16
In bilico
Matt non aveva dimenticato quella sensazione, ma quando
salì sul camion, indossando la divisa e sistemando il casco,
si sentì esaltato come la prima volta. Il primo reale
incendio dopo quasi due mesi. Si lasciò pervadere dalla
sensazione carburante della sua vita: l'adrenalina che cominciava a
montargli nel corpo appena le sirene si accendevano, con l'imprevisto
dietro le porte e non sapendo cosa avrebbero incontrato. Si
concentrò su questo, spazzando via ogni esitazione.
«Meglio che starsene sul divano, eh,
Tenente?» gli urlò Herman, battendogli una mano
sulla spalla.
«Non hai idea quanto mi sia mancato.»
«Non lo so, Casey» disse Otis con il suo
ghigno tipico. «Con tutte le belle donne che passano per
quella casa, tra Shay e Severide, io vorrei viverci su quel
divano.»
Tutti gli uomini del camion risero, mentre in lontanaza
cominciava a defilarsi un grosso pennacchio di fumo. A quella vista una
strana sensazione cominciò a mischiarsi all'adrenalina,
qualcosa che sfociava nell'ansia. Casey la represse e, appena sceso dal
veicolo, la mente entrò subito in modalità
operativa.
«L'incendio è partito dal primo piano e
sta salendo fino al tetto» disse Boden appena i due tenenti
lo raggiunsero. «Abbiamo almeno altre sei vittime
intrappolate tra i quattro piani.»
«Okay» dissero all'unisono, dividendosi
per coordinare le operazioni.
«Cruz, la scala, Otis e Mouch ventilate il
tetto!» urlò Casey. «Herman e Mills con
me.»
«Capp, noi andiamo con Casey» si
frappose Severide. «Noi prendiamo il primo e il
secondo»
«Noi terzo e quarto.»
Prima di indossare le maschere, i due si guardarono negli
occhi e annuirono, entrando spalla a spalla nell'edificio in fiamme.
Matt credeva di sapere cosa avrebbe provato una volta che si
fosse ritrovato avvolto dalla fiamme. Aveva avuto paura di essere
aggredito da quella sensazione di sordo terrore e che questo, in
effetti, fosse lo scenario peggiore.
Curvo al centro di una stanza, i cui confini svanivano tra
fiamme e fumo, scoprì che non avrebbe mai potuto prevedere
il senso di vuoto che ora si espandeva nel suo petto. Mentre urlava e
attraversava l'appartamento in cerca di superstiti, la sua mente si
liberava di ogni altra cosa. Il crepitio delle fiamme, il calore che
riscaldava la pelle e lo ricopriva di sudore, l'odore della plastica
della propria maschera... tutto ciò che lo circondava
sfumava in un sottofondo lontano e intangibile.
Matthew Casey, per la prima volta in anni di servizio, non
provò nulla.
«Tenente!»
Si voltò in direzione della voce di Hermann, che
nel corridoio sorreggeva il peso di un uomo svenuto.
«Vai avanti!» urlò Casey,
correndo nella sua direzione.
Scese le scale di fretta, ponendo attenzione alle condizioni
delle assi.
Un fruscio di vestiti lo bloccò davanti a una
porta divelta. Ebbe appena tempo di chiedersi come, tra il boato
dell'incendio e lo scricchiolare delle assi del pavimento, lo avesse
udito. Ogni pensiero razionale si disintegrò di fronte al
volto che intravide attraverso il caos. Anthony Messer era di fronte a
lui, come un ologramma fatto della stessa sostanza del fumo che
l'avvolgeva.
I suoi occhi penetravano ogni centimetro della sua mente,
bloccandogli il fiato in gola. Matt non riusciva a respirare per il
cappio invisibile intorno alla gola, mentre il cuore martellava le
orecchie, marciando implacabile.
Non sentiva il peso rassicurante della divisa, o la
sensazione opprimente della maschera premuta contro il volto. Gli occhi
spalancati si riempivano della vista dei propri mobili che bruciavano e
del sangue che gli colava dalla fronte. Poteva sentire il dolore e la
paura, la testa girare e il mondo offuscarsi.
Qualcuno chiamava il suo nome, tra disperazione e rabbia,
mentre Tony Messer brandiva la chiave inglese, scintillante e fredda.
Severide misurava lo stesso pezzo di strada davanti al
camion con passi nervosi, saettando gli occhi tra l'edificio in fiamme
e Boden. Era passato solo un minuto da quando lui e Capp avevano
portato fuori due vittime, Otis e Mouch altre due, Mills uscito per
aiutare i paramedici con le barelle. Un minuto da quando Herman era
riemerso con una quinta vittima e rientrato per aiutare Casey a cercare
l'ultima, intrappolata al quarto piano. Un minuto che sembrava
espandersi all'infinito, mentre ogni cosa si muoveva lentamente.
«Casey, rapporto.»
Boden attese risposta, poi lanciò uno sguardo a
Severide. Tutti i vigili trattenevano il respiro, di fronte al fumo che
diventava sempre più nero. L'avviso di un minuto era
già stato lanciato e rimasto inascoltato.
«Tenente. Vieni fuori, ora»
ringhiò Boden.
Severide si avvicinò al Comandante quando la radio
gracchiò, ma la voce che giunse non era quella che
attendeva. «Sono
Hermann, sto uscendo.»
Pochi secondi dopo il vigile emerse dal fumo che avvolgeva
l'ingresso. Cruz lo aiutò a sistemare la vittima sulla
barella e i due paramedici cominciarono a controllarla.
«Hermann, dove diavolo è
Casey?» urlò Severide, fronteggiando il vigile.
«Era dietro di me, non sono riuscito a farlo
muovere» disse nel panico. «Non credo mi abbia
sentito.»
«Che vuol dire?» sbraitò
Boden, afferrando la radio.
Kelly imprecò e avvicinò la
trasmittente alle labbra, anticipando il Comandante. «Casey,
dove diavolo sei?»
Silenzio.
Ricordò lo sguardo duro del compagno nella stanza
delle divise, la sua risposta secca, il modo in cui le sue labbra
l'avevano aggredito nel bisogno di annegare in quella sensazione.
Realizzò cosa realmente aveva visto in quegli occhi, la
stessa identica cosa che era stata anche nei suoi solo pochi mesi
prima. Quello non era Matt, ma una massa di paure e rabbie represse,
della quale non ci si poteva fidare.
«Matt!»
Si era raccomandato di stare calmo, di non oltrepassare la
linea, ma ora come ora non poteva importargli di meno.
Strappò a Hermann la maschera e indossò l'elmetto.
«Che diavolo fai?»
Non guardò Boden, sordo a tutto tranne che al
rumore del proprio respiro nella maschera. Corto. Sempre più
corto. Si disse che la vista era appannata per il fumo, ma era una
menzogna.
«Severide, devi aspettare-»
«Al diavolo, io entro!»
Non attese risposta e iniziò a correre verso
l'ingresso. Fece appena un passo nel corridoio quando si
imbatté in una divisa che correva nella sua direzione.
«Fuori! Subito!»
Si lasciò afferrare per un braccio e trascinare
all'esterno. L'esplosione li mancò di un soffio,
togliendogli l'asfalto da sotto i piedi e sbalzandoli a terra.
Severide sentì la maschera incrinarsi e battere
contro il volto. Per l'urlo, i denti tagliarono l'interno della guancia
con forza. Spinto dall'adrenalina, riuscì ad alzarsi subito
e a strapparsi di dosso l'equipaggiamento danneggiato. Gettò
a terra il casco, spuntando sangue sull'asfalto. Gli parve di non
respirare affatto mentre con lo sguardo cerava Matt.
Dio, fa che
stia bene.
Non di
nuovo....no...
Quando lo vide carponi, la maschera a terra e il respiro
affannosso, riuscì a rilasciare il respiro. Hermann lo
aiutò a tirarsi su, reggendolo per le spalle.
«Tenente, tutto okay?» chiese allarmato,
tastandogli la giacca con i palmi aperti.
Matt gli strinse un braccio e sorrise come se non fosse
accaduto nulla. «Sì, tutto a posto. C'è
mancato poco, eh?»
Severide non vide più nulla. L'adrenalina e il
terrore appena provati lo invasero, tramutandosi in rabbia. Quando fu
in grado di capire cosa stesse facendo, si ritrovò ad
afferrare Casey per il bavero della divisa e a strattonarlo.
«Che diavolo ti è saltato in mente? Un
minuto vuol dire un fottuto minuto! Volevi morire, eh?
Idiota!»
Qualcuno gli poggiò una mano pesante sul petto,
costringendolo ad allontanarsi.
Guardò Boden, alzando e abbassando le spalle in
cerca di controllo.
«Torna al camion, Tenente, subito»
ordinò l'uomo, spingendolo fino all'abitacolo.
Severide strinse tra i denti una risposta che gli avrebbe
causato fin troppi problemi e salì sul sedile,
sbattendo con forza lo sportello. Reclinò la testa contro lo
schienale, battendola fino a riacquistare una vista più
chiara.
Quando guardò oltre il parabrezza, Casey era
ancora lì, immobile dove lo aveva lasciato, e il suo sguardo
era duro. Lo vide voltarsi, ignorando i paramedici che cercavano di
trattenerlo per controllarlo, e salire sul camion.
«Hai una spiegazione per quello che è
successo?» abbaiò Boden appena Matt ebbe richiuso
la porta dell'ufficio.
«Sono inciampato, Capo» rispose, le mani
strette dietro la schiena. Sapeva che era la scusa più
banale che potesse inventare, ma non era riuscito a elaborare
nient'altro.
Boden sollevò un sopracciglio.
«Inciampato?»
«Inciampato, sì.»
Matt non aveva mai amato mentire, ma negli anni si era
ritrovato a farlo più spesso del desiderato e aveva affinato
la tecnica. A volte, si giustificava, le persone hanno bisogno di
sentire determinate bugie perché il mondo continui a girare
indisturbato. Dire al Comandante che aveva visto Anthony Messer e di
aver avuto un attacco di panico, semplicemente, non era un'opzione.
Senza vacillare o batter ciglio, continuò:
«Scenendo le scale, devo aver messo male un piede. La radio
deve essersi rotta, per questo non ho risposto.»
«Non mi stai mentendo, Casey?» chiese
lentamente Boden.
Matt tirò le labbra in un sorriso e scosse la
testa.
«Andiamo, Capo, non mi crede?»
Il Comandante lo scrutò a lungo, cercando di
carpire la verità. Matt si impose di non tradirsi in alcun
modo, ma non poté evitare di deglutire.
«Hermann dice che ti ha richiamato, ma tu non
l'hai ascoltato.»
«Non l'ho sentito. Lo sa meglio di me quanto
casino ci sia in un incendio simile.»
«D'accordo» concesse Boden, sospirando.
Il suo sguardo divenne più docile, mentre ricadeva
pesantemente sulla sedia. «Ascolta, Matt, quello che ti
è successo avrebbe spezzato chiunque. Io voglio fidarmi di
te, perché conto sul fatto che non mi nasconderesti di non
essere al cento per cento. Ma ti consiglio vivamente di parlare con
qualcuno. Se non vuoi parlare con me, puoi farlo con uno dei tuoi
uomini, o con Severide. So che vi siete avvicinati molto.»
Matt si limitò a fissare lo sguardo sulla spalla
destra del Comandante, annuendo appena. Sentiva i suoi occhi scuri
scrutarlo alla ricerca di una debolezza; gli sembrava che ogni sguardo
indirizzato a lui avesse lo stesso identico scopo: trovare una faglia
nella sua armatura. Questo lo spingeva automaticamente a rafforzarla.
«Ascolterò il suo consiglio,
Capo.»
«Matt, forse non hai afferrato quello che voglio
dirti. Se avrò anche solo il sospetto che tu non sia pronto
come dici a tornare in campo, sarò costretto a fare
rapporto, ciò vuol dire che sarai obbligato a parlare con
un'analista del Dipartimento.»
«Capo...»
«Non è un opzione, Casey»
disse caustico, alzando una mano per fermare ogni sua protesta.
«Siamo d'accordo?»
Matt strinse le dita intorno al proprio polso
così forte da sentire la circolazione venir meno e i
polpastrelli formicolare. «Siamo d'accordo.»
«Bene. Puoi andare. Ma che non si ripeta
più, intesi? La prossima volta che la radio non funziona,
esci subito.»
«Certo Capo, non si ripeterà.»
«Sì sì, vai.»
Matt annuì e uscì dall'ufficio.
Percorse pochi passi nel corridoio, prima di poggiare la schiena al
muro e rilasciare un lungo sospiro. Più si sforzava di
restare focalizzato sui suoi compiti e le sue
responsabilità, più intorno a sé
vedeva dubbi e incertezze.
Quel turno cominciava a sembrargli il più lungo
della sua vita.
Convincere Hermann a raccontare quello che era accaduto
nell'incendio non fu semplice, ma Kelly fece appello a ogni ragione a
disposizione -compreso il benessere stesso di Casey- per farlo parlare.
Alla fine la preoccupazione superò la lealtà, e
il vigile del Camion 81 dipinse una situazione che a Kelly non piacque
affatto.
«Senti, questo non l'ho detto a Boden
perché non voglio mettere Casey nei guai. Io sono sicuro che
potesse sentirmi» disse Hermann, bisbigliando per non farsi
udire dagli altri. «Cioè, avrebbe potuto sentirmi,
ma...era come se non potesse. Io dovevo portare quell'uomo fuori prima
che fosse troppo tardi, ma per un attimo ho pensato che Casey non ne
sarebbe uscito. Non mi piace doverlo dire, ma non credo che il Tenente
sia al cento per cento.»
Kelly provò la tentazione di dargli una pacca
sulla spalla, per sollevarlo dal senso di colpa e dalla paura che gli
contraeva il volto, ma era troppo occupato a gestire le proprie
emozioni.
Passò parte del turno a rimuginare su cosa fare,
gravato dalla responsabilità di dover fare qualcosa.
Conosceva Matt e sapeva che metterlo alle strette sarebbe servito solo
a rafforzare il suo scudo, perché mai avrebbe ammesso le
proprie debolezze sotto forzatura. Scartò l'idea di
affrontarlo direttamente, per quanto fremesse dal bisogno di farlo.
Matt poteva essere un ragazzo ragionevole e disponibile, ma messo
all'angolo reagiva come un animale ferito. Kelly poteva capirlo meglio
di chiunque altro.
Il modo in cui il compagno lo evitava, rivolgendogli rare
occhiate fredde, non aiutava la sua causa.
Quando il Camion 81 rientrò dopo una chiamata,
Kelly attese che i vigili fluissero verso la sala comune, quindi
abbandonò il quotidiano e si alzò dal tavolo.
Matt era rimasto indietro, controllando l'attrezzatura per evitare il
confronto con chiunque.
«Hey» lo salutò, cercando di
essere più disinvolto possibile.
L'unico modo per arrivare al nocciolo della faccenda era
cercare di lanciare un'offerta di pace e sperare che l'altro la
cogliesse.
Matt alzò appena lo sguardo su di lui -o meglio,
sulla sua maglietta, evitando accuratamente il viso.
«Hey» rispose freddamente, tirando gli
estremi di una fune e mettendola da parte.
Kelly si impose di non badare al muto astio che serpeggiava
nella voce del compagno. Cercò a terra le parole che sapeva
doveva lasciar uscire dalle labbra, per quanto gli costassero. Erano
vere e sarebbero pesante come un macigno finché non le
avesse liberate. Sospirò e disse: «Senti, mi
dispiace per stamattina. Ho esagerato... e ti chiedi scusa.»
«Okay.»
«Okay?»
Matt alzò lo sguardo su di lui e
scrollò le spalle. «Che altro vuoi ti
dica?»
«Non lo so. Pensavo avremmo avuto una di quelle
conversazioni a cuore aperto» cercò di scherzare
Kelly. «Hai presente, io che ti chiedo scusa e tu che mi dici
che è tutto okay, che abbiamo sbagliato ma risolveremo, etc
etc.»
«La mia radio si è rotta, io non ho
sbagliato.»
«Avanti, Matt» lo spronò
Kelly. Parlare con lui ora era come scontrarsi con un muro, e lui
sapeva di dover evitare di sbucciarsi le nocche e provocare crepe nei
mattoni. «Se c'è qualcosa che non va-»
«Non c'è» taglio corto il
biondo.
«Stai mentendo a me o a te stesso?»
Quando ottenne come risposta solo uno sguardo duro, sospirò
e continuò: «Senti, io ti sto dando lo spazio che
ti serve, Matt. Ma tu hai delle responsabilità, sei un
Tenente.»
«Stai mettendo in dubbio la mia
posizione?» ringhiò Matt, la mascella che tremava
dalla rabbia di quell'affronto.
«Sì» rispose Kelly di impulso.
«Perfetto, grazie tante»
mormorò Matt, oltrepassandolo e marciando in direzione delle
doppie porte della Caserma.
Kelly lo guardò allontanarsi, mormorando a denti
stretti un'imprecazione. Gli costava ammetterlo, ma non aveva idea di
come scavalcare le difese di Matt senza frantumarle.
L'orologio da parete strisciava piano le sue lancette,
avvicinandosi con lentezza all'ora in cui la sirena di fine turno
avrebbe suonato. Matt, seduto al tavolo della sala comune, sorseggiava
pigramente il caffé, mentre con la mano libera tamburellava
le dita sul massiccio tavolo. Per la prima volta in anni e anni di
angosciante attesa del suono della sirena, si ritrovò a
sperare che il tempo si dilatasse. Non aveva alcuna voglia di uscire
dalla Caserma e scontrarsi con Kelly, perché sapeva fin
troppo bene che non avrebbe potuto evitare un altro confronto. Tutto
ciò che voleva era fare il suo lavoro al meglio, o per lo
meno impegnarsi nell'obiettivo, e non pensare a nient'altro.
Un'accorata e sincera discussione sui propri problemi non era nei suoi
programmi.
Hermann entrò nella sala con un giornale
arrotolato tra le mani, e lo abbatté sulla nuca di Cruz,
facendolo sobbalzare.
«Smettila di fissare l'orologio» lo
ammonì il più anziano. «Non
farà suonare prima la sirena.»
«Tentare non nuoce» brontolò
Cruz, massaggiandosi il collo arrossato.
Mouch rise dalla sua postazione sul divano, senza mai
staccare gli occhi dalla tv.
«Hey, Tenente, perché non vieni al
Molly's dopo il turno?» chiese Herman sedendosi di fronte a
Matt. Poggiò i gomiti sulle ginocchia e si sporse a
bisbigliare. «Non abbiamo ancora aperto, ma nessuno ci vieta
di far assaggiare a qualche amico la nuova birra che Otis ha
comprato.»
«Tranne la legge» mormorò
Cruz, guadagnandosi un'occhiataccia da Hermann.
Matt ponderò la proposta e decise che una birra
con degli amici era un'idea più allentante che uno scomodo
confronto con Kelly.
«Birra americana?» chiese con un ghigno.
«Per la verità,» si intromise
Otis, alzandosi dal tavolino e raggiungendoli, «è
belga, ed è sublime. Devi provarla, Casey.»
Matt saettò lo sguardo tra i due colleghi, quindi
annuì. «Che birra sia» poggiò
la tazza sul tavolo e si alzò. «Ma non la pago. Lo
faccio per voi, non voglio che la polizia vi faccia chiudere prima di
aprire» disse in finta serietà.
Avviandosi allo spogliatoio, sentì Otis ridere
sotto i baffi.
Rianimato da una lunga doccia, Casey frugava nel proprio
armadietto senza uno scopo preciso. La sua mente era completamente
assorbita dall'ultimo confronto con Kelly e da tutto ciò che
era accaduto.
Sentiva la diffidenza dei suoi uomini, il modo in cui Boden
lo scrutava, e avrebbe potuto superare ogni cosa. Ma di tutte le
persone non si sarebbe mai aspettato che proprio Severide gli desse
quello scacco.
Kelly non si fidava di lui. L'uomo che amava, al quale aveva
donato segreti e terrori, l'uomo che lo stringeva dopo gli
incubi senza mai costringerlo a denudarli, proprio lui ora lo guardava
con lo stesso muto disappunto che era negli occhi di tutti.
Matt si sentiva sotto la lente di un microscopio troppo
invasivo, che una mano meschina regolava continuamente per mettere a
fuoco ogni sua debolezza.
La parte razionale di sé cercava di arrivare al
nocciolo delle motivazioni del compagno, dove si nascondeva la paura di
perderlo ancora e la rabbia covata per tutto ciò che gli era
accaduto. In fondo, come poteva biasimarlo quando neanche lui si fidava
di se stesso? Ma la parte emotiva poneva una barriera alla
comprensione. Quello che c'era oltre era un campo condiviso,
pericoloso, e se Matt vi fosse entrato ogni sua autoconvinsione sarebbe
crollata. Kelly lo avrebbe costretto ad aprire quella porta che
conduceva al garbuglio di emozioni che cercava di tenere sotto
controllo. Matt sapeva che c'erano porte che, una volta aperte, non
potevano essere richiuse. Lui non poteva permettere di farsi sopraffare
dalla negatività, dalla paura e dalla rabbia; doveva
concentrarsi sul suo lavoro e tirare avanti il più possibile.
Si sedette sulla panca, strofinandosi il volto con la mano.
Un rumore di passi lo fece scattare in piedi, le mani
nascoste nell'armadietto in cerca della propria maglia.
Deglutì a fatica un nodo di frustrazione quando quella
particolare camminata assunse nella sua mente un'identità
precisa. Kelly poggiò il borsone sulla panca accanto a lui
e, senza dir nulla, aprì l'armadietto e tirò
fuori un cambio. Matt aveva già infilato con lentezza la
maglia, quando un vociare chiassoso annunciò l'arrivo dei
ragazzi.
«Allora, Tenente, ci ha ripensato per
stasera?» chiese Hermann, lasciandogli una pacca sulla spalla
nel tragitto per il proprio armadietto.
Matt ignorò l'occhiata confusa di Kelly e si
sforzò di sorridere.
«Siamo sempre d'accordo che non pagherò
un centesimo, vero?»
«Certo certo, offre la casa» rispose
l'uomo, aprendo il proprio armadietto. «In qualche modo
dobbiamo festeggiare il tuo ritorno, no?»
«Vuoi essere dei nostri, Severide?»
chiese distrattamente Otis.
Matt si voltò a scrutare la reazione del
compagno, chiedendosi se fosse l'unico a sentire l'aria ghiacciarsi.
Notò, alla periferia del suo campo visivo, che Herman
saettava lo sguardo tra i due tenenti. Kelly afferrò i
propri vestiti e chiuse l'armadietto. «La prossima»
disse bruscamente, avviandosi alle docce.
«Ho detto qualcosa di sbagliato?» chiese
Otis confuso.
Hermann roteò gli occhi e issò sulla
spalla la propria sacca.
Matt si scrollò di dosso la tensione e raccolse
le proprie cose, decidendo che neanche Kelly poteva vietargli di
rilassarsi di fronte a una birra con i colleghi. Voleva solo sentire la
normalità, viverla sulla pelle e dimenticare tutto il resto.
Kelly avrebbe capito e, se non lo avesse fatto, sarebbe stato un suo
problema.
Con questo mantra nella mente, Matt seguì le urla
dei ragazzi quando la sirena finalmente rilasciò il suo
liberatorio grido.
Note: Hi, guys! Ho
faticato per scrivere questo capitolo, che in origine era molto
più lungo e nettamente diverso. Inizialmente non mi ero
preoccupata più di tanto delle ripercussioni psicologiche
dei due "incidenti", ma mentre scrivevo mi sono ritrovata a storcere il
naso. Insomma, già un'esperienza di quasi-morte è
pesante, ma due? Per di più, in situazioni piuttosto
violente. Quindi, ho approfondito la questione, ma cerco di evitare
drammatizzazioni eccessive. Non mi piace calcare troppo la mano quando
non necessario (almeno, non più), ma piuttosto voglio
cercare di ridimensionare le reazioni emotive della persona, in modo da
modellarle sul suo carattere e sulla situazione. Oh, bhe, questo poi
è il mio obiettivo, ma non so quanto ci sto riuscendo e ci
riuscirò. Va da sé che non ci saranno
clamorose discese nell'oblio, nella depressione o altro. Ma non voglio
lasciare spoiler.
See ya soon,
Ax.
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