Il Drago e le Sette
Sfere
Stasera andrò a vedere “Le Sette Sfere” al cinema Onion.
Un rappresentazione cinematografica del mio fumetto preferito, dove i
protagonisti sono alla costante ricerca di queste sfere magiche in grado di
esaudire i desideri più disparati.
Gli altri ed io ci siamo dati appuntamento al Namec, per un
frullato prima della proiezione. Ho sempre adorato questo locale: tutti i
ragazzi popolari vengono qui per chiacchierare e “farsi vedere”, per
intrecciare le loro esistenze con pettegolezzi che, in un modo o nell’altro
faranno comunque parlare di sé.
Il Namec è appunto una livella sociale: se sei qui, sei nel giro,
altrimenti sei tra coloro che, oltre a riempire i corridoi della scuola come
una massa indistinta, sono sconosciuti ai più.
Adesso, mi piacerebbe far parte degli sconosciuti; poter pensare
ai fatti miei senza lasciarli analizzare da chi che sia, come sta accadendo in
questo momento. Sento addosso gli sguardi di tutti. Il privilegio di essere una
rappresentante d’istituto in pieno marasma sentimentale ed esistenziale!
“E a te, Bulma, cosa piacerebbe desiderare?”, mi chiede Yamcha,
succhiando il suo frullato all’arancia.
“Ecco… “, passo in rassegna i miei pensieri, “Che domande! È ovvio
che chiederei la giovinezza eterna, per restare sempre bellissima!”, rispondo
spavalda ma sto mentendo.
“Ma sarai sempre bellissima, tesoro!”, è l’immancabile commento
del mio ragazzo.
In realtà, preferirei avere un fidanzato come si deve, invece sono
rimasta intrappolata dai miei stessi principi. Avevo promesso a Yamcha che
l’avrei perdonato. E l’ho perdonato, semplicemente per aver perso interesse
alla vicenda. Sono successe tante cose terribili in questi ultimi giorni, e
sarebbe stato sciocco rimuginare su una ragazzata come quella tra di noi.
Vorrei tagliar corto, ma sono assolutamente incapace di dare una
spiegazione alla fine del nostro amore. Lasciarlo per via di ciò che ho vissuto
in questi giorni, mi pare una bassezza nei confronti di Vegeta: non è questo il
motivo e fungerebbe soltanto da scusa.
Lui è stato scorretto, tuttavia il mio orgoglio mi impedisce di
usare la sua infedeltà come motivo per troncare la nostra relazione,
soprattutto dopo aver concesso il perdono. Passerei per una pusillanime e non
mi va affatto.
Dire di non amarlo più, dopo averlo perdonato proprio per amore,
sarebbe un altro colpo basso, oltre che conferma di vigliaccheria! Eppure
ricordo di averlo perdonato proprio in forza di un sentimento che ora non sento
più e non riesco a spiegarmi perché.
C’è bisogno di un perché dopotutto? Non basterebbe semplicemente
dire “Non ti amo più?”, ci resterebbe male e mi odierebbe! Non voglio essere
odiata.
Soprattutto, non riesco a sentirmi perfettamente a mio agio qui al
Namec, sia per la civetteria degli altri compagni di scuola sia per il mio
stato d’animo, non completamente in linea con quello che potrebbe definirsi
“normale”.
“Smettila di chiamarmi tesoro, Yamcha, è da bambocci!”, lo
riprendo, scontrosa, “E comunque è ora di andare! Il film inizia solo tra…”
lancio un’occhiata all’orologio, “appena trenta minuti”, farfuglio
tirandolo via dalla sedia e da questo postaccio. Maledetta me per
esserci voluta venire!
“Un momento Bulma, lasciami almeno finire il mio drink! E poi Goku
e gli altri non sono ancora qui!”, protesta. Glielo darei in testa il suo drink,
se non fossi sicura di calamitare maggiore attenzione dagli astanti. O forse
dovrei dire spettatori? “Vorrà dire che non vedendoci ci raggiungeranno
direttamente là!”
E dire che una volta sentirmi al centro dell’attenzione generale
mi inorgogliva; adesso mi è solo d’impiccio. Probabilmente perché sono la prima
a non capire un accidenti della matassa sentimentale in cui mi sono impigliata
da sola; l’interesse degli altri mi è inutile, se non riesco a trovare, io stessa,
il capo del filo.
Ci mettiamo in fila per entrare, “Non capisco perché hai
voluto iniziare la fila da adesso, Bulma!”
“Senti, Yamcha, sono già di pessimo umore e sai bene perché, una
boccata d’aria non può che farci bene.”
“Potevamo farci una passeggiata, se era questo che volevi”,
raramente Yamcha sprizza tanta logica come questa sera.
“Così poi saremmo entrati per ultimi!”
“Tanto dobbiamo ancora aspettare gli altri.”
“Allora, vorrà dire che compreremo i biglietti anche per loro!”
“Come se ci fosse una fila disumana, siamo venuti oggi proprio
perché ci sarebbe stata poca gente, visto che la prima c’è stata ieri. Ricordi?
È stata una tua idea!”
“So benissimo che è stata una mia idea, grazie! Ma non è un buon
motivo per entrare per ultimi e beccarsi dei posti in ultima fila.”
Sarebbe tutto più ragionevole se, semplicemente, gli spiegassi che
uno, restare al Namec mi metteva in imbarazzo, e che due, restare da sola a
passeggiare con lui, come un’irriducibile coppia di innamorati, mi avrebbe
fatto sentire ancora peggio.
Ho anche un terribile mal di testa che mi rende insopportabile
tutto quanto! Ce l’ho dal pomeriggio, da quando io e Chichi abbiamo iniziato a
sistemare i festoni per il ballo di San Valentino. Tutti quei cuori mi hanno
disgustata, ricordandomi la mia codardia.
“Di’ un po’, hai invitato anche lui, per caso?”
“Eh?”, faccio svogliata, “Non stavo ascoltando!”
“Me ne sono accorto che non stavi ascoltando!”, mi rimbecca
risentito, “Dicevo, hai invitato anche Arensay stasera?”, domanda infine.
“No, perché?”, Yamcha non risponde, spunta il mento in direzione
di Vegeta davanti al botteghino.
Giuro, se fossi riuscita a controllarmi meglio, non avrei agito
così. Di fatti, non appena lo scorgo, mi illumino più dell’insegna al neon del
cinema! Inizio a sbracciarmi in un saluto gioioso tanto quanto quello di un
naufrago alla vista di una nave in mezzo al mare.
A scuola ho sempre rispettato i suoi spazi, convinta volesse
restare solo per via della morte del padre.
Tuttavia, questa sarebbe anche l’occasione migliore per
avvicinarmi a lui e capire come si sente e come sta affrontando la cosa; a
scuola mi sfugge sempre con la scusa di dover studiare.
Non gli avrei chiesto nulla direttamente; vorrei solo capisse che,
nonostante tutto, io gli sono amica.
Lui ci nota, e io avvampo quando mi rendo conto di essere agitata
tanto in presenza Yamcha; la mente mi si confonde, abbasso le braccia senza dir
nulla.
Anche Vegeta resta fermo, non un cenno, indeciso?
Infastidito. Ci volta le spalle ed entra in sala.
Adesso mi vergogno di averlo saluto in modo tanto plateale! La
gioia di averlo visto mi aveva fatto dimenticare le circostanze. Insicura io
stessa dei miei problemi sentimentali con Yamcha dell’attaccamento che nutro
per Vegeta, da non rendermi conto di essere risultata del tutto fuori luogo.
All’arrivo dei nostri amici entriamo in sala anche noi.
Sono irrequieta per tutta la durata del primo tempo: continuo a pensare alla
figuraccia di poco prima. Yamcha non ha detto nulla, questa volta, ma dubito
gli abbia fatto piacere. Beh se vogliamo, nemmeno a me ha fatto piacere il suo
tradimento!
Ecco, che il risentimento torna a galla. E mi torna in mente anche
quella frase sentita in macchina con Vegeta “Si perdona finchè si ama”.
Se è vera, vuol dire che innamorata non lo sono più. Eppure, se continua a
darmi fastidio, vorrà pur dire qualcosa! Che sono gelosa. E se sono gelosa,
forse non è vero che sono del tutto indifferente a Yamcha!
Che pasticcio. E Vegeta? Perché mi evita così da quando è morto
suo padre?
Posso capire il suicidio del padre, voglio capire anche il suo
dolore; ma perché chiudersi così di fronte all’aiuto che io stessa gli ho
sempre offerto?
Ed è da questo momento che smetto del tutto di prestare attenzione
al film. Sono rivolta allo schermo, ma penso a Vegeta e a tutta quella forza
che dimostra nell’affrontare ogni tormento, la sua maturità e chiarezza
mentale. La passione che mette nel raggiungere i suoi obiettivi. Tutte qualità
che ostento ma che rivedo in lui soltanto. Mentre io ho bisogno che la mia
sicurezza arrivi dal riconoscimento degli altri, mettendomi sempre al centro
dell’attenzione, lui non basta che a se stesso, restando fedele alle proprie
convinzioni.
Adesso capisco il mio bisogno egoistico di stargli accanto: essere
amata da una persona così, mi renderebbe piena di orgoglio. Riuscire dove
nessun’altra è riuscita, dove persino C18 così simile a lui ha fallito, mi
riempirebbe piena di amor proprio.
Lo userei per innalzare me stessa.
Come può, inoltre, esserci equilibrio dove il mio attaccamento
nasce dalla pena che provo per lui?
Ha ragione. Ha ragione lui a odiare chi osa impietosirsi.
Di per sé, un riconoscimento di superiorità verso chi si reputa svantaggiato.
Ecco perché il suo orgoglio lo tiene lontano da me, perché mi evita.
Gli impongo la mia consolazione come fosse un cane bastonato,
quanto è chiaro che la condivisione e l’empatia possano esserci solo laddove ci
sia equilibrio.
Si è allontanato dopo l’incidente del padre per via del mio
atteggiamento da crocerossina. Sono io che ho rovinato tutto, con la mia
stupida apprensione da maestrina! E quindi non capisco se ne sono davvero
innamorata, o se solo bisogno, il mio, di essere apprezzata tanto quanto Yamcha
mi ha disprezzata tradendomi.
Mi sento una stupida, un cretina. La rabbia mi occlude la gola.
Che senso ha, rimuginare sui i miei sentimenti, quando io stessa sono incapace
di capirli.
Come posso continuare a mettere da parte il mio amor proprio per
un cretino come Yamcha? Io non sono così, io sono Bulma Brief!
Ed ecco che, nel mezzo di questo mio delirio di convinzioni,
qualcuno viene ad occupare il posto rimasto vuoto accanto al mio. Persino nella
penombra riconoscerei la sua improbabile capigliatura.
“Vegeta!”
“Ho finito i miei e c’era troppa fila al bancone!”, dice, afferrando
il mio pacco di Popcorn, nel contempo facendomi quasi rovesciare addosso la mia
bibita.
“Ehi, sta’ attento!” sbraito.
Shhh, Esorta una ragazza dietro di noi, che io ovviamente
ignoro, “Questo è un maglione di mohair, hai idea di come l’avresti
ridotto?”
Shhhhhh, fanno dietro di noi con più insistenza.
“Io parlo quando mi pare! Nessuno mi fa shh!” Sbraito
furiosa con una gomitata contro lo schienale della mia poltrona, per rendere il
concetto più chiaro contro quella smorfiosa che mi ha interrotto nel mezzo di
una ramanzina.
“È la raffinatezza che ti contraddistingue.” Mi prende in giro
Vegeta.
Shhhhh, ma insomma la smettete di blaterare! Lasciateci vedere
il film!
“E tu la smetti di sibilare come una lucertola, vecchia strega?”,
sbotta Vegeta, girandosi verso la donna che aveva osato indispettirlo.
“E ridammi i miei Popcorn!”, aggiungo io non appena torna a
sedersi composto; faccio per riprenderli dalle mani di Vegeta, il quale tiene
salda la presa prima di mollarla. Più di una manciata finisce a terra.
“Scusami,” sussurra suadente al mio orecchio, e sto per
sciogliermi in un perdono quando, strafottente, aggiunge, “Credevo fossi ormai
abituata alle briciole!” Spunta il mento in direzione di Yamcha, che non ha
sentito l’ultima frase ma, nella penombra, vedo la sua mascella contrarsi dal
fastidio di avere Vegeta di nuovo tra i piedi. E a ragione, considerato il casino
che abbiamo combinato. Tuttavia, più che sentirmi in colpa verso Yamcha sono
furiosa con Vegeta.
Non posso credere che fino ad un attimo fa stavo ammettendo a me
stessa di provare qualcosa per lui. Ma stavo dimenticandomi la sua più grande
caratteristica: è un’irriducibile stronzo! Cerco di calmarmi, perché sono una
signora, altrimenti dovrei fare a pezzi tutto il cinema. Non voglio comunque fargliela
passare liscia. Mi preparo a rispondergli a tono, quando Yamcha,
cavallerescamente propone sussurrandomi: “Se ti sta dando fastidio lo sistemo
io!” credendo sia tutta colpa di Vegeta, quanto in realtà siamo complici.
Ricordo ancora com’è finita l’ultima volta che ha pensato a sistemarlo!
Allora desisto, per evitare ulteriori complicazioni.
“Ciao, Vegeta!”, saluta Goku alzandosi quando, a fine
proiezione, accendono le luci della sala, “Cosa ci fai qui?”, domanda, quasi
ricadendo dalle nuvole.
“È un cinema, mi pare ovvio cosa ci faccia!”, risponde l’altro,
piuttosto spiccio, la cui scontrosità non riesce ad intaccare la giovialità del
mio amico.
“E ti è piaciuto il film?”, continua infatti quest’ultimo già
infilando un braccio nella manica del giubbino.
“Non credo ci abbia fatto molto caso!”, si intromette Yamcha,
riferendosi al teatrino tra me e Vegeta.
“A me sono piaciuti molto i Sayan,” cerco di smorzare i
toni, “Soprattutto il Principe senza regno, è così affascinante!” Faccio
sognante.
“Il Principe? Ma è un psicopatico.” Controbatte Crilin, “Un
assassino senza scrupoli che pensa solo a se stesso!”
“Beh non è quello che facciamo tutti?”, ribatte Vegeta, in difesa
del personaggio, “L’unico con un po’ di personalità.”
“É poi quel suo passato tormentato! Ho sempre avuto un deboli per
i cattivi!”, concordo congiungendo le mani in adorazione.
“Beh, io preferisco il ragazzo lupo.”, dice Yamcha, mentre
ci avviamo all’uscita, sentendosi messo da parte.
“Ah sì? E quale sarebbe la sua specialità oltre ad essere il primo
a morire?” lo sbeffeggia Vegeta, ridendo, “É quello con meno spina dorsale.
Sai, mi ricorda proprio qualcuno!”
“Cosa vorresti dire?”, domanda Yamcha minaccioso, mostrando il
pugno. Ultimamente è particolarmente suscettibile su tutto, soprattutto quando
Vegeta è nei paraggi.
“Coraggio, ragazzi, non litighiamo.” Riporta la pace Goku.
“E chi litigava, ho solo evidenziato un dato di fatto.”
“È un personaggio leale e che sbaglia e lo ammette! Il tuo,
invece, manda tutto in rovina a causa del proprio orgoglio e della sete di
potere”
“Io non la chiamerei sete di potere, quanto voglia di libertà!”,
controbatto con aria saputa, alzando un indice, “È vero che le sue azioni sono
tutt’altro che lodevoli, ma chiunque, con quella storia alle spalle, avrebbe
agito allo stesso modo!”
“Vuoi forse dire che è giusto calpestare gli altri per il proprio
egoismo?”
“Attento Yamcha, mi pare la tua difesa stia prendendo una brutta
piega.” Stiletta Vegeta, mellifluo e trionfante. Anche Yamcha non ha mostrato
molto altruismo quando ha calpestato i miei. Tuttavia non credo che l’intento
di Vegeta sia stato di difendermi, quanto piuttosto di mettere zizzania: ha
trovato un solido appiglio, e adesso lo sta caricando con tutto il peso. Gode
parecchio a riversare i suoi sentimenti ombrosi sugli altri, vuole che tutti
entrino nelle sue tenebre. Infatti continua, “Anche l’altruismo può essere una
forma di egoismo, se non vado errato. Lo sapresti se avessi studiato
filosofia!”, bercia, riducendo il discorso ad una glorificazione della propria
cultura. Sto quasi per concedermi un sospiro di sollievo pensando,
ingenuamente, sia finita lì. Com’è ovvio, tuttavia, dopo aver colpito non può
che affondare, “Ma sono discorsi troppo complicati perché un idiota come te li
capisca!”.
L’idiota in questione sta per ribattere, già lo vedo
stringere i pugni, quando Chichi fa “Beh, se volete saperlo a me è dispiaciuto
che quel ragazzino non abbia potuto finire gli studi!”.
“Oh Chichi, possibile che pensi sempre a studiare?” Ride Goku,
cingendola con un braccio.
“A proposito di studio, ragazzi, mi avete ricordato che devo
finire la relazione di storia per domani!”, si rattrista Crilin, affatto
allettato dalla prospettiva di dover finire la serata tra i libri.
“Inutile che ti sforzi, tanto farà schifo lo stesso!”, si sente,
però, in dovere di puntualizzare Vegeta con cattiveria; evidentemente non
contento di non essere ancora riuscito a rovinare la serata a tutti, di
portarci tutti nel suo baratro.
“Scusa tanto se non siamo tutti sapientoni come te, Vegeta.” Si
difende Crilin, squadrandolo con astio.
“Guarda, guarda che coraggio!”, ghigna, cinico, Arensay, “L’altra
volta non mi sei parso così spavaldo, quando ho rotto il naso al tuo amico.”
“Adesso basta, Vegeta!”, lo riprende Goku, questa volta con un
cipiglio serio, per nulla adatto al suo viso da bambino.
“Perché altrimenti l’eroe della favola mi riempie di
botte?”, gli punta un dito contro, chiamandolo per cognome, “Non ho paura di
te, Kakaroth!”
“Vuoi fare a pugni, Vegeta?”, Goku si allontana da Chichi e fa un
passo avanti, “Perché mi pare tu non stia cercando altro questa sera! Fatti
avanti allora,” lo provoca, “Ma sappi che non attutirai il rancore che provi
verso tuo padre.”
Vedo Vegeta fare un passo avanti, la folla all’uscita del cinema
si è ormai diradata; a scompigliargli i capelli tira un vento piuttosto freddo,
carico degli odori di un ristorante poco più avanti. Stringe i pugni e gli
occhi in uno sguardo che non gli avevo mai visto. Un sentimento la cui note non
riesco a decifrare; probabilmente, un sentimento che non proverò mai in tutta
la mia vita.
Poi le labbra sottili si tirano in un ghigno, l’apparecchio si
illumina dei lampioni della strada; sistema gli occhiali sul naso dritto e fa
un passo indietro, piegando la testa da un lato. “Non mi importa niente di mio
padre.” Sentenzia con un dito medio bene alzato rivolto a tutti, pima di girare
i tacchi e andare via.
E con quella precisazione, credo di capire perché ha evitato di
battersi: probabilmente non vuole scoprirsi così tanto con noi. Prendere a
pugni Goku, o chi per lui, nonostante sia stato forse il suo intento
dall’inizio, sarebbe come ammettere due cose: che Goku ha ragione e che la sua
sofferenza e rabbia sono tali da non riuscire a contenerle.
Non appena ci dà le spalle e si allontana, capisco di essere al
bivio che, in fondo avevo sempre sperato. Una scusa per poter finalmente
scegliere tra Yamcha e Vegeta. L’occasione di sentire in me stessa chi vorrei
davvero seguire. Con mia grande sorpresa, però, mi accorgo che non mi va di
seguire nessuno. Due rette indipendenti nella stessa direzione, ecco
com’è una relazione, senza bisogno di completarsi ma solo incontrarsi.
“Yamcha,” Dico, “Torno a casa a piedi!”
“Cosa?”
E mi separo da tutti, con Vegeta già lontano, “Ci vediamo domani alla
partita, ragazzi!” Saluto sorridendo tutti come niente fosse, girata lancio uno
sguardo sbieco a lui e prendo in mezzo quella parallela d’astio tra i
miei amici e Vegeta.
Torno a casa, da sola.
Mentre camminavo sentivo che ogni passo lontano dai miei amici era
un passo in più verso Vegeta, con la testa. Vedevo la strada dritta davanti a
me, ma nei pensieri lui soltanto, con quelle spalle larghe abbastanza da
sorreggere la sua vita complicata. Senza abbattersi, sempre a combattere se
stesso per mantenersi forte, inattaccabile.
Adesso, arrivata finalmente a casa, posso dire di averlo
raggiunto, così come la chiarezza mentale che mi pervade e riscalda in questa
fredda notte invernale.
Scontroso, rude, profondo, oscuro come i sentimenti che gli
ingarbugliano l’animo e rendono fosco lo sguardo. Sono finita nel suo angolo
buio, incapace di vedere altri che lui, consapevole di non poter non percepire
la sua essenza per sempre.
Non voglio più che lui cerchi il mio aiuto, come volevo accadesse;
ma che mi cerchi senza condizioni, soltanto perché sono io.
Non gli parlerò dei miei sentimenti, perché la pietà che provo
adesso toglierebbe loro lo smalto della particolarità.
Infilo la chiave nella serratura, un piccolo intoppo a minare la
fluidità dei miei pensieri. E risento sulla mia pelle l’irrequietezza che ha
contraddistinto Vegeta per tutta la serata, in cerca solo di una miccia per
esplodere e sfogarsi; e rivedo Vegeta vacillare davanti a Goku, fermo come una
roccia che il vento attraversa ma non può scalfire, e penso.
Penso che se persino lui per un attimo avrebbe potuto perdere la
lucidità e la concentrazione che lo tiene ancorato all’imperturbabilità con cui
sta affrontando tutto questo, come potrei io non cedere difronte alla sua
tempesta? Come potrei non crollare vedendolo immerso nei suoi sogni infranti,
quando io, al contrario, sono libera di scegliere la strada che voglio?
Così il dubbio di non poter essere abbastanza, si impossessa
dell’energia che avevo recuperato solo alcuni istanti prima. Sento che “amore”
è riduttivo ed è un oceano in cui mi perdo, vasto e tempestoso, eppure di
vacillante c’è solo la certezza che lui non capisca.
Ho preso la mia decisione.
Liceo Toryama, ore 10:30.
“Bulma, sei ancora sicura di volerlo fare?”, mi chiede
Chichi apprensiva, bloccandomi il passo prima dell’entrata in scena allo
stadio. Indossa il completo da cheerleader che io stessa ho ideato per
l’occasione; è così bella che dovrebbe bastare a darle sicurezza, ma il suo
sangue freddo è tradito dalla fronte imperlata di sudore. In realtà, crede la
coreografia dell’apertura della stagione di football sarà uno schifo. In fondo,
non è mai stata d’accordo con la mia idea fin dall’inizio.
“Ti renderai ridicola, lo sai?”, chiede, le mani posate sulle mie
spalle imbottite del costume di scena. Sicuramente il miglior vestito abbia mai
indossato! “Cosa penserà Yamcha?”, decisamente nessuna della mie proposte le
era parsa abbastanza ragionevole.
“Oh Chichi, a dirla tutta non mi importa nulla di quello che
penserà lui. È una questione di principio capisci? Qualcuno doveva pur far
qualcosa,” mi libero dalla mani di Chichi e sistemo i capelli in una coda di
cavallo che sa di fragola, “Marion ha finalmente l’occasione di combinare
qualcosa di buono, sta a lei coglierla.” Mi tolgo un pelucco dalla
bocca.
“Non credi di mandare un messaggio sbagliato?”
“Oh santo Dende, Chichi, il mio messaggio arriverà. Forte e chiaro
a chi di dovere.”
“Credo ancora sia meglio parlargli direttamente e dirgli come ti
senti, invece di questa messa in scena. Sono sicura Yamcha capirà!”
Sbuffo, questa conversazione inizia a starmi stretta più dei
collant che indosso! “Non capisci, Chichi. Ho detto che il messaggio arriverà.”
Dico risoluta, e adesso sono io a poggiarle le mani sulle spalle.
“Ora si va in scena!”, con un occhiolino decreto la questione
conclusa; infilo gli ultimi dettagli del costume e corro via, in posizione.
Ho la bocca secca. Sono terrorizzata. Mi volto verso Marion, la
quale, questa mattina, non era tanto convita del suo ruolo di oggi; se ne aspettava
un diverso, prima che io cambiassi i piani all’ultimo minuto, e ora teme di
fare una figuraccia.
Deglutisco, anche se non ho abbastanza salivazione per farlo. La
mani inguantate e sudate, le stringo a pugno. La canzone parte. La coreografia
inizia. Spettacolare e colorata! Forse troppo per un liceo, ma ho voluto fare
le cose in grande, affinché il mio messaggio arrivi, chiaro e forte come questo
sole freddo di oggi.
Sento gli sguardi di Yamcha seguire la coreografia. Avrà
sicuramente gli occhi fissi su di Marion che sgambetta incerta nel suo costume
vistoso e ingombrante, inondata dalla sua capigliatura turchina e particolare,
come la mia.
È bellissima.
Indossa il costume più bello, scelto da me. Una
maschera ottocentesca le copre il volto, e pare quasi ci sia io lì dietro. Lo
pensano tutti. Lo pensa anche lui. Non riesco a vederlo, ma immagino il
suo ghigno strafottente. Crederà io sia una bamboccia.
La coreografia giunge al termine, ci riuniamo in gruppo al centro
del prato; un turbinio di colori carnevaleschi, come da tema. Ed io, al centro,
vengo sollevata in alto dalle mie compagne in quanto mascotte della
squadra: un goffo, voluminoso, puzzolente drago verde dalle “zampe” in
calzamaglia gialle. Lanciano tutte la loro maschere eleganti in aria.
Poco prima che la canzone finisca, mi libero anch’io dell’enorme
casco di peluche; un colpo di testa fuori copione. Ed eccomi, struccata,
sudata, con i capelli, non più di fragola, appiccicati al volto accaldato su
cui soffia l’aria fredda di questo Febbraio. Sfoggio il mio sorriso più
brillante; il petto scosso dal fiatone. Mi sento bellissima e forte.
Invincibile.
Finalmente Vegeta capirà di che pasta sono fatta! Bella, senza
bisogno di artefici per sembrarlo; risoluta, perché solo lui può capire il mio gesto
fino in fondo. La migliore, e considerata tale anche senza mascara e inondata
di sudore.
Guardo lui, dopo averlo scorto, da solo, poggiato alla fine degli
spalti. È troppo lontano per capire la sua espressione, ma immagino un ghigno
su quelle labbra sottili.
Io posso scegliere dove stare e non raccolgo le briciole di
nessuno, perché sono Bulma Brief e sono capace di restare sempre me stessa,
Vegeta.
Scendo giù a terra. Raccolgo la testa di drago, trofeo della mia
vittoria personale. Gli occhi sono comunque puntati su di me, continuo a
sorridere mentre mi avvicino ad un confusissimo Yamcha. Non ha prestato la
minima attenzione al fagotto verde che saltellava ridicolo dietro alle bellezze
mascherate; guardava Marion, convinto fossi io. Ora guarda me con aria da
ebete.
Gli mollo il testone da drago addosso, “È finita, Yamcha!”, dico
raggiante senza ammettere repliche. Nemmeno mi interessano, che faccia pure una
partita di merda, pensando a me. Me ne frego.
Alla fine delle lezioni ne parlano ancora tutti, e ne
avrebbero parlato per settimane. Bulma Brief, la reginetta della squadra delle cheerleader,
intrappolata in un costume mefitico per portare alla ribalta la ragazzetta
che aveva osato andare a letto col suo ragazzo. Un piano così bene
architettato, dicevano, che la poverina non capiva di essere stata fregata,
nonostante sia stata la più bella della coreografia.
Vegeta, spero tu capisca che sbagli a considerarmi come gli altri,
che non puoi ridurre a pietà le mie attenzioni verso di te e il mio orgoglio
non sarà mai infranto. Nemmeno dal tuo.
Non ci siamo rivolti nessuna parola, né sguardi, per tutta la
durata della giornata scolastica. Eppure io mi sento trionfante, perché la mia
presenza è impertinente anche quando ci ignoriamo, Vegeta.
All’uscita di scuola mi aspetta tuttavia una brutta sorpresa: C18,
l’unica virgola fuori posto di questa giornata. Bellissima e glaciale, avanza
verso di me, nella divisa grigio e ocra del Liceo Lemon, prendendosi la scena
che, fino a quel momento, era stata mia soltanto.
Resto sorridente, e sorridente l’accolgo mentre lei mi sbatte in
faccia il volantino colorato del Ballo degli Innamorati, “Di’, l’avete
già fatta questa pagliacciata?”
“Come ti permetti di definirla così! Sono io stessa
l’organizzatrice, in quanto rappresentante d’istituto, e sarà una festa
fantastica!”
“Ma non mi dire…”, sbeffeggia, gli occhi le scorrono sul
volantino, “Avete già trovato la band per la serata?”.
“Veramente non ancora!”, esclama Chichi, “Sai con tutto quello
che è accaduto, abbiamo dovuto posticipare i preparativi. La festa non si terrà
che questo week-end.”
Rifilo a Chichi una gomitata, “Piuttosto che ci fai qui?”,
domando.
“Fai parte del Liceo Scientifico Lemon, non è così?”, le chiede,
però, anche Crilin, mentre si stropiccia le mani sudaticce, toccandosi gli
indici, leggermente arrossato.
“Mi pare ovvio!”, stiletta lei, riferendosi alla sua divisa, senza
raccogliere il tentativo di conversazione iniziato dal mio amico, degnato
neache di uno sguardo. “Sei sempre l’ultimo ad uscire.” Dice poi la ragazza,
sorpassandoci tutti alla volta di Vegeta.
Il cuore mi batte forte. “Bulma, dobbiamo parlare, è tutta la
giornata che cerco di farlo!”, arriva Yamcha, inopportuno.
Accidenti, “Non adesso, Yamcha!”, infatti sono più curiosa di
sapere di Vegeta e C18. Credevo si fossero lasciati. Maledizione, con questa
folla e chiacchiericcio (provocato da me tra l’altro), non riesco a sentire
cosa si dicono quei due.
“Bulma, ti prego ascoltami!”, mi riprende per un braccio, “Mi
dispiace non aver guardato te, durante la rappresentazione, non credevo che
quella in maschera fosse Marion.”
Ecco come Yamcha non ha capito un accidenti di quello che
intendevo: pensa me la sia presa per questa sciocchezza. “Sul serio, Yamcha,
non importa!”, lo rassicuro un po’ distratta, mentre cammino verso Vegeta e C18
che si stanno allontanando insieme.
Yamcha mi si para, tuttavia, davanti, ed arriva anche Marion. Oh
no, il piano mi si sta rivoltando contro, proprio adesso! Ho gli occhi di tutti
puntati addosso, tranne i loro che continuano per i fatti propri.
Ho perso la salivazione, l’odore nauseabondo del costume che ho
indossato questa mattina mi torna nei polmoni.
Yamcha e Marion mi parlano, ma io non gli ascolto, concentrata su
Vegeta e C18 che stanno litigando?
In tutto questo marasma, mi paiono in una bolla inaccessibile.
Irraggiungibile. Che sia stato tutto inutile? Che il significato del ghigno di
Vegeta sia stato di disprezzo, anziché approvazione?
C18 gli punta il dito contro.
“Bulma ti prego, perdonami!”
“Bulma, mi prendono tutti in giro oggi, spiegami perché!”
Ma non ascolto questi due, tra le fessure dei loro corpi paratimi
davanti, intravedo Vegeta scuotere la testa. Il cipiglio indispettivo di C18,
che lancia nel vuoto un oggetto dal bagliore metallico.
“Fottiti, Vegeta!”, le leggo sulle labbra, prima di vederla
sparire.
“Cavolo!” esclamo, sconsolata, intrappolata nella mia stessa
macchina della gloria. Quando finalmente riesco a liberarmi, con gli
occhi di tutti puntati addosso, mi getto verso il cancello dell’uscita alla
ricerca di Vegeta e della bionda. Spariti.
Continua...
Nuovo capitolo, lungo e succoso (lo spero!).
Spero anche che vi sia piaciuto. Non posso promettervi nulla riguardo la
velocità con cui verrà postato il prossimo capitolo (avrete ormai capito che
gli aggiornamenti sono piuttosto random!), dico solo che sono stata travolta da
un'ispirazione inaspettata e che, quindi, potrebbe già essere in cantiere!
:P
Grazie a tutti coloro che, di recente, hanno aggiunto
la storia alle seguite (come Died e Bibi84), alle preferite e alle ricordate!
:)