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Autore: AlexEinfall    08/04/2015    3 recensioni
[Casey/Severide] Prima mia long-fic su questa coppia, che credo abbia un grosso potenziale.
Severide affronta Casey circa il suo comportamento sconsiderato, ma le cose non vanno mai come ci si aspetta. Questo è l'inizio di qualcosa oppure le resistenze e l'antico astio ostacoleranno la loro strada?
Un giorno qualunque alla Caserma 51 è destinato a cambiare ogni cosa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Punto d'impatto




   «Davvero non ti da fastidio?» chiese Shay, risistemando la testa sul braccio dell'amico.
  Kelly scrollò la spalla libera, stringendo con le dita la stoffa del divano. Si portò la birra alle labbra e, come ripensandoci, mormorò: «Casey è un uomo libero, può fare quello che vuole.»
  Shay alzò la testa per guardarlo in volto, ma il moro non spostò lo sguardo dalla TV finché non capì che lei non avrebbe desistito.
  «Che c'è?»
  «Niente» mugugnò Shay. «Solo che ricordavo sapessi mentire meglio di così.»
  Kelly roteò gli occhi e sprofondò nei cuscini del divano, sollevando una gamba per sistemarla sul tavolino. «Senti, non mi da fastidio che esca con i ragazzi e che non me lo dica.»
  Shay attese che continuasse e, quando fu chiaro che aveva intenzione di chiudere il discorso, sospirò e disse: «Ma il fatto che sta evitando di rimanere solo con te?»
  Kelly la guardò e non poté fare a meno di stirare le labbra in un piccolo sorriso. Shay lo conosceva dannatamente bene. Non portava rancore a Matt per aver programmato la propria serata senza tenerlo in conto, perché in fondo non aveva intenzione di finire in un rapporto geloso e possessivo. Doveva ammettere che era strano ritrovarsi a casa senza di lui, e il posto vuoto sul divano si faceva sentire – soprattutto dopo un turno così massacrante, avrebbe davvero voluto stringerlo e sentirlo suo. Kelly era abituato a concludere la giornata con un braccio sulla spalla di Matt, carezzandolo distrattamente, fino a sentire il corpo scivolare sul suo nel sonno. Malgrado la sensazione gli mancasse, non voleva dare troppo peso alla sua assenza.
  Ciò che realmente lo innervosiva, impedendogli di godere di una tranquilla serata con Shay, era sapere la verità. Matt lo stava evitando, e Kelly poteva immaginare il motivo. Il suo compagno non voleva affrontare ciò che era successo durante il turno.
  «Dovresti parlargli» disse Shay, strappandolo ai propri pensieri. «È  comodo rifugirarsi nei va tutto bene, ma prima o poi rischierà la vita di qualcuno.» Dicendo ciò, lo guardò negli occhi con una serietà che lo scosse. Entrambi sapevano a cosa si riferisse e automaticamente Kelly ripensò a quel giorno in ospedale, quando aveva stretto la mano di Shay e si era ripromesso di risolvere i propri problemi, ora e subito.
  Quando Shay si rilassò contro il suo petto e lui tornò a guardare lo schermo, la sua mente era ormai intrappolata da quel pensiero. Matt poteva aver bisogno di spazio, di processare le cose con i propri tempi e di affrontare i propri problemi da solo... Ma Kelly sapeva che queste erano solo scusanti, vie di fuga facili. Dieci minuti trascorsero in silenzio, prima che Kelly si raddrizzasse e Shay gli facesse spazio per farlo alzare.
  «Dove vai?» chiese quando lo vide indossare la giacca in fretta.
  «A parlargli.»
  «Hey» lo richiamò, prima che potesse chiudere la porta. «Non devo dirti di andarci piano e, possibilmente, evitare qualunque scontro fisico, vero?»
  Kelly roteò gli occhi, mormorando: «Per favore, Shay, non sono così stupido», prima di chiudere la porta e svanire.
 Shay sospirò e afferrò la birra lasciata a metà. Poco rassicurata dalle parole dell'amico, decise di alzarsi e cercare qualcuno con cui uscire.



  Il primo bicchiere di birra scivolò via facilmente. Matt doveva ammettere che Otis aveva ragione, e il gusto era decisamente migliore del previsto. La compagnia fu appagante e riuscì a perdersi nelle chiacchiere e negli scherzi dei colleghi. Hermann da dietro il bancone lanciava battute sagaci, interrompendo e innervosendo Otis, che cercava di raccontare tutto ciò che era avvenuto in quel mese e mezzo in Caserma. Quello che ne uscì fu un quadro comico e bizzarro, che più di una volta Cruz sottolineò essere del tutto inventato. Matt rise di gusto, godendo dell'aria calda e accogliente del piccolo bar, dove la polvere ancora si nascondeva agli angoli dei muri e il legno delle sedie scricchiolava.
  Il secondo bicchiere di birra si intorbidì nello stomaco, appesantito dal ricordo dello sguardo deluso e irritato di Kelly. Quella vista, ripresentandosi improvvisa, lo fece allontanare dal calore della compagnia, avvolgendolo della fredda sensazione della mancanza. Per un attimo rimpianse di essere uscito e desiderò aggrapparsi al corpo di Kelly con quanta forza possibile. Riuscì ad annegare il senso di colpa e il disagio nel terzo e nel quarto bicchiere di birra. Avendo snobbato l'ultimo pasto in Caserma, l'alchol salì velocemente e in poco Matt si ritrovò con i sensi intorpiditi e i riflessi lenti. Mantenne la sua postazione sullo sgabello, impegnandosi a non dar a vedere l'orizzonte di una brutta sbronza triste.
  Sapeva che nel suo stato attuale la quinta birra avrebbe segnato il confine tra un'allegra serata alcolica e una lunga discesa nell'eccesso. Fremeva già all'idea di spostare la festa altrove, in un luogo più affollato e in cui bere senza sentire di esagerare, o di abusare dell'ospitalità dei ragazzi del Molly's.
  Si accorse di aver già fatto la sua scelta quando gli giunse la voce forte di Cruz. «Wow, Tenente, sicuro di reggerne un'altra?» chiese ridendo.
  La sua mano sulla spalla per un attimo lo fece irrigidire, ma scrollò di dosso quella sensazione di fastidio.  
 «Vuoi sfidarmi, Cruz?» chiese ghignando.
  Il volto del collega gli appariva ancora chiaro, sebbene i piccoli dettagli sfumassero in un alone confuso.
 «Hey, buoni con le sfide, ragazzi. Non volete mica bervi il locale? Siamo qui per festeggiare.»
  Per un attimo Matt ebbe la sensazione che gli occhi di Hermann, in contrasto al suo tono gioviale, fossero seri e preoccupati.
 Poggiò saldamente le mani sul bancone, per apparire più in sé di quanto non fosse. Non erano le quattro birre a fargli sentire quella strana leggerezza nella mente, ma una strana eccitazione. Aveva fame di altro, di tutto. Improvvisamente sentì di poter fare qualunque cosa. Il controllato e calmo Matthew Casey poteva ballare sul mondo e ridere e correre fino a non sentire le gambe.
  Era sul punto di allungarsi oltre il bancone e servirsi da solo, quando uno sbuffo di gelo gli colpì la nuca, segnalando che la porta del locale era stata aperta.
  «Hey hey, guarda chi si vede» urlò Herman, svendolando una mano. «Vuoi unirti a noi o sei venuto a recuperare il tuo coinquilino?»
  Matt mormorò un'imprecazione a denti stretti. Ancor prima di voltarsi, seppe che Severide era alle sue spalle, poteva sentirlo e immaginarlo fin troppo bene. E di certo non era lì per partecipare alla sua piccola festa privata. Kelly era giunto per fermarlo, sfregandosi le mani e scrollandosi di dosso l'umidità della città, in quell'ostentata disinvoltura che solitamente ammirava.
  «Qualcuno deve pur portare il suo culo a casa» disse Kelly, raggiungendolo e poggiandosi al bancone. L'odore di bagnoschiuma e sigaro gli fece girare la testa più del solito.
  «Non credo» mormorò Matt. Ora desiderava ardentemente aver preso quella quinta birra ed essere già uscito di lì.
  «Avanti, Tenente, non vuoi mica finirci tutta la birra?»
  Alzò gli occhi appena in tempo per vedere Hermann scambiare uno sguardo di intesa con Kelly, e avvertire tutto d'un tratto l'aria tesa intorno a lui. Otis dardeggiava lo sguardo tra un altrettanto imbarazzato Cruz e i due Tenenti, senza più nessuna battuta sulla punta della lingua. Reprimendo l'impulso di rispondere a Hermann, Matt alzò le mani in segno di resa e scese dallo sgabello.
  «D'accordo» disse, indossando un sorriso mentre afferrava la giacca dall'attaccapanni. «Grazie della serata, ragazzi.»
  Non sentì la risposta, già fuori sul marciapiedi a farsi investire dall'aria fredda di Chicago. Avvertiva il gelo insinuarsi nei capelli, ma la pelle era in fiamme e lui non sapeva se era per rabbia o per l'alchol. Senza esitare, si avviò lungo la strada.
  «Matt!» lo richiamò Kelly, correndogli dietro.
  Appena lo avvertì alle spalle, una bolla di bianca rabbia esplose dietro gli occhi, riempendogli i nervi e annebbiandogli la vista. Si voltò e gli afferrò la giacca, spingendolo contro il muro di un edificio.
  «Matt, che diavolo fai?» ringhiò Kelly, afferrandogli a sua volta il bavero della giacca. Lo strattonò abbastanza forte da allontanarlo e farlo barcollare in cerca di equilibrio. Matt poggiò la schiena ad un palo della luce, e la rabbia si alimentò di quella spinta rude.
  «Lasciami in pace, Severide. Non ho bisogno di una baby-sitter! Lo so che cosa cercate di fare tutti. Volete tenermi sotto controllo, perché...cosa? Non sono affidabile?»
   Kelly sbuffò una risata, aprendo le braccia in tono di sfida. «Guardati e dimmi se davvero pensi di essere affidabile. Che vuoi fare? Ubriacarti fino a svenire? E poi cosa? Tornerai a lavoro e farai finta di nulla?»
  «Con te ha funzionato così bene» disse sarcasticamente Matt.
  Quelle parole colpirono Kelly esattamente dove Matt, nella rabbia e nella stanchezza mentale, voleva. L'espressione del moro mutò rapidamente da sorpresa a dolore e infine rabbia.
 «Io... Senti, lascia stare. Sto bene, voglio solo che mi lasci in pace!»
 «Allora vai, ubriacati, distruggiti, fai quello che ti pare. Ma quando ne avrai abbastanza, non sperare che io sarò ancora qui a raccogliere i pezzi.»
  «Non ne ho bisogno! Non ho bisogno di te, di aiuto o di qualunque altra cosa. Cristo! Voglio solo divertirmi un po', tu ne stai facendo una questione di Stato.»
  Matt si ritrovò senza fiato, i polmoni appesantiti dal carico di emozioni e dall'aria fredda che condensava il respiro intorno al suo viso. Gli occhi di Kelly si incupirono, mentre avanzava verso di lui colmano in pochi attimi la distanza. Il palmo del moro si fermò sul suo petto, spingendogli la schiena contro la superficie fredda del palo in modo doloroso.
  «Hai bisogno di aiuto, Matt.»
  Le sue parole, pronunciate con voce più roca ed estranea del previsto, lasciarono un'eco che rimbalzò tra gli edifici. «Ma sei troppo orgoglioso e spaventato per ammetterlo. Ne ho abbastanza di balle e pretese. Ti ho dato sei settimane e ti ho sempre aperto la porta. Mi dici che va tutto bene? D'accordo, mi dico che hai bisogno di convincerti che sia così per andare avanti, e aspetto. Ora basta! Non riguarda solo te, lo capisci?» Quando vide Matt distogliere lo sguardo e sentì le proprie parole cadere nel vuoto, premette più forte il palmo sul petto del compagno, non riuscendo a frenare la propria lingua dal dire ciò che sapeva essere sbagliato: «Dovrei lasciarti qui, ma io non sono come te. Io non lascio indietro nessuno.»
  Matt chiuse gli occhi, inalando pesantemente dal naso. Dovette impiegare tutte le sue poche forze residue per impedirsi di scoppiare e aggredire l'uomo che, con la sua presenza e le sue parole, spingeva il bottone della sua rabbia.
  «Fanculo» ringhiò, divincolandosi a fatica dalla presa.
  Kelly indietreggiò, lasciandogli lo spazio fisico per muoversi, ma inchiodandolo con lo sguardo. Matt si staccò dal palo e si avviò lungo il marciapiedi. Non sapeva dove stesse andando, sapeva solo di doversi allontanare.
  Ignorò la voce di Kelly, stringendo le palpebre per cercare di dissipare la nebbia nella mente. Il cuore accellerava e i muscoli erano tesi come di fronte al pericolo. Matt doveva mettere più distanza possibile tra sé e il suo compagno, doveva farlo. In un angolo della mente, un grumo di terrore andava formandosi: aveva paura di quello che avrebbe potuto fare. Conosceva abbastanza bene i propri limiti da sentire quando il formicolio sotto la pelle diveniva un tremore, e il proprio controllo vacillava. Scosso dall'idea di poter ferire Kelly, in qualunque modo, si ritrovò ad aumentare tanto il passo da sembrare corresse.
  Sentì una mano forte afferrargli la spalla e ancora una volta la rabbia esplose, ma questa volta con tale potenza che riuscì a riacquistare una vista chiara solo quando fu troppo tardi. Ebbe appena la percezione di essersi voltato e aver sollevato un pungo, che si era scontrato con il volto di Kelly.
  Il moro barcollò, tenendosi la guancia con una mano. Nei suoi occhi c'era stupore e shock e, quando si posarono su di lui, tutta la confusione venne spazzata via. Improvvisamente sobrio da rabbia e alchol, Matt si ritrovò a fissare la propria mano come se fosse estranea. Le nocche cominciavano ad arrossarsi per il forte impatto, il dolore che pulsava sotto la pelle.
  «Che cazzo, Matt» mormorò Kelly, raddrizzandosi e massaggiando la mascella.
  Rimasero in silenzio, mentre Matt cercava di trovare un appiglio che lo tirasse fuori dall'intorpidimento in cui era sprofondato. Riprendendo fiato, guardò Kelly e ciò che vide gli serrò lo stomaco. Avrebbe preferito che l'altro rispondesse al pugno, che lo colpisse con quanta forza aveva, piuttosto che rimanere fermo e guardarlo in attesa.
  Kelly era lì, in molti più modi e sensi di quanto potesse cogliere.
  Il suo stomaco si strinse, gorgogliò e infine fu afferrato da un intenso crampo. Matt ebbe la lucidità di chinarsi contro un muro, prima di riversare a terra le birre e parte della cena.
  Sentì la mano di Kelly sulla sua nuca, ferma e calda, e si ritrovò a chiudere gli occhi e lasciarsi andare al contatto.
  Svuotato e stanco per qualunque lotta o protesta, Matt si lasciò afferrare per un braccio e condurre all'auto.


 
  La mascella cominciava a fargli dannatamente male. Non aiutava che quel colpo avesse riaperto la lunga ferita nella guancia, dove i denti avevano aperto uno squarcio quando l'esplosione della mattina lo aveva sbalzato a terra. Ingoiando il sapore metallico del sangue e l'amaro provocato dalla  rabbia, Kelly cercò di concentrarsi sulla strada davanti a sé. Matt lo aveva già colpito in passato, quando erano più giovani e non riuscivano a risolvere i propri conflitti con le parole. A quei tempi, Kelly non aveva mai mancato di rispondere al fuoco con il fuoco, fino a costringere Andy a dividerli fisicamente. C'era un labile confine tra diplomazia e perdita di controllo, e negli anni avevano imparato a gestirlo. Kelly sapeva esattamente cosa non dire per evitare che lo scontro scivolasse dal verbale al fisico, mentre Matt sapeva quando Kelly dimenticava quella consapevolezza, e si ritirava di conseguenza.
  Ora gli sembrava che le placche tettoniche dei loro sentimenti si stessero riassestando, lasciandosi dietro un'inevitabile scia di terremoti ed esplosioni vulcaniche. Non era certo di cosa gli avesse impedito di afferrare Matt e sbatterlo contro il muro di quell'edificio, colpendolo fino a togliergli dal volto quello sguardo di sfida. Strinse il volante, cercando di reprimere l'ondata di rabbia che al pensiero risorgeva. Forse era stato lo sguardo di terrore che, dopo quel pungo, si era impossessato degli occhi chiari di Matt, o forse la consapevolezza che se avesse risposto all'aggressione tutto si sarebbe irreparabilmente distrutto. Un sospetto lo colse e il suo mondo sembrò vacillare: e se fosse già tutto distrutto? Matt aveva tradito la sua fiducia e aveva morso la mano che gli aveva teso. Kelly ebbe paura di non essere in grado di perdonarlo. Da amici erano sempre riusciti a concedersi a vicenda il perdono, anche nelle situazioni più disperate; sesso e amore complicavano tutto.
  Lanciò uno sguardo al compagno, che sedeva rigidamente accanto a lui e guardava le luci dei lampioni saettare nel buio oltre il finestrino. Era così immobile, che quando parlò la sua voce parve irreale. «Mi dispiace.»
  «Per cosa?» chiese Kelly, oltre il groppo che dalla gola estendeva tentacoli dolorosi fino alle mascelle.
  Matt inclinò la testa e sventolò una mano nella direzione generale della propria guancia. «Per averti colpito. Non volevo, non dovevo.» La sua voce si ruppe. Nascose il volto nella mano, massaggiandosi gli occhi. Kelly poté quasi giurare che stesse per piangere. «Per quello che ho detto... Per averti mentito» esalò in frustrazione, abbattendo la mano sul proprio ginocchio. «Cristo! Mi dispiace per tutto.»
  Kelly strinse le dita intorno al volante, mentre il tono della voce di Matt gli scuoteva qualcosa in fondo allo stomaco. Non era pietà o compassione...era dolore, si accorse. Sentiva la sua disperazione combaciare con la propria, il suo dolore mischiarsi al proprio. Si chiese quando la connessione empatica tra loro fosse divenuta così forte, ma si arrese a non saperlo mai. Non poteva ripescare dalla memoria il momento esatto in cui le proprie onde emotive si erano sincronizzate con quelle di Matt. Era accaduto lentamente e in modo naturale, come il crescere di una piccola e fiera pianta attraverso le stagioni. Con stupore pensò che questo non poteva che essere amore.
  «Io ti amo, Matt.»
  Sentì il sudore congelarsi tra le scapole. Lo aveva detto ad alta voce, troppo alta per non essere udita. La sua fortuna volle che il prossimo semaforo fosse rosso. Fermi nell'auto senza alcuna distrazione, senza una scappatoia a quelle parole, rimasero in silenzio finché si udì un suono strozzato. A metà tra un singhiozzo e un gemito, quel suono riverberò nel suo petto così forte che per un attimo Kelly temette di averlo esalato lui stesso.
  Si voltò e incontrò gli occhi spalancati di Matt, rossi e liquidi. Il peso di quelle tre parole era nel suo sguardo, che diventava sempre più profondo mentre la sorpresa si trasformava in consapevolezza. Il suo fiato caldo gli carezzò le labbra e lui sentì la necessità di dirlo ancora, di urlarlo finché non fosse entrato in quella testa dura, piantandosi per sempre. Lo aveva detto senza pensarci, ma non era un errore e ora gli sembrava troppo importante che Matt lo sapesse. «Ti amo, cazzo. Ti amo, e in questo momento ti odio così tanto che potrei prenderti a pugni, perché questo non sei tu e non sopporto vederti così.»
  Matt irruppe in una risata bizzarra e Kelly guardò confuso le lacrime che si formavano agli angoli degli occhi, scintillando alla luce dei lampioni. Se fossero di gioia o dolore non riusciva a dirlo, ne riusciva a comprendere cosa ci fosse da ridere.
  «Scusa, è che...Wow...»
  Il biondo rimase a bocca aperta, le parole rotte in gola.
  Kelly non riusciva più a sostenere il suo sguardo, quindi gli afferrò il colletto della giacca e lo tirò a sé, baciandolo rudemente. L'impatto fece cozzare i denti, strappando a Matt un gemito di sorpresa e dolore. Ripresosi dallo stupore, rispose al bacio, schiudendo le labbra e accogliendo Kelly.
  Quando si staccarono per riprendere aria, le labbra di Matt formarono le esatte parole che Kelly temeva di non udire mai.
  Fu appena un soffio d'aria, ma quanto bastava per far vibrare le corde vocali in un ti amo che rimbombò nella sua mente, facendo per un attimo girare i contorni del mondo.
  Un clacson suonò rabbioso e ancora una volta Matt scoppiò a ridere, questa volta non da solo.
  Quando Kelly premette l'accelleratore e strinse il volante, le sue mani tremavano.
  «Sai che comunque dovremo parlarne, vero?» mormorò, senza staccare gli occhi dalla strada. «Intendo...di tutta questa faccenda, del tuo-»
  «Problema?»
  Matt reclinò la testa e chiuse gli occhi.
  «Abbiamo tutta la notte per parlare.»
  Kelly non potè fare a meno di considerarla una vittoria. Forse, si disse, amore e perdono non dovrebbero mai stare nella stessa sentenza.
   


















Note: Hello, guys! Dopo le devastanti vacanze pasquali (vacanze? mmm) sono tornata. In questi giorni mi è stato impossibile aggiornare, anche se il capitolo era già bello pronto. Comunque, piccola nota (che in realtà è una mia riflessione): ho pensato a ripensato a quanto appropriato fosse il pugno (come gesto, come significato, come tutto), ma alla fine ho deciso di lasciarlo lì dov'è; non credo sia incompatibile con la situazione e il carattere dei personaggi, in più avrà un suo significato in seguito. Non dico altro, se non che tornerò presto!
Grazie di esserci e seguirmi.
Ax.

  
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