17
Punto d'impatto
«Davvero non ti da fastidio?»
chiese Shay, risistemando la testa sul braccio dell'amico.
Kelly scrollò la spalla libera, stringendo con le
dita la stoffa del divano. Si portò la birra alle labbra e,
come ripensandoci, mormorò: «Casey è un
uomo libero, può fare quello che vuole.»
Shay alzò la testa per guardarlo in volto, ma il
moro non spostò lo sguardo dalla TV finché non
capì che lei non avrebbe desistito.
«Che c'è?»
«Niente» mugugnò Shay.
«Solo che ricordavo sapessi mentire meglio di
così.»
Kelly roteò gli occhi e sprofondò nei
cuscini del divano, sollevando una gamba per sistemarla sul tavolino.
«Senti, non mi da fastidio che esca con i ragazzi e che non
me lo dica.»
Shay attese che continuasse e, quando fu chiaro che aveva
intenzione di chiudere il discorso, sospirò e disse:
«Ma il fatto che sta evitando di rimanere solo con
te?»
Kelly la guardò e non poté fare a meno
di stirare le labbra in un piccolo sorriso. Shay lo conosceva
dannatamente bene. Non portava rancore a Matt per aver programmato la
propria serata senza tenerlo in conto, perché in fondo non
aveva intenzione di finire in un rapporto geloso e possessivo. Doveva
ammettere che era strano ritrovarsi a casa senza di lui, e il posto
vuoto sul divano si faceva sentire – soprattutto dopo un
turno così massacrante, avrebbe davvero voluto stringerlo e
sentirlo suo. Kelly era abituato a concludere la giornata con un
braccio sulla spalla di Matt, carezzandolo distrattamente, fino a
sentire il corpo scivolare sul suo nel sonno. Malgrado la sensazione
gli mancasse, non voleva dare troppo peso alla sua assenza.
Ciò che realmente lo innervosiva, impedendogli di
godere di una tranquilla serata con Shay, era sapere la
verità. Matt lo stava evitando, e Kelly poteva immaginare il
motivo. Il suo compagno non voleva affrontare ciò che era
successo durante il turno.
«Dovresti parlargli» disse Shay,
strappandolo ai propri pensieri. «È
comodo rifugirarsi nei
va tutto bene, ma prima o poi rischierà la vita
di qualcuno.» Dicendo ciò, lo guardò
negli occhi con una serietà che lo scosse. Entrambi sapevano
a cosa si riferisse e automaticamente Kelly ripensò a quel
giorno in ospedale, quando aveva stretto la mano di Shay e si era
ripromesso di risolvere i propri problemi, ora e subito.
Quando Shay si rilassò contro il suo petto e lui
tornò a guardare lo schermo, la sua mente era ormai
intrappolata da quel pensiero. Matt poteva aver bisogno di spazio, di
processare le cose con i propri tempi e di affrontare i propri problemi
da solo... Ma Kelly sapeva che queste erano solo scusanti, vie di fuga
facili. Dieci minuti trascorsero in silenzio, prima che Kelly si
raddrizzasse e Shay gli facesse spazio per farlo alzare.
«Dove vai?» chiese quando lo vide
indossare la giacca in fretta.
«A parlargli.»
«Hey» lo richiamò, prima che
potesse chiudere la porta. «Non devo dirti di andarci piano
e, possibilmente, evitare qualunque scontro fisico, vero?»
Kelly roteò gli occhi, mormorando: «Per
favore, Shay, non sono così stupido», prima di
chiudere la porta e svanire.
Shay sospirò e afferrò la birra
lasciata a metà. Poco rassicurata dalle parole dell'amico,
decise di alzarsi e cercare qualcuno con cui uscire.
Il primo bicchiere di birra scivolò via
facilmente. Matt doveva ammettere che Otis aveva ragione, e il gusto
era decisamente migliore del previsto. La compagnia fu appagante e
riuscì a perdersi nelle chiacchiere e negli scherzi dei
colleghi. Hermann da dietro il bancone lanciava battute sagaci,
interrompendo e innervosendo Otis, che cercava di raccontare tutto
ciò che era avvenuto in quel mese e mezzo in Caserma. Quello
che ne uscì fu un quadro comico e bizzarro, che
più di una volta Cruz sottolineò essere del tutto
inventato. Matt rise di gusto, godendo dell'aria calda e accogliente
del piccolo bar, dove la polvere ancora si nascondeva agli angoli dei
muri e il legno delle sedie scricchiolava.
Il secondo bicchiere di birra si intorbidì nello
stomaco, appesantito dal ricordo dello sguardo deluso e irritato di
Kelly. Quella vista, ripresentandosi improvvisa, lo fece allontanare
dal calore della compagnia, avvolgendolo della fredda sensazione della
mancanza. Per un attimo rimpianse di essere uscito e
desiderò aggrapparsi al corpo di Kelly con quanta forza
possibile. Riuscì ad annegare il senso di colpa e il disagio
nel terzo e nel quarto bicchiere di birra. Avendo snobbato l'ultimo
pasto in Caserma, l'alchol salì velocemente e in poco Matt
si ritrovò con i sensi intorpiditi e i riflessi lenti.
Mantenne la sua postazione sullo sgabello, impegnandosi a non dar a
vedere l'orizzonte di una brutta sbronza triste.
Sapeva che nel suo stato attuale la quinta birra avrebbe
segnato il confine tra un'allegra serata alcolica e una lunga discesa
nell'eccesso. Fremeva già all'idea di spostare la festa
altrove, in un luogo più affollato e in cui bere senza
sentire di esagerare, o di abusare dell'ospitalità dei
ragazzi del Molly's.
Si accorse di aver già fatto la sua scelta quando
gli giunse la voce forte di Cruz. «Wow, Tenente, sicuro di
reggerne un'altra?» chiese ridendo.
La sua mano sulla spalla per un attimo lo fece irrigidire,
ma scrollò di dosso quella sensazione di fastidio.
«Vuoi sfidarmi, Cruz?» chiese ghignando.
Il volto del collega gli appariva ancora chiaro, sebbene i
piccoli dettagli sfumassero in un alone confuso.
«Hey, buoni con le sfide, ragazzi. Non volete mica
bervi il locale? Siamo qui per festeggiare.»
Per un attimo Matt ebbe la sensazione che gli occhi di
Hermann, in contrasto al suo tono gioviale, fossero seri e preoccupati.
Poggiò saldamente le mani sul bancone, per
apparire più in sé di quanto non fosse. Non erano
le quattro birre a fargli sentire quella strana leggerezza nella mente,
ma una strana eccitazione. Aveva fame di altro, di tutto.
Improvvisamente sentì di poter fare qualunque cosa. Il
controllato e calmo Matthew Casey poteva ballare sul mondo e ridere e
correre fino a non sentire le gambe.
Era sul punto di allungarsi oltre il bancone e servirsi da
solo, quando uno sbuffo di gelo gli colpì la nuca,
segnalando che la porta del locale era stata aperta.
«Hey hey, guarda chi si vede»
urlò Herman, svendolando una mano. «Vuoi unirti a
noi o sei venuto a recuperare il tuo coinquilino?»
Matt mormorò un'imprecazione a denti stretti.
Ancor prima di voltarsi, seppe che Severide era alle sue spalle, poteva
sentirlo e immaginarlo fin troppo bene. E di certo non era
lì per partecipare alla sua piccola festa privata. Kelly era
giunto per fermarlo, sfregandosi le mani e scrollandosi di dosso
l'umidità della città, in quell'ostentata
disinvoltura che solitamente ammirava.
«Qualcuno deve pur portare il suo culo a
casa» disse Kelly, raggiungendolo e poggiandosi al bancone.
L'odore di bagnoschiuma e sigaro gli fece girare la testa
più del solito.
«Non credo» mormorò Matt. Ora
desiderava ardentemente aver preso quella quinta birra ed essere
già uscito di lì.
«Avanti, Tenente, non vuoi mica finirci tutta la
birra?»
Alzò gli occhi appena in tempo per vedere Hermann
scambiare uno sguardo di intesa con Kelly, e avvertire tutto d'un
tratto l'aria tesa intorno a lui. Otis dardeggiava lo sguardo tra un
altrettanto imbarazzato Cruz e i due Tenenti, senza più
nessuna battuta sulla punta della lingua. Reprimendo l'impulso di
rispondere a Hermann, Matt alzò le mani in segno di resa e
scese dallo sgabello.
«D'accordo» disse, indossando un sorriso
mentre afferrava la giacca dall'attaccapanni. «Grazie della
serata, ragazzi.»
Non sentì la risposta, già fuori sul
marciapiedi a farsi investire dall'aria fredda di Chicago. Avvertiva il
gelo insinuarsi nei capelli, ma la pelle era in fiamme e lui non sapeva
se era per rabbia o per l'alchol. Senza esitare, si avviò
lungo la strada.
«Matt!» lo richiamò Kelly,
correndogli dietro.
Appena lo avvertì alle spalle, una bolla di
bianca rabbia esplose dietro gli occhi, riempendogli i nervi e
annebbiandogli la vista. Si voltò e gli afferrò
la giacca, spingendolo contro il muro di un edificio.
«Matt, che diavolo fai?»
ringhiò Kelly, afferrandogli a sua volta il bavero della
giacca. Lo strattonò abbastanza forte da allontanarlo e
farlo barcollare in cerca di equilibrio. Matt poggiò la
schiena ad un palo della luce, e la rabbia si alimentò di
quella spinta rude.
«Lasciami in pace, Severide. Non ho bisogno di una
baby-sitter! Lo so che cosa cercate di fare tutti. Volete tenermi sotto
controllo, perché...cosa? Non sono affidabile?»
Kelly sbuffò una risata, aprendo le
braccia in tono di sfida. «Guardati e dimmi se davvero pensi
di essere affidabile. Che vuoi fare? Ubriacarti fino a svenire? E poi
cosa? Tornerai a lavoro e farai finta di nulla?»
«Con te ha funzionato così
bene» disse sarcasticamente Matt.
Quelle parole colpirono Kelly esattamente dove Matt, nella
rabbia e nella stanchezza mentale, voleva. L'espressione del moro
mutò rapidamente da sorpresa a dolore e infine rabbia.
«Io... Senti, lascia stare. Sto bene, voglio solo
che mi lasci in pace!»
«Allora vai, ubriacati, distruggiti, fai quello che
ti pare. Ma quando ne avrai abbastanza, non sperare che io
sarò ancora qui a raccogliere i pezzi.»
«Non ne ho bisogno! Non ho bisogno di te, di aiuto
o di qualunque altra cosa. Cristo! Voglio solo divertirmi un po', tu ne
stai facendo una questione di Stato.»
Matt si ritrovò senza fiato, i polmoni
appesantiti dal carico di emozioni e dall'aria fredda che condensava il
respiro intorno al suo viso. Gli occhi di Kelly si incupirono, mentre
avanzava verso di lui colmano in pochi attimi la distanza. Il palmo del
moro si fermò sul suo petto, spingendogli la schiena contro
la superficie fredda del palo in modo doloroso.
«Hai bisogno di aiuto, Matt.»
Le sue parole, pronunciate con voce più roca ed
estranea del previsto, lasciarono un'eco che rimbalzò tra
gli edifici. «Ma sei troppo orgoglioso e spaventato per
ammetterlo. Ne ho abbastanza di balle e pretese. Ti ho dato sei
settimane e ti ho sempre aperto la porta. Mi dici che va tutto bene?
D'accordo, mi dico che hai bisogno di convincerti che sia
così per andare avanti, e aspetto. Ora basta! Non riguarda
solo te, lo capisci?» Quando vide Matt distogliere lo sguardo
e sentì le proprie parole cadere nel vuoto, premette
più forte il palmo sul petto del compagno, non riuscendo a
frenare la propria lingua dal dire ciò che sapeva essere
sbagliato: «Dovrei lasciarti qui, ma io non sono come te. Io
non lascio indietro nessuno.»
Matt chiuse gli occhi, inalando pesantemente dal naso.
Dovette impiegare tutte le sue poche forze residue per impedirsi di
scoppiare e aggredire l'uomo che, con la sua presenza e le sue parole,
spingeva il bottone della sua rabbia.
«Fanculo» ringhiò,
divincolandosi a fatica dalla presa.
Kelly indietreggiò, lasciandogli lo spazio fisico
per muoversi, ma inchiodandolo con lo sguardo. Matt si
staccò dal palo e si avviò lungo il marciapiedi.
Non sapeva dove stesse andando, sapeva solo di doversi allontanare.
Ignorò la voce di Kelly, stringendo le palpebre
per cercare di dissipare la nebbia nella mente. Il cuore accellerava e
i muscoli erano tesi come di fronte al pericolo. Matt doveva mettere
più distanza possibile tra sé e il suo compagno,
doveva farlo. In un angolo della mente, un grumo di terrore andava
formandosi: aveva paura di quello che avrebbe potuto fare. Conosceva
abbastanza bene i propri limiti da sentire quando il formicolio sotto
la pelle diveniva un tremore, e il proprio controllo vacillava. Scosso
dall'idea di poter ferire Kelly, in qualunque modo, si
ritrovò ad aumentare tanto il passo da sembrare corresse.
Sentì una mano forte afferrargli la spalla e
ancora una volta la rabbia esplose, ma questa volta con tale potenza
che riuscì a riacquistare una vista chiara solo quando fu
troppo tardi. Ebbe appena la percezione di essersi voltato e aver
sollevato un pungo, che si era scontrato con il volto di Kelly.
Il moro barcollò, tenendosi la guancia con una
mano. Nei suoi occhi c'era stupore e shock e, quando si posarono su di
lui, tutta la confusione venne spazzata via. Improvvisamente sobrio da
rabbia e alchol, Matt si ritrovò a fissare la propria mano
come se fosse estranea. Le nocche cominciavano ad arrossarsi per il
forte impatto, il dolore che pulsava sotto la pelle.
«Che cazzo, Matt» mormorò
Kelly, raddrizzandosi e massaggiando la mascella.
Rimasero in silenzio, mentre Matt cercava di trovare un
appiglio che lo tirasse fuori dall'intorpidimento in cui era
sprofondato. Riprendendo fiato, guardò Kelly e
ciò che vide gli serrò lo stomaco. Avrebbe
preferito che l'altro rispondesse al pugno, che lo colpisse con quanta
forza aveva, piuttosto che rimanere fermo e guardarlo in attesa.
Kelly era lì, in molti più modi e
sensi di quanto potesse cogliere.
Il suo stomaco si strinse, gorgogliò e infine fu
afferrato da un intenso crampo. Matt ebbe la lucidità di
chinarsi contro un muro, prima di riversare a terra le birre e parte
della cena.
Sentì la mano di Kelly sulla sua nuca, ferma e
calda, e si ritrovò a chiudere gli occhi e lasciarsi andare
al contatto.
Svuotato e stanco per qualunque lotta o protesta, Matt si
lasciò afferrare per un braccio e condurre all'auto.
La mascella cominciava a fargli dannatamente male. Non
aiutava che quel colpo avesse riaperto la lunga ferita nella guancia,
dove i denti avevano aperto uno squarcio quando l'esplosione della
mattina lo aveva sbalzato a terra. Ingoiando il sapore metallico del
sangue e l'amaro provocato dalla rabbia, Kelly
cercò di concentrarsi sulla strada davanti a sé.
Matt lo aveva già colpito in passato, quando erano
più giovani e non riuscivano a risolvere i propri conflitti
con le parole. A quei tempi, Kelly non aveva mai mancato di rispondere
al fuoco con il fuoco, fino a costringere Andy a dividerli fisicamente.
C'era un labile confine tra diplomazia e perdita di controllo, e negli
anni avevano imparato a gestirlo. Kelly sapeva esattamente cosa non
dire per evitare che lo scontro scivolasse dal verbale al fisico,
mentre Matt sapeva quando Kelly dimenticava quella consapevolezza, e si
ritirava di conseguenza.
Ora gli sembrava che le placche tettoniche dei loro
sentimenti si stessero riassestando, lasciandosi dietro un'inevitabile
scia di terremoti ed esplosioni vulcaniche. Non era certo di cosa gli
avesse impedito di afferrare Matt e sbatterlo contro il muro di
quell'edificio, colpendolo fino a togliergli dal volto quello sguardo
di sfida. Strinse il volante, cercando di reprimere l'ondata di rabbia
che al pensiero risorgeva. Forse era stato lo sguardo di terrore che,
dopo quel pungo, si era impossessato degli occhi chiari di Matt, o
forse la consapevolezza che se avesse risposto all'aggressione tutto si
sarebbe irreparabilmente distrutto. Un sospetto lo colse e il suo mondo
sembrò vacillare: e se fosse già tutto distrutto?
Matt aveva tradito la sua fiducia e aveva morso la mano che gli aveva
teso. Kelly ebbe paura di non essere in grado di perdonarlo. Da amici
erano sempre riusciti a concedersi a vicenda il perdono, anche nelle
situazioni più disperate; sesso e amore complicavano tutto.
Lanciò uno sguardo al compagno, che sedeva
rigidamente accanto a lui e guardava le luci dei lampioni saettare nel
buio oltre il finestrino. Era così immobile, che quando
parlò la sua voce parve irreale. «Mi
dispiace.»
«Per cosa?» chiese Kelly, oltre il
groppo che dalla gola estendeva tentacoli dolorosi fino alle mascelle.
Matt inclinò la testa e sventolò una
mano nella direzione generale della propria guancia. «Per
averti colpito. Non volevo, non dovevo.» La sua voce si
ruppe. Nascose il volto nella mano, massaggiandosi gli occhi. Kelly
poté quasi giurare che stesse per piangere. «Per
quello che ho detto... Per averti mentito» esalò
in frustrazione, abbattendo la mano sul proprio ginocchio.
«Cristo! Mi dispiace per tutto.»
Kelly strinse le dita intorno al volante, mentre il tono
della voce di Matt gli scuoteva qualcosa in fondo allo stomaco. Non era
pietà o compassione...era dolore, si accorse. Sentiva la sua
disperazione combaciare con la propria, il suo dolore mischiarsi al
proprio. Si chiese quando la connessione empatica tra loro fosse
divenuta così forte, ma si arrese a non saperlo mai. Non
poteva ripescare dalla memoria il momento esatto in cui le proprie onde
emotive si erano sincronizzate con quelle di Matt. Era accaduto
lentamente e in modo naturale, come il crescere di una piccola e fiera
pianta attraverso le stagioni. Con stupore pensò che questo
non poteva che essere amore.
«Io ti amo, Matt.»
Sentì il sudore congelarsi tra le scapole. Lo
aveva detto ad alta voce, troppo alta per non essere udita. La sua
fortuna volle che il prossimo semaforo fosse rosso. Fermi nell'auto
senza alcuna distrazione, senza una scappatoia a quelle parole,
rimasero in silenzio finché si udì un suono
strozzato. A metà tra un singhiozzo e un gemito, quel suono
riverberò nel suo petto così forte che per un
attimo Kelly temette di averlo esalato lui stesso.
Si voltò e incontrò gli occhi
spalancati di Matt, rossi e liquidi. Il peso di quelle tre parole era
nel suo sguardo, che diventava sempre più profondo mentre la
sorpresa si trasformava in consapevolezza. Il suo fiato caldo gli
carezzò le labbra e lui sentì la
necessità di dirlo ancora, di urlarlo finché non
fosse entrato in quella testa dura, piantandosi per sempre. Lo aveva
detto senza pensarci, ma non era un errore e ora gli sembrava troppo
importante che Matt lo sapesse. «Ti amo, cazzo. Ti amo, e in
questo momento ti odio così tanto che potrei prenderti a
pugni, perché questo non sei tu e non sopporto vederti
così.»
Matt irruppe in una risata bizzarra e Kelly
guardò confuso le lacrime che si formavano agli angoli degli
occhi, scintillando alla luce dei lampioni. Se fossero di gioia o
dolore non riusciva a dirlo, ne riusciva a comprendere cosa ci fosse da
ridere.
«Scusa, è che...Wow...»
Il biondo rimase a bocca aperta, le parole rotte in gola.
Kelly non riusciva più a sostenere il suo
sguardo, quindi gli afferrò il colletto della giacca e lo
tirò a sé, baciandolo rudemente. L'impatto fece
cozzare i denti, strappando a Matt un gemito di sorpresa e dolore.
Ripresosi dallo stupore, rispose al bacio, schiudendo le labbra e
accogliendo Kelly.
Quando si staccarono per riprendere aria, le labbra di Matt
formarono le esatte parole che Kelly temeva di non udire mai.
Fu appena un soffio d'aria, ma quanto bastava per far
vibrare le corde vocali in un
ti amo che rimbombò nella sua mente, facendo
per un attimo girare i contorni del mondo.
Un clacson suonò rabbioso e ancora una volta Matt
scoppiò a ridere, questa volta non da solo.
Quando Kelly premette l'accelleratore e strinse il volante,
le sue mani tremavano.
«Sai che comunque dovremo parlarne,
vero?» mormorò, senza staccare gli occhi dalla
strada. «Intendo...di tutta questa faccenda, del
tuo-»
«Problema?»
Matt reclinò la testa e chiuse gli occhi.
«Abbiamo tutta la notte per parlare.»
Kelly non potè fare a meno di considerarla una
vittoria. Forse, si disse, amore e perdono non dovrebbero mai stare
nella stessa sentenza.
Note: Hello, guys! Dopo
le devastanti vacanze pasquali (vacanze? mmm) sono tornata. In questi
giorni mi è stato impossibile aggiornare, anche se il
capitolo era già bello pronto. Comunque, piccola nota (che
in realtà è una mia riflessione): ho pensato a
ripensato a quanto appropriato fosse il pugno (come gesto, come
significato, come tutto), ma alla fine ho deciso di lasciarlo
lì dov'è; non credo sia incompatibile con la
situazione e il carattere dei personaggi, in più
avrà un suo significato in seguito. Non dico altro, se non
che tornerò presto!
Grazie di esserci e
seguirmi.
Ax.
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