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Autore: AlexEinfall    25/04/2015    2 recensioni
[Casey/Severide] Prima mia long-fic su questa coppia, che credo abbia un grosso potenziale.
Severide affronta Casey circa il suo comportamento sconsiderato, ma le cose non vanno mai come ci si aspetta. Questo è l'inizio di qualcosa oppure le resistenze e l'antico astio ostacoleranno la loro strada?
Un giorno qualunque alla Caserma 51 è destinato a cambiare ogni cosa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I primi passi su scale parallele




   «Matthew, lo sai che questo non è professionale, vero?»
  Matt roteò gli occhi, abbandonando per un attimo il panino stretto tra le dita per lanciare all'amico uno sguardo che lasciava poco spazio ad argomentazioni.
  Michael scosse la testa, infilando la cannuccia che spuntava dalla sua bibita tra i denti. A qualche piede di distanza due fratelli si rincorrevano nell'area giochi, ignorando gli ammonimenti della madre. Il tavolo in grezzo legno sul quale erano seduti rilasciava un piacevole calore, dal quale per un attimo entrambi si lasciarono cullare, nell'atmosfera confortevole del primo pomeriggio. Matt sapeva che l'amico stava assorbendo tutto ciò che gli aveva raccontato. Riassumere quello che era accaduto nelle ultime settimane era stato più semplice del previsto, e si ritrovò a chiedersi quando la parte difficile sarebbe giunta. Aveva lasciato fuori dal racconto tutte le emozioni, delineando i fatti nudi e crudi, ma sapeva che non sarebbe bastato.
  «D'accordo, chiariamo le cose» disse Michael, poggiando gli avrambracci sulle ginocchia e guardando il vigile. «Le nostre saranno solo conversazioni. Sono tuo amico, quindi non posso considerarti un paziente o farti pagare, e la mia opinione non conta come professionale. Intesi?»
  «Rilassati, Doc, non pretendo che tu sia professionale.»
  «È per questo che hai scelto me? Perché un terapista è troppo professionale?»
  Matt distolse lo sguardo, punto nel vivo. Conosceva Michael dai tempi dell'ultimo anno di superiori e neanche quando suo padre era morto e lui era solo un amico, non un terapista, lo aveva contattato. Si era rifiutato di alzare la cornetta dopo la morte di Andy, ma questa volta era stato costretto a farlo. Non voleva tradire la fiducia di Kelly e, d'altra parte, era stato proprio il suo compagno a farlo scontrare con la realtà. Questa volta, lo sapeva, non poteva caversela da solo. Conoscere i propri limiti era un punto cardine della sua professione.
  «Senti, se il Dipartimento sapesse che vedo un terapista, andrebbe in allarme. Questo vuol dire che dovrei superare un test psicologico-»
  «E hai paura di non passarlo?»
  «Certo che posso passarlo» sbuffò Matt.
  «Perché vuoi la terapia, Matthew?»
  Il biondo battè le palpebre, cercando di processare una risposta. «Perché devo farlo» sputò fuori, sebbene non lo soddisfacesse. «Il Comandante è stato piuttosto chiaro su questo. E poi voglio dimostrare ai miei uomini che sono tornato in forma.»
  «Sei un pessimo bugiardo.»
  «Per favore, sono un ottimo bugiardo» ritorse Matt, sperando di dissolvere la questione nell'umorismo.
  Michael sorrise, ma non si lasciò ingannare. «Nessuno ti ha costretto a farlo. Ti conosco abbasta da poterlo dire. Avanti, gli unici ordini che esegui sono quelli che vengono da persone che rispetti. Non sei esattamente uno che si piega all'autorità senza discutere. In più, ti stai contraddicendo da solo. Sono sicuro che il Comandante non ha idea che tu sia qui con me, oggi.»
  «Okay, Doc, stai correndo troppo. Mi psicanalizzi così, su due piedi?»
  «Nha, non ti sto psicanalizzando» mormorò Michael. Poggiò la bibita tra le ginocchia e i palmi sul tavolo, saggiando il calore del legno. «E comunque, quel termine non lo usava nemmeno il mio professore.»
  Matt rise e cercò di ingoiare il boccone, ma il panino era diventato improvvisamente insipido. Lo avvolse nella carta e lo mise nella busta, abbandonandolo sulla panchina. Vide Michael arrotolare le maniche della camicia bianca e strusciare i palmi per ripulirli dalle foglie secche cadute dall'albero.
  «Devo sapere se sei davvero motivato a fare questa cosa» disse, chiandosi sulla panca per rovistare nella tracolla. Ne tirò fuori un pacco di sigarette e un accendino. Ne strinse una tra le labbra sottili.
  «Se vuoi saperlo, dovrai offrirmene una.»
  Michael sollevò un sopracciglio, stirando le labbra in un sorriso. Quando anche Matt ebbe la sua sigaretta tra le labbra, accesa e fumante, ispirò a lungo. Sentì il fumo entrargli nei polmoni, il sapore acre in gola e la nicotina che saliva alla mente, dandogli l'illusione di schiarire i propri pensieri.
  Sbuffò nell'aria una nuvola di fumo, guardando la cenere scivolare dalla punta della sigaretta.
  «Ti ricordi di Kelly Severide?» chiese, cercando di controllare il tremito delle labbra.
  Michael annuì, portando la sigaretta alle labbra, mentre con la mano libera massaggiava la nuca rasata.
  «Stiamo insieme» disse alla fine Matt, fissandolo e aspettando una reazione. Se Michael era stupito, lo nascose bene, limitandosi ad annuire ancora. «È iniziato tutto prima dell'incidente, quello del ponte. Ci siamo scontrati, prima e dopo...era tutto confuso. Dopo l'incendio, era come se sapessi esattamente cosa volevo.»
  «Questione di prospettive» mormorò il giovane psichiatra, grattandosi la barba sul mento. «Di fronte a un evento critico, si tende a rivalutare la propria vita, le scelte fatte, cosa si è rischiato di perdere o guadagnare.»
  «Già, immagino sia così. È lui che mi ha convinto a chiedere aiuto. Sai, se lo conoscessi come lo conosco io, potresti capire quanto sia testardo. Non avrebbe mollato finché non avessi accettato, e questo mi ha fatto capire quanto realmente ne abbia bisogno.»
  «Ma non è solo questo» constatò Michael. «Sei arrivato al punto di vedere qualcosa che ti ha spaventato tanto da chiedere aiuto.»
  Matt si ritrovò a corto di parole. Si prese più tempo del necessario per aspirare dalla sigaretta, cercando di processare cosa dire. Non amava sentirsi dire ciò che pensava, ascoltare la verità su qualcosa di così intimo da qualcuno, ed era in parte il motivo per cui la terapia lo spaventava tanto. D'altra parte, era strano ammettere tutto a voce alta e gli sembrava quasi di raccontare la storia di qualcun altro.
  «Io ho visto l'uomo che mi ha aggredito» mormorò, fissando lo sguardo sulla balaustra del fiume, che scintillava in lontananza. «Durante una chiamata per un appartamento in fiamme, io l'ho visto e per un attimo ho dimenticato dove fossi e cosa stessi facendo. Sono riuscito a tornare in me un attimo prima che il posto crollasse.»
  Non appena quell'ammissione lasciò le sue labbra, Matt desiderò rimangiarsela. Temeva che Michael dicesse quello che, al posto suo, avrebbe pensato. Doveva ammettere che se uno dei suoi uomini gli avesse confessato una cosa simile, lui gli avrebbe dato una pacca sulla spalla e gli avrebbe detto di appendere il distintivo al muro, prima che finisse su quello dell'Accademia.
  Rabbrividì al pensiero.
  «Matthew» lo richiamò la voce calda di Micheal. Lo guardò negli occhi, calmi e scuri, e attese il verdetto. Lo psichiatra sorrise e gli diede una pacca sulla gamba. «La tua carriera non è finita. La tua è una reazione forte, ma ancora nei limiti del normale. In queste settimane sei rimasto lontano da ciò che poteva ricordarti gli eventi traumatici che hai subito, e questo ti ha permesso di proteggerti dai ricordi, o almeno dalla loro forza. Ora sei costretto a fronteggiarli, e questo li ha riportati a galla. Ma hai una persona accanto che ti comprende, e questo non è poco. Possiamo lavorarci, stai tranquillo.» Michael scese dal tavolo e spense la sigaretta nel posacenere agganciato ad esso. «Intanto, dovresti imparare qualche esercizio di respirazione.»
  Matt inarcò le sopracciglia, estinguendo la propria sigaretta. «Dopo questa?»
  «Oh, sei giovane e atletico, i tuoi polmoni stanno benissimo.»
  Quando infilò le mani nelle tasche dei jeans, seguendo la schiena di Michael lungo il fiume, Matt si sentì alleggerito da un grosso peso. Ora gli sembrava assurdo aver atteso tanto per chiedere un aiuto, perché tutto cominciava ad apparirgli in una luce diversa. Il semplice fatto di aver portato allo scoperto le sue angosce segrete le aveva private di quel potere che esercitavano, alimentandosi di fughe e paure.
  «Sai, questo Kelly di cui mi hai parlato» disse Michael risistemando la tracolla sulla spalla. «Non rovinare le cose con lui, intesi? Se riesce a farsi ascoltare da te, vale la pena di essere tenuto stretto.»
 




   «Grossa parte del potere che eventi traumatici come quelli che hai subito hanno, glielo attribusci tu e il modo in cui li interpreti. Considerandoti una vittima, il tuo pensiero è oscurato da riflessioni quali avrei potuto reagire diversamente oppure avrei dovuto difendermi. Devi accettare che ciò che è accaduto è stata una fatalità e che tu non hai colpe. Era una situazione fuori dal tuo controllo. Hai fatto il possibile, sei sopravvissuto, e questa non è una colpa, ma un motivo di orgoglio.»
 
   Le parole di Michael continuavano a tornargli in mente, colorandosi di quella tonalità calda e rassicurante che aveva reso il suo amico uno stimato psichiatra, malgrado la giovane età. Non si sentiva più in una spirale senza uscita, ma all'inizio di una strada che, per quante curve avesse, aveva un fine che era l'inizio di qualcos'altro. Era tutta questione di tonalità, partendo da come Matt stesso percepiva e sentiva le persone intorno a lui. Quando quel pomeriggio, dopo la lunga chiacchierata con Michael, rientrò nell'appartamento, il sorriso di Shay gli parve più naturale -c'erano stati giorni in cui aveva pensato che la ragazza si sforzasse di sorridere per farlo sentire accolto. Persino lo sguardo d'attesa di Kelly, mentre gli chiedeva come era andata, sembrava più disinvolto e tranquillo, come se non nascondesse la paura di vederlo crollare.
  Matt si abbandonò al divano, strirando le gambe e le braccia. In un attimo, sentì Kelly ricadere accanto a lui, facendo sobbalzare i cuscini.
  «Allora?» lo pressò, poggiando un gomito alla spalliera del divano e guardandolo in aspettativa.
  Matt aprì gli occhi e sorrise, gustando l'espressione di Kelly mutare da tensione a sollievo.
  «Si può fare» disse, facendo scivolare la mano su quella del compagno. Strinse le dita intorno ad essa, sollevando il palmo e disegnandovi con il pollice cerchi rilassanti.
  «Quindi hai deciso di farlo sul serio?»
  «Non mi rimangio le mie promesse, dovresti saperlo.» Matt gli strinse più forte la mano, deglutendo un nodo in fondo alla gola. «C'è un ma...»
  «Spara.»
  «Non so se e quando potrà succedere ancora, sai di-»
  «Perdere la testa?»
  Matt gli diede un pugno sul petto, ridendo della sua indelicatezza.
  «Ouch! Okay, okay, sono serio» disse Kelly, massaggiandosi lo sterno. «Quindi...che vuoi fare?»
  «Non lo so, Kel» mormorò Matt, poggiando la testa allo schienale del divano e massaggiandosi una tempia. «Avrei bisogno di un angioletto sulla spalla che mi prenda a schiaffi quando serve.»
  «Oppure potresti averlo già trovato.»
  Il biondo aprì gli occhi e inclinò la testa confuso.
  Kelly si sentì improvvisamente sull'orlo di un burrone. Sapeva che c'erano solo due possibili esiti alla sua proposta, e non era certo di quale dei due lo spaventasse di più.
  «Ascolta, ti serve qualcuno che ti prenda a schiaffi se viaggi troppo con la testa, no? Chi meglio di me?»
  «Vuoi vendicarti, ammettilo» disse Matt, indicando la mascella contusa del compagno.
  Kelly roteò gli occhi e sbuffò. «Posso vendicarmi quando voglio.»
  Matt sembrò rifletterci, quindi un piccolo sorriso si aprì sul suo volto. «D'accordo.»
  «D'accordo? Sul serio?»
  «Cosa?»
  Il moro rise, grattandosi la nuca. «Bhe, non credevo avresti accettato così facilmente. Ti rendi conto ce mi stai dando il permesso di aiutarti?»
  Matt incilò la testa e fece una smorfia che nascondeva ogni suo imbarazzo.
  «Voglio dire, ti ricordi il trasloco di tre anni fa? Ti eri fatto male alla schiena ma eri così cocciuto che non mi hai lasciato fare tutto. Alla fine sei caduto per le scale.»
  «Me lo ricordo, grazie» si lamentò Matt. «Tu mi hai aiutato ad alzarmi.»
  «E tu mi hai guardato come se ti avessi buttato io a terra.»
  «Mentre Andy non faceva altro che ridere. Mi ha preso in giro per tre turni.»
  Kelly rise al ricordo, annuendo veementemente. «Te lo meritavi.»
  Per un attimo il sorriso di Kelly sbiadì nella nostalgia che il ricordo di Andy portava. Matt sembrò accorgersene, legando i loro sguardi con qualcosa di diverso negli occhi.
  «Le cose sono cambiate» mormorò, distogliendo lo sguardo.
  Kelly gli circondò la spalla con il braccio libero, attirandolo a sé e baciandolo. Matt saggiò le labbra umide, al contrasto con le quali le sue erano secche per il vento che le aveva sferzate. Sentendosi leggero e rilassato, prolungò il bacio oltre il confine tra un semplice incontro di labbra e un preliminare. Infilò le dita ancora fredde sotto l'orlo della t-shirt nera di Kelly, sentendolo sussultare al tocco. Quando non si scostò, Matt si avventurò lungo la fascia di muscoli tonici sull'addome, fino al bacino, che carezzò nel modo che sapeva far impazzire il compagno.
  Una tosse secca li bloccò.
  «Potete almeno aspettare che io esca?» chiese Shay, afferrado le chiavi e la borsa.
  Non appena la porta si chiuse dietro la ragazza, Matt si voltò verso il compagno. Ebbe appena tempo di sorridere, prima che le mani di Kelly gli afferrassero la t-shirt e cominciassero a sollevarla di fretta.
  Matt apprezzava molte cose della sua relazione con Kelly; come il modo in cui, malgrado lo negasse al mattino, Kelly lo abbracciava durante il sonno e lui si risvegliava per una gamba addormentata o un braccio formicolante. Matt sorrideva ogni volta che Kelly mascherava un complimento dentro un'offesa, o si sforzava di alzarsi prima solo per poter condividere la doccia. Gli piaceva che ci pensasse due volte prima di finire l'ultimo pezzo di pizza, soprattutto se era quella con i peperoni, perché sapeva che Matt la adorava. Gli piacevano le lotte tra le coperte e fuori, sentire i suoi muscoli contratti in una presa e urlare la resa solo per vederlo esultare in vittoria. Non poteva rinunciare alle serate passate davanti a un film, sentendo le sue dita avventurarsi tra i suoi capelli distrattamente, o alle lunghe notti davanti a un videogame, senza che nessuno dei due volesse arrendersi al sonno.
  Ma mentre Kelly lo spingeva contro il divano, muovendosi nella bramosia di averlo subito ed ora, Matt sapeva di amare in modo irrevocabile la sensazione di quel corpo tonico che opprimeva il suo, senza mai togliergli il proprio spazio. Amava il modo in cui, seppur nella fretta della necessità, Kelly trovava il tempo e l'autocontrollo per saggiare con le labbra i punti deboli di Matt, solleticandoli allo stesso tempo con le dita. E quando quelle stesse dita gli stringevano i polsi, sollevandoli oltre la testa e fermandoli sui cuscini, costringendo Matt a grugnire e spingere il bacino in cerca di contatto, sul viso di Kelly si apriva un ghigno che gli faceva perdere ogni controllo. In esso c'era la vittoria di averlo alla sua mercé, come anche quella di averlo finalmente, di essere suo e solo suo; Severide sapeva di aver domato Matt, e Matt aveva la certezza di aver domato Severide. C'era anche la soddisfazione di sentire la resistenza dei muscoli di Matt a quel blocco, e il corpo che cercava un contatto, disperatamente. C'era, in definitiva, sapere di volersi a vicenda più di ogni altra cosa, e che in quel momento c'era solo appartenersi e null'altro.
  Era in quel momento, poco prima di sentirlo dentro di sé, che Matt sapeva con assoluta e brutale certezza di amare Kelly Severide.



   Quando Matt si svegliò, fu in un vero e proprio bagno di sudore. Le immagini che lo avevano destato erano più vive del solito e non sembravano volersi allontanare dagli occhi. Intorno a lui il buio si assestava lentamente, facendo emergere i contorni delle cose. Non ricordava di essersi addormentato e impiegò diversi secondi a figurarsi dove fosse, e a capire che non era stato il fuoco a riscaldargli la pelle, ma il terrore di un altro incubo.
  Cercò sicurezza nei mobili del salotto, i cui angoli si stagliavano nella luce arancione che penetrava dalle tende della finestra, e nella sensazione di calore del corpo steso accanto al suo. Chiuse gli occhi, ispirando ed espirando lentamente, cercando di riprendere il ritmo che Micheal gli aveva insegnato.
  «Matt?» mormorò la voce impasta dal sonno, mentre Kelly sollevava la testa dal proprio braccio. Non ottenendo un'immediata risposta, il moro si sollevò sul gomito, osservando il compagno seduto sul bordo del divano.
  «Hey, tutto okay?»
  Si tirò a sedere, ancora stordito, ma strappato al sonno dalla preccupazione. Sentendolo respirare pesantemente e sfiorando la pelle bollente e sudata, capì immediatamente cosa era successo. Spostò le gambe ai lati di Matt, stringendogli i fianchi, e passò un braccio sul suo petto, attirandolo a sé. Reclinò la schiena contro i cuscini, stringendo Matt per fargli sentire la sicurezza del proprio corpo. Il contatto diede al biondo la sensazione di essere sorretto, come se fosse sul bordo di un grattacielo con la certezza di non poter cadere.
  «È tutto okay» mormorò Kelly al suo orecchio, avvertendo sotto la pelle il petto di Matt tornare a un ritmo normale.
  Il biondo si irrigidì, tornando alla realtà di colpo, e per un attimo Kelly ebbe la sensazione che si sarebbe liberato della sua presa. Quando Matt gli afferrò l'avambraccio con entrambe le mani, fu certo che il vecchio copione si sarebbe ripetuto: lo avrebbe scansato, avrebbe scherzato sulla sua apprensione e sarebbe tornato a dormire. Matthew sapeva bene come nascondere le preoccupazioni e i tormenti dietro l'umorismo, fingendo di prendere alla leggera ciò che realmente lo preoccupava. Non questa volta. Le dita di Matt, calde sulla sua pelle, si aggrapparono con forza, salde. Matt reclinò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, non c'era traccia di scherno o fastidio.
  «Andiamo a letto?» gli chiese Kelly.
  «Sì, meglio.»
  Matt si alzò, liberandosi dalla presa, e raccolse la t-shirt finita sul tavolino.
  «Hey, è tutto okay, vero?»
  «Effetti collaterali di raccontare tutto a uno strizzacervelli» rispose Matt con un sorriso, prima di farsi serio e porgergli la mano. «È tutto okay, Kel, sta tranquillo.»
  Per una volta, Kelly non ebbe dubbi che Matt fosse sincero su questo. Afferrò la mano tesa e non resistette all'impulso di afferrargli i fianchi e stringerlo a sé, incollando ancora il proprio petto alla schiena liscia di Matt. Gli baciò la nuca, prima di scostarsi e condurlo in camera.
  Il suo Matt stava riemergendo oltre la superficie dell'acqua, lui lo sentiva come mai prima, e quella notte riuscì ad addormentarsi con la corposa speranza che le cose sarebbero andate bene.
  Eppure sentiva un pizzichio alla base della nuca e come un prurito sotto la pelle; era certo che per gettarsi tutta la faccenda alle spalle non bastasse sentire che Matt stava bene. Kelly aveva bisogno che il torto venisse lavato via, che i colpevoli pagassero e che la giustizia, la sua personale giustizia, emergesse.





  Era appena sorta l'alba e la casa era troppo silenziosa per Kelly. A piedi nudi, percorse il corridoio con cautela. Oltre le mura ancora fredde dell'appartamento, la vita cominciava piano a riemergere, sollevandosi assieme al sole. Eppure all'interno di quello spazio, tutto sembrava troppo immobile per permettergli una fuga da ciò che lo aveva destato. Matthew ancora dormiva con il volto affondato nel cuscino e un braccio steso tra le lenzuola, in cerca del corpo del compagno. Kelly sapeva che, malgrado il sonno leggero, Matt avrebbe dormito almeno un altro paio di ore. La porta della stanza di Shay era appena socchiusa, lasciando intravedere due corpi avvolti tra le lenzuola. Kelly non aveva intenzione di spiare, ma dalla chioma mora sparpagliata sul cuscino, intuì che la sua compagnia fosse Samantha. Per un attimo si concesse di sorridere, nella speranza che quella relazione non fosse per l'amica un'altra delusione.
  Scese le scale e raggiunse il mobile della TV. Aprì a colpo sicuro il primo cassetto e, tra i dvd e i giochi della xbox, trovò un fascicolo marrone chiaro. Lo estrasse e lo portò con sé in cucina. Lo poggiò sul piano di marmo e preparò il caffé, imprecando tra i denti quando involontariamente sbatté la tazza sul bancone. Con la sua buona dose di caffeina, si sedette sullo sgabello e aprì il fascicolo. Il volto severo di Jhonny Messer lo accolse con la sua valanga di disturbanti ricordi, come sempre. Lo studiò come se vi potesse trovare una traccia, una spiegazione più solida dell'irrazionale realtà.
  Emanò un lungo sospiro, cercando di controllare il moto di rabbia che gli sorgeva spontaneo nel petto.
  Con quanta calma riusciva a padroneggiare, lesse ogni dettaglio del fascicolo, delle vite dei Messer, delle prove raccolte nei due incidenti, compreso il referto ospedaliero sulle ferite di Matthew. Quella per lui era la parte peggiore. Essere un vigile del fuoco significava, inevitabilmente, collezionare una serie di ferite e cicatrici; con quello poteva venire a patti. Ma non con questo. C'era qualcosa di intrinsecamente sbagliato nel dover portare sul corpo, per sempre, le conseguenze della follia di due sconosciuti. Sapere che loro erano a piede libero, chissà dove, faceva apparire quella lista di traumi, contusioni e segni sulla pelle un'inutile conseguenza. Come se tutto ciò che Matt e lui, che loro avevano passato non fosse servito a nulla.
  Con un grugnito, Kelly chiuse il fascicolo. Fu tentato di gettarlo via o bruciarlo, ma non poteva distruggere l'ultimo brandello di speranza che gli restava. Afferrò il cellulare e, prima di poterlo realizzare, il suo dito aleggiò sul numero del Detective Voight. Con rabbia, allontanò il dispositivo. A cosa sarebbe servito chiamare il Diavolo? Non gli avrebbe dato che qualcun altro contro cui riversare la propria frustrazione.
  Si passò le mani tra i capelli, guardando attraverso le tende il sole sorgere oltre le nuvole bianche sparpagliate nel cielo. Sulla sua testa, le assi del pavimento cominciarono a scricchiolare, e passi pesanti si udivano, sempre meno trascinati. Matt si stava svegliando. Kelly raccolse il fascicolo e lo nascose nel cassetto dal quale proveniva. Si scrollò di dosso ogni rimasuglio di quell'inutile ricerca e si preparò a tornare in Caserma. Lì, almeno, era certo di fare la differenza nel caos del mondo.
 






Note: Hello guys! Come sempre, grazie dei vostri deliziosi commenti e utili punti di vista, sono apprezzatissimi! Dunque, ho deciso di inserire il personaggio di Micheal per due motivi: il primo è che l'idea mi piaceva; il secondo, e più importante, è che mi sembrava più appropriato alla situazione - Matthew può aver accettato di chiedere aiuto, ma credo che se avesse l'opportunità di evitare un professionista, lo farebbe. Con questo voglio precisare che io né sconsiglio né giudico la terapia, sia chiaro.  Il personaggio di Michael mi permette anche di inserire altri scenari (uscendo da casa e Caserma, per intenderci), e dare una sorta di stacco alle ambientazioni dominanti nella storia. Inoltre, se mi servirà, potrò affrontare argomenti altrimenti difficili da collocare.
  Okay, fine nota ;)
  A presto!
  Ax.
 

  
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