18
Oltre lo
specchio
L'acqua gli colpiva le spalle con tale forza da
indolenzirle. Con i palmi delle mani sulle piastrelle umide e la testa
bassa, Matt respirava a fondo, cercando di focalizzare il turbine di
emozioni che vorticava nervoso intorno alla sua mente.
Ti amo, cazzo.
Ti amo, e in questo
momento ti odio così tanto che potrei prenderti a pugni,
perché questo non sei tu e non sopporto vederti
così.
Poteva sentire la voce di Kelly pronunciare quelle parole,
roca e potente come un boato. Una voce che portava una
verità scomoda, ma innegabile – questo non sei tu.
Una voce che parlava da un angolo nascosto di Kelly, quello dove si
rifugiavano le sue colpe e le sue paure, tutte quelle cose che
nascondeva al mondo e teneva preziosamente custodite. Le aveva cedute a
lui, aprendo le proprie porte e fidandosi in modo irrazionale di Matt -ti amo.
Ed era lì il nodo della questione, Matt lo
sapeva. Non aveva un luogo in cui lasciarsi cullare dalla proprie
illusioni. Kelly lo poteva guardare, dentro e fuori,
costringendolo a vedere nei suoi occhi il proprio riflesso. Un riflesso
che non gli piaceva, perché non corrispondeva all'uomo che
era prima dei Messer.
Quelle parole continuavano a riverberargli dentro, con il
loro carico di bellezza e dolore, con l'amore che portavano e la
distruzione che ricordavano.
Matt non era stupido e, per quanto non volesse vedere la
realtà, lui sapeva esattamente cosa gli stava succedendo.
L'aveva previsto e aveva scelto di ignorarlo. Non succederà
a me, si era detto, non può. Aveva visto vigili crollare
sotto il peso di traumi impossibili da cancellare. Bastava una
debolezza ed erano marchiati per sempre. Arrivavano al punto di vedere
qualcosa di troppo, immagini che li perseguitavano per tutta la vita, e
da uomini forti e integri, si trasformavano in fantasmi di se stessi.
Non io, si era detto in quelle settimane, anche quando si
svegliava nel terrore istillato da un incubo troppo vivido o quando,
bruciando un pancacke, sentiva la propria pelle andare a fuoco, o
quando, ancora, guardando la propria cicatrice gli mancava il respiro.
Improvvisamente, si sentì sopraffatto dalla
vergogna e dal disgusto di sé. Aveva mentito all'unica
persona che non lo avrebbe mai giudicato e mai fatto sentire meno di
quanto realmente fosse. L'unica persona che gli aveva aperto il cuore,
superando sfudicie e paure. Aveva respinto Kelly e, anche se il moro
non l'avrebbe mai ammesso, l'aveva ferito. Emotivamente e fisicamente -non sopporto vederti
così.
Si era convinto di aver superato tutto, di esserne uscito
più forte di prima, e aveva ignorato deliberatamente tutti i
segnali di pericolo. Aveva cercato di tenere lontano Kelly da tutto
ciò, perché sapeva che ammetterlo a lui avrebbe
significato rendere più reale e tangibile ciò che
lui voleva ignorare. Ma Kelly non si era lasciato ingannare,
perché in fondo lo conosceva meglio di chiunque altro. Kelly
lo aveva rincorso anche quando Matt aveva cercato di fuggire da lui e
dalla realtà, non si era arreso neanche quando era stato
investito dalla sua rabbia -ti
amo, e in questo momento ti odio così tanto che potrei
prenderti a pugni.
Kelly lo amava. Più ci pensava, più si
rendeva conto che quell'affermazione non poteva essere colta da alcuna
ragione. Gli sembrava assurdo, eppure così giusto e reale.
Come una folgorazione, una potente epifania lo scosse, facendolo
rabbrividire malgrado il calore della doccia: Kelly lo aveva salvato e
continuava a farlo. Kelly, che era l'unica costante della sua
esistenza, l'unica fonte di emozioni che non poteva essere ignorata.
Poteva nascondere i propri sentimenti dietro una maschera di rabbia,
indifferenza e persino odio, ma non poteva ignorare il fuoco che ardeva
ogni volta che Kelly lo sfiorava.
Quando emerse dalle tende della doccia, ogni superficie del
bagno era avviluppata in nuvole di vapore. Ripulì lo
specchio con un asciugamano e studiò il proprio riflesso, la
pelle arrossata dal calore e gli occhi iniettati di sangue. Si
asciugò in fretta e scese le scale, rilassando i muscoli
sotto una felpa che non era sua e profumava di lui.
Trovò Kelly quasi steso sul divano, con indosso
gli stessi vestiti di prima. La mascella arrossata cominciava a
prendere un colore livido e Matt sentì il proprio pugno
pulsare di dolore.
Lo sguardo del moro si spostò dal soffitto al
compagno, fermo a pochi passi. Matt guardò a terra,
sedendosi con lentezza all'altro capo del divano. Cercando un punto
fermo nel palmo della propria mano, attese che una parola venisse
detta, qualcosa che sancisse l'inizio di una conversazione dalla quale
non voleva più fuggire, ma che non sapeva come cominciare.
Avvertì i cuscini sussultare sotto il peso dei
movimenti di Kelly. All'angolo del suo campo visivo, lo vide poggiare i
gomiti sulle ginocchia e stringere le mani. Gli venne da ridere:
malgrado tutto ciò che era cambiato, c'erano cose che tra
loro sarebbero rimaste sempre uguali. Come l'imbarazzente e infantile
turbine di parole non dette tra loro, quella strana inadeguatezza
nell'esprimere a voce qualcosa di profondo. Entrambi si erano sempre
accontentati di sguardi e gesti capaci di veicolare tutto
ciò che c'era da comunicare, ma ora si ritrovavano avvolti
da un silenzio che non poteva rimanere tale.
«Hai ragione» disse alla fine Matt,
attirandosi uno sguardo interessato da Kelly -forse anche sollevato. Il
biondo deglutì, incapace di alzare davvero gli occhi dalle
proprie mani. «Avrei dovuto dirti che non era tutto
okay...pensavo che- accidenti, non so cosa pensavo! Forse non pensavo
affatto. Volevo solo tornare alla mia vita, alla normalità,
e non dare ragione a quelli mi guardavano come se stessi per
esplodere.»
«Ma hanno ragione» mormorò
Kelly. Quando Matt alzò gli occhi di scatto, quasi irritato,
seppe di aver detto qualcosa che poteva essere sbagliato, ma era fin
troppo giusto. Sostenne il suo sguardo e aggiunse: «Se vuoi
che ci prendiamo in giro e ci diciamo che andrà tutto bene,
possiamo anche tacere da subito.»
Matt spostò lo sguardo lungo il muro, poi
sospirò. Si grattò la nuca nervosamente e
annuì. «Immagino che hai ragione. Che avete tutti
ragione» disse a denti stretti. Si alzò e
cominciò a misurare gli stessi cinque passi avanti e
indietro, prima di fermarsi di colpo e aprire le braccia.
«Che dovrei fare, allora? Io sono un vigile del fuoco, Kel.
Non è quello che faccio, non è un lavoro, e tu lo
sai meglio di chiunque altro. Questo sono io.»
«Hey, non ho detto che devi appendere la giacca al
chiodo» esalò Kelly, alzandosi e guardandolo negli
occhi. Rimase oltre il tavolino, l'unica cosa che li separava.
«Cristo, non ti direi mai una cosa del genere.»
«Okay» mormorò Matt,
massaggiandosi ancora il collo, visibilmente più calmo.
«Sì, lo so. Ma che devo fare, allora?»
«Aiutami a capire, perché davvero sono
confuso. Non ti ho mai visto così...»
Matt sbuffò una risata amara, stringendo
istintivamente le braccia al petto. «Neanche io»
bisbigliò appena percettibilmente. «Non so cosa
dirti.»
«Che è successo in quella casa?
Nell'incendio...»
Il biondo si morse il labbro, cercando di formulare la
risposta. Si arrese quando capì che in qualunque modo
l'avesse detto, nulla sarebbe cambiato. «Ho perso la
testa» disse fissandolo negli occhi per studiarne la
reazione. Kelly strinse le palpebre, invitandolo con il suo silenzio a
spiegarsi. «Ho visto Tony Messer e...era come se non
riuscissi a muovermi. Ma non è-»
«Fermo» lo interruppe Kelly, alzando la
mano. «Giuro che se stai per dirmi che non è così
grave ti spacco la faccia, intesi?»
Matt tirò le labbra in un debole sorriso e
annuì.
«Bene» disse Kelly ad alta voce,
più per rassicurare se stesso che intendendolo davvero. Si
grattò la barba, sentendo la pressione degli occhi di Matt
su di sé. In essi c'era la difensiva attesa di un rigetto,
mista a qualcosa che d'altra parte somigliava alla preghiera di
assoluzione, o soluzione. Kelly non era particolarmente a suo agio con
nessuna delle due.
Scelse di fare ciò di cui sapeva Matt aveva
bisogno. Nei mesi passati in una rottambolesca fuga dalla
verità, tra il dolore alla spalla e i farmaci, aveva
rifiutato ogni mano tesa. Anche quando Matt aveva superato tutto
l'astio e il rancore per aprirgli le porte, lui le aveva chiuse e gli
aveva voltato le spalle, perché se le avesse oltrepassate si
sarebbe ritrovato nudo di fronte alla realtà. Una
realtà che lo aveva terrorizzato fino a ridurlo a una
corazza che teneva a distanza ogni cosa, ogni persona, una macchina che
entrava in azione bliandando fuori ogni emozione. Allora aveva avuto
bisogno di uno schiaffo morale per capire, di avere la
verità messa a nudo di fronte a sé.
«Sai che potrebbe accadere ancora,
vero?» chiese con voce dura, imponendosi di non distogliere
lo sguardo dagli occhi del compagno. Vide le spalle abbassarsi e la
maschera di difesa cedere. Matt distolse lo sguardo, solo un attimo, ma
abbastanza per essere una risposta più che chiara per Kelly.
Non aveva mai avuto la possibilità di spiegare a
Matt tutto ciò che era successo dopo la morte di Darden,
né il coraggio. Ora sentiva che era la cosa più
importante, l'unica cosa che potesse realmente fargli capire la
verità.
«Quando mi sono ferito al collo, avevo paura di
perdere il mio lavoro e ho rischiato di farvi ammazzare tutti. La
metà delle volte mi faceva così male che avrei
voluto prendere a pugni qualcuno, l'altra metà ero tanto
fatto da non capire neanche cosa facessi. Dowson mi ha aiutato ad
uscirne, costringendomi a contattare questo gruppo di recupero, ma
niente può cancellare quello che ho fatto e le vite che ho
messo in pericolo. È una dannata fortuna che non ho ucciso
nessuno, o me stesso.»
La sicurezza con cui aveva cominciato a parlare si sciolse
nella vergogna. Il suo orgoglio vacillava ancora al ricordo e
all'ammissione di colpa. Poté sentire il respiro di Matt
spezzarsi anche nella distanza che li separava. «Oggi era
solo il primo turno, e ti convincerai che è normale sentirsi
un po' male, un po' fuori gioco. Poi arriva il secondo e il terzo e il
quarto turno, e tu sei sempre meno attento, sempre più
avventato. Un giorno ti svegli e indossi la tua divisa, e non ti
accorgi più che qualcosa non va con te. Forse ammazzerai
qualcuno, forse te la caverai, ma ti dirai che va tutto bene, in ogni
caso.» Si fermò per prendere respiro.
Attraversò lo spazio che li separava, sperando che Matt non
indietreggiasse. Non lo fece. «Dannazione, Matt, io non
voglio che tu aspetti, che tu rischi di fare qualcosa per cui pentirti
per sempre.»
Matt strinse il labbro inferiore tra i denti, succhiando
aria e il vago sentore di sangue e alchol. Non sapeva come processare
tutto ciò che ora circondava la persona di Kelly -i fantasmi
delle loro debolezze finalmente liberi dalle catene dell'orgoglio e
della paura. Oltre le sue parole, c'era la sua voce rotta e i suoi
occhi nudi e sinceri; c'era la determinazione e la rabbia, ma non
contro di lui, piuttosto per
lui. Kelly Severide era un combattente, e ora lottava per l'anima della
persona che amava. Matt si sentì travolto da tutto
ciò, scosso fin nel profondo del suo bisogno di amore e
protezione, quello stesso che nella vita aveva imparato a centellinare
per paura di rimanere solo, ferito ed esangue.
Alzò gli occhi su di lui, sentendoli liquidi come
il proprio stomaco.
«Cosa dovrei fare?» mormorò.
«Fatti aiutare, ora e subito» rispose
Kelly senza pensarci un secondo di più. Gli
afferrò il braccio, imprimendo più forza del
necessario, quasi sentisse il bisogno di ancorarlo a quel momento.
«Quindi stai dicendo che dovrei...» Le
parole gli morirono in gola: non poteva realmente credere di essere
arrivato a quel punto. Da Edward a Darden, non aveva mai chiesto quel
tipo di aiuto, segretamente troppo fiero per credere di averne bisogno.
«Credi che sia da deboli?» chiese Kelly,
con l'intento di un umorismo che non pervase la voce. Fece scivolare la
mano lungo il suo braccio, fino a sfiorare la sua. Un vago sollievo si
insinuò in lui quando Matt aprì il pugno e
accolse la sua mano. «Puoi dirlo a Boden, se preferisci, e se
la vedrà lui. E sappiamo entrambi cosa vuol dire.»
Matt strinse le dita intorno alla sua mano, annuendo piano.
«Le cazzate che stai pensando ora le ho
pensate anche io. Matt, nessuno ti giudicherà se deciderai
di rivolgerti a qualcuno...esperto. Anzi, nessuno lo saprà,
solo io e te. E io non ti giudico, mai.»
Matt guardava ovunque tranne a lui, cercando di processare le
proprie alternative. Un pensiero focalizzava la sua attenzione: Kelly
era lì a parlargli con il cuore in mano, e lui non poteva
davvero non assorbire ogni parola come sacra. Poteva continuare a
fingere a sé stesso o al suo compagno, ma questa era
un'alternativa che quel
ti amo aveva decisamente annientato. C'era poi la
possibilità di aggrapparsi a lui e rifugiarsi nella vana
speranza che l'amore possa davvero guarire ogni male; l'amore e il
tempo. Eppure se Matt guardava dentro di sé, riusciva a
vedere tutte le volte che in passato si era abbandonato a quella comoda
illusione, e tutte le ferite che aveva causato. Ferite ancora aperte,
che ora sanguinavano. No, doveva ammetterlo, i Messer non l'avevano
dilaniato: la colpa era, in fine, sua, e di tutte le cicatrici che
aveva lasciato asciugare in un angolo della mente. La violenza, la
perdita e il dolore erano sempre stati fantasmi che aveva cercato di
combattere stringendo nella notte Hellie, Louise e altre tre o quattro
persone che aveva considerato le sue anime gemelle.
Guardò Kelly negli occhi e sentì le
sue dita bruciare oltre la stoffa della felpa, lì dove la
mano sinistra afferrava la sua spalla. Kelly era diverso, Kelly era
l'amore reale, ora e
subito; Kelly non poteva essere il salvagente in un mare
in tempesta, che prima o poi avrebbe finito per inghiottirlo. Kelly era
l'ancora che fermasse il moto degli eventi e lo costringesse a guardare
dentro di sé. Kelly lo spingeva a essere migliore.
Matt fu travolto da una sensazione di forza e sicurezza che
non sentiva da così tanto, che all'inizio non la riconobbe.
Non c'era nulla di illusorio e avventato in quel fuoco che gli
stabilizzava mente e cuore, ma la corposa consapevolezza di essere
ancora se stesso. Lui c'era, ritto di fronte al mondo, e Kelly era alle
sue spalle, sempre.
«Okay» esalò alla fine.
«Lo farò.»
Kelly sorrise e gli afferrò il volto con le mani,
attirandolo in un lungo bacio. Staccandosi in cerca d'aria, le fronti
incollate, mormorò: «Io sarò sempre al
tuo fianco.»
Matt non aveva mai creduto così profondamente
alle parole di nessuno.
«Ma basta stronzate, intesi? Niente più
bugie.»
«Basta stronzate» confermò
Matt, prima di abbozzare un sorriso. «Come va la
mascella?»
«Per favore, picchi ancora come una
ragazzina.»
Matt rise, sentendo la propria voce vibrare nel petto del
compagno sotto il palmo della mano, allacciandosi al battito di quel
cuore che, lo sapeva, non avrebbe mai smesso di lottare per lui, per
loro.
Note: Hello! Devo
prendermi un attimo per ringraziarvi per esserci, davvero è
importante per me avere i vostri feedback. Non sciorino altre parole
perché non renderebbero comunque giustizia a quanto vi sono
grata, quindi vado avanti. Dunque, questo capitolo è
più corto degli altri, ma ho ritenuto fosse meglio chiudere
questo momento in un quadro a sé. Ci sono due o tre punti
che mi hanno tormentata e il risultato finale per me è
ancora un dubbio. Qualche riflessione: l'amore e il tempo guariscono
tutto, molti dicono. Ho letto molte storie (non mi riferisco a questo
sito, ma in generale) in cui trionfa l'amore come eterno guaritore.
Ora, personalmente ritengo che questa linea di pensiero tolga forza
all'amore, piuttosto che dargliene. L'amore, almeno io credo, ti
può rendere migliore, a volte peggiore (tutto relativo,
ovviamente), ma non è una divinità nella quale
riporre tutte le speranze e dire "l'amore ci salverà" -che
poi, concretamente, che vuol dire? Con questo non voglio assolutamente
sminuirlo come sentimento, ma anzi credo che la sua forza sia proprio
nell'aprirti anche la mente, sostenerti, spingerti a trovare un motivo
per prendere determinate strade. Ecco, è questo che ho
voluto mettere nella mia storia, in questo preciso punto. Credo che uno
dei doni più grandi che una persona possa farti è
darti uno schiaffo morale e dirti "guarda che diamine stai facendo",
per poi spronarti a trovare il coraggio di prendere una decisione che
può andare anche contro il tuo orgoglio, ma alla fine
è la migliore.
Scusate il dilungamento, ma ci tenevo a esprimere i motivi dietro
questo capitolo.
Piccola noticina: vi chiederete "chi è Louise?"
Volete una risposta? Non è importante ;) Ho aggiunto quel
nome solo per un tocco di realtà, null'altro.
Detto ciò...passo e chiudo.
Alla prossima.
Ax.
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