Capitolo
trentuno
"Beyond Redemption"
«È
temporaneo Lou, si tratta
solo di nove mesi, un anno al massimo: avrei voluto parlartene prima ma
c’era
sempre qualcosa a farmi rimandare. E poi aspettavo che Evangeline
assimilasse
l’idea… Non vuole saperne di lasciare questa casa
e tutto quanto. E la capisco.
Questo posto è diventata ormai anche la mia casa.»
Karl
la guardò con aria
contrita.
«Tranquillo,
non devi darmi
spiegazioni: voglio dire, è giusto che tu segua la tua
carriera universitaria.
Pensavo solo che sarà strano e brutto non vedervi per
così tanto tempo. Non
sarà facile abituarsi all’idea di dover aspettare
un anno prima di rivedervi.»
Cercò
di rendere la situazione
meno pesante, sorridendogli rassicurante. Fino all’ultimo
aveva sperato che Lilly
si fosse inventata tutto: a quanto
pareva Karl aveva ricevuto un incarico che non solo sarebbe stato
remunerato il
triplo di quanto guadagnasse ora, ma anche il suo curriculum ne avrebbe
giovato.
«Puoi
raggiungerci appena
potrai, e anche io non appena avrò qualche giorno libero,
prendo la bambina e
corro qui.»
«Ovviamente,
verrò con
piacere. Come ti organizzerai con Lilly e
l’asilo?», chiese riluttante. L’idea
di allontanarsi dalla piccola le risultava di minuto in minuto sempre
più
intollerabile.
«Non
ne ho idea; lei parla
bene il tedesco quanto l’italiano, quindi la lingua non
sarà un problema. Mi
preoccupa di più l’ambiente, il sistema educativo
è molto diverso e temo che
mia figlia non si abituerà facilmente.
C’è mia madre ad aiutarmi, naturalmente,
e le mie cognate che hanno dei bambini piccoli e spero che questo possa
rendere
meno duro il distacco a Lilly, da tutto questo.»
«È
un bene allora che tu abbia
una famiglia numerosa: alla peste farà bene vivere con i
suoi cuginetti.»
«Sì…
io e Mara abbiamo sempre
desiderato qualcosa di simile. Avremmo voluto dare presto dei fratellini
a Evangeline ma…»
Lou
gli accarezzò la schiena
larga.
«Lo
so.»
Karl
tornò a lavare con cura
le stoviglie sporche mentre lei rimetteva a posto, asciugandole man
mano che
l’uomo gliele passava.
Il
rientro di Karl quel
pomeriggio non aveva avuto l’accoglienza che sperava: la
piccola era ancora
irritata con lui e lo aveva ignorato per gran parte del tempo.
«Come
ve la siete cavata voi
due?», chiese dopo qualche minuto di silenzio.
«Bene,
come sempre: è stata
stranamente buonissima e calma. La febbre non fa che salire e scendere
di
continuo, ma mai troppo alta.»
«Tu
stai bene? – la guardò
attentamente – Mi sembri stanca e hai gli occhi lucidi: non
avrai la febbre?»
«Sì,
ma non è nulla: è che ho
lasciato dormire Lilly con me. Lo so che non approvi, ma si svegliava
di
continuo la prima notte e non era il caso di fare avanti e dietro dalla
mia
camera alla sua.»
«Le
lasci fare sempre quello
che vuole. Come me, del resto.», rise Karl divertito.
«Non
posso farci nulla: sa
perfettamente come fregarmi.»
«Già:
Mara ne sarebbe stata
orgogliosa. Lei adorava le personalità forti e testarde. E
Lilly le somiglia
molto, per certi versi: ha la stessa caparbietà e quando
vuole qualcosa, niente
e nessuno può dissuaderla.»
«È
proprio vero, sono
identiche. Avrà preso qualcosa anche da te, che
dici?»
«Lo
spero proprio!», sbottò
lui.
«Karl,
devo dirti una cosa e
ti chiedo scusa fin da ora. Lilly parlava di una foto con Simone e una
signora
che non conosceva; diceva di averla vista nella macchina fotografica
nel
comodino della mamma… non le ho dato peso, ma sai che sono
curiosa. Non volevo
invadere il vostro spazio. Ma ho trovato effettivamente la macchinetta
e ho
scoperto che era la mia. E non so come ci sia finita lì: non
ricordo di averla
avuta con me quando sono tornata da Helsinki…»,
lasciò la frase in sospeso
vedendo Karl accigliarsi pensieroso.
«Non
ricordavo neanche io,
fino a qualche giorno fa. Ho beccato la bambina a rovistare nei
cassetti e mi
ha chiesto di vedere cosa c’era nella macchinetta. Avevo
dimenticato che fosse tua
e il resto lo sai. Sai che non apro mai quei cassetti… non
li ho svuotati ma
non voglio neanche guardarli continuamente, così ignoro. Non
devi scusarti:
questa è anche casa tua, ricordalo sempre.»
Lou
ingoiò il groppo in gola:
aveva pianto abbastanza per quel mese.
«Non
sai come mai ce l’avesse
Mara?»
«Se
non ricordo male l’aveva
ricevuta dalla tua coinquilina insieme ad una lettera. Mara e Simone
quando
videro alcune foto erano discordanti sul da farsi: lui avrebbe
preferito
eliminarle e strappare la lettera. Mara invece pensava che un giorno ti
avrebbe
ridato tutto. Non voleva cancellare la tua foto con Ville.
Sai,
la trovava così bella…
diceva sempre che non ti aveva mai vista così.
Diceva
che anche da quella
semplice foto capiva tante cose di voi due: la sua spavalderia e allo
stesso
tempo paura di quello che eri per lui; la tua arrendevolezza ma col
timore che
tutto finisse.
“Guarda
come lui la tocca: la sfiora e la stringe contemporaneamente. E
lei… Non le ho mai visto questa serenità sul viso
quando era con Andrea.
Dovrebbero essere insieme.”
Lo
diceva sempre e guardava
quella foto per ore.»
Perché
Mara non le aveva mai
detto nulla? Da Simone ormai si aspettava di tutto, ma Mara…
non le aveva mai
nascosto niente.
«Cosa
diceva la lettera di
Nur?», chiese con un filo di voce.
«Poco
e nulla in realtà. Era
ancora delusa e ferita, forse non pensava davvero quello che scriveva
ma era
chiaro che teneva a te. E voleva che tu tornassi a Helsinki, da lui.
Voleva che
qualcuno di noi ti convincesse a farlo. E ti ha mandato quella foto di
proposito: per ricordarti cosa avevi.»
«Sì,
lo immagino. Dov’è la
lettera?»
«Credo
nello stesso posto dove
hai trovato la macchina fotografica. Vuoi leggerla?»
Lou
ci pensò a lungo.
«No.
È una lettera che Nur ha
scritto a Mara e non ho voglia di tornare indietro di nuovo: mi sono
bastate le
foto. È ora che giri pagina.»
Karl
la guardò con un sorriso.
«Lou,
non ci credi neanche tu
quando dici queste cose: sai bene che non dimenticherai Ville tanto
facilmente.
E a mio parere non devi. È stato bello con lui, ti ha resa
felice anche se è
durato poco. Ricordalo, ma non rimpiangerlo. Vai avanti così
come stai facendo
ora e porta con te quei momenti.»
«Ci
provo.»
«Lo
so…»
«Vorrei
anche poterti dire che
troverai un altro e lo amerai allo stesso modo, ma sappiamo entrambi
che è una
bugia. Posso solo sperare e augurare a te di amare ancora, anche se non
come
hai fatto con lui.»
*****
«Lou! Lou! Lou!»
La
voce di Simone intervallata
a tre colpi di seguito la svegliò dal sonno.
«Va
via, *Sheldon dei poveri!
Non è aria!», rispose stizzita, starnutendo.
«Apri
daaaaai! Beppe mi ha
detto che stai male da giorni! Vuoi una zuppa calda, un panno bagnato
sulla
fronte, due coccole?»
«Ti
ho detto di andare via!
Non sto bene!»
«Sono
qui per questo! Apri
questa dannata porta o la butto giù!»
Lou
imprecò coloritamente, si
alzò dal divano e aprì la porta, furiosa.
«Oh
merda!»
«Mi
auguro vivamente che tu
abbia avuto il morbillo da piccolo, perché sto per
starnutirti in faccia.»
Simone
tentò di reprimere la
risata nel vedere il viso minuto della sua amica cosparso di bollicine
rosse.
«Stai
lontana da me, Pimpa! –
disse arretrando e ridendo allo stesso tempo – Hai un aspetto
terribile! E la
voce da travestito!»
«Tanto
meglio: così non verrò
alla tua sfilata.»
«Antipatica.
Ti ci trascinerò
per i capelli, stanne certa! – disse continuando ad arretrare
– Okay, ti mando
Beppe. Io mi sono ricordato di avere una cosa da fare.»
«Questa
cosa ha i suoi lati positivi,
– sibilò Lou – se ha
il potere di tenerti lontano!»
«Non
ti libererai così
facilmente di me, donna!», le urlò chiudendosi la
porta del suo appartamento
dietro.
Lou
sbattè la sua, tornando ad
imprecare.
Si
sentiva uno straccio.
Tre
giorni prima si era
svegliata e specchiandosi aveva notato macchie rosse su tutto il viso.
«Non
ci credo! Non può essere
vero!»
Aveva
chiamato sua madre in
preda al panico.
«Ma’,
non avevi detto che da
piccola io e Livio abbiamo preso il morbillo a scuola?»
«Come
al solito non ascolti
mai quando parlo: no, era la varicella. Perché me lo
chiedi?», aveva chiesto
la genitrice che non mancava mai di infilare un rimprovero anche nella
frase
più semplice.
«Niente.
Chiedevo.»
Sua
madre aveva indagato e
fatto domande fino a che lei, esasperata aveva risposto che forse la
piccola
Lilly l’aveva contagiata. Allora le aveva intimato di correre
dal dottore
immediatamente: aveva sentito di tragedie accadute a chi contrae il
virus in
età adulta. Lei aveva sbuffato: tipico di sua madre
annunciare cataclismi, lo
faceva anche per un semplice raffreddore. Ma una volta chiusa la
conversazione
aveva controllato su internet ed effettivamente era rischioso. Presa
dalla
fifa, era andata dal medico curante che l’aveva riempita di
antipiretici, sedativi
per la tosse e ogni altro medicinale possibile. Così da due
giorni arrancava
per casa, dolorante e debole e con la voglia di scorticarsi viva, tra
un
aerosol e il water.
Il
dottore l’aveva rassicurata
che sarebbe passata da sola, ma che doveva nella maniera più
assoluta stare a
riposo. La piccola invece Lilly aveva già superato la fase
acuta del morbillo
ed era tornata all’asilo.
«Ti
“fastidiano” le bollicine,
Luly? A me sì, mi sono grattata le crosticine, tu
però sei grande non devi
farlo!», aveva detto la piccola la sera prima al telefono.
«Sì,
mi danno fastidio. –
aveva ghignato lei tra un colpo di tosse e l’altro
– Come stai, peste? Ti senti
meglio ora?»
«Sì,
Valentina mi ha portato
un orsacchiotto di nome Teddy, Luly: dice che ci posso anche
dormire!»
La
bambina aveva continuato a
raccontarle le sue giornate, concludendo che le mancava e tornare
presto da
lei.
Tra
meno di due settimane Karl
e Lilly si sarebbero trasferiti e lei sperava di riuscire a star meglio
per
poterli salutare. Doveva trovare un modo per impegnarsi tanto da non
pensare
alla bambina così lontana da lei e impedirsi allo stesso
momento di uccidere
Simone nel sonno o buttarlo giù dalle scale.
Un
altro bussare alla porta,
questa volta discreto e pacato: doveva essere Beppe.
«Lou?
Sei presentabile? Posso
entrare?», chiese lui a voce bassa.
«Entra,
non hai le chiavi?», sbottò infastidita,
aprendogli.
Beppe
entrò infilando la testa
a metà, sorridendole.
Lei
si sentì subito più serena
e ricambiò il suo sorriso.
«Certo
che le ho – sussurrò,
sbirciando dietro di sé – Ma il pazzo furioso se
sa che me le hai ridate dopo
avergliele sequestrate, le pretenderebbe. Sarebbe capace di rubarmele
per
farsene fare una copia.»
Entrò,
richiudendo veloce la
porta e la sbirciò attento.
«Ti
ho portato qualcosa di
buono.»
Avrebbe
voluto abbracciarlo e
farsi coccolare: Beppe era l’unico in grado di calmarla
all’istante.
«Cosa
mi hai portato? La tua
crostata di mele? Ti adoro: sposami, ti prego! Lascia quel
rompiballe e scegli me.»
Lui
scoppiò a ridere
lisciandosi il pizzetto, imbarazzato.
«Sai
che lo farei subito se…
beh, se mai dovessi improvvisamente cambiare rotta, sarai la prima a
cui
penserò!»
Lou
sbuffò, seguendolo mentre
lui si dirigeva in cucina per tagliarle un pezzo di crostata; mise a
scaldare
del latte con miele e il tutto senza smettere di sorriderle placido e
chiacchierare.
«Come
sta Karl? Gli serve una
mano per impacchettare tutto?»
Beppe,
sempre pronto a
mettersi a disposizione di tutti. Nei mesi passati con Mara e Karl
nella loro
casa aveva imparato a volergli bene, ad affidarsi a lui ciecamente.
«Non
ne ha parlato: ho
dimenticato di chiederglielo in realtà…»
«Domani
lo chiamo: magari
possiamo andare tutti insieme e stare lì con loro per un
po’, che ne dici?»
«Ci
avevo già pensato, in
effetti: l’idea di Lilly lontana non mi va ancora
giù. Penso che dovrò farmene
una ragione prima o poi…»
«Si
tratta di pochi mesi, Lou.
E potrai sempre prendere un aereo e andare da loro, quando ti
mancheranno.»
«Lo
so.»
«E
allora piantala di pensare
in negativo, tesoro.», disse con dolcezza, tirando su gli
occhiali scesi sul
naso.
«Ora
pretendi un po’ troppo.», disse tetra.
«Eh,
effettivamente. C’è
qualcosa che non va? Oltre la partenza, intendo.»
«Ho
trovato la mia vecchia
macchinetta digitale e il suo contenuto: tu ne eri al
corrente?»
«Sì.
E non ero d’accordo nel
tenerti nascosta una cosa così: a mio parere non hanno fatto
che prolungare la
tua ripresa. Ma non mi andava di discutere con Simone in un momento
simile:
Mara era preoccupata per te e non volevo infierire. Anche Karl disse
che era
ingiusto tenertelo nascosto: disse che non eri una bambina sprovveduta
e che te
la saresti cavata. Era solo una foto, bellissima tra
l’altro…»
«Mi
hanno sempre trattata da
bimbetta dopo la faccenda di Andrea. E non lo sopporto. È
anche colpa mia: ho
la brutta abitudine di crollare improvvisamente dopo mesi in cui faccio
finta
di essere forte.»
«E
lo sei, forte. Ma sei umana,
come tutti noi. Anche tu hai bisogno di una spalla sulla quale
piangere, ma
loro due hanno esagerato. – le fece segno di precederlo sul
divano, mettendole
una tazza fumante tra le mani - Nell’intento di volerti
evitare una sofferenza
hanno sbagliato ugualmente. Ho sempre pensato che se tu avessi visto
quella
foto, saresti tornata da lui. Mi sbaglio?»
Lou
si sedette stanca come se
avesse scalato una montagna e lasciò che Beppe la coprisse
premuroso col plaid.
«Probabilmente
hai ragione: se
avessi visto quella foto prima sarei tornata di corsa da lui, con la
coda fra
le gambe, pregandolo di perdonarmi. Ed è per questo che loro
due hanno evitato:
mi conoscono troppo bene. Sapevano che mi sarei umiliata per lui. E
hanno
deciso che era meglio per me che Ville non esistesse
più.»
«Non
ne avevano il diritto.»
«No,
ma io ero decisa a
rimanere qui, e non sentivo ragioni. È stata colpa mia,
soltanto mia, per come
sono andate le cose: loro hanno cercato di proteggermi, anche se non
è servito,
lo hanno fatto in buona fede…»
Beppe
sospirò, rilassandosi
sul divano.
«Siamo
tutti così complicati.
Ci rendiamo la vita impossibile a volte anche quando non ce
n’è bisogno.»
«Il
tuo fidanzato in questo è
uno specialista.», borbottò lei lugubre, soffiando
sul latte bollente.
«Sai
che ti darà il tormento
per il concerto, vero?»
«Lo
ammazzerò prima. Così tu
sarai costretto a sposare me.»
«Tesoro,
sono completamente, e
senza via d’uscita, perso per lui.»
«Che
culo.»
Beppe
scoppiò a ridere
nuovamente, abbracciandola.
«Lo
sai meglio di me che è
così solo con chi ama davvero: dovresti preoccuparti se
iniziasse ad ignorarti.
È lì che capisci che non gli importa nulla di te.
Ti vuole bene, Lou.»
«Ripeto:
che culo. Mi sta bene
che tenga a me, ma mi sembra di avere mia madre nei momenti peggiori a
rimbrottarmi e controllarmi continuamente.»
Lou
si accoccolò sulla sua
spalla, soddisfatta di poter avere la sua razione quotidiana di
dolcezza. «Sono
andata via da casa dei miei dopo due mesi che ero in Italia! Pensa a
questo! E
vengo qui per trovarmi una suocera bisbetica sul pianerottolo. Non ho
la tua pazienza,
tesoro…»
«So
anche questo: è una
fortuna che ci sia io a fare da cuscinetto fra voi. Vi sareste
ammazzati tempo
fa, altrimenti.»
«L’offerta
di mollarlo e stare
con me è sempre valida.»
«Se
continui a proporti
inizierò a pensare che tu parli sul serio, Lou.»
Lou
rise sotto i baffi.
«Ci
guadagneremmo entrambi: io
sarei un’ottima colf, tu un ottimo cuoco. Il sesso possiamo
far finta che non
esista.»
«Bevi
il tuo latte e dormi:
stai iniziando a delirare.»
*****
«Questo
è l’ultimo pacco!», disse Beppe ansando.
«Quanta
roba: neanche il
discendente di Mariantonietta di Francia qui presente, –
disse Lou indicando
Simone – porterebbe con sé tanta roba!»
Karl
si schernì, ridacchiando.
«Lo
so: ma Evangeline ha
portato quasi tutto quello che aveva in camera: perfino la lampada con
le
stelle.»
«La
mia piccola principessa ha
preso tutto da me!», disse Simone orgoglioso prendendo in
braccio la piccola
peste che se la rideva.
«Non
c’è mica da vantarsene.»,
borbottò Lou di pessimo umore.
L’imminente
partenza di quella
che considerava la sua famiglia, la rendeva più astiosa del
solito.
E
fingere non era più il suo
forte. Erano tutti lì ormai da due giorni, per aiutare Karl
a sistemare le
ultime cose nel suo fuoristrada, la sera prima della partenza. E per
tutto il
tempo Lou aveva avuto l’umore altalenante tra crisi di
pianto, istinto omicida
verso Simone e iperattività da ansia.
Quel
pomeriggio mentre
preparava la pizza per la cena, Lilly si era avvicinata zampettando
eccitata
con le braccia nascoste dietro la schiena.
«Ho
una cosa per te, Lulina:
chiudi gli occhi!», le aveva detto saltellando sul posto.
«Okay,
non mi disegnare i
baffi però!»
«No,
io sono brava!»
Si
era inginocchiata e aveva
chiuso gli occhi.
Lilly
le infilò qualcosa al
collo, tirandole via mezzo scalpo.
«Ora
puoi aprirli!», aveva
strillato, continuando a saltellare.
Lou
aveva guardato il ciondolo
che la bambina le aveva messo: una piccola e perfetta conchiglia
bianca, lucida
e tonda pendeva da un nastro viola.
«Girala,
girala!»
Contagiata
dall’entusiasmo della
piccola era scoppiata a ridere, per bloccarsi immediatamente dopo. Sul
retro
madreperlaceo della conchiglia Lilly aveva disegnato un cuore
con due lettere “L”
all’interno.
«Mi
ha aiutato zio Simone a
farla! Guarda: ci sono i nostri nomi vicini vicini! Luly e Lilly! I
nostri nomi
si somigliano di più così, vero? Così
anche se siamo lontane, tu stringi la
collana e fai finta che io ti sto dando un bacino! Ne ho una uguale
anche io!», aveva tirato fuori dalla t-shirt un ciondolo
simile in tutto e per tutto al
suo.
«Tesoro…
- aveva bisbigliato con
gli occhi lucidi – È bellissima. Sei
stata proprio brava a disegnare il cuore…
grazie. Lo terrò sempre con me, va bene? Sai che sei la cosa
più importante
della mia vita? E che mi mancherai tanto?»
«Anche
tu mi manchirai,
- aveva
detto la bambina con
aria seria – ma torno presto, ha detto Papy. E se ti chiamo
perché mi manchi
tanto, verrai da me?»
«Ma
certo che verrò, tesoro.»
«Okay.
Ti voglio tanto bene,
Luly!»
«Anche
io, piccola.»
L’aveva
stretta forte, prima che
la bambina potesse vederla piangere come una stupida.
Detestava
il solo pensiero di
non poterla più vedere. Detestava che quella fosse
l’ultima giornata che
passassero tutti insieme prima di potersi rivedere.
Karl
le batté sulla spalla,
confortante.
«Vuoi
venire con noi?», ghignò.
«Potrei
prendere la tua
proposta seriamente: fosse solo per il fatto di allontanarmi per un
po’ dallo
stilista pazzo.»
«Guarda
che ti ho sentita.», sibilò gelido, Simone.
«Era
questo l’intento.»
«La
smettere di
punzecchiarvi voi
due ?
Evangeline, puoi dire allo zio Simone e Luly di non litigare in nostra
assenza?»
«Zio,
Luly: ha detto papy che
non dovete litigare.», disse compita la bambina, suscitando
l’ilarità
generale.
«Andiamo
dentro: ho una fame
cosmica. – disse Simone, dando una pacca sul sedere del suo
fidanzato – La colf
che ci ha preparato di buono?»
«La
pissaaaaa! –
urlò la piccola – Io l’ho aiutata a fare
tutto! Vero,
Luly?»
«Ma
certo, peste. Sei stata
bravissima.»
«Tesoro,
sarai un’ottima cuoca
da grande: non come zio Simone!», rincarò Beppe.
«Sì,
però zio è chic.»
Simone
fece un ghigno.
«La
bocca della verità ha
parlato.»
Lou
si accinse a tornare
all’interno della casa e la piccola chiese di scendere dalle
braccia di Simone
per affiancarla, dandole le mano.
«Forza,
muovete le chiappe,
maschi!», disse la bambina ridendo.
«Evangeline!»,
esclamarono in
coro Karl, Lou e Beppe.
Simone
seguì in fila indiana
la sua stramba famiglia, ridendo con gusto.
*****
«Lou,
è tutto perfetto. Sei
come sempre un amore. Anche se l’uscita del libro
è stata posticipata tu sei
stata l’unica tra tutte le illustratrici a consegnare in
anticipo tutte le
tavole! Ti adoro!»
Sara,
la ragazza che si stava
occupando dell’editing e della grafica del libro le parlava
al di là del
cellulare, mentre lei si affannava correndo e scansando persone per non
perdere
la metropolitana intasata dell’ora di punta.
«Sara,
sono felice! Ti sento
male, sto per salire in metro: se cado, ti richiamo io, ok?»
«Tranquilla,
volevo solo salutarti:
in ogni caso ti ho spedito una mail con tutti i dettagli. Appena puoi,
rispondimi. Ci sentiamo, devo andare: la “capa” mi
sta facendo segno di andare
da lei!»
«Okay,
a dopo Sara! E grazie!»
Lou
saltò al volo all’interno
del vagone un istante prima che le porte si chiudessero.
“Odio
questa città. Odio i mezzi pubblici. Odio la
gente!”, pensò
in uno slancio di insofferenza.
Un
ragazzo gentile le offrì il
suo posto e lei lo guardò esterrefatta: nessuno ormai aveva
più gesti di
gentilezza simili.
«Prego
signora, si sieda
pure!»
“SIGNORA?!”
Lou
avrebbe voluto prendere la
sua testa ben pettinata e sbatterla ripetutamente sul vetro.
Ringraziò con un
sorriso tirato il ragazzo che come unica colpa aveva quella di essere
gentile ed
educato con una strega acida e irritabile come lei.
Si
sedette chiudendo gli
occhi: non vedeva l’ora di arrivare a casa.
Il
suo lavoro part-time presso
una piccola libreria non le rendeva di certo la vita meno amara; era
fortunata
ad aver trovato quel piccolo lavoro, seppure mal pagato.
Poteva
mugugnare e parlare
solo se necessario e a bassa voce, non doveva essere per forza tirata a
lucido
o essere alla moda. Come le diceva sempre Simone, era la perfetta
bibliotecaria
attempata e zitella: acida e scontrosa.
Ripensò
al suo lavoro a
Helsinki: le sembrava lontano anni luce.
Sospirò
a voce alta, attirando
l’attenzione della signora seduta accanto a lei.
Le
sorrise automaticamente e
questa la fulminò con gli occhi.
“Dammi
la pazienza.” – pensò Lou sempre
più irritata.
«Lù?
Sei proprio tu?»
Lei
seguì con gli occhi la
voce che la chiamava, con una sensazione di freddo improvviso
nonostante il
caldo soffocante all’interno della carrozza.
“No,
aspetta non darmi la pazienza: dammi un cappio e facciamola
finita!”.
Il
suo ex ragazzo Andrea,
seduto di fronte a lei la guardava con gli occhi quasi fuori dalle
orbite.
Due
milioni di abitanti e lei
beccava il suo ex, sulla stessa tratta di metropolitana, in mezzo a
mille altre
persone.
«Andrea…»
La
metro si fermò bruscamente
e gran parte delle persone si accalcarono per scendere, mettendosi fra
loro.
Continuava
a guardarla
costernato.
Si
chiese che avesse mai di
strano perché lui la guardasse in quel modo.
«Se
non avessi sospirato, non
ti avrei riconosciuta…», disse alzandosi
improvvisamente e sedendosi accanto
a lei, nel posto lasciato vuoto dalla signora simpatica quanto una
colica di
poco prima. Lou lo guardò più attentamente
notando che non aveva più l’aspetto
patinato e perfetto di quattro anni prima. I suoi capelli erano
più radi sulla
fronte e aveva rughette intorno agli occhi, e intravedeva anche qualche
filo
grigio qui e là. Non che questo lo rendesse meno attraente.
Tutt’altro.
«Cosa
ci fai qui a Roma?», chiese sorridendole.
«Ci
vivo.»
«E
da quando? Ti ho lasciata a
Helsinki…»
«Mi
stai seguendo per caso?», scherzò ironica.
«Sono
qui da qualche
settimana… mia madre non sta bene e sono venuto qui per
assisterla.»
«Mi
spiace…», biascicò, pentendosi
subito di essere stata brusca.
«Sei
diversa.», disse
guardandola attentamente.
«Anche
tu… stiamo
invecchiando, vero?»
«Intendevo
che sei diversa anche
da come parli, qualcosa nella tua voce… come
guardi.»
«Mi
hai vista due minuti fa e
già noti tutte queste cose?»
«Ti
conosco da quindici anni,
Lù… so come eri.»
«Sì,
una stupida.»
Lui
abbassò gli occhi, non
rispondendo nulla.
«Mi
dispiace.»
«Per
cosa?» - chiese buttando un occhio alla fermata:
mancavano ancora due per la sua.
«Per
tutto quanto… per averti
delusa, trattata male, per averti tradita.»
«È
un po’ tardi per quello,
non credi?»
«Sì,
lo è, ti chiedo scusa
anche per questo…»
«Andrea,
è passato tanto
tempo… ho rimosso quasi tutto del nostro passato.»
«Anche
il fatto che eravamo
innamorati?»
«Io
lo ero.»
Lui
la guardò amareggiato. Quel
nuovo Andrea la stava depistando: cos’era tutta quella
consapevolezza? Era
diventato improvvisamente grande?
«Lo
ero anche io. Ti amavo
tanto.»
«Non
me ne sono mai resa
conto.»
«Lulù,
ti prego…»
«Non
sopporto quando mi
chiamano così.»
«Lo
so, scusa…»
Andrea
che chiedeva scusa era
fantascienza.
«Questa
è la mia fermata… devo
scendere. È stato… interessante
rivederti…», disse alzandosi.
«Aspetta,
posso accompagnarti fino
a casa?», chiese alzandosi a sua volta.
«Okay…
come vuoi.»
Scesi
nel caos della
metropolitana, tra centinaia di persone che scorrevano fra loro come un
fiume
umano, lui continuava a guardarla tenendole il gomito per
evitarle di sbattere contro i passanti. Quel nuovo Andrea attento e
premuroso
le faceva paura. E le faceva paura quello che vedeva nei suoi occhi. Le
camminava
silenzioso al fianco, sbirciandola di tanto in tanto.
Si
schiarì la voce,
continuando a camminarle sempre più vicino e guardarla con
la coda dell'occhio.
«Perché
hai lasciato Helsinki?
Avevo l’impressione che avessi finalmente trovato il tuo
posto nel mondo, l’ultima
volta che ci siamo visti.»
«Sono
successe cose che mi
hanno riportata qui.», rispose seccamente tagliando corto.
«Lo
so, ho saputo di Mara… mi
dispiace tanto. So quanto le volevi bene…»
Lei
non rispose, limitandosi
ad annuire.
«Ora
che fai? Stai lavorando?
Sei… fidanzata? Sposata?»
Lui
sorrise ironica. Ecco che
il vecchio Andrea sbucava e faceva le sue indagini neanche tanto velate.
«Ho
alcuni progetti di illustrazioni
e roba simile, lavoro part time in una libreria e… no: non
sono fidanzata o sposata.
E tu?»
Tanto
valeva fingere di fare
un’amabile conversazione: era quasi arrivata e presto si
sarebbe concessa una
lunga doccia e poi un bel film.
«Sì,
sono… sposato. E
divorziato.»
“Ah,
ecco.”
«Sophie?»
«Sì,
lei. Abbiamo una bambina.
Che non mi fa vedere quanto vorrei.»
«Mi
dispiace.»
«Anche
a me… Ti va di vederci
qualche volta? Come amici, ovviamente! Ci sono tante cose che vorrei
dirti.»
Lei
sorrise, serena e sicura
di sé una volta tanto.
«Non
credo sia una buona idea:
quello che dovevo dirti, quello che abbiamo avuto è passato
e ognuno di noi ha
la sua vita, ora.»
«Lù,
non voglio riallacciare i
rapporti con te, fidati di me. So bene di non essere degno della tua
fiducia e che
la mia parola per te vale meno di niente. Ho capito i miei sbagli: non
avrei
mai dovuto lasciarti per Sophie. Per nessuna al mondo avrei dovuto
farlo. Ma
l’ho fatto e me ne pento. Ogni giorno da allora. Vorrei solo
avere la possibilità
di chiederti scusa.»
«Lo
hai fatto, lo stai facendo.
Credo sia abbastanza così. – disse Lou guardandolo
seria – Ma credo anche che
vedersi “come amici” non ha alcun senso. Non siamo
mai stati amici noi due.»
«Potremmo
esserlo, se vuoi.»
Gli
lanciò un’ironica occhiata
esaustiva e chiara.
«Già…
avrei dovuto
immaginarlo. Me lo merito, del resto. È la stessa faccia che
ha fatto Nur quando
sono tornato a cercarti.»
«E
quando è successo questo?»
«Qualche
mese dopo essere
stato da te: Sophie mi aveva appena detto di essere incinta e io mi ero
fatto
prendere dal panico. Avevo bisogno di vederti. Non ero pronto ad essere
genitore, ero spaventato…»
«…e
hai pensato bene di
correre dalla stupida Lou, sperando che ti offrisse una via
d’uscita dalle tue
responsabilità.», concluse lei al suo posto.
«Sì,
speravo questo. – ammise
lui – Ma speravo anche che tu mi rivolessi indietro, che mi
volessi come mi
volevi un tempo.»
«Perché?
Tu non mi volevi. Io
non ero abbastanza bella, figa, cool e chissà
cos’altro, per te.»
«Tu
eri sempre stato il mio
porto sicuro. Me ne sono reso conto soltanto quando hai smesso di
amarmi. Solo
quando ti ho sentita lontana mi sono reso conto di quanto mi mancassi e
di
quanto fossi importante per me. Ma non ho mai saputo
dimostrarlo.»
«Beh,
le chiamano occasioni
perdute proprio per questo: se sapessimo riconoscere il loro valore
reale al
momento giusto, non ci comporteremmo da perfetti idioti. È
normale.»
La
bocca di Andrea si piegò in
una smorfia.
«Nur
me ne ha dette di tutti i
colori e aveva ragione. Non mi ha picchiata solo perché quel
cantante da
strapazzo era lì e le ha impedito di saltarmi al collo.»
«Cosa?
– chiese Lou con la
bocca improvvisamente secca – Di cosa parli?»
«Quel
damerino freddo e
rachitico che abitava di fronte: l’ho sempre detestato.
Così altezzoso e pieno
di sé, con quel suo sguardo gelido.»
«Ville
non è freddo e pieno di
sé, e di certo non è gelido! Non sai nulla di
lui, quindi sta’ zitto!» –
sbottò
lei, indispettita.
Lui
la guardò, curioso.
«E tu invece lo
conoscevi?»
Lou
aprì la bocca per
freddarlo, ma la richiuse di scatto.
«Senti,
ora devo andare. Sono
stanca.»
«Eri
tu… - disse lui ignorando
che avesse parlato, come folgorato da un’improvvisa
rivelazione – Eri tu
allora, la sua ragazza. Non Nur. Certo che non era Nur: non
è il tipo di uomo
che potrebbe piacerle…»
«Non
so di cosa tu stia
parlando ma ti sbagli.»
«No
che non mi sbaglio. Eri
tu. Ora tutto torna: Nur preoccupata che mi inveisce contro, lui
afflitto sul
divano, la canzone…»
«Ma
che cosa stai blaterando?
– chiese infastidita – Non riesco a
seguirti!»
«L’ho
sentito cantare in una o
due occasioni: sai in quei concerti per pochi intimi. A Sophie
è sempre
piaciuta la musica metal, anche se ho sempre avuto il sospetto che a
piacerle
fossero di più i metallari e di musica non capisse niente.
L’ho sentito cantare
una canzone, sentivo Sophie e le sue amiche commentare che fosse per
una
ragazza italiana… Ma non avrei mai pensato a te.
È così? Eri tu? Era lui quello
che vedevi?»
“Sarebbe
stato meglio perderla la metro oggi.”
«Sì.»,
ammise a denti
stretti.
«Capisco…
e lo amavi?»
«Sì.»
«Se
lui ti chiedesse di
rivedervi, diresti di sì?»
«Ma
che domande fai, Andrea?»
«Rispondi:
accetteresti?»
«Sì.
Accetterei.»
Lui
annuì.
«Quindi
è così. C’era lui e
c’è ancora.»
Lou
lo fissò esasperata.
«Andrea!
Davvero non so dove
vuoi andare a parare… stiamo parlando di cose accadute anni
fa. Che non ho
voglia di rivangare. E non dovresti farlo neanche tu.»
«Hai
ragione, come sempre… -
sospirò rassegnato – Beh, per quanto possa valere
credo che se ancora provi
qualcosa per lui, dovresti dirglielo. Anche se a lui non importa
più di te. Fa
bene in ogni caso togliersi un peso dal cuore.»
Lou
continuava a guardarlo e
pensare che fosse impazzito e nello stesso tempo che stesse dicendo una
delle
cose più sensate mai uscite dalla sua bella bocca virile.
«Ed
è così che ti senti ora?
Ti senti più leggero ora che mi hai chiesto
scusa?», chiese sbrigativa e più
duramente di quanto volesse.
«Sì,
mi sento meglio.»
“Bene:
almeno uno dei due è felice oggi.”
«Sono
contenta per te. Ora
vado. È stato… mi ha fatto piacere rivederti.
Spero per te che le cose vadano
meglio d’ora in poi.»
Le
si avvicinò, abbracciandola
improvvisamente e stringendola a lungo.
Aveva
dimenticato com’era
stare tra le braccia dell’uomo che un tempo aveva amato
disperatamente, aveva
dimenticato l’odore della sua pelle e per un attimo fu come
tornare a casa, ma
fu incapace di ricambiarlo. Lasciò cadere le braccia lungo i
propri fianchi,
rimanendo immobile.
«Se
potessi tornare indietro…
- sussurrò lui – Se potessi rimediare a tutto e
tornare ad essere quelli che
eravamo una volta. Darei qualsiasi cosa ora, perché tu mi
guardassi ancora come
facevi prima…»
Lei
rimase senza parole, non
sapeva cosa dirgli, cosa rispondere ad un Andrea così
diverso da come lei lo
conosceva. Sarebbe stato più facile avere a che fare con il
ragazzo presuntuoso
e immaturo di un tempo, che imprecava e pretendeva che tutto fosse come
lui
voleva. Le sarebbe piaciuto rispondere in qualsiasi modo e non rimanere
in
silenzio. Ma rimanere muta fu esattamente quello che fece.
Andrea
si staccò da lei e la
guardò di nuovo.
«Stammi
bene, Lù!», sussurrò infine
non aspettando una risposta, voltandosi e camminando velocemente.
«Anche
tu, Andrea…»
Fissò
la sua schiena diventare
sempre più piccola e poi sparire all’incrocio.
Non
era cambiato nulla nel suo
mondo, eppure si sentì un po’diversa: come se
qualche tassello mancante si
fosse assestato. Forse Andrea aveva ragione: parlare e togliersi dal
cuore un
peso portato per anni aiuta a sentirsi meglio. Fino
all’ultimo aveva pensato di
dirgli del loro bambino mai nato. Aveva preferito non farlo. Non
avrebbe fatto
altro che fargli rimpiangere tutto ciò che aveva perso e per
quanto la gente
dicesse che la vendetta è un piatto che va servito freddo,
lei preferiva di
gran lunga dimenticare.
Sospirò
di nuovo con un senso
di amarezza per gli anni passati ad amare Andrea e che ora per lei non
avevano
alcun significato. Sarebbe stato così anche con Ville? Ci
sarebbe stato un
tempo in cui lo avrebbe solo ricordato con rimpianto senza sentire
più nulla
nel cuore pensando a lui? Una parte di lei voleva credere che per
quanto tempo
potesse passare, Ville sarebbe sempre stato presente e vivido nei suoi
ricordi
come nel cuore.
*****
Simone
saettava per la stanza
imprecando a destra e manca contro chiunque gli capitasse a tiro.
Beppe
scambiò un’occhiata
rassegnata con Lou che alzava di tanto in tanto lo sguardo dallo
schermo del computer per osservare il suo amico,
accigliata.
«Ti
dai una calmata? Andrà
tutto bene.», disse Lou piccata.
“Sta’
zitta, traditrice! Mi
hai mollata all’ultimo minuto e ho dovuto allungare di dieci
centimetri il
vestito da sposa che avevo creato per te! Me la paghi!»
Lou
sbuffò, logorata. La
sfilata di Simone che si sarebbe tenuta giorno successivo era pronta
nei minimi
dettagli, tutto era perfetto e lui continuava ad agitarsi e correre a
caso per
l’appartamento.
«Tesoro,
ti va un bagno
caldo?», provò a dire Beppe prima di essere
interrotto bruscamente.
«Per
cortesia, non ti ci
mettere anche tu, okay? Ho già abbastanza agitazione
addosso, ci mancate soltanto
voi con la vostra calma!»
«Oh
per la miseria, ora stai
esagerando! - sbottò Beppe esasperato,
alzandosi repentino – Lou, usciamo e andiamo a fare un giro.
Non ne posso più
di star qui a subire il suo ingiustificato malumore!»
«Ecco,
sparite. È meglio!», replicò
l’altro, velenoso.
Lou
seguì con piacere Beppe
afferrando al volo la tracolla.
Scesero
in silenzio i sette
piani di scale. Beppe era davvero arrabbiato questa volta. Lou
sospirò di
nuovo: egoisticamente ne era felice perché il suo amico,
preso com’era dalla
sua sfilata, aveva dimenticato il concerto degli HIM e smesso di
tormentarla.
«È
impossibile stargli vicino
quando è così…
così…», esclamò Beppe
camminando infuriato, non appena misero
piede all’esterno del palazzo.
«Così
Simone? Già, lo so.», disse Lou, faticando a
tenergli dietro.
«Non
lo sopporto quando è così
esagerato. Rende la vita invivibile a tutti!»
«Ora
calmati e rallenta: le
mie gambe non sono lunghe quanto le tue!»
«Oh,
scusa… - rispose
adeguando il passo a quello di Lou – Non so come comportarmi
con lui.»
Lou
alzò le spalle e infilò un
braccio sotto quello di Beppe.
«Mandalo
al diavolo e fuggi via
con me.»
«E
dove vuoi andare?», chiese
lui, stando al gioco.
«Ovunque
ci porterà il vento…
l’importante è che sia lontano dallo stilista
isterico.»
«O
il cuore…»
«Quello
è meglio non seguirlo. Porta solo guai.»
Lou
respirò a pieni polmoni.
L’aria autunnale le piaceva: amava l’odore della
pioggia sui ciottoli ancora
tiepidi.
«Sei
sempre sicura di non
volere andare al concerto? Puoi cambiare idea quando vuoi: i biglietti
ci sono.»
Lei
gli batté sulla mano.
«Sono
sicura. Non chiederlo
più…»
«Beh,
sai - disse allusivo – il vento potrebbe anche
portarti nello stesso posto del cuore.»
«Non
ci provare…»
«Ci
proverò sempre. – ribatté
lui – Vorrei vederti felice.»
«Ma
io lo sono: ho te, ho un
amico isterico che vorrei uccidere a mani nude un giorno sì
e l’altro pure, una
specie di lavoro che mi permette di mantenermi… Ho
Evangeline e Karl: cosa potrei
desiderare di più?»
Beppe
la guardò in tralice.
«Ti
manca l’unica cosa che
vuoi veramente.»
«Già,
ma è il prezzo che pago.
E no, – lo anticipò notando che lui
apriva la bocca per parlare e ribattere - non torno indietro. Quindi
non dire
più nulla.»
Lui
alzò entrambe le mani in
segno di resa e le passò un braccio intorno alle spalle.
Camminarono
per un po’ in
silenzio godendosi finalmente l’aria frizzante e il silenzio
della sera.
«Hai
sentito Karl? Come se la
passano?», chiese Beppe per cambiare discorso.
«Sì,
oggi… a dire la verità mi
è sembrato strano. Mi ha dato l’impressione di
essere molto preoccupato per la
piccola: non vuole andare all’asilo, non vuole giocare con
gli amichetti e i
cugini.»
«C’era
da aspettarselo: le
manca casa.»
«Già.
Sono in pena. Non so,
vorrei andare per qualche giorno e…»
«E
controllare che la bimba
stia bene. – le sorrise comprensivo - È
da te. Non ce la fai proprio a starle lontano.»
«Perché
tu sì? – gli rifilò un
pugno sul braccio – Sei solo più bravo a
nasconderlo.»
«Beccato.
È normale che le
manchi casa e che le manchiamo noi: lasciale il tempo per
abituarsi.»
«Umpfh.
Mi sento inutile qui.»
«Smettila.
Mi servi per
attutire i malumori del mio ragazzo che altrimenti sfogherebbe sempre
su di me.
Non puoi lasciarmi.»
Lou
rise, buttando indietro la
testa e lo guardò con un sopracciglio alzato.
«Ah
beh, grazie eh!
Bell’amico!»
«Lo
so, faccio del mio meglio.»
Lo
squillo del cellulare
interruppe le loro risate.
«Deve
essere lui che mi ordina
di tornare a casa: – proruppe Beppe –
scommettiamo?»
Lou
ridacchiò sotto i baffi:
Simone sbraitava a inveiva e rompeva le scatole a tutti come
nessun’altro al
mondo, ma non sapeva vivere senza il suo Beppe.
«Sì?
Stiamo passeggiando. No,
per ora non abbiamo intenzione di tornare. – rispose Beppe
con voce imperturbabile
alla raffica di domande – Perché ci stiamo godendo
la nostra passeggiata. Come
vuoi, se preferisci andrò a dormire da Lou stanotte,
così non ti disturberò.
Perfetto. Buonanotte.», disse chiudendo la conversazione.
«Addirittura?
È così isterico
da cacciarti dal suo letto?»
«Beh,
se la facesse passare.
Una cosa è certa: io almeno dormirò sereno
stanotte!», disse aspro con un
ghigno.
«Mi
dai asilo politico?»
«Seratina
gelato e film
strappalacrime?», propose Lou.
«Andata.
E nel frattempo
cercherò di convincerti con la mia sottile arte della
persuasione ad andare al
concerto.»
Lou
tornò a ridere suo
malgrado.
«La
tua costanza mi lusinga,
ma perdi tempo.»
«Sarò
la tua goccia cinese,
donna: lenta ma inesorabile.», ridacchiò lui.
«Meglio
una goccia che il
bulldozer emotivo che è il tuo ragazzo.»
«Dai
torniamo a casa,
infiliamoci nei nostri pigiamini rosa e tuffiamoci sul divano a vedere
film
romantici e mangiare gelato fino a scoppiare!»
Lou
si strinse al suo braccio,
posando la testa contro la sua spalla.
«Lo
dico sempre che sei la mia
anima gemella!»
*****
Lou
schivava lesta, con un
cocktail in una mano e una birra per Beppe nell’altra, la
marea di gente che stazionava
nel locale minuscolo che avevano scelto per festeggiare il successo di
Simone
con pochi amici intimi.
Odiava
ogni singolo momento di
quel post-serata.
La
sfilata di Simone era stata
grandiosa: a due minuti dall’inizio si era completamente
rilassato e reso a
tutti le due ore successive, assistenti, modelle, parrucchieri e make
up artist,
una vera pacchia. Era stata una sfilata bellissima e lei era orgogliosa
del suo
amico. Tutto si poteva dire di lui, ma non che non avesse talento. Si
era
pentita di non aver accettato di indossare l’abito che Simone
aveva disegnato
per lei, quando lo aveva finalmente visto apparire.
Simone
aveva dato al tema
della sfilata quella del sogno e il vestito era così bello,
etereo e delicato,
quasi impalpabile, da dare sul serio l’idea che ci si
trovasse in un sogno. La
modella sembrava fluttuare sulla passerella: di certo indosso a lei non
avrebbe
sortito lo stesso effetto, ma lo aveva amato fin dalla prima occhiata
anche se
l’idea di indossare un abito da sposa seppur per finta, le
faceva venire
l’orticaria.
La
notte precedente, in preda
alla sua consueta insonnia, aveva maturato l’idea di andare
finalmente da
Evangeline e Karl. Inutile rimandare una decisione che aveva preso
nell’esatto
momento in cui guardava il fuoristrada allontanarsi dalla casa al mare.
Aveva
prenotato online il primo volo disponibile e preparato la valigia:
tanto valeva
sfruttare l’insonnia in modo produttivo.
Così
si era preparata una
tisana rilassante e vagato in rete senza una meta precisa. Non usava
spesso i
social network anche se era l’unico modo per rimanere in
contatto con i suoi conoscenti
in Finlandia e spulciando la home page capì anche il
perché: pullulava di video
e foto di Helsinki e lei sentiva ancora di più la nostalgia.
Tra i suoi
contatti non mancavano fan di ogni genere di band finlandese e gli HIM
non
erano da meno. C’erano diversi video e foto del primo dei tre
concerti che si
sarebbero tenuti in Italia.
Ci
aveva provato davvero a non
guardare e ignorare. Ce l’aveva messa tutta.
Ma
aveva aperto la foto e
fissato inebetita Ville.
Aveva
dimenticato quanto fosse
bello e quella foto non faceva che esaltarne ogni dettaglio.
I
capelli castani spuntavano
dal consueto beanie nero, arricciandosi in riccioli e onde fino a
sfiorare le
spalle. La sciarpetta immancabilmente nera, sopra la t-shirt
anch’essa nera.
E
il verde. Il verde vivido e
intenso dei suoi occhi.
Era
in pace come sempre quando
cantava, Ville.
Non
c’era traccia di
malinconia o altro in quegli occhi e lei ne era felice.
Aveva
guardato quella foto e
si era chiesta come aveva fatto ad andare via e vivere senza di lui per
tutto
quel tempo.
“Come
ho fatto a continuare la mia vita senza quegli occhi?”
Qualcuno
diceva che si può
morire per amore, ma lei l’aveva sempre ritenuta una grande
stronzata.
Si
può benissimo continuare a
vivere anche se ti mancherà per sempre un pezzo di anima.
“Perché
batte il cuore?”
Il
suo continuava a battere ma
sapeva anche perché non batteva più come prima.
Per
il momento aveva solo una
risposta a quella domanda, ed era negli occhi verdi di Ville fatti di
pixel ad
alta risoluzione, che nulla avevano però della loro bellezza
reale.
"Angolo
dell'autrice:
Sorpresaaaa! So che non ve lo aspettavate così presto, ma
dal momento che il capitolo è pronto da un bel pò
mi sembrava inutile rimandare! So che molte di voi hanno fatto i salti
di gioia nel ritrovare il defunto Andrea (la maiuscola ora se la merita
per avere ammesso di essere un emerito cazzone).
Allora? Che ne pensate? Sono riuscita a farvelo diventare un
pochino simpatico? Personalmente ho sempre amato i personaggi
controversi e con qualcosa di malvagio e non ammirevole: non so se
Andrea sono riuscita a dipingerlo a dovere, o è sembrato un
patetico sfigato, egoista.
Siamo alle battute finali e mi preme ringraziare prima di tutto mia
mugliera, Deilantha per
avermi fatto da Beta Reader fin da quando ho iniziato a postare su
questo sito, per avermi supportato e sopportato, per tutte le volte che
mi ha risollevato il morale e spronata. E in secondo luogo robpattzlovers
prima e eleassar per
essersi aggiunta successivamente: rinunciare a loro mi è
costato un pò: avevo paura di lanciarmi da sola, senza
supporto o consigli ma era un qualcosa che sentivo di dover fare per
poter camminare da sola d'ora in poi e acquistare quella sicurezza che
spesso ho cercato in loro.
Grazie infinite donne, per tutto quanto e voi lo sapete che penso,
quindi... tanto love a voi. <3
Voglio
ringraziare le gentili donzelle che hanno recensito l'ultimo capitolo:
Dadda_HIM,
eleassar
Lady Angel
2002, cla_mika, katvil, DarkViolet92, apinacuriosaEchelon,
LilyValo, angelinaPoe, saraligorio1993, Izmargad.
*Molte di voi sapranno del mio amore viscerale, spassionato e
incondizionato per Sheldon Cooper di "The Big Bang
Theory" e non
potevo non citarlo almeno una volta in questa fic.
**Per il titolo al capitolo mi sono ispirata a HIM -
Beyond Redemption (Love Metal).
E
niente...ci si rivedere per gli ultimi due, spero, capitoli!
Abbraccio
forte a tutte!
Vi
aspetto nel Gruppo
Facebook
dedicato alle
discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi
insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e
Ville!
Siete
le benvenute.
Alla
prossima!
Baci
baci,
*H_T*
testo.
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