risultavano così vere?
James fece per ribattere, ma non ci riuscì perché un lampo di luce colpì il ragazzo che teneva Lorcan al muro in pieno petto e fu scaraventato sul muro poco distante da loro.
Tutti si girarono osservando stupefatti una ragazzina con la bacchetta sguainata. Tutti riconobbero le treccine e gli occhi circondati di nero. Alice si avvicinò con lentezza a colui che aveva appena schiantato e si piegò sulle ginocchia per poterlo guardare negli occhi.
Era furiosa, ma sorrise, quasi angelica.
<< Sì, hai ragione, ci sono più malati di quanti mi aspettassi in questa scuola e tu sei quello messo peggio >>
Nello stesso momento un rumore sordo di qualcuno che venina sbattuto al muro attirò l’attenzione di tutti i presenti, compresa quella di Alice.
Lysander Scamander aveva appena inchiodato uno degli aggressori alla parete e con un braccio gli spingeva il collo. Il viso era trasfigurato in una smorfia d’ira e non c’era traccia del sorriso che aleggiava sempre sulle labbra.
Quello era suo fratello.
<< Non. Azzardatevi. A. Toccare. Mio. Fratello. Mai. Più >> scandì ogni parola, rafforzando la presa ad ogni lettera.
Gli sferrò un cazzotto in pieno viso e poi lo lasciò cadere, resistendo alla tentazione di prenderlo a calci.
<< Se vi vedo ancora intorno a Lorcan vi farò pentire di aver anche solo pensato di avvicinarvi >> minacciò con voce cupa. 
<< Siete gay entrambi. Ma che è, una cosa di famiglia? >> disse l’unico dei tre che era rimasto in piedi.
James fece un passo in avanti nello stesso momento in cui Lysander si avvicinò ed Alice impugnò di nuovo la bacchetta, ma tutti vennero interrotti da una voce. Che non era quella dei ragazzi a terra né quella di Lorcan.
<< Che succede qui? >>
Albus Potter si avvicinò al gruppetto, osservandoli tutti. Guardò suo fratello e lanciò un occhiata perplessa a Lysander ed Alice prima di soffermarsi su Lorcan. E capì.
Lo guardò sofferente e capì cosa fosse successo.
<< Stai bene? >> chiese, avvicinandosi a lui e cercando di aiutarlo a mettersi in piedi.
Lorcan lo fissò incredulo e guardò tutti gli altri con la stessa espressione. Ma che cos’era, una congiura?
Avevano deciso di farsi tutti una passeggiata quando lo stavano picchiando? Doveva davvero sorbirsi anche quell’umiliazione?
Per la prima volta desiderò di non aver incontrato Albus.
Che ironia di merda che ha la vita.
<< Sto bene >> si alzò e si staccò dall’amico, guardandolo con dolore.
Solo vederlo gli faceva male.
Si avvicinò al fratello e gli posò una mano sulla spalla e guardò gli altri due con gratitudine.
<< Ce la faccio da solo >> disse sicuro.
Perché si era stancato di essere salvato. Non ne aveva bisogno, sapeva farlo per conto suo. Poteva benissimo salvarsi da solo.
Si avvicinò all’ultimo ragazzo e per un attimo fu sul punto di colpirlo, ma poi si trattenne. Lui non era come loro.
<< Non mi importa quello che pensi. Non devo piacerti, non voglio piacerti. E se non lo sapessi, siamo nel ventunesimo secolo e l’unico che dovrebbe vergognarsi di se stesso sei proprio tu. E i tuoi amici –li indicò-. Perché è assurdo che troviate malato essere gay. Io non me ne vergogno >>
Sorrise ad Alice, scompigliò i capelli a Lysander, tirò un pugno scherzoso sulla spalla di James, che, per un attimo, si concesse un sorriso, abbracciò Albus che, dopo un momento di esitazione, ricambio la stretta amichevole e se ne andò.
Questa è la mia vita. E la rivoglio.
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
Ecco qui il quattordicesimo capitolo! So di essere un po’ in ritardo, ma sono stata leggermente impegnata ultimamente. Però in questo momento mi trovo al letto malata e ho pensato che fosse davvero ora di aggiornare.
Credo che prima della fine della prima parte della storia, la situazione di Lorcan non si risolverà. Nel senso che verrà lasciata in sospeso così, sia con Albus che con Louis, perché ci sono molti altri personaggi che avranno uno spazio.
Dopo di che, volevo ricordarvi FACEBOOK e semplicemente chiedere una piccola recensione per sapere cosa ne pensate.
Ringrazio che legge, segue/preferisce/ricorda la storia e soprattutto chi recensisce!
Ci sentiamo presto!
  
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