20
I primi passi su scale
parallele
«Matthew, lo sai che questo non
è professionale, vero?»
Matt roteò gli occhi, abbandonando per un attimo
il panino stretto tra le dita per lanciare all'amico uno sguardo che
lasciava poco spazio ad argomentazioni.
Michael scosse la testa, infilando la cannuccia che spuntava
dalla sua bibita tra i denti. A qualche piede di distanza due fratelli
si rincorrevano nell'area giochi, ignorando gli ammonimenti della
madre. Il tavolo in grezzo legno sul quale erano seduti rilasciava un
piacevole calore, dal quale per un attimo entrambi si lasciarono
cullare, nell'atmosfera confortevole del primo pomeriggio. Matt sapeva
che l'amico stava assorbendo tutto ciò che gli aveva
raccontato. Riassumere quello che era accaduto nelle ultime settimane
era stato più semplice del previsto, e si ritrovò
a chiedersi quando la parte difficile sarebbe giunta. Aveva lasciato
fuori dal racconto tutte le emozioni, delineando i fatti nudi e crudi,
ma sapeva che non sarebbe bastato.
«D'accordo, chiariamo le cose» disse
Michael, poggiando gli avrambracci sulle ginocchia e guardando il
vigile. «Le nostre saranno solo conversazioni. Sono tuo
amico, quindi non posso considerarti un paziente o farti pagare, e la
mia opinione non conta come professionale. Intesi?»
«Rilassati, Doc, non pretendo che tu sia
professionale.»
«È per questo che hai scelto me?
Perché un terapista è troppo
professionale?»
Matt distolse lo sguardo, punto nel vivo. Conosceva Michael
dai tempi dell'ultimo anno di superiori e neanche quando suo padre era
morto e lui era solo un amico, non un terapista, lo aveva contattato.
Si era rifiutato di alzare la cornetta dopo la morte di Andy, ma questa
volta era stato costretto a farlo. Non voleva tradire la fiducia di
Kelly e, d'altra parte, era stato proprio il suo compagno a farlo
scontrare con la realtà. Questa volta, lo sapeva, non poteva
caversela da solo. Conoscere i propri limiti era un punto cardine della
sua professione.
«Senti, se il Dipartimento sapesse che vedo un
terapista, andrebbe in allarme. Questo vuol dire che dovrei superare un
test psicologico-»
«E hai paura di non passarlo?»
«Certo che posso passarlo»
sbuffò Matt.
«Perché vuoi la terapia,
Matthew?»
Il biondo battè le palpebre, cercando di
processare una risposta. «Perché devo
farlo» sputò fuori, sebbene non lo soddisfacesse.
«Il Comandante è stato piuttosto chiaro su questo.
E poi voglio dimostrare ai miei uomini che sono tornato in
forma.»
«Sei un pessimo bugiardo.»
«Per favore, sono un ottimo bugiardo»
ritorse Matt, sperando di dissolvere la questione nell'umorismo.
Michael sorrise, ma non si lasciò ingannare.
«Nessuno ti ha costretto a farlo. Ti conosco abbasta da
poterlo dire. Avanti, gli unici ordini che esegui sono quelli che
vengono da persone che rispetti. Non sei esattamente uno che si piega
all'autorità senza discutere. In più, ti stai
contraddicendo da solo. Sono sicuro che il Comandante non ha idea che
tu sia qui con me, oggi.»
«Okay, Doc, stai correndo troppo. Mi psicanalizzi
così, su due piedi?»
«Nha, non ti sto psicanalizzando»
mormorò Michael. Poggiò la bibita tra le
ginocchia e i palmi sul tavolo, saggiando il calore del legno.
«E comunque, quel termine non lo usava nemmeno il mio
professore.»
Matt rise e cercò di ingoiare il boccone, ma il
panino era diventato improvvisamente insipido. Lo avvolse nella carta e
lo mise nella busta, abbandonandolo sulla panchina. Vide Michael
arrotolare le maniche della camicia bianca e strusciare i palmi per
ripulirli dalle foglie secche cadute dall'albero.
«Devo sapere se sei davvero motivato a fare questa
cosa» disse, chiandosi sulla panca per rovistare nella
tracolla. Ne tirò fuori un pacco di sigarette e un
accendino. Ne strinse una tra le labbra sottili.
«Se vuoi saperlo, dovrai offrirmene una.»
Michael sollevò un sopracciglio, stirando le
labbra in un sorriso. Quando anche Matt ebbe la sua sigaretta tra le
labbra, accesa e fumante, ispirò a lungo. Sentì
il fumo entrargli nei polmoni, il sapore acre in gola e la nicotina che
saliva alla mente, dandogli l'illusione di schiarire i propri pensieri.
Sbuffò nell'aria una nuvola di fumo, guardando la
cenere scivolare dalla punta della sigaretta.
«Ti ricordi di Kelly Severide?» chiese,
cercando di controllare il tremito delle labbra.
Michael annuì, portando la sigaretta alle labbra,
mentre con la mano libera massaggiava la nuca rasata.
«Stiamo insieme» disse alla fine Matt,
fissandolo e aspettando una reazione. Se Michael era stupito, lo
nascose bene, limitandosi ad annuire ancora. «È
iniziato tutto prima dell'incidente, quello del ponte. Ci siamo
scontrati, prima e dopo...era tutto confuso. Dopo l'incendio, era come
se sapessi esattamente cosa volevo.»
«Questione di prospettive»
mormorò il giovane psichiatra, grattandosi la barba sul
mento. «Di fronte a un evento critico, si tende a rivalutare
la propria vita, le scelte fatte, cosa si è rischiato di
perdere o guadagnare.»
«Già, immagino sia così.
È lui che mi ha convinto a chiedere aiuto. Sai, se lo
conoscessi come lo conosco io, potresti capire quanto sia testardo. Non
avrebbe mollato finché non avessi accettato, e questo mi ha
fatto capire quanto realmente ne abbia bisogno.»
«Ma non è solo questo»
constatò Michael. «Sei arrivato al punto di vedere
qualcosa che ti ha spaventato tanto da chiedere aiuto.»
Matt si ritrovò a corto di parole. Si prese
più tempo del necessario per aspirare dalla sigaretta,
cercando di processare cosa dire. Non amava sentirsi dire
ciò che pensava, ascoltare la verità su qualcosa
di così intimo da qualcuno, ed era in parte il motivo per
cui la terapia lo spaventava tanto. D'altra parte, era strano ammettere
tutto a voce alta e gli sembrava quasi di raccontare la storia di
qualcun altro.
«Io ho visto l'uomo che mi ha aggredito»
mormorò, fissando lo sguardo sulla balaustra del fiume, che
scintillava in lontananza. «Durante una chiamata per un
appartamento in fiamme, io l'ho visto e per un attimo ho dimenticato
dove fossi e cosa stessi facendo. Sono riuscito a tornare in me un
attimo prima che il posto crollasse.»
Non appena quell'ammissione lasciò le sue labbra,
Matt desiderò rimangiarsela. Temeva che Michael dicesse
quello che, al posto suo, avrebbe pensato. Doveva ammettere che se uno
dei suoi uomini gli avesse confessato una cosa simile, lui gli avrebbe
dato una pacca sulla spalla e gli avrebbe detto di appendere il
distintivo al muro, prima che finisse su quello dell'Accademia.
Rabbrividì al pensiero.
«Matthew» lo richiamò la voce
calda di Micheal. Lo guardò negli occhi, calmi e scuri, e
attese il verdetto. Lo psichiatra sorrise e gli diede una pacca sulla
gamba. «La tua carriera non è finita. La tua
è una reazione forte, ma ancora nei limiti del normale. In queste
settimane sei rimasto lontano da ciò che poteva ricordarti
gli eventi traumatici che hai subito, e questo ti ha permesso di
proteggerti dai ricordi, o almeno dalla loro forza. Ora sei costretto a
fronteggiarli, e questo li ha riportati a galla. Ma hai una persona
accanto che ti comprende, e questo non è poco. Possiamo
lavorarci, stai tranquillo.» Michael scese dal tavolo e
spense la sigaretta nel posacenere agganciato ad esso.
«Intanto, dovresti imparare qualche esercizio di
respirazione.»
Matt inarcò le sopracciglia, estinguendo la
propria sigaretta. «Dopo questa?»
«Oh, sei giovane e atletico, i tuoi polmoni stanno
benissimo.»
Quando infilò le mani nelle tasche dei jeans,
seguendo la schiena di Michael lungo il fiume, Matt si sentì
alleggerito da un grosso peso. Ora gli sembrava assurdo aver atteso
tanto per chiedere un aiuto, perché tutto cominciava ad
apparirgli in una luce diversa. Il semplice fatto di aver portato allo
scoperto le sue angosce segrete le aveva private di quel potere che
esercitavano, alimentandosi di fughe e paure.
«Sai, questo Kelly di cui mi hai
parlato» disse Michael risistemando la tracolla sulla spalla.
«Non rovinare le cose con lui, intesi? Se riesce a farsi
ascoltare da te, vale la pena di essere tenuto stretto.»
«Grossa parte del potere che eventi
traumatici come quelli che hai subito hanno, glielo attribusci tu e il
modo in cui li interpreti. Considerandoti una vittima, il tuo pensiero
è oscurato da riflessioni quali avrei potuto reagire diversamente
oppure avrei dovuto
difendermi. Devi accettare che ciò che
è accaduto è stata una fatalità e che
tu non hai colpe. Era una situazione fuori dal tuo controllo. Hai fatto
il possibile, sei sopravvissuto, e questa non è una colpa,
ma un motivo di orgoglio.»
Le parole di Michael continuavano a tornargli in
mente, colorandosi di quella tonalità calda e rassicurante
che aveva reso il suo amico uno stimato psichiatra, malgrado la giovane
età. Non si sentiva più in una spirale senza
uscita, ma all'inizio di una strada che, per quante curve avesse, aveva
un fine che era l'inizio di qualcos'altro. Era tutta questione di
tonalità, partendo da come Matt stesso percepiva e sentiva
le persone intorno a lui. Quando quel pomeriggio, dopo la lunga
chiacchierata con Michael, rientrò nell'appartamento, il
sorriso di Shay gli parve più naturale -c'erano stati giorni
in cui aveva pensato che la ragazza si sforzasse di sorridere per farlo
sentire accolto. Persino lo sguardo d'attesa di Kelly, mentre gli
chiedeva come era andata, sembrava più disinvolto e
tranquillo, come se non nascondesse la paura di vederlo crollare.
Matt si abbandonò al divano, strirando le gambe e
le braccia. In un attimo, sentì Kelly ricadere accanto a
lui, facendo sobbalzare i cuscini.
«Allora?» lo pressò,
poggiando un gomito alla spalliera del divano e guardandolo in
aspettativa.
Matt aprì gli occhi e sorrise, gustando
l'espressione di Kelly mutare da tensione a sollievo.
«Si può fare» disse, facendo
scivolare la mano su quella del compagno. Strinse le dita intorno ad
essa, sollevando il palmo e disegnandovi con il pollice cerchi
rilassanti.
«Quindi hai deciso di farlo sul serio?»
«Non mi rimangio le mie promesse, dovresti
saperlo.» Matt gli strinse più forte la mano,
deglutendo un nodo in fondo alla gola. «C'è un
ma...»
«Spara.»
«Non so se e quando potrà succedere
ancora, sai di-»
«Perdere la testa?»
Matt gli diede un pugno sul petto, ridendo della sua
indelicatezza.
«Ouch! Okay, okay, sono serio» disse
Kelly, massaggiandosi lo sterno. «Quindi...che vuoi
fare?»
«Non lo so, Kel» mormorò
Matt, poggiando la testa allo schienale del divano e massaggiandosi una
tempia. «Avrei bisogno di un angioletto sulla spalla che mi
prenda a schiaffi quando serve.»
«Oppure potresti averlo già
trovato.»
Il biondo aprì gli occhi e inclinò la
testa confuso.
Kelly si sentì improvvisamente sull'orlo di un
burrone. Sapeva che c'erano solo due possibili esiti alla sua proposta,
e non era certo di quale dei due lo spaventasse di più.
«Ascolta, ti serve qualcuno che ti prenda a
schiaffi se viaggi troppo con la testa, no? Chi meglio di me?»
«Vuoi vendicarti, ammettilo» disse Matt,
indicando la mascella contusa del compagno.
Kelly roteò gli occhi e sbuffò.
«Posso vendicarmi quando voglio.»
Matt sembrò rifletterci, quindi un piccolo
sorriso si aprì sul suo volto.
«D'accordo.»
«D'accordo? Sul serio?»
«Cosa?»
Il moro rise, grattandosi la nuca. «Bhe, non
credevo avresti accettato così facilmente. Ti rendi conto ce
mi stai dando il permesso di aiutarti?»
Matt incilò la testa e fece una smorfia che
nascondeva ogni suo imbarazzo.
«Voglio dire, ti ricordi il trasloco di tre anni
fa? Ti eri fatto male alla schiena ma eri così cocciuto che
non mi hai lasciato fare tutto. Alla fine sei caduto per le
scale.»
«Me lo ricordo, grazie» si
lamentò Matt. «Tu mi hai aiutato ad
alzarmi.»
«E tu mi hai guardato come se ti avessi buttato io
a terra.»
«Mentre Andy non faceva altro che ridere. Mi ha
preso in giro per tre turni.»
Kelly rise al ricordo, annuendo veementemente. «Te
lo meritavi.»
Per un attimo il sorriso di Kelly sbiadì nella
nostalgia che il ricordo di Andy portava. Matt sembrò
accorgersene, legando i loro sguardi con qualcosa di diverso negli
occhi.
«Le cose sono cambiate»
mormorò, distogliendo lo sguardo.
Kelly gli circondò la spalla con il braccio
libero, attirandolo a sé e baciandolo. Matt
saggiò le labbra umide, al contrasto con le quali le sue
erano secche per il vento che le aveva sferzate. Sentendosi leggero e
rilassato, prolungò il bacio oltre il confine tra un
semplice incontro di labbra e un preliminare. Infilò le dita
ancora fredde sotto l'orlo della t-shirt nera di Kelly, sentendolo
sussultare al tocco. Quando non si scostò, Matt si
avventurò lungo la fascia di muscoli tonici sull'addome,
fino al bacino, che carezzò nel modo che sapeva far
impazzire il compagno.
Una tosse secca li bloccò.
«Potete almeno aspettare che io esca?»
chiese Shay, afferrado le chiavi e la borsa.
Non appena la porta si chiuse dietro la ragazza, Matt si
voltò verso il compagno. Ebbe appena tempo di sorridere,
prima che le mani di Kelly gli afferrassero la t-shirt e cominciassero
a sollevarla di fretta.
Matt apprezzava molte cose della sua relazione con Kelly;
come il modo in cui, malgrado lo negasse al mattino, Kelly lo
abbracciava durante il sonno e lui si risvegliava per una gamba
addormentata o un braccio formicolante. Matt sorrideva ogni volta che
Kelly mascherava un complimento dentro un'offesa, o si sforzava di
alzarsi prima solo per poter condividere la doccia. Gli piaceva che ci
pensasse due volte prima di finire l'ultimo pezzo di pizza, soprattutto
se era quella con i peperoni, perché sapeva che Matt la
adorava. Gli piacevano le lotte tra le coperte e fuori, sentire i suoi
muscoli contratti in una presa e urlare la resa solo per vederlo
esultare in vittoria. Non poteva rinunciare alle serate passate davanti
a un film, sentendo le sue dita avventurarsi tra i suoi capelli
distrattamente, o alle lunghe notti davanti a un videogame, senza che
nessuno dei due volesse arrendersi al sonno.
Ma mentre Kelly lo spingeva contro il divano, muovendosi
nella bramosia di averlo subito ed ora, Matt sapeva di amare in modo
irrevocabile la sensazione di quel corpo tonico che opprimeva il suo,
senza mai togliergli il proprio spazio. Amava il modo in cui, seppur
nella fretta della necessità, Kelly trovava il tempo e
l'autocontrollo per saggiare con le labbra i punti deboli di Matt,
solleticandoli allo stesso tempo con le dita. E quando quelle stesse
dita gli stringevano i polsi, sollevandoli oltre la testa e fermandoli
sui cuscini, costringendo Matt a grugnire e spingere il bacino in cerca
di contatto, sul viso di Kelly si apriva un ghigno che gli faceva
perdere ogni controllo. In esso c'era la vittoria di averlo alla sua
mercé, come anche quella di averlo finalmente, di essere suo
e solo suo; Severide sapeva di aver domato Matt, e Matt aveva la
certezza di aver domato Severide. C'era anche la soddisfazione di
sentire la resistenza dei muscoli di Matt a quel blocco, e il corpo che
cercava un contatto, disperatamente. C'era, in definitiva, sapere di
volersi a vicenda più di ogni altra cosa, e che in quel
momento c'era solo appartenersi e null'altro.
Era in quel momento, poco prima di sentirlo dentro di
sé, che Matt sapeva con assoluta e brutale certezza di amare
Kelly Severide.
Quando Matt si svegliò, fu in un vero e
proprio bagno di sudore. Le immagini che lo avevano destato erano
più vive del solito e non sembravano volersi allontanare
dagli occhi. Intorno a lui il buio si assestava lentamente, facendo
emergere i contorni delle cose. Non ricordava di essersi addormentato e
impiegò diversi secondi a figurarsi dove fosse, e a capire
che non era stato il fuoco a riscaldargli la pelle, ma il terrore di un
altro incubo.
Cercò sicurezza nei mobili del salotto, i cui
angoli si stagliavano nella luce arancione che penetrava dalle tende
della finestra, e nella sensazione di calore del corpo steso accanto al
suo. Chiuse gli occhi, ispirando ed espirando lentamente, cercando di
riprendere il ritmo che Micheal gli aveva insegnato.
«Matt?» mormorò la voce
impasta dal sonno, mentre Kelly sollevava la testa dal proprio braccio.
Non ottenendo un'immediata risposta, il moro si sollevò sul
gomito, osservando il compagno seduto sul bordo del divano.
«Hey, tutto okay?»
Si tirò a sedere, ancora stordito, ma strappato
al sonno dalla preccupazione. Sentendolo respirare pesantemente e
sfiorando la pelle bollente e sudata, capì immediatamente
cosa era successo. Spostò le gambe ai lati di Matt,
stringendogli i fianchi, e passò un braccio sul suo petto,
attirandolo a sé. Reclinò la schiena contro i
cuscini, stringendo Matt per fargli sentire la sicurezza del proprio
corpo. Il contatto diede al biondo la sensazione di essere sorretto,
come se fosse sul bordo di un grattacielo con la certezza di non poter
cadere.
«È tutto okay»
mormorò Kelly al suo orecchio, avvertendo sotto la pelle il
petto di Matt tornare a un ritmo normale.
Il biondo si irrigidì, tornando alla
realtà di colpo, e per un attimo Kelly ebbe la sensazione
che si sarebbe liberato della sua presa. Quando Matt gli
afferrò l'avambraccio con entrambe le mani, fu certo che il
vecchio copione si sarebbe ripetuto: lo avrebbe scansato, avrebbe
scherzato sulla sua apprensione e sarebbe tornato a dormire. Matthew
sapeva bene come nascondere le preoccupazioni e i tormenti dietro
l'umorismo, fingendo di prendere alla leggera ciò che
realmente lo preoccupava. Non questa volta. Le dita di Matt, calde
sulla sua pelle, si aggrapparono con forza, salde. Matt
reclinò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi. Quando
li riaprì, non c'era traccia di scherno o fastidio.
«Andiamo a letto?» gli chiese Kelly.
«Sì, meglio.»
Matt si alzò, liberandosi dalla presa, e raccolse
la t-shirt finita sul tavolino.
«Hey, è tutto okay, vero?»
«Effetti collaterali di raccontare tutto a uno
strizzacervelli» rispose Matt con un sorriso, prima di farsi
serio e porgergli la mano. «È tutto okay, Kel, sta
tranquillo.»
Per una volta, Kelly non ebbe dubbi che Matt fosse sincero
su questo. Afferrò la mano tesa e non resistette all'impulso
di afferrargli i fianchi e stringerlo a sé, incollando
ancora il proprio petto alla schiena liscia di Matt. Gli
baciò la nuca, prima di scostarsi e condurlo in camera.
Il suo Matt stava riemergendo oltre la superficie
dell'acqua, lui lo sentiva come mai prima, e quella notte
riuscì ad addormentarsi con la corposa speranza che le cose
sarebbero andate bene.
Eppure sentiva un pizzichio alla base della nuca e come un
prurito sotto la pelle; era certo che per gettarsi tutta la faccenda
alle spalle non bastasse sentire che Matt stava bene. Kelly aveva
bisogno che il torto venisse lavato via, che i colpevoli pagassero e
che la giustizia, la sua personale giustizia, emergesse.
Era appena sorta l'alba e la casa era troppo silenziosa per
Kelly. A piedi nudi, percorse il corridoio con cautela. Oltre le mura
ancora fredde dell'appartamento, la vita cominciava piano a riemergere,
sollevandosi assieme al sole. Eppure all'interno di quello spazio,
tutto sembrava troppo immobile per permettergli una fuga da
ciò che lo aveva destato. Matthew ancora dormiva con il
volto affondato nel cuscino e un braccio steso tra le lenzuola, in
cerca del corpo del compagno. Kelly sapeva che, malgrado il sonno
leggero, Matt avrebbe dormito almeno un altro paio di ore. La porta
della stanza di Shay era appena socchiusa, lasciando intravedere due
corpi avvolti tra le lenzuola. Kelly non aveva intenzione di spiare, ma
dalla chioma mora sparpagliata sul cuscino, intuì che la sua
compagnia fosse Samantha. Per un attimo si concesse di sorridere, nella
speranza che quella relazione non fosse per l'amica un'altra delusione.
Scese le scale e raggiunse il mobile della TV.
Aprì a colpo sicuro il primo cassetto e, tra i dvd e i
giochi della xbox, trovò un fascicolo marrone chiaro. Lo
estrasse e lo portò con sé in cucina. Lo
poggiò sul piano di marmo e preparò il
caffé, imprecando tra i denti quando involontariamente
sbatté la tazza sul bancone. Con la sua buona dose di
caffeina, si sedette sullo sgabello e aprì il fascicolo. Il
volto severo di Jhonny Messer lo accolse con la sua valanga di
disturbanti ricordi, come sempre. Lo studiò come se vi
potesse trovare una traccia, una spiegazione più solida
dell'irrazionale realtà.
Emanò un lungo sospiro, cercando di controllare
il moto di rabbia che gli sorgeva spontaneo nel petto.
Con quanta calma riusciva a padroneggiare, lesse ogni
dettaglio del fascicolo, delle vite dei Messer, delle prove raccolte
nei due incidenti, compreso il referto ospedaliero sulle ferite di
Matthew. Quella per lui era la parte peggiore. Essere un vigile del
fuoco significava, inevitabilmente, collezionare una serie di ferite e
cicatrici; con quello poteva venire a patti. Ma non con questo. C'era
qualcosa di intrinsecamente sbagliato nel dover portare sul corpo, per
sempre, le conseguenze della follia di due sconosciuti. Sapere che loro
erano a piede libero, chissà dove, faceva apparire quella
lista di traumi, contusioni e segni sulla pelle un'inutile conseguenza.
Come se tutto ciò che Matt e lui, che loro avevano
passato non fosse servito a nulla.
Con un grugnito, Kelly chiuse il fascicolo. Fu tentato di
gettarlo via o bruciarlo, ma non poteva distruggere l'ultimo brandello
di speranza che gli restava. Afferrò il cellulare e, prima
di poterlo realizzare, il suo dito aleggiò sul numero del
Detective Voight. Con rabbia, allontanò il dispositivo. A
cosa sarebbe servito chiamare il Diavolo? Non gli avrebbe dato che
qualcun altro contro cui riversare la propria frustrazione.
Si passò le mani tra i capelli, guardando
attraverso le tende il sole sorgere oltre le nuvole bianche
sparpagliate nel cielo. Sulla sua testa, le assi del pavimento
cominciarono a scricchiolare, e passi pesanti si udivano, sempre meno
trascinati. Matt si stava svegliando. Kelly raccolse il fascicolo e lo
nascose nel cassetto dal quale proveniva. Si scrollò di
dosso ogni rimasuglio di quell'inutile ricerca e si preparò
a tornare in Caserma. Lì, almeno, era certo di fare la
differenza nel caos del mondo.
Note: Hello guys! Come
sempre, grazie dei vostri deliziosi commenti e utili punti di vista,
sono apprezzatissimi! Dunque, ho deciso di inserire il personaggio di
Micheal per due motivi: il primo è che l'idea mi piaceva; il
secondo, e più importante, è che mi sembrava
più appropriato alla situazione - Matthew può
aver accettato di chiedere aiuto, ma credo che se avesse
l'opportunità di evitare un professionista, lo farebbe. Con
questo voglio precisare che io né sconsiglio né
giudico la terapia, sia chiaro. Il personaggio di Michael mi
permette anche di inserire altri scenari (uscendo da casa e Caserma,
per intenderci), e dare una sorta di stacco alle ambientazioni
dominanti nella storia. Inoltre, se mi servirà,
potrò affrontare argomenti altrimenti difficili da collocare.
Okay, fine nota ;)
A presto!
Ax.
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