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Autore: AlexEinfall    01/04/2015    2 recensioni
[Casey/Severide] Prima mia long-fic su questa coppia, che credo abbia un grosso potenziale.
Severide affronta Casey circa il suo comportamento sconsiderato, ma le cose non vanno mai come ci si aspetta. Questo è l'inizio di qualcosa oppure le resistenze e l'antico astio ostacoleranno la loro strada?
Un giorno qualunque alla Caserma 51 è destinato a cambiare ogni cosa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In bilico



  Matt non aveva dimenticato quella sensazione, ma quando salì sul camion, indossando la divisa e sistemando il casco, si sentì esaltato come la prima volta. Il primo reale incendio dopo quasi due mesi. Si lasciò pervadere dalla sensazione carburante della sua vita: l'adrenalina che cominciava a montargli nel corpo appena le sirene si accendevano, con l'imprevisto dietro le porte e non sapendo cosa avrebbero incontrato. Si concentrò su questo, spazzando via ogni esitazione.
  «Meglio che starsene sul divano, eh, Tenente?» gli urlò Herman, battendogli una mano sulla spalla.
  «Non hai idea quanto mi sia mancato.»
  «Non lo so, Casey» disse Otis con il suo ghigno tipico. «Con tutte le belle donne che passano per quella casa, tra Shay e Severide, io vorrei viverci su quel divano.»
  Tutti gli uomini del camion risero, mentre in lontanaza cominciava a defilarsi un grosso pennacchio di fumo. A quella vista una strana sensazione cominciò a mischiarsi all'adrenalina, qualcosa che sfociava nell'ansia. Casey la represse e, appena sceso dal veicolo, la mente entrò subito in modalità operativa.
  «L'incendio è partito dal primo piano e sta salendo fino al tetto» disse Boden appena i due tenenti lo raggiunsero. «Abbiamo almeno altre sei vittime intrappolate tra i quattro piani.»
  «Okay» dissero all'unisono, dividendosi per coordinare le operazioni.
  «Cruz, la scala, Otis e Mouch ventilate il tetto!» urlò Casey. «Herman e Mills con me.»
  «Capp, noi andiamo con Casey» si frappose Severide. «Noi prendiamo il primo e il secondo»
  «Noi terzo e quarto.»
  Prima di indossare le maschere, i due si guardarono negli occhi e annuirono, entrando spalla a spalla nell'edificio in fiamme.


  Matt credeva di sapere cosa avrebbe provato una volta che si fosse ritrovato avvolto dalla fiamme. Aveva avuto paura di essere aggredito da quella sensazione di sordo terrore e che questo, in effetti, fosse lo scenario peggiore.
  Curvo al centro di una stanza, i cui confini svanivano tra fiamme e fumo, scoprì che non avrebbe mai potuto prevedere il senso di vuoto che ora si espandeva nel suo petto. Mentre urlava e attraversava l'appartamento in cerca di superstiti, la sua mente si liberava di ogni altra cosa. Il crepitio delle fiamme, il calore che riscaldava la pelle e lo ricopriva di sudore, l'odore della plastica della propria maschera... tutto ciò che lo circondava sfumava in un sottofondo lontano e intangibile.
  Matthew Casey, per la prima volta in anni di servizio, non provò nulla.
  «Tenente!»
  Si voltò in direzione della voce di Hermann, che nel corridoio sorreggeva il peso di un uomo svenuto.
  «Vai avanti!» urlò Casey, correndo nella sua direzione.
  Scese le scale di fretta, ponendo attenzione alle condizioni delle assi.
  Un fruscio di vestiti lo bloccò davanti a una porta divelta. Ebbe appena tempo di chiedersi come, tra il boato dell'incendio e lo scricchiolare delle assi del pavimento, lo avesse udito. Ogni pensiero razionale si disintegrò di fronte al volto che intravide attraverso il caos. Anthony Messer era di fronte a lui, come un ologramma fatto della stessa sostanza del fumo che l'avvolgeva.
  I suoi occhi penetravano ogni centimetro della sua mente, bloccandogli il fiato in gola. Matt non riusciva a respirare per il cappio invisibile intorno alla gola, mentre il cuore martellava le orecchie, marciando implacabile.
  Non sentiva il peso rassicurante della divisa, o la sensazione opprimente della maschera premuta contro il volto. Gli occhi spalancati si riempivano della vista dei propri mobili che bruciavano e del sangue che gli colava dalla fronte. Poteva sentire il dolore e la paura, la testa girare e il mondo offuscarsi.
  Qualcuno chiamava il suo nome, tra disperazione e rabbia, mentre Tony Messer brandiva la chiave inglese, scintillante e fredda.
 

  Severide misurava lo stesso pezzo di strada davanti al camion con passi nervosi, saettando gli occhi tra l'edificio in fiamme e Boden. Era passato solo un minuto da quando lui e Capp avevano portato fuori due vittime, Otis e Mouch altre due, Mills uscito per aiutare i paramedici con le barelle. Un minuto da quando Herman era riemerso con una quinta vittima e rientrato per aiutare Casey a cercare l'ultima, intrappolata al quarto piano. Un minuto che sembrava espandersi all'infinito, mentre ogni cosa si muoveva lentamente.
  «Casey, rapporto.»
  Boden attese risposta, poi lanciò uno sguardo a Severide. Tutti i vigili trattenevano il respiro, di fronte al fumo che diventava sempre più nero. L'avviso di un minuto era già stato lanciato e rimasto inascoltato.
  «Tenente. Vieni fuori, ora» ringhiò Boden.
 Severide si avvicinò al Comandante quando la radio gracchiò, ma la voce che giunse non era quella che attendeva. «Sono Hermann, sto uscendo.»
  Pochi secondi dopo il vigile emerse dal fumo che avvolgeva l'ingresso. Cruz lo aiutò a sistemare la vittima sulla barella e i due paramedici cominciarono a controllarla.
  «Hermann, dove diavolo è Casey?» urlò Severide, fronteggiando il vigile.
  «Era dietro di me, non sono riuscito a farlo muovere» disse nel panico. «Non credo mi abbia sentito.»
  «Che vuol dire?» sbraitò Boden, afferrando la radio.
  Kelly imprecò e avvicinò la trasmittente alle labbra, anticipando il Comandante. «Casey, dove diavolo sei?»
  Silenzio.  
 Ricordò lo sguardo duro del compagno nella stanza delle divise, la sua risposta secca, il modo in cui le sue labbra l'avevano aggredito nel bisogno di annegare in quella sensazione. Realizzò cosa realmente aveva visto in quegli occhi, la stessa identica cosa che era stata anche nei suoi solo pochi mesi prima. Quello non era Matt, ma una massa di paure e rabbie represse, della quale non ci si poteva fidare.
 «Matt!»
  Si era raccomandato di stare calmo, di non oltrepassare la linea, ma ora come ora non poteva importargli di meno. Strappò a Hermann la maschera e indossò l'elmetto.
  «Che diavolo fai?»
  Non guardò Boden, sordo a tutto tranne che al rumore del proprio respiro nella maschera. Corto. Sempre più corto. Si disse che la vista era appannata per il fumo, ma era una menzogna.
  «Severide, devi aspettare-»
  «Al diavolo, io entro!»
  Non attese risposta e iniziò a correre verso l'ingresso. Fece appena un passo nel corridoio quando si imbatté in una divisa che correva nella sua direzione.
  «Fuori! Subito!»
  Si lasciò afferrare per un braccio e trascinare all'esterno. L'esplosione li mancò di un soffio, togliendogli l'asfalto da sotto i piedi e sbalzandoli a terra.
  Severide sentì la maschera incrinarsi e battere contro il volto. Per l'urlo, i denti tagliarono l'interno della guancia con forza. Spinto dall'adrenalina, riuscì ad alzarsi subito e a strapparsi di dosso l'equipaggiamento danneggiato. Gettò a terra il casco, spuntando sangue sull'asfalto. Gli parve di non respirare affatto mentre con lo sguardo cerava Matt.
  Dio, fa che stia bene.
  Non di nuovo....no...
  Quando lo vide carponi, la maschera a terra e il respiro affannosso, riuscì a rilasciare il respiro. Hermann lo aiutò a tirarsi su, reggendolo per le spalle. «Tenente, tutto okay?» chiese allarmato, tastandogli la giacca con i palmi aperti.
  Matt gli strinse un braccio e sorrise come se non fosse accaduto nulla. «Sì, tutto a posto. C'è mancato poco, eh?»
  Severide non vide più nulla. L'adrenalina e il terrore appena provati lo invasero, tramutandosi in rabbia. Quando fu in grado di capire cosa stesse facendo, si ritrovò ad afferrare Casey per il bavero della divisa e a strattonarlo.
  «Che diavolo ti è saltato in mente? Un minuto vuol dire un fottuto minuto! Volevi morire, eh? Idiota!»
  Qualcuno gli poggiò una mano pesante sul petto, costringendolo ad allontanarsi.
  Guardò Boden, alzando e abbassando le spalle in cerca di controllo.
  «Torna al camion, Tenente, subito» ordinò l'uomo, spingendolo fino all'abitacolo.
  Severide strinse tra i denti una risposta che gli avrebbe causato fin troppi problemi e salì sul sedile,  sbattendo con forza lo sportello. Reclinò la testa contro lo schienale, battendola fino a riacquistare una vista più chiara.
  Quando guardò oltre il parabrezza, Casey era ancora lì, immobile dove lo aveva lasciato, e il suo sguardo era duro. Lo vide voltarsi, ignorando i paramedici che cercavano di trattenerlo per controllarlo, e salire sul camion.





  «Hai una spiegazione per quello che è successo?» abbaiò Boden appena Matt ebbe richiuso la porta dell'ufficio.
  «Sono inciampato, Capo» rispose, le mani strette dietro la schiena. Sapeva che era la scusa più banale che potesse inventare, ma non era riuscito a elaborare nient'altro.
  Boden sollevò un sopracciglio. «Inciampato?»
  «Inciampato, sì.»
  Matt non aveva mai amato mentire, ma negli anni si era ritrovato a farlo più spesso del desiderato e aveva affinato la tecnica. A volte, si giustificava, le persone hanno bisogno di sentire determinate bugie perché il mondo continui a girare indisturbato. Dire al Comandante che aveva visto Anthony Messer e di aver avuto un attacco di panico, semplicemente, non era un'opzione. Senza vacillare o batter ciglio, continuò: «Scenendo le scale, devo aver messo male un piede. La radio deve essersi rotta, per questo non ho risposto.»
  «Non mi stai mentendo, Casey?» chiese lentamente Boden.
  Matt tirò le labbra in un sorriso e scosse la testa.
  «Andiamo, Capo, non mi crede?»
  Il Comandante lo scrutò a lungo, cercando di carpire la verità. Matt si impose di non tradirsi in alcun modo, ma non poté evitare di deglutire.
  «Hermann dice che ti ha richiamato, ma tu non l'hai ascoltato.»
  «Non l'ho sentito. Lo sa meglio di me quanto casino ci sia in un incendio simile.»
  «D'accordo» concesse Boden, sospirando. Il suo sguardo divenne più docile, mentre ricadeva pesantemente sulla sedia. «Ascolta, Matt, quello che ti è successo avrebbe spezzato chiunque. Io voglio fidarmi di te, perché conto sul fatto che non mi nasconderesti di non essere al cento per cento. Ma ti consiglio vivamente di parlare con qualcuno. Se non vuoi parlare con me, puoi farlo con uno dei tuoi uomini, o con Severide. So che vi siete avvicinati molto.»
  Matt si limitò a fissare lo sguardo sulla spalla destra del Comandante, annuendo appena. Sentiva i suoi occhi scuri scrutarlo alla ricerca di una debolezza; gli sembrava che ogni sguardo indirizzato a lui avesse lo stesso identico scopo: trovare una faglia nella sua armatura. Questo lo spingeva automaticamente a rafforzarla.
  «Ascolterò il suo consiglio, Capo.»
  «Matt, forse non hai afferrato quello che voglio dirti. Se avrò anche solo il sospetto che tu non sia pronto come dici a tornare in campo, sarò costretto a fare rapporto, ciò vuol dire che sarai obbligato a parlare con un'analista del Dipartimento.»
  «Capo...»
  «Non è un opzione, Casey» disse caustico, alzando una mano per fermare ogni sua protesta. «Siamo d'accordo?»
  Matt strinse le dita intorno al proprio polso così forte da sentire la circolazione venir meno e i polpastrelli formicolare. «Siamo d'accordo.»
  «Bene. Puoi andare. Ma che non si ripeta più, intesi? La prossima volta che la radio non funziona, esci subito.»
  «Certo Capo, non si ripeterà.»
  «Sì sì, vai.»
  Matt annuì e uscì dall'ufficio. Percorse pochi passi nel corridoio, prima di poggiare la schiena al muro e rilasciare un lungo sospiro. Più si sforzava di restare focalizzato sui suoi compiti e le sue responsabilità, più intorno a sé vedeva dubbi e incertezze.
  Quel turno cominciava a sembrargli il più lungo della sua vita.



  Convincere Hermann a raccontare quello che era accaduto nell'incendio non fu semplice, ma Kelly fece appello a ogni ragione a disposizione -compreso il benessere stesso di Casey- per farlo parlare. Alla fine la preoccupazione superò la lealtà, e il vigile del Camion 81 dipinse una situazione che a Kelly non piacque affatto.
  «Senti, questo non l'ho detto a Boden perché non voglio mettere Casey nei guai. Io sono sicuro che potesse sentirmi» disse Hermann, bisbigliando per non farsi udire dagli altri. «Cioè, avrebbe potuto sentirmi, ma...era come se non potesse. Io dovevo portare quell'uomo fuori prima che fosse troppo tardi, ma per un attimo ho pensato che Casey non ne sarebbe uscito. Non mi piace doverlo dire, ma non credo che il Tenente sia al cento per cento.»
  Kelly provò la tentazione di dargli una pacca sulla spalla, per sollevarlo dal senso di colpa e dalla paura che gli contraeva il volto, ma era troppo occupato a gestire le proprie emozioni.
  Passò parte del turno a rimuginare su cosa fare, gravato dalla responsabilità di dover fare qualcosa. Conosceva Matt e sapeva che metterlo alle strette sarebbe servito solo a rafforzare il suo scudo, perché mai avrebbe ammesso le proprie debolezze sotto forzatura. Scartò l'idea di affrontarlo direttamente, per quanto fremesse dal bisogno di farlo. Matt poteva essere un ragazzo ragionevole e disponibile, ma messo all'angolo reagiva come un animale ferito. Kelly poteva capirlo meglio di chiunque altro.
  Il modo in cui il compagno lo evitava, rivolgendogli rare occhiate fredde, non aiutava la sua causa.
  Quando il Camion 81 rientrò dopo una chiamata, Kelly attese che i vigili fluissero verso la sala comune, quindi abbandonò il quotidiano e si alzò dal tavolo. Matt era rimasto indietro, controllando l'attrezzatura per evitare il confronto con chiunque.
  «Hey» lo salutò, cercando di essere più disinvolto possibile.
  L'unico modo per arrivare al nocciolo della faccenda era cercare di lanciare un'offerta di pace e sperare che l'altro la cogliesse.
  Matt alzò appena lo sguardo su di lui -o meglio, sulla sua maglietta, evitando accuratamente il viso.
  «Hey» rispose freddamente, tirando gli estremi di una fune e mettendola da parte.
  Kelly si impose di non badare al muto astio che serpeggiava nella voce del compagno. Cercò a terra le parole che sapeva doveva lasciar uscire dalle labbra, per quanto gli costassero. Erano vere e sarebbero pesante come un macigno finché non le avesse liberate. Sospirò e disse: «Senti, mi dispiace per stamattina. Ho esagerato... e ti chiedi scusa.»
  «Okay.»
  «Okay?»
  Matt alzò lo sguardo su di lui e scrollò le spalle. «Che altro vuoi ti dica?»
  «Non lo so. Pensavo avremmo avuto una di quelle conversazioni a cuore aperto» cercò di scherzare Kelly. «Hai presente, io che ti chiedo scusa e tu che mi dici che è tutto okay, che abbiamo sbagliato ma risolveremo, etc etc.»
  «La mia radio si è rotta, io non ho sbagliato.»
  «Avanti, Matt» lo spronò Kelly. Parlare con lui ora era come scontrarsi con un muro, e lui sapeva di dover evitare di sbucciarsi le nocche e provocare crepe nei mattoni. «Se c'è qualcosa che non va-»
  «Non c'è» taglio corto il biondo.
  «Stai mentendo a me o a te stesso?» Quando ottenne come risposta solo uno sguardo duro, sospirò e continuò: «Senti, io ti sto dando lo spazio che ti serve, Matt. Ma tu hai delle responsabilità, sei un Tenente.»
  «Stai mettendo in dubbio la mia posizione?» ringhiò Matt, la mascella che tremava dalla rabbia di quell'affronto.
  «Sì» rispose Kelly di impulso.
  «Perfetto, grazie tante» mormorò Matt, oltrepassandolo e marciando in direzione delle doppie porte della Caserma.
  Kelly lo guardò allontanarsi, mormorando a denti stretti un'imprecazione. Gli costava ammetterlo, ma non aveva idea di come scavalcare le difese di Matt senza frantumarle.





  L'orologio da parete strisciava piano le sue lancette, avvicinandosi con lentezza all'ora in cui la sirena di fine turno avrebbe suonato. Matt, seduto al tavolo della sala comune, sorseggiava pigramente il caffé, mentre con la mano libera tamburellava le dita sul massiccio tavolo. Per la prima volta in anni e anni di angosciante attesa del suono della sirena, si ritrovò a sperare che il tempo si dilatasse. Non aveva alcuna voglia di uscire dalla Caserma e scontrarsi con Kelly, perché sapeva fin troppo bene che non avrebbe potuto evitare un altro confronto. Tutto ciò che voleva era fare il suo lavoro al meglio, o per lo meno impegnarsi nell'obiettivo, e non pensare a nient'altro. Un'accorata e sincera discussione sui propri problemi non era nei suoi programmi.
  Hermann entrò nella sala con un giornale arrotolato tra le mani, e lo abbatté sulla nuca di Cruz, facendolo sobbalzare.
  «Smettila di fissare l'orologio» lo ammonì il più anziano. «Non farà suonare prima la sirena.»
  «Tentare non nuoce» brontolò Cruz, massaggiandosi il collo arrossato.
  Mouch rise dalla sua postazione sul divano, senza mai staccare gli occhi dalla tv.
  «Hey, Tenente, perché non vieni al Molly's dopo il turno?» chiese Herman sedendosi di fronte a Matt. Poggiò i gomiti sulle ginocchia e si sporse a bisbigliare. «Non abbiamo ancora aperto, ma nessuno ci vieta di far assaggiare a qualche amico la nuova birra che Otis ha comprato.»
  «Tranne la legge» mormorò Cruz, guadagnandosi un'occhiataccia da Hermann.
  Matt ponderò la proposta e decise che una birra con degli amici era un'idea più allentante che uno scomodo confronto con Kelly.
  «Birra americana?» chiese con un ghigno.
  «Per la verità,» si intromise Otis, alzandosi dal tavolino e raggiungendoli, «è belga, ed è sublime. Devi provarla, Casey.»
  Matt saettò lo sguardo tra i due colleghi, quindi annuì. «Che birra sia» poggiò la tazza sul tavolo e si alzò. «Ma non la pago. Lo faccio per voi, non voglio che la polizia vi faccia chiudere prima di aprire» disse in finta serietà.
  Avviandosi allo spogliatoio, sentì Otis ridere sotto i baffi.  



 Rianimato da una lunga doccia, Casey frugava nel proprio armadietto senza uno scopo preciso. La sua mente era completamente assorbita dall'ultimo confronto con Kelly e da tutto ciò che era accaduto.
  Sentiva la diffidenza dei suoi uomini, il modo in cui Boden lo scrutava, e avrebbe potuto superare ogni cosa. Ma di tutte le persone non si sarebbe mai aspettato che proprio Severide gli desse quello scacco.
  Kelly non si fidava di lui. L'uomo che amava, al quale aveva donato segreti e terrori, l'uomo che lo  stringeva dopo gli incubi senza mai costringerlo a denudarli, proprio lui ora lo guardava con lo stesso muto disappunto che era negli occhi di tutti.
  Matt si sentiva sotto la lente di un microscopio troppo invasivo, che una mano meschina regolava continuamente per mettere a fuoco ogni sua debolezza.
  La parte razionale di sé cercava di arrivare al nocciolo delle motivazioni del compagno, dove si nascondeva la paura di perderlo ancora e la rabbia covata per tutto ciò che gli era accaduto. In fondo, come poteva biasimarlo quando neanche lui si fidava di se stesso? Ma la parte emotiva poneva una barriera alla comprensione. Quello che c'era oltre era un campo condiviso, pericoloso, e se Matt vi fosse entrato ogni sua autoconvinsione sarebbe crollata. Kelly lo avrebbe costretto ad aprire quella porta che conduceva al garbuglio di emozioni che cercava di tenere sotto controllo. Matt sapeva che c'erano porte che, una volta aperte, non potevano essere richiuse. Lui non poteva permettere di farsi sopraffare dalla negatività, dalla paura e dalla rabbia; doveva concentrarsi sul suo lavoro e tirare avanti il più possibile.
  Si sedette sulla panca, strofinandosi il volto con la mano.
  Un rumore di passi lo fece scattare in piedi, le mani nascoste nell'armadietto in cerca della propria maglia. Deglutì a fatica un nodo di frustrazione quando quella particolare camminata assunse nella sua mente un'identità precisa. Kelly poggiò il borsone sulla panca accanto a lui e, senza dir nulla, aprì l'armadietto e tirò fuori un cambio. Matt aveva già infilato con lentezza la maglia, quando un vociare chiassoso annunciò l'arrivo dei ragazzi.
  «Allora, Tenente, ci ha ripensato per stasera?» chiese Hermann, lasciandogli una pacca sulla spalla nel tragitto per il proprio armadietto.
  Matt ignorò l'occhiata confusa di Kelly e si sforzò di sorridere.
  «Siamo sempre d'accordo che non pagherò un centesimo, vero?»
  «Certo certo, offre la casa» rispose l'uomo, aprendo il proprio armadietto. «In qualche modo dobbiamo festeggiare il tuo ritorno, no?»
  «Vuoi essere dei nostri, Severide?» chiese distrattamente Otis.
  Matt si voltò a scrutare la reazione del compagno, chiedendosi se fosse l'unico a sentire l'aria ghiacciarsi. Notò, alla periferia del suo campo visivo, che Herman saettava lo sguardo tra i due tenenti. Kelly afferrò i propri vestiti e chiuse l'armadietto. «La prossima» disse bruscamente, avviandosi alle docce.
  «Ho detto qualcosa di sbagliato?» chiese Otis confuso.
  Hermann roteò gli occhi e issò sulla spalla la propria sacca.
  Matt si scrollò di dosso la tensione e raccolse le proprie cose, decidendo che neanche Kelly poteva vietargli di rilassarsi di fronte a una birra con i colleghi. Voleva solo sentire la normalità, viverla sulla pelle e dimenticare tutto il resto. Kelly avrebbe capito e, se non lo avesse fatto, sarebbe stato un suo problema.
  Con questo mantra nella mente, Matt seguì le urla dei ragazzi quando la sirena finalmente rilasciò il suo liberatorio grido.









Note: Hi, guys! Ho faticato per scrivere questo capitolo, che in origine era molto più lungo e nettamente diverso. Inizialmente non mi ero preoccupata più di tanto delle ripercussioni psicologiche dei due "incidenti", ma mentre scrivevo mi sono ritrovata a storcere il naso. Insomma, già un'esperienza di quasi-morte è pesante, ma due? Per di più, in situazioni piuttosto violente. Quindi, ho approfondito la questione, ma cerco di evitare drammatizzazioni eccessive. Non mi piace calcare troppo la mano quando non necessario (almeno, non più), ma piuttosto voglio cercare di ridimensionare le reazioni emotive della persona, in modo da modellarle sul suo carattere e sulla situazione. Oh, bhe, questo poi è il mio obiettivo, ma non so quanto ci sto riuscendo e ci riuscirò.  Va da sé che non ci saranno clamorose discese nell'oblio, nella depressione o altro. Ma non voglio lasciare spoiler.
See ya soon,
Ax.
  
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