9: La scelta.
"La vita è
come un circuito, devi continuare a girare senza mai fermarti. Chiaro,
puoi perdere il controllo e schiantarti, ma
se non affronti
quella curva, non imparerai mai a superarla".
("Hazzard ")
Si può essere amici per sempre,
anche quando le vite
ci cambiano,
ci separano e ci
oppongono / Puoi alzare barriere, litigare con dio,
cambiare famiglia e
città,
strappare anche foto
e radici, ma tra amici
non c'è
mai un addio. (Pooh – Amici per sempre)
Atlanta – Dicembre
Franck e Daisy si erano precipitati al locale immediatamente dopo aver
ricevuto la telefonata di Luke.
Avevano lasciato Meg a casa, con Peter, preferendo non spaventare il
bambino.
Trovarono Luke e Bo seduti ad uno dei tavoli.
“Io non so davvero come ringraziarvi…”
disse Franck.
“Non deve ringraziarci. In fondo non è merito
nostro ma suo e di Daisy che ci avete chiuso qui” rispose
Luke con un sorriso sincero che gli illuminava il viso.
“Io…bhè….grazie
comunque… - ribadì Franck –
dovrò passare la notte qui; non posso lasciarlo col vetro in
quelle condizioni, quindi gradite un caffè?”
“No grazie. Io voglio solo tornare a casa. Ci vediamo Franck
- rispose Bo, poi si rivolse ai cugini – Voi venite con
me?”
“No, io resterò ad aiutare Franck, per ora. Poi
voglio tornare da Meg e tranquillizzarla, non mi va che stia sola;
casomai vi raggiungo più tardi” rispose Daisy.
Le era bastato un attimo e un’ occhiata per capire che i suoi
cugini avevano ricominciato a parlarsi e le parole di Bo,
involontariamente, l’avevano confermato, ma sapeva anche che
ci sarebbe voluto del tempo ed intendeva approfittare di qualsiasi
occasione per velocizzare la cosa.
I ragazzi annuirono, senza pensare neppure lontanamente di obbiettare:
primo perché conoscevano la cugina e avevano imparato da
tempo che nulla riusciva a farle cambiare idea, quando era determinata
a fare qualcosa, secondo perché sentivano di aver lasciato
il discorso in sospeso: c’erano ancora troppe cosa da
chiarire, tra loro.
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Luke seguì Bo all’interno del minuscolo
appartamento.
Com’era diverso dalla casa in cui erano cresciuti.
La fattoria non era certo un’abitazione signorile (anzi!),
eppure era calda, spaziosa, luminosa e profumata.
Quella non sembrava nemmeno una casa, ma una scatola, tanto era
piccola; e poi era disordinata con il letto sfatto e bottiglie sparse
un po’ ovunque.
“C’è stato un tornado e sei stato
investito dai rifiuti di uno negozio di liquori?”
provò a scherzare Luke.
“Non sei divertente. Lo so che qui è terribile, ma
non ho avuto tempo di mettere in ordine…Non aspettavo
visite…” rispose Bo.
Luke deglutì. Voleva sapere cosa era successo, era
terribilmente curioso, diamine per oltre vent’anni aveva
saputo tutto ciò che riguardava suo cugino ed ora,
improvvisamente, gli sembrava quasi di non conoscere il ragazzo che gli
stava di fronte.
“Bene
– pensò – se voglio che le cose tornino
come prima devo fare come ho sempre fatto!”
“Vuoi farmi credere che, in questi due mesi, quel letto non
ha visto nessun’altro oltre te?”
Lo stava provocando, volutamente; era sempre stata una loro abitudine,
quasi un gioco, scherzare sulle donne.
“Non credo che la cosa ti riguardi, sai..”
ribatté Bo.
Non sembrava disposto a scherzare.
“OK, cugino, è chiaro che c’è
qualcosa che non va. Non sei mai stato bravo a nascondere le cose. Di
che si tratta?” chiese Luke, sedendosi su una sedia,
stranamente libera.
“Già quella è la tua
specialità. Bhè sai che c’è?
Le cose cambiano e anche le persone. Io sono cambiato in questi
mesi!” dichiarò Bo.
Sembrava pronto a ricominciare a litigare, come se la chiacchierata
alla tavola calda e i loro chiarimenti non fossero mai esistiti.
Luke si ripropose di mantenere la calma e di comportarsi in maniera
matura e responsabile.
“È
quello che ho sempre fatto – considerò
– niente di
più. So come trattare Bo, devo solo ritrovare le vecchie
abitudini!”
“Lo immagino. Non dev’essere stato facile. Ma sai
una cosa è stato difficile per tutti…Si tratta
solo di capire se vogliamo che le cose tornino com’erano o
rimangano come sono” disse, semplicemente.
Bo tacque, per alcuni minuti, poi si sedette di fronte a lui, buttando
per terra i giornali che occupavano la sedia.
“Io non lo so, Luke. Non so che fare” ammise.
Per una volta Bo, sempre così espansivo e disposto a
comunicare, non riusciva a trovare le parole giuste.
Scappare da Hazzard non
era stata un’idea geniale e tante , troppe volte aveva
desiderato tornare indietro, ma non l’aveva fatto, per
orgoglio, ma anche per paura di fare ancora del male alla propria
famiglia e si era consolato con una donna, con una bottiglia o con
entrambe.
Aveva perso il conto di
quante “amiche” occasionali erano entrate nella sua
vita e nel suo letto e ne erano uscite velocemente, senza riuscire a
colmare il vuoto che si portava dentro.
Non avrebbe mai saputo
dire quante sere aveva trascorso davanti alla televisione con una
birra, due birre, tre birre, o quante volte avesse tentato di scacciare
i suoi incubi con una bottiglia di liquore….
Eppure era riuscito a
mantenersi a galla, a dare alla sua vita, se non un senso, una certa
stabilità: aveva trovato un lavoro e si era allontanato dal
vizio del bere con la stessa rapidità con cui aveva
cominciato.
Aveva capito che
accettare il lavoro sporco che Jackal Harrison gli aveva proposto non
era stata una mossa intelligente, ma aveva paura di pensarci
perché in fondo al cuore sapeva che l’avrebbe
fatto di nuovo, per aiutare lo zio Jesse, se solo fosse stato sicuro di
non farlo star male…
Sì: vivere da solo, camminare con le proprie gambe, senza avere nessuno, senza
volere nessuno accanto era stato tremendo, specie per un
tipo come Bo, abituato ad avere intorno una famiglia, diversa da quelle
tradizionali, ma affettuosa e soprattutto estremamente unita.
“Cosa vuol dire che non sai che fare?” chiese Luke
allibito.
“Ho bisogno di tempo. Per pensare. Mi hai sempre detto che
non rifletto mai su ciò che faccio, bhè, dovresti
essere fiero di te, perché ho imparato la lezione cugino.
Stavolta ci penserò bene, prima di fare qualcosa!”
dichiarò Bo.
Luke si alzò.
“A questo punto non ha più senso che io resti qui.
Vado a prendere Daisy e me ne vado. Se vuoi tornare a
casa…bhè…conosci la strada e sai che
la porta è sempre aperta” disse.
Sentiva di dover rispettare la scelta del cugino, anche se gli faceva
un male cane.
“Abbi cura di te” gli disse, prima di andar via,
chiudendosi la porta alle spalle.
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“Così tu l’hai lasciato lì,
da solo?!”
Il tono di Daisy era tutt’altro che amichevole.
“Cos’altro avrei dovuto fare secondo te? Prenderlo
per un orecchio e portarlo via per forza? Nel caso non te ne fossi
accorta nostro cugino non è più un bambino, anzi
è maggiorenne e ha diritto di vivere la propria vita come
vuole!” rispose Luke.
“È
un uomo! – ribatté Daisy –
Ma davvero sei così ottuso Luke! Cavoli sei sempre stato il
più sveglio ed ora proprio non ci arrivi, vero? Se Bo non
vuole tornare a casa è perché ha
paura!”
“Paura? E di cosa mai dovrebbe aver paura?”
domandò.
Non gli piaceva essere ripreso dalla cugina, ma proprio non capiva dove
volesse andare a parare.
“Paura! Ah, scusa, gli uomini forti e virili non hanno mai
paura; quella è un cosa riservata alle donne, non
è vero? Specialmente gli uomini
Duke….Bhè vi sbagliate e di grosso! –
dichiarò lei decisa – e ti giuro che se Bo non
tornerà a casa al più presto ti
renderò la vita impossibile, fino a quando non verrai ad
Atlanta a riprenderlo, chiaro? Sai che ne sono capace perché
tu sarai anche un Duke, mio caro, ma sai cosa c’è
di peggio di un Duke arrabbiato? Una Duke arrabbiata!”
Luke sbuffò, irritato, sapendo che Daisy non parlava a
vanvera ed prima entrò nel Generale per raggiungere Hazzard
nel più breve tempo possibile!
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Hazzard,
24 Dicembre.
Era già passata una settimana da quando Daisy e Luke
l’avevano incontrato ad Atlanta e Bo non si era ancora fatto
vivo.
Avevano deciso di non raccontare nulla allo zio che in quel periodo
appariva davvero sereno, quasi felice, per evitargli ulteriori
dispiaceri.
“Stasera a cena saremo solo noi tre, non sembrerà
neppure un vero Natale…” borbottò
Daisy, mentre apparecchiava svogliatamente la tavola.
“Smettila di lamentarti. Sappiamo che sta bene ed e abbiamo
deciso che è giusto rispettare la sua scelta!” la
rimproverò Luke, sebbene l’assenza di Bo fosse un
enorme buco, non solo a tavola, ma dentro di lui.
“Tu hai deciso!” ribatté lei,
visibilmente contrariata.
“Deciso cosa?” chiese lo zio Jesse, arrivato in
quel momento in cucina.
“Nulla, zio” rispose Luke, lanciando
un’occhiataccia alla cugina.
“Daisy, tesoro, aggiungi quattro posti, ho invitato qualche
amico a cena - disse lo zio, sorridendo ai nipoti -
anzi, vorrei che veniste di là a salutarli”
“Subito” risposero i due all’unisono.
In salotto troneggiava lo splendido albero di Natale che Jesse aveva
addobbato con le decorazioni che appartenevano alla famiglia da sempre;
qualcuna era sciupata, qualcun’altra incollata, ma a nessuno
sarebbe mai venuto in mente di buttarle via, perché facevano
parte delle loro tradizioni!
“Ho un regalo per voi, nipoti, anzi, per noi!”
dichiarò lo zio.
Sul divano erano seduti i Jones: Franck, Meg ed il giovane Peter ed in
piedi, accanto al camino, c’era Bo.
Lo zio Jesse scambiò uno sguardo d’intesa col
nipote più giovane e sorrise, sornione, agli altri due: era
chiaro che era fiero dello splendido scherzo che aveva organizzato.
Daisy corse verso Bo e si strinse forte a lui e se Luke li
separò fu solo per abbracciare, a sua volta, il cugino.
“Sono tornato a casa” disse Bo e nessuno aggiunse
nulla a quella semplice frase che diceva tutto.
Alza gli occhi
e guarda lassù,
è Natale non
soffrire più.
(Bianco Natale)
_ The (happy) End -
Eccoci alla fine della storia.!
Lo so, l'happy end,
probabilmente era un po' troppo scontato, ma che volete farci? Io adoro
il lieto fine e poi siamo sotto Natale, non potevo mica terminare con
una strage, no?!
Scherzi a parte, grazie
sinceramente, a chi ha impiegato un po' del suo tempo per leggere
questa fic e grazie alle mie care amiche - Lella, Marzia, i1976, Lu e
Thia - per le loro graditissime recensioni.
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