Eccomi qui! Pensavate fossi
emigrata/dispersa/sparita!
Invece eccomi con un nuovo capitolo! Tenetevi forte… siamo
quasi agli
sgoccioli!
Innanzitutto chiedo umilmente scusa
per l’incredibile
ritardo con cui aggiorno. Potreste non credermi ma ultimamente sono
stata
veramente molto impegnata e in più con le feste di mezzo
è stata una vera
tragedia riuscire a scrivere in piena digestione da cenone…
sorry!!!
Per chi ancora ha la pazienza di
leggere… buona
lettura!!
Grazie mio fedele
pubblico… vi voglio bene!!!
Grazie a tutti coloro che
recensiscono, leggono, commentano
o anche mi insultano sia pubblicamente che nella loro mente!
Grazie soprattutto alla mia Sunsetdream per i preziosi consigli e
l’opera di betaggio!! Ti
voglio bene mia tesora!!!
Capitolo 22: the open door
Tom e Simone si precipitarono nella
camera di Bill,
spaventati dai rumori e dai tonfi che sentivano: il moro stava
distruggendo
tutto ciò che era a portata di mano; scagliava gli oggetti a
terra, contro le
pareti, li pestava, voleva sentire sotto i suoi piedi il crepitio dei
cocci.
Perché era lo stesso
rumore che aveva sentito nel suo cuore
dopo aver letto il diario di Cathe.
Il suo mondo era andato in pezzi in
quel preciso istante:
era come se fosse morta una parte di lui, uccisa dalla stessa persona
che lui
amava incondizionatamente.
O forse pensava di amare.
Venne fermato da Tom: il gemello lo
bloccò poco prima che si
scagliasse contro la specchiera, prima che si facesse seriamente del
male.
Lo fissò con sguardo
supplice e interrogativo, spaventato
nel vedere, forse per la prima volta nella sua vita, un moto
d’ira riflesso
negli occhi di Bill:
“Bill calmati ti
prego!” il rasta cercava di farlo
ragionare: “calmati! Cosa sta succedendo?”
“vieni qui…
siediti!” gli intimò Simone accompagnandolo
verso il letto: era seriamente preoccupata per Bill e perfettamente a
conoscenza del fatto che non sarebbe stato in grado, che non era in
grado, di
gestire da solo quella situazione; si sedette accanto al figlio e
l’abbracciò:
“cos’è
successo Bill?” gli chiese dolcemente,
accarezzandogli piano la schiena e scostandogli dagli occhi pieni di
lacrime le
ciocche corvine sfuggite alla coda;
Bill rimase immobile per qualche
istante, avvolto dal suo
mutismo impenetrabile; Tom si accorse solo in quel momento del diario
di Cathe
ai suoi piedi, capovolto, come se fosse stato scagliato.
Lo raccolse, appoggiandolo sul letto
accanto a loro; quel
gesto riscosse Bill:
“tu lo sapevi!”
il moro continuava a fissare il pavimento di
legno chiaro, ma l’affermazione era chiaramente rivolta a Tom;
il rasta si mordicchiò il
piercing, tentennando: aveva
capito a cosa si riferiva Bill; incrociò lo sguardo
indagatore della madre:
“mi ha chiesto lei di non
dirtelo…” sospirò mentre
distoglieva lo sguardo dal fratello: “io… te
l’avrei detto, ma mi ha fatto
promettere di non farne parola, soprattutto con te: era già
abbastanza delusa
così, non voleva che anche tu lo fossi!”
“adesso lo sono
però!” aggiunse Bill in un soffio
Simone gli prese il mento con una
mano, costringendolo a voltarsi
verso di lei: “e adesso Bill?”
“adesso sono solo
arrabbiato mamma!” proruppe il ragazzo
alzandosi: “non riesco a capire più nulla, non so
che fare!” aggiunse
massaggiandosi le tempie
“dovete parlare,
è l’unica cosa che puoi fare…
sì Cathe ha
sbagliato, ma prova a darle un’altra
possibilità!” gli rispose pacatamente
Simone;
“un’altra
possibilità?” chiese il ragazzo ironico,
afferrando il diario: “leggi tu stessa! Un’altra
possibilità ad una che scrive
queste cose, ad una che tiene di più al suo ex che a me?
Cazzo stiamo cercando
casa insieme e tu diventi anoressica perché
quell’imbecille di Franz ha fatto
una battuta? Vuol dire che di me non gliene frega niente, che non
gliene frega
nemmeno di Sylvia! Io mi chiedo che razza di madre si
crede…”
“Bill tutti
sbagliamo…” gli disse Tom
“sì lo
so… io ho sbagliato quando ho pensato che sarebbe
potuta essere la madre di Sylvia!”
“Non dire
così…” lo ammonì Simone
“non dire così?
Mamma ma ti senti? Perché cosa dovrei fare?”
le chiese ironicamente: “dovrei forse dire che bello la
ragazza che amo è
anoressica, ha rischiato di morire e forse ha anche perso nostro
figlio?”
La madre dei gemelli
sgranò gli occhi: le parole di Bill le
erano giunte come un fulmine a ciel sereno; si voltò verso
Tom, che non poté
fare a meno di annuire mentre le sporgeva il diario.
“Bill…”
sussurrò Simone dopo aver letto l’ultimo appunto,
“non so se la amo
ancora…” le disse il ragazzo tra i
singhiozzi.
*°*°*°*
“Tomi… che devo
fare?”
Bill si era calmato solo dopo molto
tempo e ora se ne stava
abbracciato al fratello, entrambi distesi sul letto del moro, il rasta
che gli
accarezzava lentamente la schiena
“non lo so
Billi…” gli rispose amaramente: “devi
capire ciò
che provi per lei!”
“lo so ciò che
provo: sono arrabbiato, deluso, incazzato,
forse più con me che con lei!”
“la ami?” Tom lo
zittì con quella domanda diretta; Bill non
gli rispose ma si staccò dall’abbraccio,
voltandosi verso il bordo del letto a
dare le spalle al fratello. Rimase immobile qualche minuto, cercando di
trovare
una risposta, cercando di capire.
Sentì Tom alzarsi per
ritornare poco dopo: aveva in mano la
cornice digitale.
Costrinse Bill
girarsi e lo riavvolse nel suo abbraccio, prima di avviare
il ciclatore
delle foto: il tono di Tom era pacato, tranquillo:
“devi capire se la
ami…” gli sussurrò in un orecchio,
mentre
fissava la foto sullo schermo, scattata quando ancora non stavano
insieme
“non lo
so…” gli rispose distrattamente Bill mentre
accarezzava l’immagine con la mano: “sono solo
molto deluso Tom, deluso dal suo
comportamento, deluso…” si interruppe; Tom
proseguì la frase:
“deluso dal tuo?”
diretto, letale.
“forse… non me
ne sono accorto, forse non me ne sono voluto
accorgere! Però le ossa sporgenti le sentivo, ma non avevo
il coraggio di
chiederle nulla! Tom io ho paura di perderla davvero! Ho paura di
rimanere
solo…”
“non sei solo, hai me e
Sylvia!”
“Sylvia ha bisogno di una
mamma! Una vera, una che le possa
insegnare molto, che sia con lei nei momenti più importanti
della sua vita, nel
bisogno. Le basto già io come figura di genitore
assente!”
“tu non sei mai stato un
padre assente, anzi piuttosto il
contrario! Tu ci sei sempre stato quando tua figlia ha avuto bisogno di
suo
padre, e Cathe c’era quando avevo di una madre!”
Il rasta fece scorrere alcune
fotografie: erano
principalmente di Sylvia, impegnata in vari giochi, o mentre andava in
bici
senza rotelline o in piscina. In tutte c’era Cathe.
“chi le ha insegnato a
nuotare? I passi fondamentali della
danza? A fare la ruota? Cathe… sempre lei! Perché
c’è sempre stata per Sylvia!”
“Tomi perché
allora si è ridotta in questo stato?” chiese
Bill accoccolandosi meglio contro il fratello
“per
te…”
*°*°*°*
Catharina sbatté
più volte le palpebre, cercando di avere
una visione più nitida dell’ambiente che la
circondava: si sentiva la testa
pesante e una sensazione di debolezza le pervadeva tutto il corpo; le
dava
fastidio la luce intensa in cui era avvolta la stanza e il brusio
confuso che
la circondava era un rumore quasi insopportabile.
Sentì distintamente solo
le parole dell’infermiera che stava
armeggiando con una flebo e il suo braccio:
“Professore… si
sta riprendendo!”
Immediatamente Olshausen si
voltò verso il letto:
“Catharina? Sono il Dottor
Olshausen.” Le disse pacatamente:
“stia tranquilla, non si agiti: si trova in questa clinica
perché due giorni fa
si è sentita male, l’hanno portata qui in arresto
cardiaco, ma non si
preoccupi, il problema è al momento arginato,
dovrà restare qui in rianimazione
ancora poche ore!”
Un moto di terrore
attraversò lo sguardo di Cathe; la
ragazza cercò di parlare, ma emise solo un flebile lamento:
“è normale che
non riesca a parlare, è stata intubata quindi
in questo momento le sue corde vocali sono abbastanza infiammate.
Cerchi di non
sforzarle. Le dirò io tutto ciò che ha bisogno di
sapere sulle sue condizioni”
Cathe annuì cercando
comunque di parlare; il dottore la
ammonì prontamente: “non parli per favore,
piuttosto cerchi di muovere solo le
labbra ma non si sforzi, intesi?”
Cathe articolò Sylvia?:
si ricordava di essere scesa in lavanderia con Sylvia accanto e il suo
primo
pensiero era stato per la piccola. Non si ricordava cosa fosse
successo, aveva
il terrore che anche alla piccola fosse capitato qualcosa.
Olshausen la tranquillizzò
bonario: “non si preoccupi per la
bimba, sta benissimo! Anzi deve ringraziarne la prontezza di spirito.
È stata
lei a chiamare aiuto. Ora è là fuori che aspetta
di poter entrare. E si rilassi,
questa è una clinica privata, non ci saranno fughe di
notizie: diciamo che un
certo signor Jost mi ha praticamente minacciato di morte professionale
se anche
un solo giornalista fosse comparso a meno di un chilometro
dall’ospedale,
quindi…”
Catharina non poté fare a
meno di sorridere: aveva avuto la
conferma che il primario sapeva benissimo chi lei fosse e soprattutto
di
Sylvia, ma confidava nel buon senso organizzativo di David. Aveva solo voglia
però di vedere Bill e
Sylvia.
Indicò la porta con un
cenno della mano, cercando di far
capire al primario il suo desiderio: l’uomo, però,
la bloccò:
“aspetti, la piccola la
vedrà appena la trasferiremo in una
stanza di degenza, una rianimazione non è certamente
l’ambiente più adatto a
una bambina. Inoltre vorrei farle un discorso molto franco!”
prese una lunga
pausa mentre controllava sui vari monitor che circondava Catharina i
parametri
fisiologici della ragazza; si voltò improvvisamente
fissandola con sguardo
corrucciato:
“ sarò molto
molto schietto con lei, anche a costo di
metterle paura: lei pesa 38 chili, riportati al suo 1,70 fanno un
indice di
massa corporea di 13,15. Non starò a dirle che si chiama
anoressia, non starò
neanche a chiederle i motivi e non parlerei neanche del suo precedente
ricovero. Le faccio solo un quadro preciso delle sue attuali
condizioni.” Quell’attuali
fu puntualizzato da un gesto quasi iroso della mano del primario
“lei è arrivata
qui in arresto cardiaco e il quadro dei
valori ematici era a dir poco sconvolgente. Ora, stavolta le
è andata bene,
molto bene, ma se non ricomincia a mangiare e ad alimentarsi
seriamente, con
una dieta bilanciata, sana, regolare… la prossima volta non
si salva. Arresto
cardiaco vuol dire che il suo cuore non aveva più la forza
di battere.
L’ipokaliemia da cui è affetta potrebbe seriamente
comprometterle l’apparato
renale, per tacere del resto: lei ha 24 anni e un inizio di osteoporosi
e di
ulcera. Uscirne sarà lunga e dura, non le nascondo nulla, le
dico anche che
avrà miriadi di medicine da prendere e che per le prossime
tre settimane almeno
lei dovrà stare ricoverata. Ora… lo so, le
potrà sembrare una filippica senza
senso, ma se non vuole farlo per lei, lo faccia almeno per sua figlia e
per il
suo compagno. Hanno entrambi bisogno di lei.”
Olshausen le strinse una mano:
“io e il mio team siamo a sua
completa disposizione, io sono cardiologo ed è stata
affidata a me
nell’immediatezza viste le sue condizioni; se lei lo vuole
potrei comunque
continuare ad essere il suo medico di riferimento ma le consiglierei
anche un
supporto psicologico. Mi ha detto il suo compagno che dopo il
precedente
ricovero aveva cercato di uscirne da sola, stavolta cerchi un
aiuto!”
Catharina abbassò lo
guardo: pur sentendosi debole e
frastornata era perfettamente cosciente di quello che le era successo:
non
l’aveva mai sfiorata l’idea di perdere tutto, di
morire. Si ritrovò a fissare
le flebo, gli aghi nelle sue vene, il sondino di alimentazione nella
succlavia,
i monitor che la circondavano: l’idea di perdere tutto, di
perdere Sylvia era
quasi insopportabile.
Quasi non si accorse delle lacrime
che scendevano sulle
guance:
“ora
non pianga!” le
disse Olshausen: “per il momento è stabile,
dobbiamo solo fare un piano di
terapia e le prometto che nel giro di un mese, massimo un mese e mezzo
lei
torna a casa! Ma solo se lei segue scrupolosamente il trattamento.
Torno oggi
pomeriggio per il giro di visite, nel frattempo lei stia
tranquilla!”
°*°*°*°
Fino a metà pomeriggio
Catharina non aveva potuto ricevere
visite: l’avevano dapprima trasferita in una stanza di lungo
degenza e quindi
avevano iniziato a fissare una serie di scadenze, controlli e incontri
che
l’avevano frastornata.
Aveva avuto poco tempo per pensare,
il che da una parte era
stato anche positivo.
Quando si era trovata infatti da
sola, cosciente e
relativamente in forze, troppi pensieri l’avevano assalita:
aveva paura di non sapere
cosa dire a Bill, come spiegargli, come chiedergli scusa. Ma
soprattutto non
sapeva cosa dire a Sylvia.
Olshausen era ottimista se pensava di
rimetterla in piedi
nel giro di un mese: si ricordava dei racconti delle altre ragazze
incontrate
alle sedute di terapia di gruppo a cui aveva partecipato dopo il primo
ricovero: tutte erano rimaste in ospedale almeno due mesi, e le
condizioni in
cui erano state ricoverate non erano certamente serie come le sue.
E due mesi, con il suo lavoro e con i
suoi progetti di vita
erano un tempo enorme.
Si voltò di scatto verso
la porta appena sentì il cigolio
dei cardini: si ritrovò di fronte a due occhi color
cioccolato che la fissavano
preoccupati e inquieti, un sorriso stanco e tirato come saluto:
“ehi… sei
sveglia!”
“ciao Tomi!” gli
rispose la ragazza, mentre il suo sorriso
svaniva: aveva sperato fosse Bill.
Il rasta si avvicinò al
letto cautamente, soppesando ogni
passo e ogni parola:
“come ti senti?”
le chiese quasi in un soffio
“senza forze e con il
cervello confuso!” gli rispose Cathe
ridacchiando: allungò una mano a cercare quella di Tom:
“Sylvia?”
“è lì
fuori con mia mamma, te la chiamo! È incontenibile,
muore dalla voglia di vederti!”
Catharina fece appena in tempo a
mettersi seduta che la
bimba irruppe nella stanza, saltandole letteralmente al collo con un
balzo che
mai si sarebbe aspettata: la fissò qualche istante, mentre
con le manine
stringeva il camicione da ospedale di Catharina, come per sincerarsi
che la
ragazza fosse veramente lì con lei; non appena Cathe si
accorse che gli occhi
della piccola si riempivano di lacrime e il labbro iniziava a tremare
la
strinse a sé:
“amore sono qui, non
piangere!” sapeva che erano parole
perfettamente inutili e che la piccola sarebbe profusa in un pianto
liberatorio; non si aspettava solo di sentire una semplice parola:
“mamma…”
mugolò Sylvia tra le lacrime, prima di stringersi
ancora più al petto della ragazza.
Il cuore di Cathe perse un battito a
sentire quella parola:
il tempo sembrò dilatarsi in uno spazio infinito, tutto
sembrò al rallentatore
per una frazione di secondo
Mamma
Quella parola le rimbombava nel
cervello, la stava
confondendo: Sylvia l’aveva chiamata mamma, le aveva fatto
forse il più grande
regalo che mai aveva sperato dalla vita.
Pensava di aver deluso tutti, e aveva
avuto un’altra
possibilità. Non sapeva neanche lei se piangere o ridere.
Avrebbe solo desiderato avere Bill al
suo fianco,
condividere con lui quel momento.
Lo conosceva bene però,
conosceva il suo carattere. Era
arrabbiato con lei e la sua assenza ne era la chiara manifestazione:
avrebbe
voluto chiedere spiegazioni a Tom, sapere quanto
Bill fosse deluso o ferito, ma non con Sylvia presente.
La piccola era già
abbastanza frastornata così senza aver
bisogno di ulteriori stress;
Tom intuì i pensieri di
Catharina dallo sguardo smarrito
della ragazza: continuava ad accarezzare la testolina bionda di Sylvia
e a
sussurrarle quanto le voleva bene, ma certamente nei suoi occhi si
potevano
cogliere innumerevoli domande
Il rasta decise quindi di colmare il
silenzio della stanza:
“abbiamo avuto tutti
paura!”
“cos’è
successo Tomi?” Catharina incrociò il suo sguardo
“mi sembra ancora adesso
assurdo: ti sei sentita male nella
lavanderia e ti ha soccorsa una ragazza…” il biodo
prese un profondo respiro: “a
quanto pare si era intrufolata nel parcheggio per fotografare la
Cadillac,
classica fan stalker, Sylvia l’ha vista e le si è
avvicinata, poi hanno sentito
il tuo tonfo e boh…
è successo tutto
così in fretta. C’è da dire che la
stalker è la figlia del dottor Olshausen, è
lei che mi ha suggerito di portarti qui!”
“clinica
privata… in effetti è stata una buona
scelta!”
“sì almeno non
ci ritroviamo con stampa e paparazzi: credo
che David sia stato molto convincente con il primario e questi a sua
volta con
la figlia, per fare in modo che non vi siano fughe di notizie. Per il
momento è
tutto tranquillo!”
“già…”
gli rispose Cathe abbassando lo sguardo su Sylvia: la
piccola stava osservando con molta attenzione i monitor e le flebo a
cui
Catharina era collegata; sia la ragazza che Tom si stupirono che la
bimba non
li aveva ancora subissati di domande.
Una carezza di Tom la costrinse a
incrociare nuovamente lo
sguardo del rasta: “come ti senti?”
Cathe inspirò
profondamente: “fisicamente uno straccio,
psicologicamente distrutta. Olshausen è stato molto chiaro
con me stamattina.”
“lo
so…” aggiunse Tom: “gli ho chiesto anche
io e…” venne
interrotto da Sylvia che continuava con insistenza a tirare un lembo
del
camicione di Catharina:
“perché hai un
tubo nel collo?” chiese la piccola a
bruciapelo, Catharina non sapeva come risponderle: probabilmente la
verità
sulle sue condizioni e sulla sua malattia non sarebbe stata
comprensibile per
Sylvia e il risultato sarebbe stata soltanto una maggiore confusione.
“perché serve
per darmi da mangiare, non… non riesco a
mangiare normalmente e allora i medici hanno escogitato questo
sistema!”
Sylvia non sembrava convinta della
risposta: “ma non riesci
a mangiare o non vuoi mangiare?”
“cosa?” le
chiesero praticamente in coro Catharina e Tom
La piccola rispose candidamente:
“ho sentito lo zio Georg
che l’altro giorno diceva che non volevi mangiare…
sembrava anche arrabbiato ma
non ho capito molto il perché, confabulava con zio Gus e
Noah!”
“quei tre li
pesto!” bisbigliò Tom, cercando di prendere
tempo per inventare una spiegazione plausibile; Cathe ebbe maggior
prontezza:
“Sylvia, Georg ha in parte
ragione, anche se la mia malattia
è abbastanza complicata. Però facciamo un patto
noi due: tu fai la brava, stai
tranquilla e mi vieni spesso a trovare in ospedale che dovrò
stare qui a lungo,
e io ti prometto che guarisco! Va bene? Prometti?”
La piccola le si gettò al
collo, stringendola con le
braccine: “promesso!”
“bene… ora che
ne dici di andare con la nonna a fare
merenda? Poi dopo tornate qui a trovarmi, tutte e due!”
La piccola scese con un balzello dal
letto, incamminandosi
verso la porta; si voltò e chiese a Cathe:
“però tu guarisci vero?”
“sì! Adesso
vai…” le disse Catharina con un sorriso.
Non appena la piccola uscì
dalla stanza si voltò verso Tom;
voleva solo fargli una semplice domanda:
“dov’è
Bill?!”
Il rasta si mordicchiò
nervosamente il piercing, evitando di
incrociare lo sguardo della ragazza: Cathe lo costrinse a guardarla
negli occhi
prendendogli una mano tra le sue:
“Tomi non sono scema, ho
bisogno di sapere!”
Tom sospirò, distogliendo
lo sguardo da quello di Catharina:
“è arrabbiato, e confuso e deluso… non
so, probabilmente non sa neanche lui
cosa vuole in questo momento!”
“non me di
sicuro!” gli rimbeccò amaramente Cathe
“lui ti vuole eccome, ha
solo… paura! Cathe senti, lo sai
che con me puoi essere franca, ci siamo confidati tante cose,
già solo il
discorso dell’altro giorno… a me lo puoi dire,
cos’è successo? non so perché ma
tu e mio fratello mi avete investito del ruolo di pacere, beh io non lo
so fare:
non voglio fare da tramite! Se avete dei problemi dovreste risolverli
voi due
soli, invece no, tanto c’è Tom che ci
pensa!” il rasta si agitava camminando
per la stanza, facendo ridacchiare Catharina
“non sei credibile quando
ti arrabbi!” Tom non aggiunse
altro, ma si sedette accanto a Cathe:
“tu non lo sei quando
menti: adesso voglio sapere il perché,
lo voglio sapere io prima di Bill, perché così
posso prevedere le razioni di
mio fratello, posso aiutarlo, posso aiutarvi”
“prometti che non ti
arrabbi se te lo dico?!”
Tom annuì
Catharina sospirò
profondamente: conosceva bene Tom e certi
suoi moti violenti d’ira, per sicurezza gli bloccò
i polsi con la poca forza
che aveva in corpo:
“ho… di nuovo
visto Franz!”
“cosa?” gli
chiese d’un fiato Tom, Cathe annuì, proseguendo:
“è stato a
febbraio, quando ero andata a Berlino, l’ho
incontrato al 1900 durante il brunch e, lo so è assurdo, ma
lui ha fatto una
battuta, tipo sempre a mangiare e
da
lì è nato tutto!”
“No Cathe ti prego
no…” Tom cercò di divincolarsi dalla
stretta della ragazza: “non puoi dirmelo, io lo ammazzo quel
pezzo di merda,
con le mie mani!” si alzò dal letto imprecando
“ma anche tu, cazzo,
fregatene di uno così, mandalo a
fanculo! Ma stai con Bill non con lui!hai Bill, hai Sylvia, hai
tutto… Bill ti
ama lo stesso, per come sei, senza remore e senza farsi nessuna
domanda, non te
la devi fare neanche tu! Bill ha per te un amore incondizionato,
totale,
devoto. Te ne devi fottere di quella merda!”
Cathe si mise a singhiozzare: non si
aspettava una reazione
simile da parte di Tom e si era pentita di essersi confidata con il
ragazzo. Il
rasta però l’abbracciò, prendendole il
viso tra le mani per asciugarle le
lacrime:
“voglio che rispondi
sinceramente a una mia domanda: ami
ancora Franz?”
Cathe si mordicchiò un
labbro, tergiversando: “non lo so…
no, o forse sì… non so!”
Tom prese un profondo respiro:
“lo ami? Quello? O ami di più
Sylvia che ti chiama mamma? Bill che ti dice che sei la sua
principessa, la
mamma di sua figlia? Ami quello che non
è stato o ami quello che hai ?”
“io voglio Bill e
Sylvia… ma devi capirmi! E se un giorno
Bill mi lasciasse, se mi trovasse brutta? Non sono una supermodella, mi
guardo
anche io allo specchio!” il tono di Catharina era mutato dal
disperato
all’irato; Tom la abbracciò, cercando di farla
calmare e ragionare:
“Bill ti ama per quello che
sei, per tutto, anche per il tuo
passato e per il tuo presente. Non frega nulla a nessuno se non sei
miss
universo: noi uomini con le strafighe ci andiamo solo a letto, sono
solo
scopate. Sono delle tacche sulla nostra cintura, dei poster ambulanti!
Le donne
vere le sposiamo invece, ci viviamo insieme, ci facciamo dei figli
insieme.
Perché non sono solo dei contenitori vuoti di bellezza, ma
hanno contraddizioni,
sogni, speranze delusioni e incazzature che ci rendono vivi e le
rendono vive. Te
lo metti nel tuo cervellino che Bill non vuole nessun’altra
che te?”
“perché allora
non è qui con me? Dov’è?” gli
chiese Cathe
quasi gridando, stordita da quel discorso
“il perché lo
conosci… devi dargli tempo! Sarà lui stesso il
primo a venire a
chiederti scusa per non
averlo fatto prima, per non essere stato qui con te oggi: ma devi
dargli i suoi
tempi…” Tom le accarezzò lentamente una
guancia, dandole un leggero bacio sulla
fronte:
“ci siamo capiti? Devi
dirgli, in tutta sincerità e
franchezza, la verità. Sarà dolorosa per entrambi
ma almeno ne uscirete!”
Cathe annuì, trattenendo
in un abbraccio Tom: “grazie… è
l’ennesimo grazie che ti devo!”
“figurati… non
sai quanti te ne devo io!” le rispose il
ragazzo ridacchiando: “senti, io parlerò con Bill,
ti preparo il campo, ma tu
mi raccomando, devi essere sincera con lui, dirgli tutto prima che lo
scopra da
solo! Promesso?”
“promesso!” disse
in un sospiro la ragazza
“vado a recuperare
Sylvia?!” il sorriso di Catharina,
stanco, tirato ma vero, bastò a Tom come risposta.
°*°*°*°
Quattro giorni
Quattro giorni da quando
l’avevano ricoverata
Quattro giorni in cui Bill non si era
fatto vedere. Né una
visita, né un messaggio, nemmeno una telefonata.
Quattro giorni in cui Cathe si era
arrovellata cercando una
spiegazione, cercando di capire il perché di
quell’assenza;
in tutto quel tempo aveva soprattutto
cercato le parole per spiegarsi
con Bill: aveva pensato a mille modi per dirglielo, a mille modi per
chiedergli
scusa e per implorare il suo perdono. Più continuava a
pensare, più il senso di
colpa le pervadeva il cuore e le annebbiava la mente.
E ogni volta che si apriva la porta
della stanza, Cathe
sussultava al pensiero che finalmente fosse Bill.
Le sue aspettative erano deluse
però ogni volta.
Non che le dispiacesse il via vai
continuo di amiche e
amici, anzi, la aiutavano a rilassarsi e a riprendere le fila della sua
vita,
ma sognava il momento in cui sarebbe apparso Bill.
Anche se adorava quelli in cui la
porta si apriva
all’improvviso e Sylvia irrompeva nella stanza con la sua
allegra giocosità:
passava le giornate con Cathe, anche se molti dicevano che non era
né
l’ambiente né la situazione più adatta
per una bambina.
Cathe gli aveva etichettati come
benpensanti: probabilmente
avevano le loro buone ragioni, ma conoscendo il carattere di Sylvia
sapeva
benissimo che sarebbe stata in grado di fronteggiare e comprendere il
ricovero
di Catharina.
La piccola riusciva ogni giorno a
inventarsi nuovi giochi ma
anche nuovi modi per seminare lo scompiglio nell’intero
reparto; inoltre aveva
“stretto amicizia” con Erika: l’aveva
incontrata e riconosciuta in corridoio e
letteralmente trascinata a conoscere Catharina.
Né
Tom né al dottor Olshausen
la situazione era granché piaciuta ma avevano preferito
tacere per il bene di
Catharina. Indubbiamente al primario non piaceva molto che la figlia
frequentasse tanto assiduamente Cathe ma sapeva benissimo che i motivi
che la
spingevano a farlo erano un paio di occhi nocciola contornati da rasta.
Cathe ed Erika andavano
però molto d’accordo: entrambe
patite di musica metal e danza, avevano iniziato a parlare quasi per
caso e la
compagnia di Erika aveva fatto molto bene alla ragazza; in molti
avevano
osservato una certa vivacità in Catharina dopo che Erika era
andata a trovarla,
come se questa potesse farle dimenticare per qualche momento
l’assenza di Bill.
Anche quel pomeriggio era comparsa
Erika, all’ora di merenda
(per Sylvia), portando con sé muffin al cioccolato per far
star buona la bimba
almeno dieci minuti e dare un po’ di tregua a Catharina.
“buongiorno…”
disse Erika dalla soglia della stanza,
Cathe e Sylvia alzarono insieme lo
sguardo: erano immerse
nella lettura di Chocolat, a
dispetto
del titolo il libro preferito da Catharina; la piccola proruppe subito
in uno
dei suoi squillanti saluti:
“Erika!! Ciao sei passata
anche oggi a trovarci!”
“potevo mancare?”
le chiese la ragazza scompigliandole la
frangetta: la piccola si passò subito freneticamente le mani
nei capelli per
cercare di accomodarseli; Cathe ed Erika ridacchiarono
all’unisono:
“esattamente come suo
padre!” disse Cathe: “allora, cosa mi
racconti?”
“mah il solito, tutto nella
norma… e tu? Sempre a
rimuginare?”
Cathe annuì: le aveva
spiegato abbastanza dettagliatamente
la sua storia quando aveva capito che di lei si poteva fidare. A
dispetto delle
apparenze e dei 17 anni appena compiuti Erika si era dimostrata una
ragazza
molto saggia e matura e Cathe si era confidata volentieri con lei.
“certamente, oggi siamo a
quattro giorni!” le disse in tono
pacato per non farsi sentire troppo da Sylvia;
“tu hai provato a
chiamarlo?”
“no! È
cocciuta!” rispose Sylvia di rimando, tra un boccone
di muffin e un altro,
“chi dice che sono
cocciuta?” le disse Cathe con falso tono
di rimprovero
“lo zio Tomi, dice che tu e
papà siete cocciuti come due
muli!”
“ringraziamo lo zio Tomi
che porterà questa creatura sulla
strada della totale anarchia!” disse ridacchiando:
“ehi che combini, lascia
stare il mio cellulare!”
Erika si era infatti impossessata del
Nokia di Catharina: “o
lo chiami tu o faccio partire io la chiamata!”
Cathe riprese il cellulare dalle mani
della ragazza:
“lasciamo perdere per il momento…” disse
fissando la foto sullo schermo:
ritraeva Bill e Sylvia abbracciati “credo sia meglio se
parliamo a voce, ma io
sono bloccata qui per il prossimo mese e mezzo!”
“dai… non ti
abbattere, almeno fallo per Sylvia!”
“è abbastanza
difficile essere forti anche per lei!” le
rispose Cathe sospirando: “comunque… tu che mi
dici?”
“che devo ancora chiedere
scusa a qualcuno!” sbuffò Erika
“almeno la macchina foto te
l’ha restituita?” chiese
Catharina
“no… e credo sia
un punto a mio vantaggio, almeno sarà
costretto a riportarmela quando non avremo più motivi per
incontrarci…”
“perché, una
volta dimessa non passi più a trovarmi?” chiese Cathe seguita a
ruota da Sylvia
“certo sciocchine che passo
a trovarvi! Almeno ho la scusa
per vedere Tom!”
“certo che sei proprio una
stalker!” le due ragazze si
misero a ridere in coro, finché Erika non chiese:
“come avete fatto a tenere
nascosta Sylvia per tutto questo
tempo?”
“più che avete,
è un come…” le rispose Catharina
sfruttando
un momento di distrazione della piccola: “è
vissuta praticamente segregata a
Loitsche dalla nascita fino all’inizio di
quest’anno: niente gite, niente
amici, a volte neanche usciva in cortile… da quando poi
siamo qui ad Amburgo le
cose sono persino più complicate; a volte mi chiedo se non
sarebbe di tutelarla
organizzando una bella conferenza stampa; almeno per quando
andrà a scuola le
acque si dovrebbero essere calmate!” aggiunse ironica
“beh sei speranzosa! Se
già così c’è gente che
osserva i
vostri movimenti 24 ore al giorno, figuriamoci sapessero di Sylvia.
Anche se
chi parla dovrebbe farsi un bell’esame di
coscienza!”
“chi parla non
verrà mai abbastanza ringraziato da me! Se
non era per te adesso non saremmo qui a parlare!”
“ciò non toglie
che in effetti stavo facendo la stalker, Tom
ha perfettamente ragione!”
“lascialo perdere, ormai
per lui stalker è il tuo
soprannome, ma non lo pensa veramente! Fidati ho avuto modo di
scoprirlo!”
Erika la guardò con aria
stupita, mentre Catharina
riprendeva in braccio Sylvia: “non sgranare quegli occhioni!
Fidati, conosco
abbastanza bene Tom da sapere quando è arrabbiato; per
carità non lo
ammetterebbe neanche sotto tortura ma in realtà sa benissimo
che ti deve
ringraziare!”
“tu e Tom andate molto
d’accordo vero?” chiese Erika,
sollevata dalla risposta di Cathe
“per me è una
specie di fratello! Come al solito gli devo
tutto anche stavolta!”
“anche stavolta?”
chiese Erika
“sì…già
lo devo ringraziare perché mi ha fatto ragionare sui
miei sentimenti per Bill e quindi averci permesso di stare insieme; poi
perché
mi ha convinto ad andare a vivere con Bill, insomma mi sa che anche
stavolta lo
devo ringraziare!”
Erika sorrise all’idea di
un Tom completamente diverso dalla
sua immagine pubblica; Cathe intuì i suoi pensieri:
“sotto sotto il SexGott
è solo una facciata, non lo è in
realtà; sì a volte è stronzo ma
è un ruolo in cui si rifugia: lui è sempre
stato il fratello maggiore, quello che doveva proteggere Bill, che
doveva avere
forza per entrambi. Ha comunque le sue debolezze anche lui! Giusto
Sylvia? Tu
sì che sei una debolezza dello zio, ti riempie di
regali!” disse Catharina
solleticando i fianchetti della piccola che proruppe in una risata
“sì, lo zio mi
vizia molto! Ma anche papà!”
“secondo me tuo
papà non solo ti vizia, ti stravizia!”
aggiunse Erika: Cathe non poté fare a meno di annuire:
“sì la
stravizia! Racconta un po’ a Erika della marea di
giochi che hai e della miriade di vestiti! Che poi neanche li
metti…”
“Bill è un
ottimo padre vero?!” le chiese Erika
Catharina assentì:
“a dispetto di quello che potrebbe
dire la gente
è un padre favoloso! È
attendo, premuroso, presente; non sai quanti voli intercontinentali si
è fatto
per stare magari anche solo due giorni con Sylvia. Lo dico con
coscienza di
causa, ho presente cosa vuol dire avere dei genitori assenti!”
“il discorso
dell’altro giorno?” chiese Erika
“sì…
spero solo che Sylvia non si ritrovi un giorno a
provare per me e Bill quello che ho provato io per i miei
genitori!” aggiunse
amaramente Cathe
“no.. è
impossibile!”
“speriamo…”
concluse Cathe fissando per qualche istante la
Sylvia.
Si voltarono entrambe pochi istanti
dopo, sentendo aprire la
porta: sulla soglia comparve Tom, lo sguardo leggermente corrucciato
alla vista
di Erika con Sylvia e Catharina.
Qualcosa gli diceva di non fidarsi
della ragazza, anche se
si era sempre dimostrata affidabile: probabilmente era solo a causa
delle
innumerevoli delusioni che gli avevano dato persone che credeva amiche.
“Sylvia vieni con me a fare
merenda?” disse il ragazzo con
tono quasi neutro
“ma zio ho appena mangiato
un muffin che mi ha portato
Erika!” gli rispose la bimba con sguardo annoiato
“Sylvia allora
perché non vai a prendere una coca con lo
zio?” la piccola annuì e dopo aver scoccato un
bacio sulla guancia di Sylvia
saltò giù dal letto correndo incontro a Tom;
venne però richiamata da
Catharina:
“Sylvia, non dimentichi
niente?”
la piccola scosse la testa:
“bacino te l’ho dato!”
“Sylvia, qui
c’è anche Erika, chiedile se vuole unirsi a
voi, è una cosa educata!”
-e un colpo basso nei confronti dello
zio!- soggiunse
mentalmente Catharina mentre ridacchiava osservando le facce sconvolte
di Tom
ed Erika
“non mi sembra il
caso…” proruppe la ragazza ma venne
interrotta da Tom:
“dai andiamo, ti offro un
caffè!” le disse mentre con un
gesto le indicava il corridoio; Erika sospirò, sibilando un questa me la paghi
all’indirizzo di
Cathe
“dai…
è una buona occasione!” le sussurrò
Catharina stessa
mentre Erika raccoglieva tracolla e giubbotto.
“non credo
proprio!” le rispose Erika scoccandole un bacio
sulla guancia: “ci vediamo domani tesora! Fai la brava e
chiamalo!” le disse
sparendo oltre la porta e inseguendo Tom e Sylvia.
Cathe non poté fare a meno
di sorridere a sua volta dopo
aver visto il sorrisone a 32 denti comparso sul viso di Erika mentre
trottava
dietro a Tom.
Si voltò verso la
finestra, allungando la mano sul comodino
per afferrare il cellulare.
*°*°*°*
“sono qui!”
Cathe si voltò di scatto,
lasciando cadere sul letto il
cellulare: fissò Bill ancora sulla porta, lo sguardo basso,
i capelli raccolti
in una morbida coda sul collo, le mani che torturavano nervosamente i
manici
della borsa;
entrò nella stanza con
passo lento, quasi faticoso.
Catharina cercò di distogliere lo sguardo dal ragazzo: non
aveva coraggio per
guardarlo direttamente negli occhi; si lasciò ricadere sui
cuscini, voltandosi
verso la finestra.
Non si girò neanche quando
sentì il materasso piegarsi
leggermente sotto il peso di Bill e la mano del ragazzo che accarezzava
lentamente il dorso della sua;
Catharina non riuscì a
trattenere una lacrima: chiuse gli
occhi, scuotendo leggermente la testa;
“scusami Bill!”
Il ragazzo sospirò
profondamente, prendendo un interminabile
momento di silenzio prima di rispondere alla ragazza:
“perché
l’hai fatto?” il tono quasi adirato, molto deluso
“sono una
cretina… è che ho avuto paura di
perderti!”
Bill le prese il mento con una mano,
costringendola a
guardarlo negli occhi:
“stavi per perdermi
veramente! Io stavo per perdere te! Sei
la cosa più importante che ho con Sylvia, perché
l’hai fatto?”
Cathe sospirò
profondamente: “abbracciami ti prego!”gli
chiese gettandosi letteralmente al collo di Bill; il moro
ricambiò l’abbraccio
della compagna, stringendola a sé
“Ho… rivisto
Franz!” Catharina sentì Bill irrigidirsi nel
suo abbraccio, lo trattenne istintivamente: “ero a Berlino
con le ragazze,
eravamo al 1900 per il brunch e lui ha fatto una stupida battuta,
io… io ho
pensato che potesse avere ragione, che fossi veramente grassa e che tu
potessi
non amarmi. Perché non sono bellissima, perché
sono complicata, perché ho un
carattere insicuro e perché sono un pessimo esempio per
Sylvia.”
Bill la strinse, singhiozzando nei
suoi capelli: “Cathe sei
quasi morta, ti ho quasi perso.. io ti amo oltre qualsiasi cosa al
mondo, sarei
disposto a sacrificare ogni cosa per te, la mia carriera, i Tokio; ma
tu sei
perfetta così, con le tue contraddizioni e con le tue
insicurezze. Non me ne
frega niente se non sei una modella, io ho scelto di stare con te e
basta.
Stiamo cercando di costruire qualcosa insieme apposta, o almeno io
voglio
costruire con te e con Sylvia una famiglia! Puoi darmi del pazzo o
dell’illuso
ma io ci voglio riuscire!”
Si accomodò meglio sul
letto per poterla fissare negli
occhi: “io ti ho dato tutta la mia fiducia,
però… devo capire una cosa: tu ami
ancora Franz?”
“no!” Cathe
scosse la testa in diniego: “no, non lo amo… ho
solo avuto paura che potesse avere ragione, perché ci tengo
troppo a te! Tengo
a te e Sylvia più di ogni altra cosa al mondo. Lo so che il
mio è stato un
ragionamento malato, ma… Bill ho bisogno di aiuto, ti prego
di non
abbandonarmi!”
Catharina scoppiò
finalmente in un pianto liberatorio tra le
braccia di Bill: il ragazzo cercò di calmarla e coccolarla:
“va tutto bene, ne usciremo
insieme! Stavolta per sempre,
non permetterò mai più a nessuno di farti del
male e di farti soffrire!”
“mi ci vorrà
tanto di quel tempo per uscire! Anche solo per
essere dimessa da questo ospedale!” piagnucolò la
ragazza; Bill la confortò
asciugandole le lacrime con il pollice:
“Prinzessin
di
tempo ne abbiamo: dobbiamo recuperane, però ne abbiamo
moltissimo davanti a
noi. Lo so sono stato un cretino a non farmi vedere in questi quattro
giorni,
ma… ho avuto paura! Ho avuto paura che tu mi
potessi… rifiutare! Che tu mi
avessi già rifiutato in qualche modo. E che la malattia
fosse un modo per
somatizzarlo.”
Bill la abbracciò stretta,
in modo da non incrociare il suo
sguardo: sapeva benissimo di averle mentito e non sarebbe stato in
grado di
reggere quella menzogna se avesse guardato negli occhi Catharina.
Non era certamente più in
collera con lei, in quei quattro
giorni aveva ragionato molto sulle parole scritte da Cathe nel suo
diario, e la
conferma che la ragazza non fosse più innamorata di Franz
l’aveva avuta dalle
parole stesse di Catharina; solo Bill non aveva il coraggio di dirle di
aver
letto il diario.
*°*°*°*
Cathe fu dimessa i primi di Agosto,
due mesi e mezzo dopo il
suo ricovero.
I tempi di ripresa erano stati
più lunghi del previsto, a
causa del complicato stato generale della ragazza: aveva dovuto
sopportare il
sondino per più di un mese e il tornare ad alimentarsi
normalmente era stato
uno dei momenti più difficili.
Contravvenendo a qualsiasi regola
dell’ospedale, Sylvia era
praticamente sempre in braccio alla ragazza e a seconda del suo stato
d’animo
la chiamava o mamma o Cathe: per convincerla a fare qualcosa, era mamma.
Mamma era
stato
convincerla a mangiare: pur avendo solo quattro anni e mezzo, Sylvia
era
estremamente intuitiva, aveva capito subito che i problemi di Cathe
erano
legati al cibo. All’ennesimo momento di indecisione di
Catharina di fronte al
piatto di verdure, Sylvia aveva preso la forchetta al posto della
ragazza e
l’aveva praticamente imboccata:
“mamma devi
mangiare!” le disse, ripetendo le parole dei
medici e spingendo la forchetta carica di carote bollite contro le
labbra della
ragazza: Catharina le aveva istintivamente aperte, mentre incatenava il
suo
sguardo a quello di Bill. Avevano deciso in quel frangente, senza
bisogno di
troppo parole e discorsi, che era il momento di spiegare a Sylvia
dell’anoressia.
E la piccola aveva capito. Aveva
capito cosa comportava
quella malattia che aveva fatto stare male la sua mamma.
E Cathe aveva capito le
priorità della sua vita.
“si va a
casa…” le disse Bill cingendole la vita alle
spalle
e scoccandole un bacio sulla nuca, mentre Catharina impacchettava nella
valigia
le innumerevoli cose che le avevano portato in ospedale;
“finalmente…”
gli rispose voltandosi per baciarlo
profondamente; vennero interrotti da un colpo di tosse ad hoc di Tom,
comparso
sulla porta:
“che sdolcinati, vero che
fanno venire la carie Sylvia?!”
disse bonariamente il rasta alla piccola ce teneva in spalla, che
annuì con
veemenza; il ragazzo proseguì: “ci sono un
po’ di persone passate per
festeggiare le dimissioni!”: Georg, Gustav, Noah, Medina,
Sabine, Daniela ed
Erika entrarono nella stanza per salutare Catharina
“ e
c’è anche altro!” aggiunse David mentre
entrava nella
stanza sventolando un foglio: “ ti comunico ufficialmente
che… hai vinto il
premio come miglior giovane manager!”
Lo sguardo di Catharina si
illuminò mentre veniva stretta da
Bill: “non ci credo! Fa leggere!” la ragazza
strappò letteralmente il foglio
dalle mani di Jost, ancora incredula;
“incredibile...”
bofonchiò “proprio oggi…”
“proprio oggi
cosa…” le chiesero praticamente tutti in coro;
si aggiunse anche il dottor Olshausen, entrato in quel momento con il
foglio di
dimissioni.
“allora, va beh tanto non
sarebbe rimasto un segreto molto a
lungo: visto tutto ciò che è successo ultimamente
e visto che arrivare da 38
chili a 42 e 450, come sono adesso è stata una gran fatica,
ho deciso che
lascio la Universal.”
Un brusio si diffuse per la stanza:
“come ci lasci?!” le
chiesero in coro Georg e Gustav
“ho deciso che per un
po’ farò la mamma di Sylvia a tempo
pieno!” disse la ragazza prendendo in braccio la piccola:
“sinceramente sono
ancora solo poco più di 42 chili e mi ci vorrà
molto tempo per riprendermi.
Inoltre entro in una terapia di gruppo, per cui ho bisogno di tempo per
gli
incontri e le riunioni. Tranquilli, David ha già trovato un
valido sostituto,
una certa Dunja… quindi non avete nessuna nuova rompipalle!
Cos’altro vi devo
dire? Grazie per essermi stati vicino in questo periodo!”
Appena salita, Catharina
reclinò la testa sul poggiatesta
della BMW, aspettando che Bill si sedesse al volante:
“finalmente si va a
casa!” gli disse mentre il ragazzo
metteva in moto la macchina: “conoscendoli pensavo
organizzassero una festa a
sorpresa nel loft! Così avrei passato tutto domani a
pulire!”
Bill sospirò, imboccando
Elbchaussee: “e invece no… in
effetti avrebbero voluto organizzare una festa a casa, ma
gliel’ho
categoricamente impedito!” fece un occhiolino a Sylvia.
Cathe lo notò:
“cosa mi state nascondendo voi due?”
“niente!” le
rispose festosa Sylvia dal seggiolino
“Bill!?” aggiunse
Catharina sospettosa: “Bill attenzione hai
sbagliato strada, dovevi girare prima! Possibile che non sai la
strada… ma come
guidi?!” gli disse in tono scherzoso Cathe; colse
però lo sguardo del ragazzo:
“la so benissimo la strada
di casa!” estrasse un mazzo di
chiavi dalla tasca: il portachiavi arancione Hermes di Catharina,
all’anello 4
chiavi che la ragazza non conosceva;
“Bill…”
disse in un soffio
“calma calma…
è cointestata, un po’ di soldi, almeno quelli
delle bollette li tiri fuori anche tu!”
“Bill ma
cosa…hai preso la casa in Elbchaussee?” Catharina
lo guardò stranita
“Ti piaceva, mi piaceva e
piaceva anche a Sylvia. Non
potevamo rimanere per sempre con Tom, abbiamo bisogno di una casa tutta
nostra!
Dopo tutto quello che è successo, è per lasciarci
tutto alle spalle ed avere un
nuovo punto di inizio!”
Si ritrovò Catharina tra
le braccia, la testa appoggiata
contro la sua spalla:
“andiamo a casa
Bill!”
Ed ecco qui… un nuovo
capitolo terminato! Puff puff… che
fatica!! Però, come premio per averlo letto fino in
fondo… ecco come ho
immaginato la casa di Bill Cathe e Sylvia!
http://www.immobilienscout24.de/46645318;jsessionid=01A3C0C204AD56CBA09150B728566F2D.worker1?exposeAction=ShowPictureOnPicturesTab&pictureIndexControl=0&sourceOfDoTabActionControl=LINK_TO_GALLERY&style=is24&is24EC=IS24&navigationbarurl=%2FSuche%2FWohnung-Kauf%2FUmkreissuche%2FHamburg%2F22605%2FOthmarschen%2Felbchaussee%2F-%2F5
lo so…
l’indirizzo è assurdamente lungo e il sito
è
Immobilien Scout 24 (che non mi appartiene e non ci guadagno un bel
nulla,
mettiamolo pure come Disclaimer)… ma si sa che sono schiappa
con il pc!!
Chiunque sarà nella sua
vita il possessore di codesta
meraviglia ha tutta la mia profonda invidia e ammirazione!!
Bacioni !!
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