22
Inciso su un proiettile
Matt era rimasto silenzioso per tutto il tragitto
dalla palestra fino a casa. Kelly era abituato alle battute e alle
chiacchiere da nulla, così come al silenzio nel quale si
adagiavano, troppo stanchi e rilassati per concedersi alle parole.
Molto prima che la loro storia cominciasse, lui aveva imparato a capire
ognuno dei silenzi di Matt: quando erano carichi di rabbia, di vergogna
o semplicemente se stessi. Si era sempre sentito a suo agio con questi
ultimi, né tesi né imbarazzati. Il silenzio di
quella sera era diverso. Quando Matt si spogliò per la
doccia, dopo aver detto appena un paio di parole in più di
un'ora, Kelly ne ebbe abbastanza.
«Qualcosa non va?» chiese casualmente,
rovistando nell'armadio in cerca di una t-shirt e dei pantaloni per la
notte.
Matt si voltò e sembrò riemergere da
una profonda riflessione. Scrollò le spalle con una smorfia,
sfilando la maglia sopra la testa. «Nha, sono solo
stanco.»
«Ci hai dato dentro in palestra»
commentò Kelly. «Mills?»
«Non dirà nulla.»
«Non è quello che ti ho
chiesto.»
Matt sollevò le braccia in segno di resa, prima
di sfilarsi i pantaloni. Infilò il pallice nell'elastico dei
boxer, poi scosse la testa e lo ritirò. Kelly ne sorrise:
l'unica volta che Matt si era azzardato a camminare nudo in corridoio,
Shay aveva fatto una scenata memorabile. Da allora il biondo ci pensava
bene due volte prima di mostrare le proprie parti intime.
«Lo conosci» disse Matt, riportando
Kelly al punto della conversazione. «Non ha problemi con noi
e credo che finché non portiamo questa cosa sul lavoro,
sarà a posto.»
«Non mi sembri convinto.»
Matt si massaggiò la nuca, in quel gesto
così naturale quando qualcosa lo imbarazzava. Questa
riflessione portò un cipiglio sul volto di Kelly.
«Hai qualche problema con il fatto che Mills lo
sappia?»
«Tu no?»
Kelly scrollò le spalle. «Non mi
importa più di tanto. Io e te stiamo ancora insieme e siamo
ancora al nostro posto in Caserma. Il resto non mi interessa.»
Matt esalò una risata sorpresa. «Parla
quello che oh quella
ragazza è un fuoco, te lo dico io»
disse imitandolo.
«Cos'è, geloso di un commento? E da
quando origli mentre parlo con i miei ragazzi?»
«Oh, non lo so, forse da quando condividiamo lo
stesso letto?»
Si accigliò e guardò il compagno.
«Non fai sul serio, giusto?»
«Con te o con gli altri dieci?»
«Coglione» mormorò il moro,
lanciandogli la maglietta appallottolata.
Matt la afferrò e la rimandò con uno
sbuffo. Approfittò della sorpresa di Kelly per colmare le
distanze e infilare una mano oltre i boxer che gli stringevano il
sedere. Diede una veloce strizzata e ghignò. «Non
sono geloso di questo» mormorò, prima di mordergli
il labbro inferiore. «Mi fido di te.»
Kelly gli afferrò saldamente i fianchi,
attirandolo in un bacio. «A tuo rischio e pericolo.»
«Non fare il playboy con me, non sono una delle
tue ragazze focose» ritorse Matt, divincolandosi e avviandosi
alla porta. «Ti unisci a me? Qualcuno deve insaponarmi la
schiena.»
Il moro roteò gli occhi, grato che Matt si fosse
voltato prima di vedere il sorriso sulle sue labbra.
Il sole bruciava. Kelly
aprì gli occhi ed ebbe la sensazione che le proprie palpebre
andassero a fuoco, ritirandosi nelle orbite come foglie secche. Nella
gola c'era polvere e fuliggine, ma il panico che gli premeva il petto
aveva altre ragioni. Si guardò attorto e si
ritrovò steso su un prato. L'erba era fresca, lui lo sapeva,
ma sotto i palmi delle mani sembrava un fuoco. Un'ombra calò
sul suo viso e, anche se non avrebbe dovuto vederne il volto, lui
sapeva chi fosse.
«Non è finita qui» disse l'ombra, e il
suo ghigno era tutto ciò che impedì al cuore di
Kelly di fermarsi.
Era una voce
possente e tagliente, che gli attraversò la testa da tempia
a tempia.
Avrebbe
voluto urlare, alzarsi e distruggere quel volto, ma era bloccato nel
suo stesso corpo. Impotente.
L'ombra
svanì e il terrore divenne una coperta opprimente. Kelly
sapeva di non essere solo e non poteva vedere dove l'uomo fosse, o cosa
avrebbe fatto.
Un urlo
disumano squarciò l'aria e la sua bocca si
spalancò. Ma quella non era la sua voce.
Matt stava
urlando.
Kelly si svegliò di colpo, tremante e sudato. Con
il respiro affannato, strinse le lenzuola intorno ai pugni, cercando di
cancellare dalla mente le immagini di quell'incubo. Era la prima volta
in due mesi che sognava Anthony Messer.
Il sangue defluì dal suo viso quando si
ricordò di non essere solo. Si voltò e, nella
penobra della sua stanza, vide il profilo del corpo addormentato di
Matt. Riuscì a rilassarsi al pensiero di non averlo
svegliato; non avrebbe saputo come evitare di rispondere alle domande
che ne sarebbero seguite.
Con le dita sfiorò la sua spalla, desideroso di
sentire che fosse reale e stesse bene. Matt si mosse tra le lenzuola,
mugugnando nel sonno e voltandosi su un lato.
Kelly si stese di nuovo al suo fianco, ma questa volta
più vicino del solito.
Sapeva che non sarebbe riuscito a riprendere sonno.
Raramente si era sentito così impotente come in quel sogno e
la verità che portava era ancora più dura da
assorbire: lui lo era anche nella realtà. I Messer avevano
cercato di uccidere Matt e in nessun modo lui aveva potuto evitarlo.
Strinse ancora i pugni, questa volta nelle vene non il terrore, ma una
rabbia così sottile e potente da appesantirgli il respiro.
Il pollice tremava, aleggiando sullo schermo del cellulare,
combattuto tra premere e ritirarsi.
Chiuse gli occhi e lasciò decidere al proprio
corpo.
«Voight.»
Kelly prese un grosso respiro, poggiando la mano libera al
piano della cucina.
«Sono Severide.»
Ci fu un breve silenzio e il frusciare di vestiti, quindi la
voce roca del detective attraversò la linea. «Cosa posso fare per te?»
Si disse che era la sua immaginazione, eppure gli sembrava
che Voight sapesse esattamente il motivo della chiamata. Non che,
d'altronde, avrebbe potuto invitarlo a bere o scambiare qualche
chiacchiera amichevole. Decise che la diplomazia, con suo grande
sollievo, poteva essere scartata per arrivare subito al punto.
«Muovi il tuo culo da polizziotto e trova i
Messer» ringhiò a denti stretti, afferrando
più saldamente il bordo del bancone.
Voight sospirò. «Immagino non hai preso bene la
svolta nelle indagini.»
«Mi prendi in giro?» chiese
sarcasticamente, la voce rotta da un'amara risata. «Non
c'è stata nessuna svolta. Loro sono lì fuori,
dannazione, e tu non riesci a trovarli!»
«Hai
finito? Perché abbaiarmi contro non smuoverà un
bel niente» ritorse Voight con voce dura.
«Senti, qui
non siamo in un film, non hai idea di come funzionano le indagini.»
«E tu ce l'hai?»
Kelly si preparò allo scontro verbale. Una parte
di sé lo reclamava per rilasciare la tensione e la rabbia,
ma rimase deluso quando si udì un altro profondo sospiro.
«Ho
qualche altra pista da battere. Aspetta mie notizie.»
Era già pronto a replicare, ma la linea fu
interrotta bruscamente. Imprecando a denti stretti, Kelly strinse il
cellulare tra le dita, strofinandosi il volto con l'altra mano. Se
chiudeva gli occhi, poteva vedere quelli feriti di Matt e la sua
espressione dura, quando avrebbe scoperto di quella chiamata.
Cercò di non sentirsi sporco per questo -diamine, l'unica
cosa che l'aveva spinto ad avvicinarsi a Voight era stata dare
giustizia a Matt. La morale rigida e testarda del biondo non poteva
impedirgli di fare quello che era giusto; meglio fosse lui a sporcarsi
le mani.
Matt non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce,
forse neanche allo specchio, ma il ritorno in Caserma dopo l'incidente
della palestra gli portò più nervosismo del
previsto. Non riuscì a rilassarsi neanche quando Mills,
già dietro i fornelli, lo salutò con un cenno
politico del capo. Sapeva che era solo una sua paranoia sentire i suoi
occhi bruciargli la nuca quando, ritirandosi nello spogliatoio, gli
diede le spalle. Eppure non poté fare a meno di sentirsi
rabbrividire. Non si era mai sentito a suo agio
nell'intimità di sguardi che deriva dal condividere,
soprattutto quando non era conseguenza di una sua decisione.
Forse, si disse, la paranoia era un'altra cosa su
cui lavorare con Michael.
«Tenente!» lo salutò Hermann,
staccandosi da una conversazione con Cruz e Otis e raggiungendolo
davanti al suo armadietto.
«Hermann.»
L'uomo rimase a fissarlo, strusciando le mani tra loro e
attendendo che lo spazio si liberasse. Matt gli lanciò
un'occhiata confusa, finché l'uomo, appuratosi che entrambi
i colleghi fossero tornati in sala comune, gli strinse una spalla.
«Come va, Casey?»
«Bene» rispose cautamente e con una nota
di sorpresa. «Qualche problema, Hermann?»
«No no, tutto okay.»
«Okay...» mormorò Matt,
chiudendo l'armadietto e avviandosi all'uscita.
«Tenente, aspetta» lo
richiamò il più anziano. «Senti, ti
parlo da amico a amico» disse, chinandosi in avanti in tono
cospiratore.
Matt lo imitò sarcasticamente, sperando
in segreto che le prossime parole a uscire da quelle labbra non
riguardassero in alcun modo Severide.
«Io rispetto Severide, davvero-»
Accidenti.
«-ma...sei sicuro che sia una buona idea tutto
questo legare e vivere insieme? Ti vedo un po'...fuori rotta.»
Matt sapeva di dover tenere i nervi saldi e agire con
disinvoltura, ma a dispetto delle sue buone intenzioni, non
poté evitare alla sua voce di divenire dura. «Non
credo che questi siano realmente affari tuoi, Hermann.»
Di fronte allo sguardo ferito dell'uomo, sospirò
e cercò di essere più politico. Dovette impiegare
tutte le sue energie, perché sentire uno dei suoi uomini
offendere sottilmente il proprio compagno era nella lista delle cose
capaci di spruzzargli il sangue al cervello.
«Scusa, non volevo fare lo
stronzo» disse, massaggiandosi la fronte. «Sono
grato che ti preoccupi per me, Hermann, ma non sono al liceo e non mi
farò trascinare sulla cattiva strada dal bullo della
scuola.»
Riuscì ad accompagnare il suo tentativo di
umorismo con un sorriso. Hermann sembrò dubitarne, ma alla
fine ricambiò il ghigno e gli diede una pacca sulla spalla.
Matt cominciava a odiare quel gesto, a odiare la preoccupazione di
Hermann e odiare essere lì in quel momento. Per fortuna,
l'uomo si ritirò senza indulgere ancora su quell'argomento,
lasciando Matt da solo e sollevato.
Con un grosso sospiro, si sedette sulla panca, prendendo un
minuto per calmare i nervi.
Mentre ripensava a quello che il sottoposto gli aveva detto,
una rivelazione lo colpì, un dubbio strusciante: possibile
che Hermann sapesse di lui e Kelly? Con questo pensiero, ne giunsero
altri, in una copiosa valanga. Tutti riportavano a Mills e
all'incidente in palestra.
Si alzò di scatto, con l'intenzione di affrontare
il candidato - anche se non aveva idea di come parlargli senza urlare;
il suono dell'allarme frantumò i suoi piani. Malgrado il
disagio e la rabbia, una casa in fiamme era mille volte più
importante di qualunque problema personale.
Matt aveva imparato a separare la sua vita privata
dal lavoro molto prima della maggior parte dei suoi colleghi. Forse era
dovuto al suo carattere riservato e a quell'autocontrollo che molti gli
invidiavano, o forse doveva ringraziare sua madre, che troppo presto
gli aveva insegnato che
i panni sporchi si lavano in casa. Così andava
avanti a dispetto di tutto: si alzava, si preparava per il turno e dava
il meglio di sé, anche quando aveva passato la notte sveglio
e gli occhi ancora erano gonfi per il pianto. Quando la situazione
diventava critica, i suoi uomini dovevano potersi affidare a lui, non
importava quanto il peso gli schiacciasse le spalle; Matthew Casey
doveva agire con calma e razionalità, perché in
gioco c'erano le vite, c'era il caos delle fiamme che solo un cuore
fermo poteva domare. Eppure Matt, a dispetto di ogni buona intenzione,
era dannatamente umano e ogni essere umano ha i suoi limiti.
Così si ritrovò nel sangue non solo
adrenalina, ma anche panico. In un attimo gli passò nella
mente l'immagine di una vita triste e desolata, una vita senza Kelly,
nella quale lavorare alla Caserma 51 o anche in qualunque altra sarebbe
stato impossibile. Una vita nella quale non avrebbe più
potuto guardare negli occhi i suoi uomini, sua sorella, sua madre,
nessuno, senza sentirsi sporco e colpevole.
Ripensandoci a mente fredda, furono solo pochi
secondi, ma al momento per Matt erano anni, mentre la voce di Kelly,
distorta dalla radio, rimbombava nelle sue orecchie.
"Situazione
ostaggi. Uomo armato."
Poteva smembrare le parole, privarle del loro significato,
ma il senso era chiaro a tutti. Di fronte alla casa a due piani in cui
il fuoco era stato relegato ad un angolo, ma ancora s'agitava, i vigili
si guardavano increduli. La squadra di Severide era entrata
nell'edificio adiacente per controllare che il fuoco allargatosi fin
lì non avesse mietuto vittime. Tutti gli uomini della
squadra 3 erano usciti, tutti tranne Severide, sceso nel seminterrato
per controllare la sorgente di strani rumori.
Gli sguardi dei vigili cercavano gli occhi di Boden, che
stringeva la trasmittente tra le dita.
«Severide, la polizia sta arrivando.»
Non vi fu risposta.
In quel silenzio, Matt cancellò ogni
razionalità. Sapeva che la cosa più saggia da
fare fosse aspettare la polizia e dei negoziatori. Sapeva che se fosse
entrato nel seminterrato per aiutare l'altro Tenente il fuoco o un
proiettile avrebbe ucciso entrambi. Sapeva molte cose, schemi d'azione,
piani e protocolli, ma in quel momento distrusse ogni consapevolezza.
Indossò l'elmetto che aveva stretto in una mano e
cominciò a correre verso l'ingresso est al seminterrato.
Una mano lo bloccò.
Voltandosi non vide Boden, come si sarebbe aspettato, ma
Hermann. In qualche modo il vigile era stato l'unico a notarlo, ad
anticiparlo.
«Hermann, togliti di dosso»
ringhiò, in tono più minaccioso di quanto
necessario. Il vigile si limitò a scuotere la testa,
fissandolo negli occhi con uno sguardo duro che nascondeva una
consapevolezza, un dolore che Matt non aveva tempo o voglia di capire.
Cercò invano di divincolarsi dalla presa,
pensando a quanti preziosi secondi stesse sprecando.
«Christopher, non te lo dico un'altra
volta.»
«No, Casey! Non ti lascerò mettere la
tua vita in pericolo. Dobbiamo aspettare la polizia.»
«Kelly morirà!» gli
urlò in faccia. Sapeva di aver attirato sguardi che era
meglio non fossero su di lui, ma ora non gli importava.
«Se fosse chiunque altro, tu
aspetteresti» ritorse Hermann, per nulla impressionato dalla
sua rabbia.
«Se lì dentro ci fosse Cindy,
aspetteresti? Se ci fosse Parker o un altro dei tuoi figli, tra le
fiamme e con una pistola puntata alla testa, tu aspetteresti?»
Hermann sembrò colpito dalla domanda e si
ritrovò a scuotere la testa.
«Casey! Che diavolo succede?»
urlò la voce di Boden.
Matt lo ignorò e approfittò della
distrazione per divincolarsi e correre via.
Fu come in un sogno che raggiunse la porta ormai sfondata
che conduceva al seminterrato. Chiuse fuori le urla che venivano
dall'esterno e dalla sua trasmittende, i rumori della strada e dei
vigili che lo richiamavano. Scese i gradini e cercò di non
perdere la calma.
Guardati
attorno, analizza ogni dettaglio.
Ora più che mai, poteva fare la differenza tra la
vita e la morte.
«Severide!»
Kelly sentì il sangue congelarsi nelle vene.
Ancora una volta, la voce di Boden lo richiamava, con una disperazione
questa volta al limite. L'uomo di fronte a lui reggeva la pistola nella
mano, mentre con l'altra grattava furiosamente la pelle del volto e
della nuca. Dagli occhi arrossati e dal tremore che gli sconquassava le
membra sottili, Kelly poteva dire senza difficoltà che il
ragazzo fosse sotto l'effetto di qualcosa. A giudicare dal rude e
sporco laboratorio alle sue spalle, avrebbe scommetto sulle anfetamine.
«Fa tacere quella cazzo di radio!»
urlò il ragazzo, sventolando la pistola nella sua direzione.
«Okay, calmati. La spengo subito» disse
Kelly, sapendo che assecondarlo ora non era una scelta.
Il tremito delle dita intorno al calcio dell'arma
lo allarmava: o il ragazzo aveva già usato una pistola,
oppure era talmente nervoso che il grilletto sarebbe potuto diventare
fragile da un momento all'altro.
Sapere che la propria vita era racchiusa nel gesto di un
solo dito di un uomo fuori di sé, lo fece sentire impotente
e rabbioso. Lentamente portò la mano alla trasmittente,
spingendo la levetta che era l'ultimo filo di connessione tra
sé e il resto della Caserma. L'apparecchio
gracchiò, poi rimase silente.
Il ragazzo sembrò sollevato e riprese a camminare
avanti e indietro, bloccandosi solo nell'udire gli scricchiolii delle
assi sulle loro teste, dilatate e scosse dal calore. Kelly sapeva che
il fuoco che aveva invaso l'ultimo piano sarebbe sceso molto
velocemente e, considerando il vento che sbatteva contro la finestra in
alto, poteva trattarsi di una questione di troppi pochi minuti. Si
aspettava di sentire da un momento all'altro le sirene della polizia
avvicinarsi, ma ora il silenzio rotto dai passi, i respiri e gli
spergiuri di quell'uomo era tutto ciò che aveva.
Tentare di farlo ragionare era stato inutile, e Kelly aveva
dovuto mordersi la lingua prima di aggravare la situazione.
Fu con lucida brutalità che realizzò
di non avere molte chance di uscirne vivo.
Il suo corpo si stava automaticamente preparando alla lotta,
poteva avvertire il proprio cuore battere velocemente e i muscoli
tendersi. Se quello doveva essere l'ultimo turno della sua vita,
avrebbe combattuto fino a non poterlo più fare. Strinse i
pugni e, proprio mentre attendeva il momento propizio per lanciarsi
contro l'uomo, passi pesanti attirarono l'attenzione di entrambi.
Le scale scricchiolarono e si sentì contro il
muro il frusciare di vestiti e qualcosa che tintinnava. Kelly trattenne
il respiro, non volendo davvero credere alla familiarità di
quel pattern di rumori. Le sue migliori speranze furono frantumate
quando dal buio delle scale emerse una figura.
«Matt?»
«Tu chi cazzo sei?» urlò
l'uomo, sventolando la pistola in direzione del Tenente.
Matt alzò le mani e si avvicinò
cautamente, finché Kelly poté avvertire il
distinto odore del suo corpo avvolto dalla fuligine e dell'adrenalina.
«Sono Matt» disse Casey, mostrando una
calma che Kelly sapeva nessuno dei presenti possedeva. «Tu
come ti chiami?»
L'uomo esitò un attimo, poi rialzò la
pistola, puntandola nella direzione generale della testa di Casey.
«Mi prendi in giro? Ora vi sparo, giuro vi sparo.»
«Okay» mormorò Matt,
avanzando di qualche cauto passo.
Kelly sapeva di non dover distogliere lo sguardo
dalla canna dell'arma, ma i suoi occhi non riuscivano a staccarsi dal
compagno. Era furioso, confuso, spaventato, ma soprattutto avrebbe
voluto cacciare a calci Matt per metterlo in salvo.
«Se ci uccidi ora» continuò
il biondo. «Finisce tutto qui. Per te, per noi, per
tutti.»
Matt guardò Kelly all'angolo del campo visivo e
per un attimo i loro sguardi si incrociarono. Fu in quel momento che il
moro capì cosa sarebbe successo: c'era solo una pallottola e
uno dei loro due nomi era scritto sopra. Non si trattava più
di lottare fino alla morte, ma di morire al posto dell'altro.
Kelly si allontanò da Matt, cotringendo l'uomo a
puntargli la pistola contro. Se c'era abbastanza distanza tra loro, uno
dei due si sarebbe salvato. In quella situazione estrema, quella gli
sembrava l'unica speranza salda.
«Ascolta» quasi ringhiò Matt,
attirandosi ancora l'attenzione dell'uomo, che ora dardeggiava lo
sguardo nervosamente tra i due. «Dammi la pistola e
arrenditi. La polizia sarà qui a breve, se spari
è finita.»
Il biondo tese la mano e l'unica reazione dell'altro fu
stringere più saldamente l'arma.
«Stai zitto! Devo pensare! Taci!»
Il volto arrossato sfiorò una nota livida e Kelly
seppe che quella era la sua ultima possibilità. Uno
spiraglio nel caos. Guardò Matt e quando il biondo
annuì, lui seppe esattamente cosa fare. Il suono delle
sirene rimbombò attraverso il seminterrato, facendo scattare
la testa dell'uomo.
«Ti sbatteranno dentro» urlò
Matt.
L'esca era stata lanciata. L'uomo si voltò
furioso, così assorbito dal proprio panico da non notare che
il suo secondo ostaggio lo aveva fiancheggiato. Kelly gli
assestò un colpo sul fianco. L'uomo grugnì e fu
sul punto di sparare, ma la mano di Matt gli circondò il
polso, spingendogli il braccio in alto. Un colpo partì a
vuoto, liberando tutta l'adrenalina nei corpi dei Tenenti.
In poco più che qualche secondo, l'uomo fu a
terra, spinto da un ginocchio di Kelly piantato sul petto, mentre passi
frenetici calpestavano le scale.
Uno suqadrone di agenti aveva fatto il suo ingresso,
attirati dallo sparo.
L'uomo, al limite della coscienza, fu issato e ammanettato.
Quando gli agenti uscirono, Kelly guardò Matt con
una furia che presto cedette di fronte alla consapevolezza di essere
vivi, entrambi.
«Mai più» ringhiò.
Matt sorrise stancamente e gli afferrò la nuca.
Prima che potesse baciarlo, il soffitto scricchiolò e la
voce di Boden echeggiò attraverso la trasmittente.
«Venite
fuori!»
Senza farselo ripetere, i due Tenenti corsero verso la
salvezza.
Note: Hello, guys! Non ho
molto da dire, se non che l'ispirazione comincia pian piano a
strisciare di nuovo a casa (e sempre nei momenti meno opportuni, ma non
ci lamentiamo). Cercherò di aggiornare più
assiduamente.
Ax.
|