Avvertenze: Menzione
di atti sessuali, senza entrare nei dettagli; uso di un linguaggio non
lindo e pulito.
Parte II
Where did all the people go?
They got scared when the
lights went low
I'll get you through it
nice and slow.
When the world's
spinning out of control.
Afraid of what they
might lose
Might get scraped or
they might get bruised.
You could beg them,
what's the use?
That's why it's called a
moment of truth
Soldier- David DeGraw
15
Questione di adattamento
Matt spalancò gli occhi e si portò
seduto ancor prima di svegliarsi completamente. Grugnì
contro la luce debole dell'alba, troppo improvvisa per non bruciargli
gli occhi. Si passò una mano sul volto, cercando di
allontanare il sottile strato di sudore che nella notte si era
depositato e raffreddato. Mentre le immagini oniriche vorticavano nella
sua mente, posizionandosi in punti lontani e bui, si guardò
attorno alla ricerca di un appiglio alla realtà.
Incontrò la testa arruffata di Kelly, steso di pancia con il
cuscino stretto tra le braccia. Riuscì a sorridere, pensando
che un giorno avrebbe dovuto scattargli una foto mentre era
così, addormentato e indifeso. Provò la
tentazione di carezzargli le spalle nude, ma desistette. L'orologio lo
informava che era troppo presto per svegliarlo, e troppo tardi per
tornare a dormirgli accanto.
Spingendo l'ansia notturna in un angolo e pervaso da un
senso di inquietudine, scivolò fuori dalle lenzuola e
raggiunse il bagno in punta di piedi.
La doccia avrebbe svegliato Kelly, che malgrado ronfasse
quietamente aveva un sonno piuttosto leggero, quindi optò
per abbondanti getti d'acqua sul volto. Più fresco e pulito,
tornò in camera e indossò velocemente pantaloni,
t-shirt e felpa.
Aveva bisogno di correre fino a sentire i muscoli bruciare e
le memorie degli incubi allontanarsi. Solo allora, si disse, sarebbe
stato pronto per il suo primo turno dopo la lunga degenza.
Kelly aprì gli occhi al suono
insistente della sveglia. Abbatté una mano sul macchinario
infernale, riducendolo velocemente al silenzio, prima di stirarsi
pigramente e rotolare su un fianco. Con occhi ancora chiusi,
tastò l'altra metà del letto, trovandola vuota e
fredda. Aprì un occhio e sbuffò, decidendo di
alzarsi e lavarsi. Nel tragitto per il bagno, prese nota dell'assenza
dei pantaloni e della vecchia t-shirt del CFD che Matt indossava per
correre. Non si sorprese che fosse già uscito e che non
l'avesse svegliato. Se c'era una cosa che Matthew sapeva far bene era
defilarsi come un dannato gatto.
Sotto il getto fresco della doccia,
pensò a tutte le cose che il suo corpo aveva imparato su
Matt. Le sue dita avevano esplorato ogni angolo, ogni osso e ogni
muscolo sotto la pelle; conosceva come fosse propria quella piccola
cicatrice sotto l'ascella, e lui, ridendo, gli aveva raccontato di
essere caduto dalla slitta l'unica volta che l'aveva usata. Conosceva i
punti che lo rilassavano, quanta pressione esercitare con le mani prima
di lasciare lividi sulla pelle chiarissima, o dove bastava sfiorarlo
per farlo sciogliere. Poteva sentire il suo corpo sotto le dita anche
quando non c'era.
Matt, dal canto suo, sembrava sapere già nella
prima settimana come muoversi per ridurlo a una massa gorgogliante di
piacere e conforto. Aveva sempre dato credito all'arguzia e alla
capacità di osservazione del biondo, ma non avrebbe mai
potuto sognare un amante migliore.
Lavando i denti, un'asciugamano avviluppata intorno alla
vita, ripensò a tutto il contorto, ai vizi e le piccole
bizzarrie, a cosa Matt amasse mangiare e cosa cucinare, alla posizione
in cui dormiva -steso sulla schiena, il cuscino tenuto saldo con un
braccio e l'altra mano sempre in cerca del corpo di Kelly- e tutti quei
dettagli che nel complesso gli davano sicurezza di appartenenza.
Guardandosi allo specchio mentre si radeva la barba di due
giorni, si ritrovò a sorridere, riportando alla mente le
mille sfumature di sorriso di Matt. Le conosceva già quasi
tutte, tranne alcune e una in particolare. C'era un sorriso che lui
aveva cominciato a mostrargli all'inizo della seconda settimana, al
mattino. Era ampio, l'angolo sinistro della bocca leggermente
più sollevato, e rughette tutte intorno agli occhi, la
fronte rilassata e...accidenti, quel luccichio nelle iridi e
giù in fondo alle pupille...Kelly sentiva il petto
infiammarsi ogni volta. Non era certo di come classificare quel
sorriso, ma la cosa più vicina che gli veniva in mente era amore. Non come
l'amore che lui aveva avuto per Renee e Matt per Hallie. Non come
l'amore per Shay, o per sua madre. No, era un misto di tutti questi e,
se avesse ricordato bene le lezioni ai tempi delle scuole, avrebbe
detto che quel sentimento era più della somma delle sue
parti.
Accorgendosi di star fissando in modo assente lo specchio
con un sorriso che, lo sapeva, Shay avrrebbe tirato in ballo almeno per
una settimana, indossò jeans e camicia e scese le scale,
massaggiando i capelli ancora umidi.
«Buongiorno.»
Shay si voltò e gli sorrise, mormorando un saluto
veloce prima di afferrare un recipiente di plastica e poggiarlo sul
marmo. Kelly studiò con sorpresa e sospetto l'oggetto, prima
di aprirlo e trovare all'interno una pila di pancakes.
Inarcò un sopracciglio e Shay portò le mani
davanti, muovendole in segno d'innocenza.
«Casey?»
«Esatto.»
Kelly rise e prese una forchetta dalla mano della ragazza,
sedendosi e gustando il pasto.
«Allora, oggi torna in campo?»
«Già» mugugnò
Kelly, ingoiando un boccone. Strinse le palpebre di fronte allo sguardo
perplesso di Shay, quindi si affrettò a precisare:
«Non ci provare. Lui dice che sta bene ed è pronto
e io gli credo.»
«Ha corso per tutta Chicago, credo sia
più allenato ora che prima di tutto questo schifo»
commentò Shay, aprendo il frigorifero e afferrando il suo
yogurt. Cercò un cucchiaino e lo infilò nel
bicchiere, riempiendo poi due tazze di caffé.
«Dì un po'...com'è?» chiese,
massaggiandosi l'addome e alzando un sopracciglio.
«Che vuol dire com'è?
Normale, come deve essere» rispose lui un po' troppo sulla
difensiva. «Non è un problema e non è
così brutta.»
Shay annuì, infilandosi in bocca una cucchiaita
di yogurt. Finirono la colazione in realtivo silenzio. Kelly
vuotò la sua tazza di caffé e lasciò
metà pancakes per Matt, prima di controllare l'orologio.
«Pensi che sarà un problema? Voglio
dire, tu e lui a lavoro...» disse Shay fingendosi
disinteressata, il cucchiaino che batteva traditore sul labbro.
«Cioè, non fraintendermi, non c'è
nessuno al mondo, neanche Boden, che sarebbe più felice di
me del fatto che finalmente voi due ragazzi avete smesso di beccarvi a
vicenda e avete deciso di sfogare il vostro testosterone in modo
più produttivo, ma...»
«Ma non sarà un problema»
intercettò Kelly, fissandola.
«Oh sì, sono certa riuscirete a
dividere vita privata e lavoro» disse passandogli accanto,
prima di chinarsi e sussurrargli all'orecchio: «E sono sicura che
riuscirai a tenerlo nella divisa quando i vostri corpi sudati
strusceranno tra loro su una scala.» Puntò con il
cucchiaino al cavallo dei suoi pantaloni e Kelly rise, scuotendo la
testa.
Non era certo che stesse realmente scherzando.
La porta dell'appartamento si aprì e Shay gli
lanciò un'ultimo sguardo malizioso, prima di avviarsi alle
scale e salutare Matt nel tragitto.
Il biondo quasi corse fino alla cucina e aprì il
frigorifero, afferrando una bottiglietta e svuotandola in pochi sorsi.
Si passò l'orlo della t-shirt sul volto, scoprendo per un
attimo l'addome e attirandovi lo sguardo di Kelly. Non badò
alla grossa cicatrice, ma ai muscoli tonici e al ciuffo di peli che
sporgeva dalla tuta. Incosciamente, si leccò le labbra, e a
Matt non sfuggì.
Si chinò sul bancone per baciarlo, lasciandogli
sulle labbra il sapore salato del sudore, prima di aprire il
contenitore e cominciare a spiluccare i pancakes.
«Se continui ad allenarti così
finirò per sembrare quello pigro che sta tutto il giorno
seduto sul suo sedere» sbuffò Kelly, poggiando il
mento sul palmo della mano e osservandolo divertito.
«Potresti venire con me ogni tanto»
ritorse Matt, ingoiando un boccone.
«Potresti svegliarmi, tanto per
cominciare.»
«Non esiste. Se io ti svegliassi, non mi
lasceresti uscire dal letto» disse il biondo, puntandogli
contro la forchetta.
«Come se ti dispiacesse.»
Matt gli lanciò un'occhiata torva, ma le sue
labbra si curvarono in un leggero ghigno.
«Qual è il tuo tempo? Sono sicuro che
posso batterlo.»
«E' tutto una competizione, per te. Ecco
perché non ti sveglio per correre.»
«Paura di essere battuto miseramente,
Casey?» lo sfidò Kelly, alzandosi e facendo il
giro del bancone per raggiungerlo. Poggiò il peso al piano,
incrociando le braccia al petto.
«Il giorno che mi batterai...» disse
Matt, lasciando la frase in sospeso.
Kelly gli poggiò le mani ai fianchi, sfiorandogli
l'orecchio con le labbra. «Io posso batterti sempre, in
qualunque campo.»
Matt poggiò il contenitore sul piano, prima di
afferrare i polsi del compagno e liberarsi dalla presa. Si
voltò, bloccato dalla sua figura, e lo guardò con
un misto di incredulità e sfida. «Sei un
bastardo» disse, baciandolo per frenare ogni protesta. Kelly
sussultò quando i denti di Matt si piantarono nel suo labbro
inferiore. In cerca di dominanza, gli afferrò la nuca,
prolungando il bacio finché non ebbe bisogno d'aria. Con le
fronti incollate e gli occhi negli occhi, gli carezzò il
collo, chiedendo a bruciapelo: «Ti senti pronto?»
«Mai stato più pronto!»
esultò Matt, scivolando via da lui e afferrando una tazza di
caffé.
Kelly non era realmente preoccupato di come la loro
relazione potesse influire sul lavoro, ma al contrario sentiva
un'improvvisa gioia al pensiero di rivederlo con la divisa, a fare
ciò che sapeva fare meglio. Non gli era sfuggito il modo in
cui i suoi occhi si illuminavano, bramosi, ogni volta che costringeva
Kelly a raccontargli qualcosa della giornata e del turno appena
concluso. L'agitazione che lo costringeva a lunghe sessioni di
allenamento era un altro importante indizio. Matt aveva bisogno di
tornare al lavoro. Non poteva far altro che capirlo ed era questa una
delle cose che lo esaltavano di più: loro potevano
comprendersi ad un livello inaccessibile ad altri. Erano entrambi
vigili del fuoco ed entrambi erano passati e passavano attraverso le
stesse difficoltà. Spesso non c'era bisogno di parole o
spiegazioni, bastava uno sguardo ed era come guardarsi in uno specchio.
«Ascolta» disse in tono serio,
attirandosi un paio di occhi curiosi. «Qualunque cosa non
vada, me lo dici, okay?»
«Assolutamente.»
Si fissarono a lungo, mentre Kelly cercava di codificare il
suo sguardo e capire se fosse sincero. Altra nota di merito per Matthew
Casey: poker face invidiabile. Malgrado ciò, sorrise e lo
baciò ancora, assaporandolo quanto più possibile,
conscio che nelle prossime ventiquattro ore avrebbe dovuto girargli
alla larga.
«Andiamo a salvare la città»
disse Matt, correndo a fare una doccia.
Quando Casey varcò le soglie
dell'hangar con la sacca in spalla, tutti gli uomini della caserma 51
sembravano essere lì ad attenderlo, ingannando il tempo in
faccende di routine. Dovette far scivolare a terra la borsa, aggredito
dalla gioia dei colleghi. Ci fu un gran abbracciare e congratularsi,
battute e scherzi, un'entusiasmo che riuscì a imporporargli
il viso. In questi momenti, Matt si sentiva parte di qualcosa che non
era famiglia, non come lui l'aveva conosciuta, ma andava ben oltre.
Nessuno di loro era costretto da vincoli di sangue o affetto, piuttosto
genuinamente contenti di vederlo ancora in piedi.
«E chi lo spezza» disse Hermann, ridendo
e stringendogli una spalla.
Quando Gabby si avvicinò, il sorriso di Matt si
strinse di poco, ma abbastanza perché lei lo notasse e lui
lo vedesse riflesso nei suoi occhi scuri. Si guardarono per un attimo,
mentre Matt cercava di elaborare cosa fare. Non era un mistero che si
fosse trasferito -momentaneamente-
da Kelly e Shay; tutti alla Caserma erano passati di lì a
salutarlo, tutti tranne Gabby. L'aveva vista un paio di volte ad un bar
ed erano riusciti a bere sopra l'imbarazzo. Sapeva che era andata
avanti e aveva ripreso a vedere Mills e ne era contento, credendo che
ormai ogni disagio fosse passato. Ma per qualche motivo questo incontro
era diverso.
«Bentornato, Casey» disse alla fine
Gabby.
Lui la abbracciò, sentendosi sollevato. Il loro
rapporto non sarebbe mai più stato come prima, ma potevano
lavorarci. Quando sciolsero l'abbraccio, Matt lanciò
un'occhiata a Severide che, in disparte, gli sorrise e
annuì.
«Matt!» tuonò la voce
profonda di Boden.
Si strinsero la mano e il sorriso dell'uomo era
più grande di quanto lo avesse mai visto.
Quando l'entusiasmo scemò e gli uomini tornarono
alle loro faccende, Boden fece cenno ai due tenenti di seguirlo nel suo
ufficio.
Giunti dentro, chiusero la porta e attesero che il
Comandante, poggiato alla scrivania con le braccia incrociate sul
petto, parlasse.
«Allora, come procede?»
«Perfettamente, Capo» rispose Matt con
un sorriso tranquillo sulle labbra e quel suo sguardo da il mondo è bellissimo.
Boden lo squadrò, quindi guardò
Severide, che scrollò le spalle. «Bene, quindi sei
pronto a tornare in pieno servizio?»
«Assolutamente. Due giorni fa ho fatto il test
fisico e sono in piena forma. Callighan ha dato il via
libera.»
«In questo caso» disse Boden,
visibilmente sollevato. «Bentornato alla 51.»
Si strinsero ancora la mano con decisione.
«Grazie, Capo.»
L'uomo annuì, poi fece il giro della scrivania e
si sedette, sventolando una mano per invitare i due tenenti ad
imitarlo. La sua espressione era velocemente mutata in concerno e una
sorta di tristezza sommersa.
«Qualcosa non va?» chiese Kelly,
risistemandosi sulla sedia.
«Ieri mattina il Detective Dowson è
passato dal mio ufficio e mi ha lasciato questo» disse Boden,
passando a Casey un file.
Kelly lo vide irrigidire la schiena e aprire la cartella con
un cipiglio di concentrazione. Sul suo voltò
passò sorpresa, subito sostituita da una muta rabbia. Ogni
tratto si tese. Kelly si sporse a osservare, alzando un sopracciglio in
direzione di Boden.
«Quello è tutto ciò che
hanno sui due incidenti» disse il Capo, incrociando le dita
sulla scrivania.
Matt chiuse il fascicolo e lo alzò in aria,
mostrando la scritta stampata in rosso.
«Caso chiuso?» recitò con
sarcasmo.
Boden annuì in modo greve. «Antonio
dice che hanno fatto il possibile, ma senza ulteriori sviluppi devono
chiudere il caso.»
«Quindi? Che facciamo?»
sbottò Kelly.
«Noi nulla, Tenente Severide. Non siamo la
polizia.»
Kelly aveva voglia di urlare che al diavolo la polizia, loro
dovevano pagare, ma lo sguardo duro di Boden lo inchiodò al
suo posto. Invece che dar di matto, scrutò Casey. Era
immobile, gli occhi fissi sul fascicolo e le dita serrate intorno alle
carte.
«Mi dispiace, Matt-»
«Non hanno altre prove che l'identikit, giusto?
Anche se li prendono, non basterà un identikit per
inchiodarli» argomentò Casey. Kelly cominciava
seriamente a preoccuparsi, perché dal volto del compagno non
traspariva alcuna emozione.
Boden sospirò e accennò un
sì con la testa. «Quello, e la tua
testimonianza.»
«Va bene» disse il biondo alzandosi.
«Posso uscire?»
Il Capo si alzò di riflesso ed estese un braccio
in segno di consenso. «Vai pure, Matt.»
Matt non attese altro, uscendo dall'ufficio.
Quando Severide lo raggiunse agli armadietti, lo
trovò senza maglietta e intento a cambiarsi. La stanza era
vuota e, malgrado sapesse che era inopportuno e che Matt avrebbe potuto
dargli un pugno solo per averlo pensato, non resistette a passargli una
mano sulla schiena. Lo sentì tendersi, senza fermarsi dal
suo armeggiare in cerca, Kelly lo sapeva, di null'altro che una
distrazione.
Avrebbe potuto dire mille cose per tentare di sollevarlo, ma
sapeva che nulla avrebbe realmente funzionato. Invece, gli
massaggiò le spalle con entrambe le mani, delicatamente. Si
chinò e gli baciò il collo al di sotto della
linea della mascella, lì dove Matt preferiva.
«E' tutto okay» mormorò il
biondo, chiudendo l'armadietto.
Kelly fece scivolare le mani sui suoi fianchi, saggiando con
i polpastrelli la pelle grinzosa della cicatrice. Matt
sussultò appena, ma si rilassò dopo un altro
bacio sulla nuca.
«Lo so» disse il moro sul suo orecchio,
sentendolo rilassare la schiena contro il proprio petto.
Il suono acuto della sirena li preparò all'azione
ancor prima che la voce gracchiasse ordini.
Ambulanza 61,
Camion 81, Persona in difficoltà-
Kelly si bloccò, guardando interrogativo Matt.
«Turno mio di salvare il mondo» disse
mentre infilava la t-shirt.
Il sorriso che gli rivolse era calmo ma non forzato. Uno di
quelli che gli dicevano grazie e anche ho vinto.
Severide gli lasciò una pacca sul sedere,
accettando di buon grado l'occhiataccia che Matt gli rifilò.
Sentendo l'annuncio Persona
in difficoltà Matt aveva immaginato tutt'altro
scenario. Gli sembrava rude e cinico ammetterlo, ma avrebbe preferito
una chiamata più adrenalinica come bentornato.
Sentì qualcuno battergli un palmo sulla spalla e si
voltò all'istante, troppo iperattivo per frenare il
movimento. Cruz ne parve leggermente sorpreso, ma ebbe abbastanza buon
senso da non commentare.
«Bentornato, tenente» disse con non
velato sarcasmo.
«Già» borbottò
Casey, scuotendo la testa. «Una chiamata è una
chiamata. Forza, torniamo in Caserma.»
I suoi uomini si misero all'opera per recuperare i propri
attrezzi, mentre l'ambulanza caricava i duecentocinquanta chili di
donna che avevano estratto dalla casa, rompendo uno dei muri del
salotto. Matt si soffermò a pensare a quanto dura potesse
essere per una persona vivere rinchiusa nel proprio corpo e, per
qualche motivo, gli tornò alla mente l'ospedale, le garze,
l'immobilità forzata. Sentì i muscoli
appesantirsi e la gola stringersi, quindi scrollò le spalle
e salì sul camion.
Non aveva intenzione di permettere ai ricordi di
offuscare la propria luciudità.
Il resto del turno fu da manuale. Un paio di piccoli
incidenti e un salvataggio. Matt si ritrovò ad operare in
automatismo: il suo corpo sapeva istintivamente cosa fare. I suoi
uomini sembravano compiaciuti di vederlo tornare in perfetta forma,
quasi non fosse mai accaduto nulla. Le domande pressanti sul suo stato
di salute scemarono alla terza chiamata e Matt ne fu davvero felice.
Comprendeva le preoccupazioni di tutti, ma l'ultima cosa di cui aveva
bisogno era sentirsi un oggetto fragile o imperfetto. Era tornato il
leader, il tenente che sapeva sempre come gestire anche le situazioni
più critiche.
Il problema era la sua testa. Nessuna emozione si
sprigionava nel suo petto appena sfondavano una porta ed entravano in
un inferno di fiamme. Persino la gioia e la soddisfazione di aver
salvato una vita, ponendola nelle mani esperte dei due paramedici, non
lo toccava. Sentiva di essere in una bolla invisibile e ogni sensazione
riusciva appena a scuoterne la superficie.
Continuò a trascinare il suo corpo verso la fine
della giornata, segretamente temendo il momento in cui quella bolla
confortevole sarebbe esplosa.
Kelly marciò per i corridoi della Caserma con una
strana leggerezza nella mente, il telefono stretto nel palmo.
Adocchiò velocemente la sala comune, proseguendo senza
indugio. Giunto nell'hangar, notò che nessuno dei vigili
sembrava in vista. Si fermò davanti alla stanza che ospitava
le divise, guardandosi attorno con più cautela.
Via libera.
Esitò con la mano sulla maniglia,
perché qualcosa gli diceva che era una pessima idea. D'altra
parte, non poteva negare che il messaggio ancora aperto sul telefono
gli aveva infuocato il ventre quasi all'istante. Con un grosso sospiro,
aprì la porta e la richiuse subito dietro di sé,
quasi temesse che qualcuno si infilasse all'interno.
Fece per accendere la luce, quando un frusciare di vestiti
lo bloccò. La mano che si posò intorno al suo
polso e altre dita che gli afferrarono la nuca lo congelarono d'istinto.
Labbra calde si posarono sulle sue in un bacio rude, nel
quale la lingua spinse con forza per invadere la sua bocca. Rimase
immobile, preso alla sprovvista, ricambiano passivamente il
bacio. «Matt?» esalò in una
misto di domanda e affermazione.
«Aspettavi qualcun'altro?» chiese Matt
nel suo tono canzonatorio e con finto disappunto.
Kelly alzò il cellulare, sbloccando lo schermo e
rivelando il messaggio. La luce colpì il volto di Matt e per
un attimo il moro rimase senza fiato di fronte a quegli occhi allargati
e lucidi, che sembravano urlare desiderio. «Che diavolo vuol
dire? Non puoi darmi appuntamento qui per-»
In tutta risposta, Matt frenò ogni protesta
afferrandogli con tale forza il cavallo dei pantaloni da fargli esalare
un grugnito. Kelly sentì le ginocchia del biondo spingere
contro le sue e incespicò, ritrovandosi con le spalle
premute contro il muro. La bocca di Matt era già sul suo
collo e le sue mani sotto la sua maglietta massaggiavano i suoi fianchi
con frenesia.
Kelly era senza parole, la mente una tavola bianca. Al buio
-il cellulare doveva essere caduto in quello che, più che un
incontro, sembrava uno scontro- credette per un attimo di star
delirando. Se non avesse riconosciuto così bene l'odore di
Matt e il suono del suo respiro accellerato, avrebbe quasi pensato non
fosse lui. Matthew Casey non era tipo da-
Tutti i suoi pensieri si bloccarono quando sentì
il contatto venir meno e si sorprese a mugugnare in disappunto. Ogni
sua protesta fu bloccata quando sentì suole strusciare a
terra e le mani di Matt lavorare la zip dei suoi pantaloni.
Cercò con le dita il suo corpo, incontrando i capelli
soffici. L'immagine si formò automatica nella sua mente:
Matt era in ginocchio davanti a lui, la fronte premuta contro il suo
addome mentre i propri pantaloni scivolavano intorno alle caviglie.
Quell'immagine mentale e la sensazione del respiro caldo di Matt su
parti così sensibili, furono abbastanza perché
non gli importasse più di nulla. In quel momento potevano
essere ovunque, anche sulla vetta del K2, e lui non si sarebbe tirato
indietro per alcun motivo. Reclinò la testa contro il muro,
abbandonansodi alle qualità innegabili della bocca del
compagno.
«Allora...» bisbigliò
Gabriela, poggiando la schiena al bancone davanti al quale Shay stava
versandosi del caffé. Afferrò una mela e la
rigirò tra le mani, impostandosi in quel tono di finto
disinteresse che la bionda conosceva bene. «Come vanno le
cose a Brokeback Mountain?»
Leslie si bloccò con la tazza a mezzaria,
guardando l'amica con le sopracciglia sollevate in un misto di sorpresa
e incertezza.
«Tranquilla, possiamo parlarne» le
assicurò Gabriela, dando un morso alla mela.
Masticò con entusiasmo e ingoiò il boccone.
«Voglio dire, non ne parliamo mai. E ora che tra me e Casey
sta tornando tutto normale... Non posso far finta che non sia
vero.»
La bionda si guardò attorno e, quando fu certa
che nessuno le ascoltasse, poggiò i gomiti al bancone,
invitando silenziosamente l'amica ad assumere la stessa posizione
cospiratoria.
«Sicura di volerlo sapere?» chiese,
palesamente non convinta dalla sua recita.
Gabby forzò un sorriso, ma decise di andare per
la verità. «E' ancora un po' tutto strano e
assurdo per me, ma l'ho superata. Sul serio. Non è che ci
sia mai stato qualcosa tra noi. E poi Peter è
così...» Alzò gli occhi al cielo e
finse un mugugno di piacere, al quale Shay risposte con un gesto deciso
della mano. «Taglia qui. Non voglio troppi
dettagli.»
La mora rise, prima di prendere un altro morso di mela.
«Quindi? Sei pronta al gossip, ora che sai che puoi dar sfogo
alla tua vena chiacchiericcia?»
Leslie roteò gli occhi, nascondendo un sorriso
nella tazza.
«Va alla grande» disse, guardando nella
tazza. «Voglio dire, anche troppo. Non ho mai visto Kelly
così rose e fiori.»
«E Casey? Sta bene?»
Leslie scrollò una spalla, punta nel vivo. Poteva
essere egoista come pensiero, ma sentiva uno strano fastidio
sull'argomento: malgrado Casey vivesse con loro da ormai più
di un mese, lei non era pronta a mettere la mano sul fuoco su cosa
provasse o pensasse in quella testa bionda. Si era sempre considerata
una buona osservatrice e non sapere leggere oltre i sorrisi del tenente
la disturbava.
«Credo sia tornato quasi come prima.»
«Quasi?» chiese Gabriela con
preoccupazione.
«Quasi» sottolineò Shay
guardandola. «C'è stata tutta quella storia con la
madre e la sorella...»
«Che storia?»
Capì di aver detto troppo, ma ormai era tardi per
tornare indietro. Gabriela non l'avrebbe lasciata scappare con quelle
poche briciole. «Qualche settimana fa ha litigato con la
madre, o qualcosa del genere. Non ne ha parlato molto. Da quello che mi
ha detto Kelly le cose si sono sistemate da sole. Casey sembrava
piuttosto turbato, ma sai come sono quei due: proteggono i propri
segreti a vicenda.»
«Uhm» mugugnò Gabriela
attraverso un boccone di frutta.
«Hai qualcosa in mente»
constatò Leslie, chinandosi ad osservarla fino a spingerla a
distogliere lo sguardo. «Avanti, sputa.»
La mora guardò la mela, poi i fornelli, assorta
nella contemplazione di ciò che stava per ammettere.
Rigirava la questione da vari punti, ma riusciva a focalizzarsi solo
sugli aspetti positivi per sé. «Credi
che...» tentò, prima di schiarirsi la voce e
guardare l'amica in tono speranzoso. «Insomma, il Molly's ha
bisogno di alcuni lavori e...sai com'è, non navighiamo
nell'oro, e un aiuto da un amico non sarebbe affatto male.»
Leslie stirò la schiena con un sorriso, prima di
poggiare una mano sulla spalla di Gabriela. «Puoi chiederlo a
Casey, non credo che Kelly darà di matto.»
Gabriela trovò difficoltà a ingoiare
completamente il boccone di succosa mela.
Quel non
credo aleggiava nell'aria come una nuvola scura.
Matt accese la luce e gli occhi di Kelly bruciarono un
attimo di troppo, per poi focalizzarsi piano sul pavimento. L'orgasmo
gli scivolava piano nei muscoli. L'onda di piacere e sollievo si
bloccò dolorosamente quando notò la macchia sul
pavimento. Strinse tra i denti un'imprecazione, chiedendosi se Matt non
avesse archittetato tutto solo per costringerlo a ripulire i danni del
proprio piacere. Lo scatto della serratura lo strappò a quei
pensieri – si chiese quando Matt avesse chiuso la porta, ma
suppose che tutto ciò che era successo da quel primo bacio a
quel momento doveva essergli sfuggito.
Con sorpresa si accorse che il compagno afferrava la
maniglia, in procinto di uscire senza aggiungere nulla.
«Matt?» mormorò, prima di
ricomporsi e afferrargli un lembo della maglia, costringendolo a
voltarsi. «Questo che vuol dire?»
«Scusa?» chiese Matt con uno strano
ghigno sul viso.
«Perché lo hai fatto?»
«Perché me lo hai fatto fare?»
«Cosa?» Stordito da quello sguardo ora
così lucido, Kelly faticò ad afferrare il corso
dei propri pensieri, desistendo a figurarsi quelli
dell'altro.
La realtà della propria sconsideratezza lo
colpì a fondo, istillandogli un'improvvisa vergogna;
ciò che più di tutto non riusciva a capire era
come potesse proprio Matt correre certi rischi. «Cosa
c'è sotto? Non è possibile che tu...voglio dire,
poteva esserci una chiamata! Sei stato avventato.»
Matt parve offeso e in un attimo i suoi occhi tornarono a
una dura maschera di lontananza. Con un gesto stizzito si
liberò dalla presa di Kelly e si avviò alla
porta. «Hai avuto un pompino gratis, vuoi davvero
lamentarti?»
Le sue parole vennero attutite dallo schioccare
della porta che si richiudeva, ma né il tono irritato
né le parole mordaci sfuggirono al moro. Rimase un attimo
inebetito a fissare la porta, prima di ricordarsi del disastro che
doveva ripulire. Non trovando null'altro, prese una maglietta della
Caserma e si inginocchiò a terra.
Le sue mani tremavano e afferrare il bordo del
lavabo non sembrò sortire alcun effetto. Guardare gli occhi
socchiusi e le labbra schiuse di Kelly mentre l'orgasmo lo invadeva era
stato impagabile, ma il bisogno di rilasciare la tensione nel suo
ventre era svanito l'attimo in cui aveva realizzato quello che aveva
fatto.
Fissò i propri occhi guardarlo dallo
specchio, spalancati e increduli di sé stesso. Matt aveva
sentito la necessità di annegare in qualcosa, qualunque
sensazione che non fosse l'ansia tormentosa alla base della nuca. Non
poteva concederle spazio, perché lui era più
forte di lei, doveva esserlo. Era un tenente, un dannato leader e non
poteva mostrare alcuna debolezza, neanche a se stesso. Non aveva
realmente premeditato di ritrovarsi in ginocchio di fronte alla zip dei
pantaloni di Kelly, ma non aveva saputo frenarsi.
Fuggendo dalla tentazione di nascondersi nelle proprie
paure, aveva ceduto a quella di fuggire da esse il più
lontano possibile.
In definitiva, aveva perso il controllo.
Aprì il rubinetto con più forza del
necessario e raccolse tra le mani acqua fredda, che gettò
sul viso arrossato.
Boden avrebbe potuto scoprirli.
Uno dei ragazzi avrebbe potuto avvicinarsi alla porta per
prendere una divisa e sentire i gemiti di Kelly.
La sirena avrebbe potuto richiamarli all'azione e loro non
essere pronti. Qualche secondo di troppo e la vita di qualcuno sarebbe
potuta cessare, per colpa loro. Colpa sua.
Si sentì nauseato e sull'orlo della rottura.
Ambulanza
61, Camion 81, Squadra 3, Incendio-
Un'ondata d'adrenalina spazzò via ogni altra
cosa, spingendolo fuori dal bagno e di corsa verso il camion.
Note: Scusate il lieve
ritardo, ma come annunciato ero via (no pc, no connessione e blablabla)
Ho già qualche altro capitolo pronto, devo solo revisionarli
con calma.
*Per chi non lo sapesse (?), più su si fa
riferimento al film "I segreti di Brokeback Mountain" (2005).
*"No, era
un misto di tutti questi e, se avesse ricordato bene le lezioni
ai tempi delle scuole, avrebbe detto che quel sentimento era
più della
somma delle sue parti." Qui ci si riferisce ad
Aristotele, secondo cui "Il tutto è maggiore della somma
delle sue parti", e per estensione ai sistemi complessi (yep, un po'
fissata).
Nient'altro da dichiarare, se non: alla prossima!
Ax.
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