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Autore: elektra810    06/01/2009    7 recensioni
Bill adora andare in tour ma odia doversi separare dalla sua prinzessin, sua figlia di 3 anni... cosa succede se un giorno nella vita di Bill comparisse una giovane assistente alla produzione che, come tutti, ignora che Bill ha una figlia?
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi qui! Pensavate fossi emigrata/dispersa/sparita! Invece eccomi con un nuovo capitolo! Tenetevi forte… siamo quasi agli sgoccioli!

Innanzitutto chiedo umilmente scusa per l’incredibile ritardo con cui aggiorno. Potreste non credermi ma ultimamente sono stata veramente molto impegnata e in più con le feste di mezzo è stata una vera tragedia riuscire a scrivere in piena digestione da cenone… sorry!!!

Per chi ancora ha la pazienza di leggere…  buona lettura!!

Grazie mio fedele pubblico… vi voglio bene!!!

Grazie a tutti coloro che recensiscono, leggono, commentano o anche mi insultano sia pubblicamente che nella loro mente!

 

Grazie soprattutto alla mia Sunsetdream per i preziosi consigli e l’opera di betaggio!! Ti voglio bene mia tesora!!!

 

 

 

 

 

Capitolo 22: the open door

 

 

 

Tom e Simone si precipitarono nella camera di Bill, spaventati dai rumori e dai tonfi che sentivano: il moro stava distruggendo tutto ciò che era a portata di mano; scagliava gli oggetti a terra, contro le pareti, li pestava, voleva sentire sotto i suoi piedi il crepitio dei cocci.

Perché era lo stesso rumore che aveva sentito nel suo cuore dopo aver letto il diario di Cathe.

Il suo mondo era andato in pezzi in quel preciso istante: era come se fosse morta una parte di lui, uccisa dalla stessa persona che lui amava incondizionatamente.

O forse pensava di amare.

 

Venne fermato da Tom: il gemello lo bloccò poco prima che si scagliasse contro la specchiera, prima che si facesse seriamente del male.

Lo fissò con sguardo supplice e interrogativo, spaventato nel vedere, forse per la prima volta nella sua vita, un moto d’ira riflesso negli occhi di Bill:

“Bill calmati ti prego!” il rasta cercava di farlo ragionare: “calmati! Cosa sta succedendo?”

“vieni qui… siediti!” gli intimò Simone accompagnandolo verso il letto: era seriamente preoccupata per Bill e perfettamente a conoscenza del fatto che non sarebbe stato in grado, che non era in grado, di gestire da solo quella situazione; si sedette accanto al figlio e l’abbracciò:

“cos’è successo Bill?” gli chiese dolcemente, accarezzandogli piano la schiena e scostandogli dagli occhi pieni di lacrime le ciocche corvine sfuggite alla coda;

Bill rimase immobile per qualche istante, avvolto dal suo mutismo impenetrabile; Tom si accorse solo in quel momento del diario di Cathe ai suoi piedi, capovolto, come se fosse stato scagliato.

Lo raccolse, appoggiandolo sul letto accanto a loro; quel gesto riscosse Bill:

“tu lo sapevi!” il moro continuava a fissare il pavimento di legno chiaro, ma l’affermazione era chiaramente rivolta a Tom;

il rasta si mordicchiò il piercing, tentennando: aveva capito a cosa si riferiva Bill; incrociò lo sguardo indagatore della madre:

“mi ha chiesto lei di non dirtelo…” sospirò mentre distoglieva lo sguardo dal fratello: “io… te l’avrei detto, ma mi ha fatto promettere di non farne parola, soprattutto con te: era già abbastanza delusa così, non voleva che anche tu lo fossi!”

“adesso lo sono però!” aggiunse Bill in un soffio

Simone gli prese il mento con una mano, costringendolo a voltarsi verso di lei: “e adesso Bill?”

“adesso sono solo arrabbiato mamma!” proruppe il ragazzo alzandosi: “non riesco a capire più nulla, non so che fare!” aggiunse massaggiandosi le tempie

“dovete parlare, è l’unica cosa che puoi fare… sì Cathe ha sbagliato, ma prova a darle un’altra possibilità!” gli rispose pacatamente Simone;

“un’altra possibilità?” chiese il ragazzo ironico, afferrando il diario: “leggi tu stessa! Un’altra possibilità ad una che scrive queste cose, ad una che tiene di più al suo ex che a me? Cazzo stiamo cercando casa insieme e tu diventi anoressica perché quell’imbecille di Franz ha fatto una battuta? Vuol dire che di me non gliene frega niente, che non gliene frega nemmeno di Sylvia! Io mi chiedo che razza di madre si crede…”

“Bill tutti sbagliamo…” gli disse Tom

“sì lo so… io ho sbagliato quando ho pensato che sarebbe potuta essere la madre di Sylvia!”

“Non dire così…” lo ammonì Simone

“non dire così? Mamma ma ti senti? Perché cosa dovrei fare?” le chiese ironicamente: “dovrei forse dire che bello la ragazza che amo è anoressica, ha rischiato di morire e forse ha anche perso nostro figlio?”

La madre dei gemelli sgranò gli occhi: le parole di Bill le erano giunte come un fulmine a ciel sereno; si voltò verso Tom, che non poté fare a meno di annuire mentre le sporgeva il diario.

“Bill…” sussurrò Simone dopo aver letto l’ultimo appunto,

“non so se la amo ancora…” le disse il ragazzo tra i singhiozzi.

 

 

*°*°*°*

 

 

“Tomi… che devo fare?”

Bill si era calmato solo dopo molto tempo e ora se ne stava abbracciato al fratello, entrambi distesi sul letto del moro, il rasta che gli accarezzava lentamente la schiena

“non lo so Billi…” gli rispose amaramente: “devi capire ciò che provi per lei!”

“lo so ciò che provo: sono arrabbiato, deluso, incazzato, forse più con me che con lei!”

“la ami?” Tom lo zittì con quella domanda diretta; Bill non gli rispose ma si staccò dall’abbraccio, voltandosi verso il bordo del letto a dare le spalle al fratello. Rimase immobile qualche minuto, cercando di trovare una risposta, cercando di capire.

Sentì Tom alzarsi per ritornare poco dopo: aveva in mano la cornice digitale.

Costrinse Bill  girarsi e lo riavvolse nel suo abbraccio, prima di avviare il ciclatore delle foto: il tono di Tom era pacato, tranquillo:

“devi capire se la ami…” gli sussurrò in un orecchio, mentre fissava la foto sullo schermo, scattata quando ancora non stavano insieme

“non lo so…” gli rispose distrattamente Bill mentre accarezzava l’immagine con la mano: “sono solo molto deluso Tom, deluso dal suo comportamento, deluso…” si interruppe; Tom proseguì la frase:

“deluso dal tuo?” diretto, letale.

“forse… non me ne sono accorto, forse non me ne sono voluto accorgere! Però le ossa sporgenti le sentivo, ma non avevo il coraggio di chiederle nulla! Tom io ho paura di perderla davvero! Ho paura di rimanere solo…”

“non sei solo, hai me e Sylvia!”

“Sylvia ha bisogno di una mamma! Una vera, una che le possa insegnare molto, che sia con lei nei momenti più importanti della sua vita, nel bisogno. Le basto già io come figura di genitore assente!”

“tu non sei mai stato un padre assente, anzi piuttosto il contrario! Tu ci sei sempre stato quando tua figlia ha avuto bisogno di suo padre, e Cathe c’era quando avevo di una madre!”

Il rasta fece scorrere alcune fotografie: erano principalmente di Sylvia, impegnata in vari giochi, o mentre andava in bici senza rotelline o in piscina. In tutte c’era Cathe.

“chi le ha insegnato a nuotare? I passi fondamentali della danza? A fare la ruota? Cathe… sempre lei! Perché c’è sempre stata per Sylvia!”

“Tomi perché allora si è ridotta in questo stato?” chiese Bill accoccolandosi meglio contro il fratello

“per te…”

 

 

*°*°*°*

 

 

Catharina sbatté più volte le palpebre, cercando di avere una visione più nitida dell’ambiente che la circondava: si sentiva la testa pesante e una sensazione di debolezza le pervadeva tutto il corpo; le dava fastidio la luce intensa in cui era avvolta la stanza e il brusio confuso che la circondava era un rumore quasi insopportabile.

Sentì distintamente solo le parole dell’infermiera che stava armeggiando con una flebo e il suo braccio:

“Professore… si sta riprendendo!”

Immediatamente Olshausen si voltò verso il letto:

“Catharina? Sono il Dottor Olshausen.” Le disse pacatamente: “stia tranquilla, non si agiti: si trova in questa clinica perché due giorni fa si è sentita male, l’hanno portata qui in arresto cardiaco, ma non si preoccupi, il problema è al momento arginato, dovrà restare qui in rianimazione ancora poche ore!”

Un moto di terrore attraversò lo sguardo di Cathe; la ragazza cercò di parlare, ma emise solo un flebile lamento:

“è normale che non riesca a parlare, è stata intubata quindi in questo momento le sue corde vocali sono abbastanza infiammate. Cerchi di non sforzarle. Le dirò io tutto ciò che ha bisogno di sapere sulle sue condizioni”

Cathe annuì cercando comunque di parlare; il dottore la ammonì prontamente: “non parli per favore, piuttosto cerchi di muovere solo le labbra ma non si sforzi, intesi?”

Cathe articolò Sylvia?: si ricordava di essere scesa in lavanderia con Sylvia accanto e il suo primo pensiero era stato per la piccola. Non si ricordava cosa fosse successo, aveva il terrore che anche alla piccola fosse capitato qualcosa.

Olshausen la tranquillizzò bonario: “non si preoccupi per la bimba, sta benissimo! Anzi deve ringraziarne la prontezza di spirito. È stata lei a chiamare aiuto. Ora è là fuori che aspetta di poter entrare. E si rilassi, questa è una clinica privata, non ci saranno fughe di notizie: diciamo che un certo signor Jost mi ha praticamente minacciato di morte professionale se anche un solo giornalista fosse comparso a meno di un chilometro dall’ospedale, quindi…”

Catharina non poté fare a meno di sorridere: aveva avuto la conferma che il primario sapeva benissimo chi lei fosse e soprattutto di Sylvia, ma confidava nel buon senso organizzativo di David.  Aveva solo voglia però di vedere Bill e Sylvia.

Indicò la porta con un cenno della mano, cercando di far capire al primario il suo desiderio: l’uomo, però, la bloccò:

“aspetti, la piccola la vedrà appena la trasferiremo in una stanza di degenza, una rianimazione non è certamente l’ambiente più adatto a una bambina. Inoltre vorrei farle un discorso molto franco!” prese una lunga pausa mentre controllava sui vari monitor che circondava Catharina i parametri fisiologici della ragazza; si voltò improvvisamente fissandola con sguardo corrucciato:

“ sarò molto molto schietto con lei, anche a costo di metterle paura: lei pesa 38 chili, riportati al suo 1,70 fanno un indice di massa corporea di 13,15. Non starò a dirle che si chiama anoressia, non starò neanche a chiederle i motivi e non parlerei neanche del suo precedente ricovero. Le faccio solo un quadro preciso delle sue attuali condizioni.” Quell’attuali fu puntualizzato da un gesto quasi iroso della mano del primario

“lei è arrivata qui in arresto cardiaco e il quadro dei valori ematici era a dir poco sconvolgente. Ora, stavolta le è andata bene, molto bene, ma se non ricomincia a mangiare e ad alimentarsi seriamente, con una dieta bilanciata, sana, regolare… la prossima volta non si salva. Arresto cardiaco vuol dire che il suo cuore non aveva più la forza di battere. L’ipokaliemia da cui è affetta potrebbe seriamente comprometterle l’apparato renale, per tacere del resto: lei ha 24 anni e un inizio di osteoporosi e di ulcera. Uscirne sarà lunga e dura, non le nascondo nulla, le dico anche che avrà miriadi di medicine da prendere e che per le prossime tre settimane almeno lei dovrà stare ricoverata. Ora… lo so, le potrà sembrare una filippica senza senso, ma se non vuole farlo per lei, lo faccia almeno per sua figlia e per il suo compagno. Hanno entrambi bisogno di lei.”

Olshausen le strinse una mano: “io e il mio team siamo a sua completa disposizione, io sono cardiologo ed è stata affidata a me nell’immediatezza viste le sue condizioni; se lei lo vuole potrei comunque continuare ad essere il suo medico di riferimento ma le consiglierei anche un supporto psicologico. Mi ha detto il suo compagno che dopo il precedente ricovero aveva cercato di uscirne da sola, stavolta cerchi un aiuto!”

Catharina abbassò lo guardo: pur sentendosi debole e frastornata era perfettamente cosciente di quello che le era successo: non l’aveva mai sfiorata l’idea di perdere tutto, di morire. Si ritrovò a fissare le flebo, gli aghi nelle sue vene, il sondino di alimentazione nella succlavia, i monitor che la circondavano: l’idea di perdere tutto, di perdere Sylvia era quasi insopportabile.

Quasi non si accorse delle lacrime che scendevano sulle guance:

 “ora non pianga!” le disse Olshausen: “per il momento è stabile, dobbiamo solo fare un piano di terapia e le prometto che nel giro di un mese, massimo un mese e mezzo lei torna a casa! Ma solo se lei segue scrupolosamente il trattamento. Torno oggi pomeriggio per il giro di visite, nel frattempo lei stia tranquilla!”

 

 

 

°*°*°*°

 

 

 

Fino a metà pomeriggio Catharina non aveva potuto ricevere visite: l’avevano dapprima trasferita in una stanza di lungo degenza e quindi avevano iniziato a fissare una serie di scadenze, controlli e incontri che l’avevano frastornata.

Aveva avuto poco tempo per pensare, il che da una parte era stato anche positivo.

Quando si era trovata infatti da sola, cosciente e relativamente in forze, troppi pensieri l’avevano assalita: aveva paura di non sapere cosa dire a Bill, come spiegargli, come chiedergli scusa. Ma soprattutto non sapeva cosa dire a Sylvia.

Olshausen era ottimista se pensava di rimetterla in piedi nel giro di un mese: si ricordava dei racconti delle altre ragazze incontrate alle sedute di terapia di gruppo a cui aveva partecipato dopo il primo ricovero: tutte erano rimaste in ospedale almeno due mesi, e le condizioni in cui erano state ricoverate non erano certamente serie come le sue.

E due mesi, con il suo lavoro e con i suoi progetti di vita erano un tempo enorme.

 

 

Si voltò di scatto verso la porta appena sentì il cigolio dei cardini: si ritrovò di fronte a due occhi color cioccolato che la fissavano preoccupati e inquieti, un sorriso stanco e tirato come saluto:

“ehi… sei sveglia!”

“ciao Tomi!” gli rispose la ragazza, mentre il suo sorriso svaniva: aveva sperato fosse Bill.

Il rasta si avvicinò al letto cautamente, soppesando ogni passo e ogni parola:

“come ti senti?” le chiese quasi in un soffio

“senza forze e con il cervello confuso!” gli rispose Cathe ridacchiando: allungò una mano a cercare quella di Tom: “Sylvia?”

“è lì fuori con mia mamma, te la chiamo! È incontenibile, muore dalla voglia di vederti!”

Catharina fece appena in tempo a mettersi seduta che la bimba irruppe nella stanza, saltandole letteralmente al collo con un balzo che mai si sarebbe aspettata: la fissò qualche istante, mentre con le manine stringeva il camicione da ospedale di Catharina, come per sincerarsi che la ragazza fosse veramente lì con lei; non appena Cathe si accorse che gli occhi della piccola si riempivano di lacrime e il labbro iniziava a tremare la strinse a sé:

“amore sono qui, non piangere!” sapeva che erano parole perfettamente inutili e che la piccola sarebbe profusa in un pianto liberatorio; non si aspettava solo di sentire una semplice parola:

“mamma…” mugolò Sylvia tra le lacrime, prima di stringersi ancora più al petto della ragazza.

Il cuore di Cathe perse un battito a sentire quella parola: il tempo sembrò dilatarsi in uno spazio infinito, tutto sembrò al rallentatore per una frazione di secondo

Mamma

Quella parola le rimbombava nel cervello, la stava confondendo: Sylvia l’aveva chiamata mamma, le aveva fatto forse il più grande regalo che mai aveva sperato dalla vita.

Pensava di aver deluso tutti, e aveva avuto un’altra possibilità. Non sapeva neanche lei se piangere o ridere.

Avrebbe solo desiderato avere Bill al suo fianco, condividere con lui quel momento.

Lo conosceva bene però, conosceva il suo carattere. Era arrabbiato con lei e la sua assenza ne era la chiara manifestazione: avrebbe voluto chiedere spiegazioni a Tom, sapere quanto Bill fosse deluso o ferito, ma non con Sylvia presente.

La piccola era già abbastanza frastornata così senza aver bisogno di ulteriori stress;

Tom intuì i pensieri di Catharina dallo sguardo smarrito della ragazza: continuava ad accarezzare la testolina bionda di Sylvia e a sussurrarle quanto le voleva bene, ma certamente nei suoi occhi si potevano cogliere innumerevoli domande

Il rasta decise quindi di colmare il silenzio della stanza: “abbiamo avuto tutti paura!”

“cos’è successo Tomi?” Catharina incrociò il suo sguardo

“mi sembra ancora adesso assurdo: ti sei sentita male nella lavanderia e ti ha soccorsa una ragazza…” il biodo prese un profondo respiro: “a quanto pare si era intrufolata nel parcheggio per fotografare la Cadillac, classica fan stalker, Sylvia l’ha vista e le si è avvicinata, poi hanno sentito il tuo tonfo e  boh… è successo tutto così in fretta. C’è da dire che la stalker è la figlia del dottor Olshausen, è lei che mi ha suggerito di portarti qui!”

“clinica privata… in effetti è stata una buona scelta!”

“sì almeno non ci ritroviamo con stampa e paparazzi: credo che David sia stato molto convincente con il primario e questi a sua volta con la figlia, per fare in modo che non vi siano fughe di notizie. Per il momento è tutto tranquillo!”

“già…” gli rispose Cathe abbassando lo sguardo su Sylvia: la piccola stava osservando con molta attenzione i monitor e le flebo a cui Catharina era collegata; sia la ragazza che Tom si stupirono che la bimba non li aveva ancora subissati di domande.

Una carezza di Tom la costrinse a incrociare nuovamente lo sguardo del rasta: “come ti senti?”

Cathe inspirò profondamente: “fisicamente uno straccio, psicologicamente distrutta. Olshausen è stato molto chiaro con me stamattina.”

“lo so…” aggiunse Tom: “gli ho chiesto anche io e…” venne interrotto da Sylvia che continuava con insistenza a tirare un lembo del camicione di Catharina:

“perché hai un tubo nel collo?” chiese la piccola a bruciapelo, Catharina non sapeva come risponderle: probabilmente la verità sulle sue condizioni e sulla sua malattia non sarebbe stata comprensibile per Sylvia e il risultato sarebbe stata soltanto una maggiore confusione.

“perché serve per darmi da mangiare, non… non riesco a mangiare normalmente e allora i medici hanno escogitato questo sistema!”

Sylvia non sembrava convinta della risposta: “ma non riesci a mangiare o non vuoi mangiare?”

“cosa?” le chiesero praticamente in coro Catharina e Tom

La piccola rispose candidamente: “ho sentito lo zio Georg che l’altro giorno diceva che non volevi mangiare… sembrava anche arrabbiato ma non ho capito molto il perché, confabulava con zio Gus e Noah!”

“quei tre li pesto!” bisbigliò Tom, cercando di prendere tempo per inventare una spiegazione plausibile; Cathe ebbe maggior prontezza:

“Sylvia, Georg ha in parte ragione, anche se la mia malattia è abbastanza complicata. Però facciamo un patto noi due: tu fai la brava, stai tranquilla e mi vieni spesso a trovare in ospedale che dovrò stare qui a lungo, e io ti prometto che guarisco! Va bene? Prometti?”

La piccola le si gettò al collo, stringendola con le braccine: “promesso!”

“bene… ora che ne dici di andare con la nonna a fare merenda? Poi dopo tornate qui a trovarmi, tutte e due!”

La piccola scese con un balzello dal letto, incamminandosi verso la porta; si voltò e chiese a Cathe: “però tu guarisci vero?”

“sì! Adesso vai…” le disse Catharina con un sorriso.

Non appena la piccola uscì dalla stanza si voltò verso Tom; voleva solo fargli una semplice domanda:

“dov’è Bill?!”

Il rasta si mordicchiò nervosamente il piercing, evitando di incrociare lo sguardo della ragazza: Cathe lo costrinse a guardarla negli occhi prendendogli una mano tra le sue:

“Tomi non sono scema, ho bisogno di sapere!”

Tom sospirò, distogliendo lo sguardo da quello di Catharina: “è arrabbiato, e confuso e deluso… non so, probabilmente non sa neanche lui cosa vuole in questo momento!”

“non me di sicuro!” gli rimbeccò amaramente Cathe

“lui ti vuole eccome, ha solo… paura! Cathe senti, lo sai che con me puoi essere franca, ci siamo confidati tante cose, già solo il discorso dell’altro giorno… a me lo puoi dire, cos’è successo? non so perché ma tu e mio fratello mi avete investito del ruolo di pacere, beh io non lo so fare: non voglio fare da tramite! Se avete dei problemi dovreste risolverli voi due soli, invece no, tanto c’è Tom che ci pensa!” il rasta si agitava camminando per la stanza, facendo ridacchiare Catharina

“non sei credibile quando ti arrabbi!” Tom non aggiunse altro, ma si sedette accanto a Cathe:

“tu non lo sei quando menti: adesso voglio sapere il perché, lo voglio sapere io prima di Bill, perché così posso prevedere le razioni di mio fratello, posso aiutarlo, posso aiutarvi”

“prometti che non ti arrabbi se te lo dico?!”  Tom annuì

Catharina sospirò profondamente: conosceva bene Tom e certi suoi moti violenti d’ira, per sicurezza gli bloccò i polsi con la poca forza che aveva in corpo:

“ho… di nuovo visto Franz!”

“cosa?” gli chiese d’un fiato Tom, Cathe annuì, proseguendo:

“è stato a febbraio, quando ero andata a Berlino, l’ho incontrato al 1900 durante il brunch e, lo so è assurdo, ma lui ha fatto una battuta, tipo sempre a mangiare e da lì è nato tutto!”

“No Cathe ti prego no…” Tom cercò di divincolarsi dalla stretta della ragazza: “non puoi dirmelo, io lo ammazzo quel pezzo di merda, con le mie mani!” si alzò dal letto imprecando

“ma anche tu, cazzo, fregatene di uno così, mandalo a fanculo! Ma stai con Bill non con lui!hai Bill, hai Sylvia, hai tutto… Bill ti ama lo stesso, per come sei, senza remore e senza farsi nessuna domanda, non te la devi fare neanche tu! Bill ha per te un amore incondizionato, totale, devoto. Te ne devi fottere di quella merda!”

Cathe si mise a singhiozzare: non si aspettava una reazione simile da parte di Tom e si era pentita di essersi confidata con il ragazzo. Il rasta però l’abbracciò, prendendole il viso tra le mani per asciugarle le lacrime:

“voglio che rispondi sinceramente a una mia domanda: ami ancora Franz?”

Cathe si mordicchiò un labbro, tergiversando: “non lo so… no, o forse sì… non so!”

Tom prese un profondo respiro: “lo ami? Quello? O ami di più Sylvia che ti chiama mamma? Bill che ti dice che sei la sua principessa, la mamma di sua figlia? Ami quello che non è stato o ami quello che hai ?”

“io voglio Bill e Sylvia… ma devi capirmi! E se un giorno Bill mi lasciasse, se mi trovasse brutta? Non sono una supermodella, mi guardo anche io allo specchio!” il tono di Catharina era mutato dal disperato all’irato; Tom la abbracciò, cercando di farla calmare e ragionare:

“Bill ti ama per quello che sei, per tutto, anche per il tuo passato e per il tuo presente. Non frega nulla a nessuno se non sei miss universo: noi uomini con le strafighe ci andiamo solo a letto, sono solo scopate. Sono delle tacche sulla nostra cintura, dei poster ambulanti! Le donne vere le sposiamo invece, ci viviamo insieme, ci facciamo dei figli insieme. Perché non sono solo dei contenitori vuoti di bellezza, ma hanno contraddizioni, sogni, speranze delusioni e incazzature che ci rendono vivi e le rendono vive. Te lo metti nel tuo cervellino che Bill non vuole nessun’altra che te?”

“perché allora non è qui con me? Dov’è?” gli chiese Cathe quasi gridando, stordita da quel discorso

“il perché lo conosci… devi dargli tempo! Sarà lui stesso il primo a venire  a chiederti scusa per non averlo fatto prima, per non essere stato qui con te oggi: ma devi dargli i suoi tempi…” Tom le accarezzò lentamente una guancia, dandole un leggero bacio sulla fronte:

“ci siamo capiti? Devi dirgli, in tutta sincerità e franchezza, la verità. Sarà dolorosa per entrambi ma almeno ne uscirete!”

Cathe annuì, trattenendo in un abbraccio Tom: “grazie… è l’ennesimo grazie che ti devo!”

“figurati… non sai quanti te ne devo io!” le rispose il ragazzo ridacchiando: “senti, io parlerò con Bill, ti preparo il campo, ma tu mi raccomando, devi essere sincera con lui, dirgli tutto prima che lo scopra da solo! Promesso?”

“promesso!” disse in un sospiro la ragazza

“vado a recuperare Sylvia?!” il sorriso di Catharina, stanco, tirato ma vero, bastò a Tom come risposta.

 

 

 

°*°*°*°

 

Quattro giorni

Quattro giorni da quando l’avevano ricoverata

Quattro giorni in cui Bill non si era fatto vedere. Né una visita, né un messaggio, nemmeno una telefonata.

Quattro giorni in cui Cathe si era arrovellata cercando una spiegazione, cercando di capire il perché di quell’assenza;

in tutto quel tempo aveva soprattutto cercato le parole per spiegarsi con Bill: aveva pensato a mille modi per dirglielo, a mille modi per chiedergli scusa e per implorare il suo perdono. Più continuava a pensare, più il senso di colpa le pervadeva il cuore e le annebbiava la mente.

E ogni volta che si apriva la porta della stanza, Cathe sussultava al pensiero che finalmente fosse Bill.

Le sue aspettative erano deluse però ogni volta.

Non che le dispiacesse il via vai continuo di amiche e amici, anzi, la aiutavano a rilassarsi e a riprendere le fila della sua vita, ma sognava il momento in cui sarebbe apparso Bill.

 

 

Anche se adorava quelli in cui la porta si apriva all’improvviso e Sylvia irrompeva nella stanza con la sua allegra giocosità: passava le giornate con Cathe, anche se molti dicevano che non era né l’ambiente né la situazione più adatta per una bambina.

Cathe gli aveva etichettati come benpensanti: probabilmente avevano le loro buone ragioni, ma conoscendo il carattere di Sylvia sapeva benissimo che sarebbe stata in grado di fronteggiare e comprendere il ricovero di Catharina.

La piccola riusciva ogni giorno a inventarsi nuovi giochi ma anche nuovi modi per seminare lo scompiglio nell’intero reparto; inoltre aveva “stretto amicizia” con Erika: l’aveva incontrata e riconosciuta in corridoio e letteralmente trascinata a conoscere Catharina.

  Tom né al dottor Olshausen la situazione era granché piaciuta ma avevano preferito tacere per il bene di Catharina. Indubbiamente al primario non piaceva molto che la figlia frequentasse tanto assiduamente Cathe ma sapeva benissimo che i motivi che la spingevano a farlo erano un paio di occhi nocciola contornati da rasta.

Cathe ed Erika andavano però molto d’accordo: entrambe patite di musica metal e danza, avevano iniziato a parlare quasi per caso e la compagnia di Erika aveva fatto molto bene alla ragazza; in molti avevano osservato una certa vivacità in Catharina dopo che Erika era andata a trovarla, come se questa potesse farle dimenticare per qualche momento l’assenza di Bill.

Anche quel pomeriggio era comparsa Erika, all’ora di merenda (per Sylvia), portando con sé muffin al cioccolato per far star buona la bimba almeno dieci minuti e dare un po’ di tregua a Catharina.

“buongiorno…” disse Erika dalla soglia della stanza,

Cathe e Sylvia alzarono insieme lo sguardo: erano immerse nella lettura di Chocolat, a dispetto del titolo il libro preferito da Catharina; la piccola proruppe subito in uno dei suoi squillanti saluti:

“Erika!! Ciao sei passata anche oggi a trovarci!”

“potevo mancare?” le chiese la ragazza scompigliandole la frangetta: la piccola si passò subito freneticamente le mani nei capelli per cercare di accomodarseli; Cathe ed Erika ridacchiarono all’unisono:

“esattamente come suo padre!” disse Cathe: “allora, cosa mi racconti?”

“mah il solito, tutto nella norma… e tu? Sempre a rimuginare?”

Cathe annuì: le aveva spiegato abbastanza dettagliatamente la sua storia quando aveva capito che di lei si poteva fidare. A dispetto delle apparenze e dei 17 anni appena compiuti Erika si era dimostrata una ragazza molto saggia e matura e Cathe si era confidata volentieri con lei.

“certamente, oggi siamo a quattro giorni!” le disse in tono pacato per non farsi sentire troppo da Sylvia;

“tu hai provato a chiamarlo?”

“no! È cocciuta!” rispose Sylvia di rimando, tra un boccone di muffin e un altro,

“chi dice che sono cocciuta?” le disse Cathe con falso tono di rimprovero

“lo zio Tomi, dice che tu e papà siete cocciuti come due muli!”

“ringraziamo lo zio Tomi che porterà questa creatura sulla strada della totale anarchia!” disse ridacchiando: “ehi che combini, lascia stare il mio cellulare!”

Erika si era infatti impossessata del Nokia di Catharina: “o lo chiami tu o faccio partire io la chiamata!”

Cathe riprese il cellulare dalle mani della ragazza: “lasciamo perdere per il momento…” disse fissando la foto sullo schermo: ritraeva Bill e Sylvia abbracciati “credo sia meglio se parliamo a voce, ma io sono bloccata qui per il prossimo mese e mezzo!”

“dai… non ti abbattere, almeno fallo per Sylvia!”

“è abbastanza difficile essere forti anche per lei!” le rispose Cathe sospirando: “comunque… tu che mi dici?”

“che devo ancora chiedere scusa a qualcuno!” sbuffò Erika

“almeno la macchina foto te l’ha restituita?” chiese Catharina

“no… e credo sia un punto a mio vantaggio, almeno sarà costretto a riportarmela quando non avremo più motivi per incontrarci…”

“perché, una volta dimessa non passi più a trovarmi?”  chiese Cathe seguita a ruota da Sylvia

“certo sciocchine che passo a trovarvi! Almeno ho la scusa per vedere Tom!”

“certo che sei proprio una stalker!” le due ragazze si misero a ridere in coro, finché Erika non chiese:

“come avete fatto a tenere nascosta Sylvia per tutto questo tempo?”

“più che avete, è un come…” le rispose Catharina sfruttando un momento di distrazione della piccola: “è vissuta praticamente segregata a Loitsche dalla nascita fino all’inizio di quest’anno: niente gite, niente amici, a volte neanche usciva in cortile… da quando poi siamo qui ad Amburgo le cose sono persino più complicate; a volte mi chiedo se non sarebbe di tutelarla organizzando una bella conferenza stampa; almeno per quando andrà a scuola le acque si dovrebbero essere calmate!” aggiunse ironica

“beh sei speranzosa! Se già così c’è gente che osserva i vostri movimenti 24 ore al giorno, figuriamoci sapessero di Sylvia. Anche se chi parla dovrebbe farsi un bell’esame di coscienza!”

“chi parla non verrà mai abbastanza ringraziato da me! Se non era per te adesso non saremmo qui a parlare!”

“ciò non toglie che in effetti stavo facendo la stalker, Tom ha perfettamente ragione!”

“lascialo perdere, ormai per lui stalker è il tuo soprannome, ma non lo pensa veramente! Fidati ho avuto modo di scoprirlo!”

Erika la guardò con aria stupita, mentre Catharina riprendeva in braccio Sylvia: “non sgranare quegli occhioni! Fidati, conosco abbastanza bene Tom da sapere quando è arrabbiato; per carità non lo ammetterebbe neanche sotto tortura ma in realtà sa benissimo che ti deve ringraziare!”

“tu e Tom andate molto d’accordo vero?” chiese Erika, sollevata dalla risposta di Cathe

“per me è una specie di fratello! Come al solito gli devo tutto anche stavolta!”

“anche stavolta?” chiese Erika

“sì…già lo devo ringraziare perché mi ha fatto ragionare sui miei sentimenti per Bill e quindi averci permesso di stare insieme; poi perché mi ha convinto ad andare a vivere con Bill, insomma mi sa che anche stavolta lo devo ringraziare!”

Erika sorrise all’idea di un Tom completamente diverso dalla sua immagine pubblica; Cathe intuì i suoi pensieri:

“sotto sotto il SexGott è solo una facciata, non lo è in realtà; sì a volte è stronzo ma è un ruolo in cui si rifugia: lui è sempre stato il fratello maggiore, quello che doveva proteggere Bill, che doveva avere forza per entrambi. Ha comunque le sue debolezze anche lui! Giusto Sylvia? Tu sì che sei una debolezza dello zio, ti riempie di regali!” disse Catharina solleticando i fianchetti della piccola che proruppe in una risata

“sì, lo zio mi vizia molto! Ma anche papà!”

“secondo me tuo papà non solo ti vizia, ti stravizia!” aggiunse Erika: Cathe non poté fare a meno di annuire:

“sì la stravizia! Racconta un po’ a Erika della marea di giochi che hai e della miriade di vestiti! Che poi neanche li metti…”

“Bill è un ottimo padre vero?!” le chiese Erika

Catharina assentì: “a dispetto di quello che potrebbe dire  la gente è un padre favoloso! È attendo, premuroso, presente; non sai quanti voli intercontinentali si è fatto per stare magari anche solo due giorni con Sylvia. Lo dico con coscienza di causa, ho presente cosa vuol dire avere dei genitori assenti!”

“il discorso dell’altro giorno?” chiese Erika

“sì… spero solo che Sylvia non si ritrovi un giorno a provare per me e Bill quello che ho provato io per i miei genitori!” aggiunse amaramente Cathe

“no.. è impossibile!”

“speriamo…” concluse Cathe fissando per qualche istante la Sylvia.

Si voltarono entrambe pochi istanti dopo, sentendo aprire la porta: sulla soglia comparve Tom, lo sguardo leggermente corrucciato alla vista di Erika con Sylvia e Catharina.

Qualcosa gli diceva di non fidarsi della ragazza, anche se si era sempre dimostrata affidabile: probabilmente era solo a causa delle innumerevoli delusioni che gli avevano dato persone che credeva amiche.

“Sylvia vieni con me a fare merenda?” disse il ragazzo con tono quasi neutro

“ma zio ho appena mangiato un muffin che mi ha portato Erika!” gli rispose la bimba con sguardo annoiato

“Sylvia allora perché non vai a prendere una coca con lo zio?” la piccola annuì e dopo aver scoccato un bacio sulla guancia di Sylvia saltò giù dal letto correndo incontro a Tom; venne però richiamata da Catharina:

“Sylvia, non dimentichi niente?”

la piccola scosse la testa: “bacino te l’ho dato!”

“Sylvia, qui c’è anche Erika, chiedile se vuole unirsi a voi, è una cosa educata!”

-e un colpo basso nei confronti dello zio!- soggiunse mentalmente Catharina mentre ridacchiava osservando le facce sconvolte di Tom ed Erika

“non mi sembra il caso…” proruppe la ragazza ma venne interrotta da Tom:

“dai andiamo, ti offro un caffè!” le disse mentre con un gesto le indicava il corridoio; Erika sospirò, sibilando un questa me la paghi all’indirizzo di Cathe

“dai… è una buona occasione!” le sussurrò Catharina stessa mentre Erika raccoglieva tracolla e giubbotto.

“non credo proprio!” le rispose Erika scoccandole un bacio sulla guancia: “ci vediamo domani tesora! Fai la brava e chiamalo!” le disse sparendo oltre la porta e inseguendo Tom e Sylvia.

Cathe non poté fare a meno di sorridere a sua volta dopo aver visto il sorrisone a 32 denti comparso sul viso di Erika mentre trottava dietro a Tom.

Si voltò verso la finestra, allungando la mano sul comodino per afferrare il cellulare.

 

 

 

*°*°*°*

 

“sono qui!”

Cathe si voltò di scatto, lasciando cadere sul letto il cellulare: fissò Bill ancora sulla porta, lo sguardo basso, i capelli raccolti in una morbida coda sul collo, le mani che torturavano nervosamente i manici della borsa;

entrò nella stanza con passo lento, quasi faticoso. Catharina cercò di distogliere lo sguardo dal ragazzo: non aveva coraggio per guardarlo direttamente negli occhi; si lasciò ricadere sui cuscini, voltandosi verso la finestra.

Non si girò neanche quando sentì il materasso piegarsi leggermente sotto il peso di Bill e la mano del ragazzo che accarezzava lentamente il dorso della sua;

Catharina non riuscì a trattenere una lacrima: chiuse gli occhi, scuotendo leggermente la testa;

“scusami Bill!”

Il ragazzo sospirò profondamente, prendendo un interminabile momento di silenzio prima di rispondere alla ragazza:

“perché l’hai fatto?” il tono quasi adirato, molto deluso

“sono una cretina… è che ho avuto paura di perderti!”

Bill le prese il mento con una mano, costringendola a guardarlo negli occhi:

“stavi per perdermi veramente! Io stavo per perdere te! Sei la cosa più importante che ho con Sylvia, perché l’hai fatto?”

Cathe sospirò profondamente: “abbracciami ti prego!”gli chiese gettandosi letteralmente al collo di Bill; il moro ricambiò l’abbraccio della compagna, stringendola a sé

“Ho… rivisto Franz!” Catharina sentì Bill irrigidirsi nel suo abbraccio, lo trattenne istintivamente: “ero a Berlino con le ragazze, eravamo al 1900 per il brunch e lui ha fatto una stupida battuta, io… io ho pensato che potesse avere ragione, che fossi veramente grassa e che tu potessi non amarmi. Perché non sono bellissima, perché sono complicata, perché ho un carattere insicuro e perché sono un pessimo esempio per Sylvia.”

Bill la strinse, singhiozzando nei suoi capelli: “Cathe sei quasi morta, ti ho quasi perso.. io ti amo oltre qualsiasi cosa al mondo, sarei disposto a sacrificare ogni cosa per te, la mia carriera, i Tokio; ma tu sei perfetta così, con le tue contraddizioni e con le tue insicurezze. Non me ne frega niente se non sei una modella, io ho scelto di stare con te e basta. Stiamo cercando di costruire qualcosa insieme apposta, o almeno io voglio costruire con te e con Sylvia una famiglia! Puoi darmi del pazzo o dell’illuso ma io ci voglio riuscire!”

Si accomodò meglio sul letto per poterla fissare negli occhi: “io ti ho dato tutta la mia fiducia, però… devo capire una cosa: tu ami ancora Franz?”

“no!” Cathe scosse la testa in diniego: “no, non lo amo… ho solo avuto paura che potesse avere ragione, perché ci tengo troppo a te! Tengo a te e Sylvia più di ogni altra cosa al mondo. Lo so che il mio è stato un ragionamento malato, ma… Bill ho bisogno di aiuto, ti prego di non abbandonarmi!”

Catharina scoppiò finalmente in un pianto liberatorio tra le braccia di Bill: il ragazzo cercò di calmarla e coccolarla:

“va tutto bene, ne usciremo insieme! Stavolta per sempre, non permetterò mai più a nessuno di farti del male e di farti soffrire!”

“mi ci vorrà tanto di quel tempo per uscire! Anche solo per essere dimessa da questo ospedale!” piagnucolò la ragazza; Bill la confortò asciugandole le lacrime con il pollice:

Prinzessin di tempo ne abbiamo: dobbiamo recuperane, però ne abbiamo moltissimo davanti a noi. Lo so sono stato un cretino a non farmi vedere in questi quattro giorni, ma… ho avuto paura! Ho avuto paura che tu mi potessi… rifiutare! Che tu mi avessi già rifiutato in qualche modo. E che la malattia fosse un modo per somatizzarlo.”

Bill la abbracciò stretta, in modo da non incrociare il suo sguardo: sapeva benissimo di averle mentito e non sarebbe stato in grado di reggere quella menzogna se avesse guardato negli occhi Catharina.

Non era certamente più in collera con lei, in quei quattro giorni aveva ragionato molto sulle parole scritte da Cathe nel suo diario, e la conferma che la ragazza non fosse più innamorata di Franz l’aveva avuta dalle parole stesse di Catharina; solo Bill non aveva il coraggio di dirle di aver letto il diario.

 

 

 

*°*°*°*

 

 

 

Cathe fu dimessa i primi di Agosto, due mesi e mezzo dopo il suo ricovero.

I tempi di ripresa erano stati più lunghi del previsto, a causa del complicato stato generale della ragazza: aveva dovuto sopportare il sondino per più di un mese e il tornare ad alimentarsi normalmente era stato uno dei momenti più difficili.

Contravvenendo a qualsiasi regola dell’ospedale, Sylvia era praticamente sempre in braccio alla ragazza e a seconda del suo stato d’animo la chiamava o mamma o Cathe: per convincerla a fare qualcosa, era mamma.

Mamma era stato convincerla a mangiare: pur avendo solo quattro anni e mezzo, Sylvia era estremamente intuitiva, aveva capito subito che i problemi di Cathe erano legati al cibo. All’ennesimo momento di indecisione di Catharina di fronte al piatto di verdure, Sylvia aveva preso la forchetta al posto della ragazza e l’aveva praticamente imboccata:

“mamma devi mangiare!” le disse, ripetendo le parole dei medici e spingendo la forchetta carica di carote bollite contro le labbra della ragazza: Catharina le aveva istintivamente aperte, mentre incatenava il suo sguardo a quello di Bill. Avevano deciso in quel frangente, senza bisogno di troppo parole e discorsi, che era il momento di spiegare a Sylvia dell’anoressia.

E la piccola aveva capito. Aveva capito cosa comportava quella malattia che aveva fatto stare male la sua mamma.

E Cathe aveva capito le priorità della sua vita.

 

 

 

 

“si va a casa…” le disse Bill cingendole la vita alle spalle e scoccandole un bacio sulla nuca, mentre Catharina impacchettava nella valigia le innumerevoli cose che le avevano portato in ospedale;

“finalmente…” gli rispose voltandosi per baciarlo profondamente; vennero interrotti da un colpo di tosse ad hoc di Tom, comparso sulla porta:

“che sdolcinati, vero che fanno venire la carie Sylvia?!” disse bonariamente il rasta alla piccola ce teneva in spalla, che annuì con veemenza; il ragazzo proseguì: “ci sono un po’ di persone passate per festeggiare le dimissioni!”: Georg, Gustav, Noah, Medina, Sabine, Daniela ed Erika entrarono nella stanza per salutare Catharina

“ e c’è anche altro!” aggiunse David mentre entrava nella stanza sventolando un foglio: “ ti comunico ufficialmente che… hai vinto il premio come miglior giovane manager!”

Lo sguardo di Catharina si illuminò mentre veniva stretta da Bill: “non ci credo! Fa leggere!” la ragazza strappò letteralmente il foglio dalle mani di Jost, ancora incredula;

“incredibile...” bofonchiò “proprio oggi…”

“proprio oggi cosa…” le chiesero praticamente tutti in coro; si aggiunse anche il dottor Olshausen, entrato in quel momento con il foglio di dimissioni.

“allora, va beh tanto non sarebbe rimasto un segreto molto a lungo: visto tutto ciò che è successo ultimamente e visto che arrivare da 38 chili a 42 e 450, come sono adesso è stata una gran fatica, ho deciso che lascio la Universal.”

Un brusio si diffuse per la stanza: “come ci lasci?!” le chiesero in coro Georg e Gustav

“ho deciso che per un po’ farò la mamma di Sylvia a tempo pieno!” disse la ragazza prendendo in braccio la piccola: “sinceramente sono ancora solo poco più di 42 chili e mi ci vorrà molto tempo per riprendermi. Inoltre entro in una terapia di gruppo, per cui ho bisogno di tempo per gli incontri e le riunioni. Tranquilli, David ha già trovato un valido sostituto, una certa Dunja… quindi non avete nessuna nuova rompipalle! Cos’altro vi devo dire? Grazie per essermi stati vicino in questo periodo!”

 

 

 

Appena salita, Catharina reclinò la testa sul poggiatesta della BMW, aspettando che Bill si sedesse al volante:

“finalmente si va a casa!” gli disse mentre il ragazzo metteva in moto la macchina: “conoscendoli pensavo organizzassero una festa a sorpresa nel loft! Così avrei passato tutto domani a pulire!”

Bill sospirò, imboccando Elbchaussee: “e invece no… in effetti avrebbero voluto organizzare una festa a casa, ma gliel’ho categoricamente impedito!” fece un occhiolino a Sylvia.

Cathe lo notò: “cosa mi state nascondendo voi due?”

“niente!” le rispose festosa Sylvia dal seggiolino

“Bill!?” aggiunse Catharina sospettosa: “Bill attenzione hai sbagliato strada, dovevi girare prima! Possibile che non sai la strada… ma come guidi?!” gli disse in tono scherzoso Cathe; colse però lo sguardo del ragazzo:

“la so benissimo la strada di casa!” estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca: il portachiavi arancione Hermes di Catharina, all’anello 4 chiavi che la ragazza non conosceva;

“Bill…” disse in un soffio

“calma calma… è cointestata, un po’ di soldi, almeno quelli delle bollette li tiri fuori anche tu!”

“Bill ma cosa…hai preso la casa in Elbchaussee?” Catharina lo guardò stranita

“Ti piaceva, mi piaceva e piaceva anche a Sylvia. Non potevamo rimanere per sempre con Tom, abbiamo bisogno di una casa tutta nostra! Dopo tutto quello che è successo, è per lasciarci tutto alle spalle ed avere un nuovo punto di inizio!”

Si ritrovò Catharina tra le braccia, la testa appoggiata contro la sua spalla:

“andiamo a casa Bill!”

 

 

 

 

 

Ed ecco qui… un nuovo capitolo terminato! Puff puff… che fatica!! Però, come premio per averlo letto fino in fondo… ecco come ho immaginato la casa di Bill Cathe e Sylvia!

 

http://www.immobilienscout24.de/46645318;jsessionid=01A3C0C204AD56CBA09150B728566F2D.worker1?exposeAction=ShowPictureOnPicturesTab&pictureIndexControl=0&sourceOfDoTabActionControl=LINK_TO_GALLERY&style=is24&is24EC=IS24&navigationbarurl=%2FSuche%2FWohnung-Kauf%2FUmkreissuche%2FHamburg%2F22605%2FOthmarschen%2Felbchaussee%2F-%2F5

 

lo so… l’indirizzo è assurdamente lungo e il sito è Immobilien Scout 24 (che non mi appartiene e non ci guadagno un bel nulla, mettiamolo pure come Disclaimer)… ma si sa che sono schiappa con il pc!!

Chiunque sarà nella sua vita il possessore di codesta meraviglia ha tutta la mia profonda invidia e ammirazione!!

Bacioni !!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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