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Autore: Heaven_Tonight    22/04/2015    11 recensioni
“Ikkunaprinsessa”. La Principessa alla Finestra.
C’era lei, Lou, in quel ritratto. C’era lei in ogni suo respiro, in ogni cellula o pensiero.
La sua anima, il suo cuore, le sue speranze mai esposte, il suo amore e la sua fiducia in esso in ogni piccola e accurata pennellata di colore vivido.
C’era lei come il suo caro Sig. Korhonen la vedeva.
Al di là della maschera inutile che si era costruita negli anni.
I capelli rossi e lunghi che diventavano un tutt’uno con il cielo stellato.
L’espressione del suo viso, mentre guardava la neve cadere attraverso la finestra, sognante, sorridente.
Lei fiduciosa e serena. Col vestito blu di Nur e la collana con il ciondolo che un tempo era stata di Maili.
Lui aveva mantenuto la sua promessa: le aveva fatto un ritratto, attingendo a ricordi lontani.
L’aveva ritratta anche senza di lei presente in carne e ossa. Meglio di quanto potesse immaginare.
Cogliendo la sua vera essenza.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo trentuno
"Beyond Redemption"
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«È temporaneo Lou, si tratta solo di nove mesi, un anno al massimo: avrei voluto parlartene prima ma c’era sempre qualcosa a farmi rimandare. E poi aspettavo che Evangeline assimilasse l’idea… Non vuole saperne di lasciare questa casa e tutto quanto. E la capisco. Questo posto è diventata ormai anche la mia casa.»
Karl la guardò con aria contrita.
«Tranquillo, non devi darmi spiegazioni: voglio dire, è giusto che tu segua la tua carriera universitaria. Pensavo solo che sarà strano e brutto non vedervi per così tanto tempo. Non sarà facile abituarsi all’idea di dover aspettare un anno prima di rivedervi.»
Cercò di rendere la situazione meno pesante, sorridendogli rassicurante. Fino all’ultimo aveva sperato che Lilly si fosse inventata tutto:  a quanto pareva Karl aveva ricevuto un incarico che non solo sarebbe stato remunerato il triplo di quanto guadagnasse ora, ma anche il suo curriculum ne avrebbe giovato.
«Puoi raggiungerci appena potrai, e anche io non appena avrò qualche giorno libero, prendo la bambina e corro qui.»
«Ovviamente, verrò con piacere. Come ti organizzerai con Lilly e l’asilo?», chiese riluttante. L’idea di allontanarsi dalla piccola le risultava di minuto in minuto sempre più intollerabile.
«Non ne ho idea; lei parla bene il tedesco quanto l’italiano, quindi la lingua non sarà un problema. Mi preoccupa di più l’ambiente, il sistema educativo è molto diverso e temo che mia figlia non si abituerà facilmente. C’è mia madre ad aiutarmi, naturalmente, e le mie cognate che hanno dei bambini piccoli e spero che questo possa rendere meno duro il distacco a Lilly, da tutto questo.»
«È un bene allora che tu abbia una famiglia numerosa: alla peste farà bene vivere con i suoi cuginetti.»
«Sì… io e Mara abbiamo sempre desiderato qualcosa di simile. Avremmo voluto dare presto dei fratellini  a Evangeline ma…»
Lou gli accarezzò la schiena larga.
«Lo so.»
Karl tornò a lavare con cura le stoviglie sporche mentre lei rimetteva a posto, asciugandole man mano che l’uomo gliele passava.
Il rientro di Karl quel pomeriggio non aveva avuto l’accoglienza che sperava: la piccola era ancora irritata con lui e lo aveva ignorato per gran parte del tempo.
«Come ve la siete cavata voi due?», chiese dopo qualche minuto di silenzio.
«Bene, come sempre: è stata stranamente buonissima e calma. La febbre non fa che salire e scendere di continuo, ma mai troppo alta.»
«Tu stai bene? – la guardò attentamente – Mi sembri stanca e hai gli occhi lucidi: non avrai la febbre?»
«Sì, ma non è nulla: è che ho lasciato dormire Lilly con me. Lo so che non approvi, ma si svegliava di continuo la prima notte e non era il caso di fare avanti e dietro dalla mia camera alla sua.»
«Le lasci fare sempre quello che vuole. Come me, del resto.», rise Karl divertito.
«Non posso farci nulla: sa perfettamente come fregarmi.»
«Già: Mara ne sarebbe stata orgogliosa. Lei adorava le personalità forti e testarde. E Lilly le somiglia molto, per certi versi: ha la stessa caparbietà e quando vuole qualcosa, niente e nessuno può dissuaderla.»
«È proprio vero, sono identiche. Avrà preso qualcosa anche da te, che dici?»
«Lo spero proprio!», sbottò lui.
«Karl, devo dirti una cosa e ti chiedo scusa fin da ora. Lilly parlava di una foto con Simone e una signora che non conosceva; diceva di averla vista nella macchina fotografica nel comodino della mamma… non le ho dato peso, ma sai che sono curiosa. Non volevo invadere il vostro spazio. Ma ho trovato effettivamente la macchinetta e ho scoperto che era la mia. E non so come ci sia finita lì: non ricordo di averla avuta con me quando sono tornata da Helsinki…», lasciò la frase in sospeso vedendo Karl accigliarsi pensieroso.
«Non ricordavo neanche io, fino a qualche giorno fa. Ho beccato la bambina a rovistare nei cassetti e mi ha chiesto di vedere cosa c’era nella macchinetta. Avevo dimenticato che fosse tua e il resto lo sai. Sai che non apro mai quei cassetti… non li ho svuotati ma non voglio neanche guardarli continuamente, così ignoro. Non devi scusarti: questa è anche casa tua, ricordalo sempre.»
Lou ingoiò il groppo in gola: aveva pianto abbastanza per quel mese.
«Non sai come mai ce l’avesse Mara?»
«Se non ricordo male l’aveva ricevuta dalla tua coinquilina insieme ad una lettera. Mara e Simone quando videro alcune foto erano discordanti sul da farsi: lui avrebbe preferito eliminarle e strappare la lettera. Mara invece pensava che un giorno ti avrebbe ridato tutto. Non voleva cancellare la tua foto con Ville.
Sai, la trovava così bella… diceva sempre che non ti aveva mai vista così.
Diceva che anche da quella semplice foto capiva tante cose di voi due: la sua spavalderia e allo stesso tempo paura di quello che eri per lui; la tua arrendevolezza ma col timore che tutto finisse.
“Guarda come lui la tocca: la sfiora e la stringe contemporaneamente. E lei… Non le ho mai visto questa serenità sul viso quando era con Andrea. Dovrebbero essere insieme.”
Lo diceva sempre e guardava quella foto per ore.»
Perché Mara non le aveva mai detto nulla? Da Simone ormai si aspettava di tutto, ma Mara… non le aveva mai nascosto niente.
«Cosa diceva la lettera di Nur?», chiese con un filo di voce.
«Poco e nulla in realtà. Era ancora delusa e ferita, forse non pensava davvero quello che scriveva ma era chiaro che teneva a te. E voleva che tu tornassi a Helsinki, da lui. Voleva che qualcuno di noi ti convincesse a farlo. E ti ha mandato quella foto di proposito: per ricordarti cosa avevi.»
«Sì, lo immagino. Dov’è la lettera?»
«Credo nello stesso posto dove hai trovato la macchina fotografica. Vuoi leggerla?»
Lou ci pensò a lungo.
«No. È una lettera che Nur ha scritto a Mara e non ho voglia di tornare indietro di nuovo: mi sono bastate le foto. È ora che giri pagina.»
Karl la guardò con un sorriso.
«Lou, non ci credi neanche tu quando dici queste cose: sai bene che non dimenticherai Ville tanto facilmente. E a mio parere non devi. È stato bello con lui, ti ha resa felice anche se è durato poco. Ricordalo, ma non rimpiangerlo. Vai avanti così come stai facendo ora e porta con te quei momenti.»
«Ci provo.»
«Lo so…»
«Vorrei anche poterti dire che troverai un altro e lo amerai allo stesso modo, ma sappiamo entrambi che è una bugia. Posso solo sperare e augurare a te di amare ancora, anche se non come hai fatto con lui.»
 
 
*****
 

«Lou! Lou! Lou!»
La voce di Simone intervallata a tre colpi di seguito la svegliò dal sonno.
«Va via, *Sheldon dei poveri! Non è aria!», rispose stizzita, starnutendo.
«Apri daaaaai! Beppe mi ha detto che stai male da giorni! Vuoi una zuppa calda, un panno bagnato sulla fronte, due coccole?»
«Ti ho detto di andare via! Non sto bene!»
«Sono qui per questo! Apri questa dannata porta o la butto giù!»
Lou imprecò coloritamente, si alzò dal divano e aprì la porta, furiosa.
«Oh merda!»
«Mi auguro vivamente che tu abbia avuto il morbillo da piccolo, perché sto per starnutirti in faccia.»
Simone tentò di reprimere la risata nel vedere il viso minuto della sua amica cosparso di bollicine rosse.
«Stai lontana da me, Pimpa! – disse arretrando e ridendo allo stesso tempo – Hai un aspetto terribile! E la voce da travestito!»
«Tanto meglio: così non verrò alla tua sfilata.»
«Antipatica. Ti ci trascinerò per i capelli, stanne certa! – disse continuando ad arretrare – Okay, ti mando Beppe. Io mi sono ricordato di avere una cosa da fare.»
«Questa cosa ha i suoi lati positivi,  – sibilò Lou – se  ha il potere di tenerti lontano!»
«Non ti libererai così facilmente di me, donna!», le urlò chiudendosi la porta del suo appartamento dietro.
Lou sbattè la sua, tornando ad imprecare.
Si sentiva uno straccio.
Tre giorni prima si era svegliata e specchiandosi aveva notato macchie rosse su tutto il viso.
«Non ci credo! Non può essere vero!»
Aveva chiamato sua madre in preda al panico.
«Ma’, non avevi detto che da piccola io e Livio abbiamo preso il morbillo a scuola?»
«Come al solito non ascolti mai quando parlo: no, era la varicella. Perché me lo chiedi?», aveva chiesto la genitrice che non mancava mai di infilare un rimprovero anche nella frase più semplice.
«Niente. Chiedevo.»
Sua madre aveva indagato e fatto domande fino a che lei, esasperata aveva risposto che forse la piccola Lilly l’aveva contagiata. Allora le aveva intimato di correre dal dottore immediatamente: aveva sentito di tragedie accadute a chi contrae il virus in età adulta. Lei aveva sbuffato: tipico di sua madre annunciare cataclismi, lo faceva anche per un semplice raffreddore. Ma una volta chiusa la conversazione aveva controllato su internet ed effettivamente era rischioso. Presa dalla fifa, era andata dal medico curante che l’aveva riempita di antipiretici, sedativi per la tosse e ogni altro medicinale possibile. Così da due giorni arrancava per casa, dolorante e debole e con la voglia di scorticarsi viva, tra un aerosol e il water.
Il dottore l’aveva rassicurata che sarebbe passata da sola, ma che doveva nella maniera più assoluta stare a riposo. La piccola invece Lilly aveva già superato la fase acuta del morbillo ed era tornata all’asilo.
«Ti “fastidiano” le bollicine, Luly? A me sì, mi sono grattata le crosticine, tu però sei grande non devi farlo!», aveva detto la piccola la sera prima al telefono.
«Sì, mi danno fastidio. – aveva ghignato lei tra un colpo di tosse e l’altro – Come stai, peste? Ti senti meglio ora?»
«Sì, Valentina mi ha portato un orsacchiotto di nome Teddy, Luly: dice che ci posso anche dormire!»
La bambina aveva continuato a raccontarle le sue giornate, concludendo che le mancava e tornare presto da lei.
Tra meno di due settimane Karl e Lilly si sarebbero trasferiti e lei sperava di riuscire a star meglio per poterli salutare. Doveva trovare un modo per impegnarsi tanto da non pensare alla bambina così lontana da lei e impedirsi allo stesso momento di uccidere Simone nel sonno o buttarlo giù dalle scale.
Un altro bussare alla porta, questa volta discreto e pacato: doveva essere Beppe.
«Lou? Sei presentabile? Posso entrare?», chiese lui a voce bassa.
«Entra, non hai le chiavi?», sbottò infastidita, aprendogli.
Beppe entrò infilando la testa a metà, sorridendole.
Lei si sentì subito più serena e ricambiò il suo sorriso.
«Certo che le ho – sussurrò, sbirciando dietro di sé – Ma il pazzo furioso se sa che me le hai ridate dopo avergliele sequestrate, le pretenderebbe. Sarebbe capace di rubarmele per farsene fare una copia.»
Entrò, richiudendo veloce la porta e la sbirciò attento.
«Ti ho portato qualcosa di buono.»
Avrebbe voluto abbracciarlo e farsi coccolare: Beppe era l’unico in grado di calmarla all’istante.
«Cosa mi hai portato? La tua crostata di mele? Ti adoro: sposami, ti prego!  Lascia quel rompiballe e scegli me.»
Lui scoppiò a ridere lisciandosi il pizzetto, imbarazzato.
«Sai che lo farei subito se… beh, se mai dovessi improvvisamente cambiare rotta, sarai la prima a cui penserò!»
Lou sbuffò, seguendolo mentre lui si dirigeva in cucina per tagliarle un pezzo di crostata; mise a scaldare del latte con miele e il tutto senza smettere di sorriderle placido e chiacchierare.
«Come sta Karl? Gli serve una mano per impacchettare tutto?»
Beppe, sempre pronto a mettersi a disposizione di tutti. Nei mesi passati con Mara e Karl nella loro casa aveva imparato a volergli bene, ad affidarsi a lui ciecamente.
«Non ne ha parlato: ho dimenticato di chiederglielo in realtà…»
«Domani lo chiamo: magari possiamo andare tutti insieme e stare lì con loro per un po’, che ne dici?»
«Ci avevo già pensato, in effetti: l’idea di Lilly lontana non mi va ancora giù. Penso che dovrò farmene una ragione prima o poi…»
«Si tratta di pochi mesi, Lou. E potrai sempre prendere un aereo e andare da loro, quando ti mancheranno.»
«Lo so.»
«E allora piantala di pensare in negativo, tesoro.», disse con dolcezza, tirando su gli occhiali scesi sul naso.
«Ora pretendi un po’ troppo.», disse tetra.
«Eh, effettivamente. C’è qualcosa che non va? Oltre la partenza, intendo.»
«Ho trovato la mia vecchia macchinetta digitale e il suo contenuto: tu ne eri al corrente?»
«Sì. E non ero d’accordo nel tenerti nascosta una cosa così: a mio parere non hanno fatto che prolungare la tua ripresa. Ma non mi andava di discutere con Simone in un momento simile: Mara era preoccupata per te e non volevo infierire. Anche Karl disse che era ingiusto tenertelo nascosto: disse che non eri una bambina sprovveduta e che te la saresti cavata. Era solo una foto, bellissima tra l’altro…»
«Mi hanno sempre trattata da bimbetta dopo la faccenda di Andrea. E non lo sopporto. È anche colpa mia: ho la brutta abitudine di crollare improvvisamente dopo mesi in cui faccio finta di essere forte.»
«E lo sei, forte. Ma sei umana, come tutti noi. Anche tu hai bisogno di una spalla sulla quale piangere, ma loro due hanno esagerato. – le fece segno di precederlo sul divano, mettendole una tazza fumante tra le mani - Nell’intento di volerti evitare una sofferenza hanno sbagliato ugualmente. Ho sempre pensato che se tu avessi visto quella foto, saresti tornata da lui. Mi sbaglio?»
Lou si sedette stanca come se avesse scalato una montagna e lasciò che Beppe la coprisse premuroso col plaid.
«Probabilmente hai ragione: se avessi visto quella foto prima sarei tornata di corsa da lui, con la coda fra le gambe, pregandolo di perdonarmi. Ed è per questo che loro due hanno evitato: mi conoscono troppo bene. Sapevano che mi sarei umiliata per lui. E hanno deciso che era meglio per me che Ville non esistesse più.»
«Non ne avevano il diritto.»
«No, ma io ero decisa a rimanere qui, e non sentivo ragioni. È stata colpa mia, soltanto mia, per come sono andate le cose: loro hanno cercato di proteggermi, anche se non è servito, lo hanno fatto in buona fede…»
Beppe sospirò, rilassandosi sul divano.
«Siamo tutti così complicati. Ci rendiamo la vita impossibile a volte anche quando non ce n’è bisogno.»
«Il tuo fidanzato in questo è uno specialista.», borbottò lei lugubre, soffiando sul latte bollente.
«Sai che ti darà il tormento per il concerto, vero?»
«Lo ammazzerò prima. Così tu sarai costretto a sposare me.»
«Tesoro, sono completamente, e senza via d’uscita, perso per lui.»
«Che culo.»
Beppe scoppiò a ridere nuovamente, abbracciandola.
«Lo sai meglio di me che è così solo con chi ama davvero: dovresti preoccuparti se iniziasse ad ignorarti. È lì che capisci che non gli importa nulla di te. Ti vuole bene, Lou.»
«Ripeto: che culo. Mi sta bene che tenga a me, ma mi sembra di avere mia madre nei momenti peggiori a rimbrottarmi e controllarmi continuamente.»
Lou si accoccolò sulla sua spalla, soddisfatta di poter avere la sua razione quotidiana di dolcezza. «Sono andata via da casa dei miei dopo due mesi che ero in Italia! Pensa a questo! E vengo qui per trovarmi una suocera bisbetica sul pianerottolo. Non ho la tua pazienza, tesoro…»
«So anche questo: è una fortuna che ci sia io a fare da cuscinetto fra voi. Vi sareste ammazzati tempo fa, altrimenti.»
«L’offerta di mollarlo e stare con me è sempre valida.»
«Se continui a proporti inizierò a pensare che tu parli sul serio, Lou.»
Lou rise sotto i baffi.
«Ci guadagneremmo entrambi: io sarei un’ottima colf, tu un ottimo cuoco. Il sesso possiamo far finta che non esista.»
«Bevi il tuo latte e dormi: stai iniziando a delirare.»
 
 
*****
 
 
«Questo è l’ultimo pacco!», disse Beppe ansando.
«Quanta roba: neanche il discendente di Mariantonietta di Francia qui presente, – disse Lou indicando Simone – porterebbe con sé tanta roba!»
Karl si schernì, ridacchiando.
«Lo so: ma Evangeline ha portato quasi tutto quello che aveva in camera: perfino la lampada con le stelle.»
«La mia piccola principessa ha preso tutto da me!», disse Simone orgoglioso prendendo in braccio la piccola peste che se la rideva.
«Non c’è mica da vantarsene.», borbottò Lou di pessimo umore.
L’imminente partenza di quella che considerava la sua famiglia, la rendeva più astiosa del solito.
E fingere non era più il suo forte. Erano tutti lì ormai da due giorni, per aiutare Karl a sistemare le ultime cose nel suo fuoristrada, la sera prima della partenza. E per tutto il tempo Lou aveva avuto l’umore altalenante tra crisi di pianto, istinto omicida verso Simone e iperattività da ansia.
Quel pomeriggio mentre preparava la pizza per la cena, Lilly si era avvicinata zampettando eccitata con le braccia nascoste dietro la schiena.
«Ho una cosa per te, Lulina: chiudi gli occhi!», le aveva detto saltellando sul posto.
«Okay, non mi disegnare i baffi però!»
«No, io sono brava!»
Si era inginocchiata e aveva chiuso gli occhi.
Lilly le infilò qualcosa al collo, tirandole via mezzo scalpo.
«Ora puoi aprirli!», aveva strillato, continuando a saltellare.
Lou aveva guardato il ciondolo che la bambina le aveva messo: una piccola e perfetta conchiglia bianca, lucida e tonda pendeva da un nastro viola.
«Girala, girala!»
Contagiata dall’entusiasmo della piccola era scoppiata a ridere, per bloccarsi immediatamente dopo. Sul retro madreperlaceo della conchiglia Lilly aveva disegnato un cuore con due lettere “L” all’interno.
«Mi ha aiutato zio Simone a farla! Guarda: ci sono i nostri nomi vicini vicini! Luly e Lilly! I nostri nomi si somigliano di più così, vero? Così anche se siamo lontane, tu stringi la collana e fai finta che io ti sto dando un bacino! Ne ho una uguale anche io!», aveva tirato fuori dalla t-shirt un ciondolo simile in tutto e per tutto al suo.
«Tesoro… - aveva bisbigliato con gli occhi lucidi –  È bellissima. Sei stata proprio brava a disegnare il cuore… grazie. Lo terrò sempre con me, va bene? Sai che sei la cosa più importante della mia vita? E che mi mancherai tanto?»
«Anche tu mi manchirai, - aveva detto la bambina con aria seria – ma torno presto, ha detto Papy. E se ti chiamo perché mi manchi tanto, verrai da me?»
«Ma certo che verrò, tesoro.»
«Okay. Ti voglio tanto bene, Luly!»
«Anche io, piccola.»
L’aveva stretta forte, prima che la bambina potesse vederla piangere come una stupida.
Detestava il solo pensiero di non poterla più vedere. Detestava che quella fosse l’ultima giornata che passassero tutti insieme prima di potersi rivedere.
Karl le batté sulla spalla, confortante.
«Vuoi venire con noi?», ghignò.
«Potrei prendere la tua proposta seriamente: fosse solo per il fatto di allontanarmi per un po’ dallo stilista pazzo.»
«Guarda che ti ho sentita.», sibilò gelido, Simone.
«Era questo l’intento.»
«La smettere
di punzecchiarvi voi due ? Evangeline, puoi dire allo zio Simone e Luly di non litigare in nostra assenza?»
«Zio, Luly: ha detto papy che non dovete litigare.», disse compita la bambina, suscitando l’ilarità generale.
«Andiamo dentro: ho una fame cosmica. – disse Simone, dando una pacca sul sedere del suo fidanzato – La colf che ci ha preparato di buono?»
«La pissaaaaa! – urlò la piccola – Io l’ho aiutata a fare tutto! Vero, Luly?»
«Ma certo, peste. Sei stata bravissima.»
«Tesoro, sarai un’ottima cuoca da grande: non come zio Simone!», rincarò Beppe.
«Sì, però zio è chic.»
Simone fece un ghigno.
«La bocca della verità ha parlato.»
Lou si accinse a tornare all’interno della casa e la piccola chiese di scendere dalle braccia di Simone per affiancarla, dandole le mano.
«Forza, muovete le chiappe, maschi!», disse la bambina ridendo.
«Evangeline!», esclamarono in coro Karl, Lou e Beppe.
Simone seguì in fila indiana la sua stramba famiglia, ridendo con gusto.
 
 
*****
 
 
«Lou, è tutto perfetto. Sei come sempre un amore. Anche se l’uscita del libro è stata posticipata tu sei stata l’unica tra tutte le illustratrici a consegnare in anticipo tutte le tavole! Ti adoro!»
Sara, la ragazza che si stava occupando dell’editing e della grafica del libro le parlava al di là del cellulare, mentre lei si affannava correndo e scansando persone per non perdere la metropolitana intasata dell’ora di punta.
«Sara, sono felice! Ti sento male, sto per salire in metro: se cado, ti richiamo io, ok?»
«Tranquilla, volevo solo salutarti: in ogni caso ti ho spedito una mail con tutti i dettagli. Appena puoi, rispondimi. Ci sentiamo, devo andare: la “capa” mi sta facendo segno di andare da lei!»
«Okay, a dopo Sara! E grazie!»
Lou saltò al volo all’interno del vagone un istante prima che le porte si chiudessero.
“Odio questa città. Odio i mezzi pubblici. Odio la gente!”, pensò in uno slancio di insofferenza.
Un ragazzo gentile le offrì il suo posto e lei lo guardò esterrefatta: nessuno ormai aveva più gesti di gentilezza simili.
«Prego signora, si sieda pure!»
“SIGNORA?!”
Lou avrebbe voluto prendere la sua testa ben pettinata e sbatterla ripetutamente sul vetro. Ringraziò con un sorriso tirato il ragazzo che come unica colpa aveva quella di essere gentile ed educato con una strega acida e irritabile come lei.
Si sedette chiudendo gli occhi: non vedeva l’ora di arrivare a casa.
Il suo lavoro part-time presso una piccola libreria non le rendeva di certo la vita meno amara; era fortunata ad aver trovato quel piccolo lavoro, seppure mal pagato.
Poteva mugugnare e parlare solo se necessario e a bassa voce, non doveva essere per forza tirata a lucido o essere alla moda. Come le diceva sempre Simone, era la perfetta bibliotecaria attempata e zitella: acida e scontrosa.
Ripensò al suo lavoro a Helsinki: le sembrava lontano anni luce.
Sospirò a voce alta, attirando l’attenzione della signora seduta accanto a lei.
Le sorrise automaticamente e questa la fulminò con gli occhi.
“Dammi la pazienza.” – pensò Lou sempre più irritata.
«Lù? Sei proprio tu?»
Lei seguì con gli occhi la voce che la chiamava, con una sensazione di freddo improvviso nonostante il caldo soffocante all’interno della carrozza.
“No, aspetta non darmi la pazienza: dammi un cappio e facciamola finita!”.
Il suo ex ragazzo Andrea, seduto di fronte a lei la guardava con gli occhi quasi fuori dalle orbite.
Due milioni di abitanti e lei beccava il suo ex, sulla stessa tratta di metropolitana, in mezzo a mille altre persone.
«Andrea…»
La metro si fermò bruscamente e gran parte delle persone si accalcarono per scendere, mettendosi fra loro.
Continuava a guardarla costernato.
Si chiese che avesse mai di strano perché lui la guardasse in quel modo.
«Se non avessi sospirato, non ti avrei riconosciuta…», disse alzandosi improvvisamente e sedendosi accanto a lei, nel posto lasciato vuoto dalla signora simpatica quanto una colica di poco prima. Lou lo guardò più attentamente notando che non aveva più l’aspetto patinato e perfetto di quattro anni prima. I suoi capelli erano più radi sulla fronte e aveva rughette intorno agli occhi, e intravedeva anche qualche filo grigio qui e là. Non che questo lo rendesse meno attraente. Tutt’altro.
«Cosa ci fai qui a Roma?», chiese sorridendole.
«Ci vivo.»
«E da quando? Ti ho lasciata a Helsinki…»
«Mi stai seguendo per caso?», scherzò ironica.
«Sono qui da qualche settimana… mia madre non sta bene e sono venuto qui per assisterla.»
«Mi spiace…», biascicò, pentendosi subito di essere stata brusca.
«Sei diversa.», disse guardandola attentamente.
«Anche tu… stiamo invecchiando, vero?»
«Intendevo che sei diversa anche da come parli, qualcosa nella tua voce… come guardi.»
«Mi hai vista due minuti fa e già noti tutte queste cose?»
«Ti conosco da quindici anni, Lù… so come eri.»
«Sì, una stupida.»
Lui abbassò gli occhi, non rispondendo nulla.
«Mi dispiace.»
«Per cosa?»  - chiese buttando un occhio alla fermata: mancavano ancora due per la sua.
«Per tutto quanto… per averti delusa, trattata male, per averti tradita.»
«È un po’ tardi per quello, non credi?»
«Sì, lo è, ti chiedo scusa anche per questo…»
«Andrea, è passato tanto tempo… ho rimosso quasi tutto del nostro passato.»
«Anche il fatto che eravamo innamorati?»
«Io lo ero.»
Lui la guardò amareggiato. Quel nuovo Andrea la stava depistando: cos’era tutta quella consapevolezza? Era diventato improvvisamente grande?
«Lo ero anche io. Ti amavo tanto.»
«Non me ne sono mai resa conto.»
«Lulù, ti prego…»
«Non sopporto quando mi chiamano così.»
«Lo so, scusa…»
Andrea che chiedeva scusa era fantascienza.
«Questa è la mia fermata… devo scendere. È stato… interessante rivederti…», disse alzandosi.
«Aspetta, posso accompagnarti fino a casa?», chiese alzandosi a sua volta.
«Okay… come vuoi.»
Scesi nel caos della metropolitana, tra centinaia di persone che scorrevano fra loro come un fiume umano, lui continuava a guardarla tenendole il gomito per evitarle di sbattere contro i passanti. Quel nuovo Andrea attento e premuroso le faceva paura. E le faceva paura quello che vedeva nei suoi occhi. Le camminava silenzioso al fianco, sbirciandola di tanto in tanto.
Si schiarì la voce, continuando a camminarle sempre più vicino e guardarla con la coda dell'occhio.
«Perché hai lasciato Helsinki? Avevo l’impressione che avessi finalmente trovato il tuo posto nel mondo, l’ultima volta che ci siamo visti.»
«Sono successe cose che mi hanno riportata qui.», rispose seccamente tagliando corto.
«Lo so, ho saputo di Mara… mi dispiace tanto. So quanto le volevi bene…»
Lei non rispose, limitandosi ad annuire.
«Ora che fai? Stai lavorando? Sei… fidanzata? Sposata?»
Lui sorrise ironica. Ecco che il vecchio Andrea sbucava e faceva le sue indagini neanche tanto velate.
«Ho alcuni progetti di illustrazioni e roba simile, lavoro part time in una libreria e… no: non sono fidanzata o sposata. E tu?»
Tanto valeva fingere di fare un’amabile conversazione: era quasi arrivata e presto si sarebbe concessa una lunga doccia e poi un bel film.
«Sì, sono… sposato. E divorziato.»
“Ah, ecco.”
«Sophie?»
«Sì, lei. Abbiamo una bambina. Che non mi fa vedere quanto vorrei.»
«Mi dispiace.»
«Anche a me… Ti va di vederci qualche volta? Come amici, ovviamente! Ci sono tante cose che vorrei dirti.»
Lei sorrise, serena e sicura di sé una volta tanto.
«Non credo sia una buona idea: quello che dovevo dirti, quello che abbiamo avuto è passato e ognuno di noi ha la sua vita, ora.»
«Lù, non voglio riallacciare i rapporti con te, fidati di me. So bene di non essere degno della tua fiducia e che la mia parola per te vale meno di niente. Ho capito i miei sbagli: non avrei mai dovuto lasciarti per Sophie. Per nessuna al mondo avrei dovuto farlo. Ma l’ho fatto e me ne pento. Ogni giorno da allora. Vorrei solo avere la possibilità di chiederti scusa.»
«Lo hai fatto, lo stai facendo. Credo sia abbastanza così. – disse Lou guardandolo seria – Ma credo anche che vedersi “come amici” non ha alcun senso. Non siamo mai stati amici noi due.»
«Potremmo esserlo, se vuoi.»
Gli lanciò un’ironica occhiata esaustiva e chiara.
«Già… avrei dovuto immaginarlo. Me lo merito, del resto. È la stessa faccia che ha fatto Nur quando sono tornato a cercarti.»
«E quando è successo questo?»
«Qualche mese dopo essere stato da te: Sophie mi aveva appena detto di essere incinta e io mi ero fatto prendere dal panico. Avevo bisogno di vederti. Non ero pronto ad essere genitore, ero spaventato…»
«…e hai pensato bene di correre dalla stupida Lou, sperando che ti offrisse una via d’uscita dalle tue responsabilità.», concluse lei al suo posto.
«Sì, speravo questo. – ammise lui – Ma speravo anche che tu mi rivolessi indietro, che mi volessi come mi volevi un tempo.»
«Perché? Tu non mi volevi. Io non ero abbastanza bella, figa, cool e chissà cos’altro, per te.»
«Tu eri sempre stato il mio porto sicuro. Me ne sono reso conto soltanto quando hai smesso di amarmi. Solo quando ti ho sentita lontana mi sono reso conto di quanto mi mancassi e di quanto fossi importante per me. Ma non ho mai saputo dimostrarlo.»
«Beh, le chiamano occasioni perdute proprio per questo: se sapessimo riconoscere il loro valore reale al momento giusto, non ci comporteremmo da perfetti idioti. È normale.»
La bocca di Andrea si piegò in una smorfia.
«Nur me ne ha dette di tutti i colori e aveva ragione. Non mi ha picchiata solo perché quel cantante da strapazzo era lì e le ha impedito di saltarmi al collo.»
«Cosa? – chiese Lou con la bocca improvvisamente secca – Di cosa parli?»
«Quel damerino freddo e rachitico che abitava di fronte: l’ho sempre detestato. Così altezzoso e pieno di sé, con quel suo sguardo gelido.»
«Ville non è freddo e pieno di sé, e di certo non è gelido! Non sai nulla di lui, quindi sta’ zitto!» – sbottò lei, indispettita.
Lui la guardò, curioso.  «E tu invece lo conoscevi?»
Lou aprì la bocca per freddarlo, ma la richiuse di scatto.
«Senti, ora devo andare. Sono stanca.»
«Eri tu… - disse lui ignorando che avesse parlato, come folgorato da un’improvvisa rivelazione – Eri tu allora, la sua ragazza. Non Nur. Certo che non era Nur: non è il tipo di uomo che potrebbe piacerle…»
«Non so di cosa tu stia parlando ma ti sbagli.»
«No che non mi sbaglio. Eri tu. Ora tutto torna: Nur preoccupata che mi inveisce contro, lui afflitto sul divano, la canzone…»
«Ma che cosa stai blaterando? – chiese infastidita – Non riesco a seguirti!»
«L’ho sentito cantare in una o due occasioni: sai in quei concerti per pochi intimi. A Sophie è sempre piaciuta la musica metal, anche se ho sempre avuto il sospetto che a piacerle fossero di più i metallari e di musica non capisse niente. L’ho sentito cantare una canzone, sentivo Sophie e le sue amiche commentare che fosse per una ragazza italiana… Ma non avrei mai pensato a te. È così? Eri tu? Era lui quello che vedevi?»
“Sarebbe stato meglio perderla la metro oggi.”
«Sì.», ammise a denti stretti.
«Capisco… e lo amavi?»
«Sì.»
«Se lui ti chiedesse di rivedervi, diresti di sì?»
«Ma che domande fai, Andrea?»
«Rispondi: accetteresti?»
«Sì. Accetterei.»
Lui annuì.
«Quindi è così. C’era lui e c’è ancora.»
Lou lo fissò esasperata.
«Andrea! Davvero non so dove vuoi andare a parare… stiamo parlando di cose accadute anni fa. Che non ho voglia di rivangare. E non dovresti farlo neanche tu.»
«Hai ragione, come sempre… - sospirò rassegnato – Beh, per quanto possa valere credo che se ancora provi qualcosa per lui, dovresti dirglielo. Anche se a lui non importa più di te. Fa bene in ogni caso togliersi un peso dal cuore.»
Lou continuava a guardarlo e pensare che fosse impazzito e nello stesso tempo che stesse dicendo una delle cose più sensate mai uscite dalla sua bella bocca virile.
«Ed è così che ti senti ora? Ti senti più leggero ora che mi hai chiesto scusa?», chiese sbrigativa e più duramente di quanto volesse.
«Sì, mi sento meglio.»
“Bene: almeno uno dei due è felice oggi.”
«Sono contenta per te. Ora vado. È stato… mi ha fatto piacere rivederti. Spero per te che le cose vadano meglio d’ora in poi.»
Le si avvicinò, abbracciandola improvvisamente e stringendola a lungo.
Aveva dimenticato com’era stare tra le braccia dell’uomo che un tempo aveva amato disperatamente, aveva dimenticato l’odore della sua pelle e per un attimo fu come tornare a casa, ma fu incapace di ricambiarlo. Lasciò cadere le braccia lungo i propri fianchi, rimanendo immobile.
«Se potessi tornare indietro… - sussurrò lui – Se potessi rimediare a tutto e tornare ad essere quelli che eravamo una volta. Darei qualsiasi cosa ora, perché tu mi guardassi ancora come facevi prima…»
Lei rimase senza parole, non sapeva cosa dirgli, cosa rispondere ad un Andrea così diverso da come lei lo conosceva. Sarebbe stato più facile avere a che fare con il ragazzo presuntuoso e immaturo di un tempo, che imprecava e pretendeva che tutto fosse come lui voleva. Le sarebbe piaciuto rispondere in qualsiasi modo e non rimanere in silenzio. Ma rimanere muta fu esattamente quello che fece.
Andrea si staccò da lei e la guardò di nuovo.
«Stammi bene, Lù!», sussurrò infine non aspettando una risposta, voltandosi e camminando velocemente.
«Anche tu, Andrea…»
Fissò la sua schiena diventare sempre più piccola e poi sparire all’incrocio.
Non era cambiato nulla nel suo mondo, eppure si sentì un po’diversa: come se qualche tassello mancante si fosse assestato. Forse Andrea aveva ragione: parlare e togliersi dal cuore un peso portato per anni aiuta a sentirsi meglio. Fino all’ultimo aveva pensato di dirgli del loro bambino mai nato. Aveva preferito non farlo. Non avrebbe fatto altro che fargli rimpiangere tutto ciò che aveva perso e per quanto la gente dicesse che la vendetta è un piatto che va servito freddo, lei preferiva di gran lunga dimenticare.
Sospirò di nuovo con un senso di amarezza per gli anni passati ad amare Andrea e che ora per lei non avevano alcun significato. Sarebbe stato così anche con Ville? Ci sarebbe stato un tempo in cui lo avrebbe solo ricordato con rimpianto senza sentire più nulla nel cuore pensando a lui? Una parte di lei voleva credere che per quanto tempo potesse passare, Ville sarebbe sempre stato presente e vivido nei suoi ricordi come nel cuore.
 
 
*****
 
 
Simone saettava per la stanza imprecando a destra e manca contro chiunque gli capitasse a tiro.
Beppe scambiò un’occhiata rassegnata con Lou che alzava di tanto in tanto lo sguardo dallo schermo del  computer per osservare il suo amico, accigliata.
«Ti dai una calmata? Andrà tutto bene.», disse Lou piccata.
“Sta’ zitta, traditrice! Mi hai mollata all’ultimo minuto e ho dovuto allungare di dieci centimetri il vestito da sposa che avevo creato per te! Me la paghi!»
Lou sbuffò, logorata. La sfilata di Simone che si sarebbe tenuta giorno successivo era pronta nei minimi dettagli, tutto era perfetto e lui continuava ad agitarsi e correre a caso per l’appartamento.
«Tesoro, ti va un bagno caldo?», provò a dire Beppe prima di essere interrotto bruscamente.
«Per cortesia, non ti ci mettere anche tu, okay? Ho già abbastanza agitazione addosso, ci mancate soltanto voi con la vostra calma!»
«Oh per la miseria, ora stai esagerando!  - sbottò Beppe esasperato, alzandosi repentino – Lou, usciamo e andiamo a fare un giro. Non ne posso più di star qui a subire il suo ingiustificato malumore!»
«Ecco, sparite. È meglio!», replicò l’altro, velenoso.
Lou seguì con piacere Beppe afferrando al volo la tracolla.
Scesero in silenzio i sette piani di scale. Beppe era davvero arrabbiato questa volta. Lou sospirò di nuovo: egoisticamente ne era felice perché il suo amico, preso com’era dalla sua sfilata, aveva dimenticato il concerto degli HIM e smesso di tormentarla.
«È impossibile stargli vicino quando è così… così…», esclamò Beppe camminando infuriato, non appena misero piede all’esterno del palazzo.
«Così Simone? Già, lo so.», disse Lou, faticando a tenergli dietro.
«Non lo sopporto quando è così esagerato. Rende la vita invivibile a tutti!»
«Ora calmati e rallenta: le mie gambe non sono lunghe quanto le tue!»
«Oh, scusa… - rispose adeguando il passo a quello di Lou – Non so come comportarmi con lui.»
Lou alzò le spalle e infilò un braccio sotto quello di Beppe.
«Mandalo al diavolo e fuggi via con me.»
«E dove vuoi andare?», chiese lui, stando al gioco.
«Ovunque ci porterà il vento… l’importante è che sia lontano dallo stilista isterico.»
«O il cuore…»
«Quello è  meglio non seguirlo. Porta solo guai.»
Lou respirò a pieni polmoni. L’aria autunnale le piaceva: amava l’odore della pioggia sui ciottoli ancora tiepidi.
«Sei sempre sicura di non volere andare al concerto? Puoi cambiare idea quando vuoi: i biglietti ci sono.»
Lei gli batté sulla mano.
«Sono sicura. Non chiederlo più…»
«Beh, sai  - disse allusivo – il vento potrebbe anche portarti nello stesso posto del cuore.»
«Non ci provare…»
«Ci proverò sempre. – ribatté lui – Vorrei vederti felice.»
«Ma io lo sono: ho te, ho un amico isterico che vorrei uccidere a mani nude un giorno sì e l’altro pure, una specie di lavoro che mi permette di mantenermi… Ho Evangeline e Karl: cosa potrei desiderare di più?»
Beppe la guardò in tralice.
«Ti manca l’unica cosa che vuoi veramente.»
«Già, ma è il prezzo che pago. E no, –  lo anticipò notando che lui apriva la bocca per parlare e ribattere - non torno indietro. Quindi non dire più nulla.»
Lui alzò entrambe le mani in segno di resa e le passò un braccio intorno alle spalle.
Camminarono per un po’ in silenzio godendosi finalmente l’aria frizzante e il silenzio della sera.
«Hai sentito Karl? Come se la passano?», chiese Beppe per cambiare discorso.
«Sì, oggi… a dire la verità mi è sembrato strano. Mi ha dato l’impressione di essere molto preoccupato per la piccola: non vuole andare all’asilo, non vuole giocare con gli amichetti e i cugini.»
«C’era da aspettarselo: le manca casa.»
«Già. Sono in pena. Non so, vorrei andare per qualche giorno e…»
«E controllare che la bimba stia bene.  – le sorrise comprensivo - È da te. Non ce la fai proprio a starle lontano.»
«Perché tu sì? – gli rifilò un pugno sul braccio – Sei solo più bravo a nasconderlo.»
«Beccato. È normale che le manchi casa e che le manchiamo noi: lasciale il tempo per abituarsi.»
«Umpfh. Mi sento inutile qui.»
«Smettila. Mi servi per attutire i malumori del mio ragazzo che altrimenti sfogherebbe sempre su di me. Non puoi lasciarmi.»
Lou rise, buttando indietro la testa e lo guardò con un sopracciglio alzato.
«Ah beh, grazie eh! Bell’amico!»
«Lo so, faccio del mio meglio.»
Lo squillo del cellulare interruppe le loro risate.
«Deve essere lui che mi ordina di tornare a casa: – proruppe Beppe – scommettiamo?»
Lou ridacchiò sotto i baffi: Simone sbraitava a inveiva e rompeva le scatole a tutti come nessun’altro al mondo, ma non sapeva vivere senza il suo Beppe.
«Sì? Stiamo passeggiando. No, per ora non abbiamo intenzione di tornare. – rispose Beppe con voce imperturbabile alla raffica di domande – Perché ci stiamo godendo la nostra passeggiata. Come vuoi, se preferisci andrò a dormire da Lou stanotte, così non ti disturberò. Perfetto. Buonanotte.», disse chiudendo la conversazione.
«Addirittura? È così isterico da cacciarti dal suo letto?»
«Beh, se la facesse passare. Una cosa è certa: io almeno dormirò sereno stanotte!», disse aspro con un ghigno.
«Mi dai asilo politico?»
«Seratina gelato e film strappalacrime?», propose Lou.
«Andata. E nel frattempo cercherò di convincerti con la mia sottile arte della persuasione ad andare al concerto.»
Lou tornò a ridere suo malgrado.
«La tua costanza mi lusinga, ma perdi tempo.»
«Sarò la tua goccia cinese, donna: lenta ma inesorabile.», ridacchiò lui.
«Meglio una goccia che il bulldozer emotivo che è il tuo ragazzo.»
«Dai torniamo a casa, infiliamoci nei nostri pigiamini rosa e tuffiamoci sul divano a vedere film romantici e mangiare gelato fino a scoppiare!»
Lou si strinse al suo braccio, posando la testa contro la sua spalla.
«Lo dico sempre che sei la mia anima gemella!»
 
 
*****
 
 
Lou schivava lesta, con un cocktail in una mano e una birra per Beppe nell’altra, la marea di gente che stazionava nel locale minuscolo che avevano scelto per festeggiare il successo di Simone con pochi amici intimi.
Odiava ogni singolo momento di quel post-serata.
La sfilata di Simone era stata grandiosa: a due minuti dall’inizio si era completamente rilassato e reso a tutti le due ore successive, assistenti, modelle, parrucchieri e make up artist, una vera pacchia. Era stata una sfilata bellissima e lei era orgogliosa del suo amico. Tutto si poteva dire di lui, ma non che non avesse talento. Si era pentita di non aver accettato di indossare l’abito che Simone aveva disegnato per lei, quando lo aveva finalmente visto apparire.
Simone aveva dato al tema della sfilata quella del sogno e il vestito era così bello, etereo e delicato, quasi impalpabile, da dare sul serio l’idea che ci si trovasse in un sogno. La modella sembrava fluttuare sulla passerella: di certo indosso a lei non avrebbe sortito lo stesso effetto, ma lo aveva amato fin dalla prima occhiata anche se l’idea di indossare un abito da sposa seppur per finta, le faceva venire l’orticaria.
La notte precedente, in preda alla sua consueta insonnia, aveva maturato l’idea di andare finalmente da Evangeline e Karl. Inutile rimandare una decisione che aveva preso nell’esatto momento in cui guardava il fuoristrada allontanarsi dalla casa al mare. Aveva prenotato online il primo volo disponibile e preparato la valigia: tanto valeva sfruttare l’insonnia in modo produttivo.
Così si era preparata una tisana rilassante e vagato in rete senza una meta precisa. Non usava spesso i social network anche se era l’unico modo per rimanere in contatto con i suoi conoscenti in Finlandia e spulciando la home page capì anche il perché: pullulava di video e foto di Helsinki e lei sentiva ancora di più la nostalgia. Tra i suoi contatti non mancavano fan di ogni genere di band finlandese e gli HIM non erano da meno. C’erano diversi video e foto del primo dei tre concerti che si sarebbero tenuti in Italia.
Ci aveva provato davvero a non guardare e ignorare. Ce l’aveva messa tutta.
Ma aveva aperto la foto e fissato inebetita Ville.
Aveva dimenticato quanto fosse bello e quella foto non faceva che esaltarne ogni dettaglio.
I capelli castani spuntavano dal consueto beanie nero, arricciandosi in riccioli e onde fino a sfiorare le spalle. La sciarpetta immancabilmente nera, sopra la t-shirt anch’essa nera.
E il verde. Il verde vivido e intenso dei suoi occhi.
Era in pace come sempre quando cantava, Ville.
Non c’era traccia di malinconia o altro in quegli occhi e lei ne era felice.
Aveva guardato quella foto e si era chiesta come aveva fatto ad andare via e vivere senza di lui per tutto quel tempo.
 
“Come ho fatto a continuare la mia vita senza quegli occhi?”
Qualcuno diceva che si può morire per amore, ma lei l’aveva sempre ritenuta una grande stronzata.
Si può benissimo continuare a vivere anche se ti mancherà per sempre un pezzo di anima.
 
“Perché batte il cuore?”
Il suo continuava a battere ma sapeva anche perché non batteva più come prima.
Per il momento aveva solo una risposta a quella domanda, ed era negli occhi verdi di Ville fatti di pixel ad alta risoluzione, che nulla avevano però della loro bellezza reale.
 

******





"Angolo dell'autrice:
Sorpresaaaa! So che non ve lo aspettavate così presto, ma dal momento che il capitolo è pronto da un bel pò mi sembrava inutile rimandare! So che molte di voi hanno fatto i salti di gioia nel ritrovare il defunto Andrea (la maiuscola ora se la merita per avere ammesso di essere un emerito cazzone).
Allora? Che ne pensate? Sono riuscita a farvelo diventare un pochino simpatico? Personalmente ho sempre amato i personaggi controversi e con qualcosa di malvagio e non ammirevole: non so se Andrea sono riuscita a dipingerlo a dovere, o è sembrato un patetico sfigato, egoista.

Siamo alle battute finali e mi preme ringraziare prima di tutto mia mugliera,
Deilantha per avermi fatto da Beta Reader fin da quando ho iniziato a postare su questo sito, per avermi supportato e sopportato, per tutte le volte che mi ha risollevato il morale e spronata. E in secondo luogo robpattzlovers prima e eleassar per essersi aggiunta successivamente: rinunciare a loro mi è costato un pò: avevo paura di lanciarmi da sola, senza supporto o consigli ma era un qualcosa che sentivo di dover fare per poter camminare da sola d'ora in poi e acquistare quella sicurezza che spesso ho cercato in loro.
Grazie infinite donne, per tutto quanto e voi lo sapete che penso, quindi... tanto love a voi. <3

Voglio ringraziare le gentili donzelle che hanno recensito l'ultimo capitolo:

Dadda_HIM, eleassar Lady Angel 2002, cla_mika, katvil, DarkViolet92, apinacuriosaEchelon, LilyValo,  angelinaPoe, saraligorio1993, Izmargad.
 
*Molte di voi sapranno del mio amore viscerale, spassionato e incondizionato per
Sheldon Cooper di "The Big Bang Theory" e non potevo non citarlo almeno una volta in questa fic.
**Per il titolo al capitolo mi sono ispirata a HIM - Beyond Redemption (Love Metal).

E niente...ci si rivedere per gli ultimi due, spero, capitoli!
Abbraccio forte a tutte!

Vi aspetto nel Gruppo Facebook dedicato alle discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e Ville!

Siete le benvenute.
Alla prossima!
Baci baci,

*H_T*




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