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Autore: AlexEinfall    12/06/2015    3 recensioni
[Casey/Severide] Prima mia long-fic su questa coppia, che credo abbia un grosso potenziale.
Severide affronta Casey circa il suo comportamento sconsiderato, ma le cose non vanno mai come ci si aspetta. Questo è l'inizio di qualcosa oppure le resistenze e l'antico astio ostacoleranno la loro strada?
Un giorno qualunque alla Caserma 51 è destinato a cambiare ogni cosa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Inciso su un proiettile


   Matt era rimasto silenzioso per tutto il tragitto dalla palestra fino a casa. Kelly era abituato alle battute e alle chiacchiere da nulla, così come al silenzio nel quale si adagiavano, troppo stanchi e rilassati per concedersi alle parole. Molto prima che la loro storia cominciasse, lui aveva imparato a capire ognuno dei silenzi di Matt: quando erano carichi di rabbia, di vergogna o semplicemente se stessi. Si era sempre sentito a suo agio con questi ultimi, né tesi né imbarazzati. Il silenzio di quella sera era diverso. Quando Matt si spogliò per la doccia, dopo aver detto appena un paio di parole in più di un'ora, Kelly ne ebbe abbastanza.
  «Qualcosa non va?» chiese casualmente, rovistando nell'armadio in cerca di una t-shirt e dei pantaloni per la notte.
  Matt si voltò e sembrò riemergere da una profonda riflessione. Scrollò le spalle con una smorfia, sfilando la maglia sopra la testa. «Nha, sono solo stanco.»
  «Ci hai dato dentro in palestra» commentò Kelly. «Mills?»
  «Non dirà nulla.»
  «Non è quello che ti ho chiesto.»
  Matt sollevò le braccia in segno di resa, prima di sfilarsi i pantaloni. Infilò il pallice nell'elastico dei boxer, poi scosse la testa e lo ritirò. Kelly ne sorrise: l'unica volta che Matt si era azzardato a camminare nudo in corridoio, Shay aveva fatto una scenata memorabile. Da allora il biondo ci pensava bene due volte prima di mostrare le proprie parti intime.
  «Lo conosci» disse Matt, riportando Kelly al punto della conversazione. «Non ha problemi con noi e credo che finché non portiamo questa cosa sul lavoro, sarà a posto.»
  «Non mi sembri convinto.»
  Matt si massaggiò la nuca, in quel gesto così naturale quando qualcosa lo imbarazzava. Questa riflessione portò un cipiglio sul volto di Kelly. «Hai qualche problema con il fatto che Mills lo sappia?»
  «Tu no?»
  Kelly scrollò le spalle. «Non mi importa più di tanto. Io e te stiamo ancora insieme e siamo ancora al nostro posto in Caserma. Il resto non mi interessa.»
  Matt esalò una risata sorpresa. «Parla quello che oh quella ragazza è un fuoco, te lo dico io» disse imitandolo.
  «Cos'è, geloso di un commento? E da quando origli mentre parlo con i miei ragazzi?»
  «Oh, non lo so, forse da quando condividiamo lo stesso letto?»
  Si accigliò e guardò il compagno. «Non fai sul serio, giusto?»
  «Con te o con gli altri dieci?»
  «Coglione» mormorò il moro, lanciandogli la maglietta appallottolata.
  Matt la afferrò e la rimandò con uno sbuffo. Approfittò della sorpresa di Kelly per colmare le distanze e infilare una mano oltre i boxer che gli stringevano il sedere. Diede una veloce strizzata e ghignò. «Non sono geloso di questo» mormorò, prima di mordergli il labbro inferiore. «Mi fido di te.»
  Kelly gli afferrò saldamente i fianchi, attirandolo in un bacio. «A tuo rischio e pericolo.»
  «Non fare il playboy con me, non sono una delle tue ragazze focose» ritorse Matt, divincolandosi e avviandosi alla porta. «Ti unisci a me? Qualcuno deve insaponarmi la schiena.»
  Il moro roteò gli occhi, grato che Matt si fosse voltato prima di vedere il sorriso sulle sue labbra.



   
Il sole bruciava. Kelly aprì gli occhi ed ebbe la sensazione che le proprie palpebre andassero a fuoco, ritirandosi nelle orbite come foglie secche. Nella gola c'era polvere e fuliggine, ma il panico che gli premeva il petto aveva altre ragioni. Si guardò attorto e si ritrovò steso su un prato. L'erba era fresca, lui lo sapeva, ma sotto i palmi delle mani sembrava un fuoco. Un'ombra calò sul suo viso e, anche se non avrebbe dovuto vederne il volto, lui sapeva chi fosse.
  «Non è finita qui» disse l'ombra, e il suo ghigno era tutto ciò che impedì al cuore di Kelly di fermarsi.
  Era una voce possente e tagliente, che gli attraversò la testa da tempia a tempia.
  Avrebbe voluto urlare, alzarsi e distruggere quel volto, ma era bloccato nel suo stesso corpo. Impotente.
  L'ombra svanì e il terrore divenne una coperta opprimente. Kelly sapeva di non essere solo e non poteva vedere dove l'uomo fosse, o cosa avrebbe fatto.
  Un urlo disumano squarciò l'aria e la sua bocca si spalancò. Ma quella non era la sua voce.
  Matt stava urlando.


  Kelly si svegliò di colpo, tremante e sudato. Con il respiro affannato, strinse le lenzuola intorno ai pugni, cercando di cancellare dalla mente le immagini di quell'incubo. Era la prima volta in due mesi che sognava Anthony Messer.
  Il sangue defluì dal suo viso quando si ricordò di non essere solo. Si voltò e, nella penobra della sua stanza, vide il profilo del corpo addormentato di Matt. Riuscì a rilassarsi al pensiero di non averlo svegliato; non avrebbe saputo come evitare di rispondere alle domande che ne sarebbero seguite.
  Con le dita sfiorò la sua spalla, desideroso di sentire che fosse reale e stesse bene. Matt si mosse tra le lenzuola, mugugnando nel sonno e voltandosi su un lato.
  Kelly si stese di nuovo al suo fianco, ma questa volta più vicino del solito.
  Sapeva che non sarebbe riuscito a riprendere sonno. Raramente si era sentito così impotente come in quel sogno e la verità che portava era ancora più dura da assorbire: lui lo era anche nella realtà. I Messer avevano cercato di uccidere Matt e in nessun modo lui aveva potuto evitarlo. Strinse ancora i pugni, questa volta nelle vene non il terrore, ma una rabbia così sottile e potente da appesantirgli il respiro.




  Il pollice tremava, aleggiando sullo schermo del cellulare, combattuto tra premere e ritirarsi.  
  Chiuse gli occhi e lasciò decidere al proprio corpo.
  «Voight.»
  Kelly prese un grosso respiro, poggiando la mano libera al piano della cucina.
  «Sono Severide.»
  Ci fu un breve silenzio e il frusciare di vestiti, quindi la voce roca del detective attraversò la linea. «Cosa posso fare per te?»
  Si disse che era la sua immaginazione, eppure gli sembrava che Voight sapesse esattamente il motivo della chiamata. Non che, d'altronde, avrebbe potuto invitarlo a bere o scambiare qualche chiacchiera amichevole. Decise che la diplomazia, con suo grande sollievo, poteva essere scartata per arrivare subito al punto.
  «Muovi il tuo culo da polizziotto e trova i Messer» ringhiò a denti stretti, afferrando più saldamente il bordo del bancone.
  Voight sospirò. «Immagino non hai preso bene la svolta nelle indagini.»
  «Mi prendi in giro?» chiese sarcasticamente, la voce rotta da un'amara risata. «Non c'è stata nessuna svolta. Loro sono lì fuori, dannazione, e tu non riesci a trovarli!»
  «Hai finito? Perché abbaiarmi contro non smuoverà un bel niente» ritorse Voight con voce dura. «Senti, qui non siamo in un film, non hai idea di come funzionano le indagini.»
  «E tu ce l'hai?»
  Kelly si preparò allo scontro verbale. Una parte di sé lo reclamava per rilasciare la tensione e la rabbia, ma rimase deluso quando si udì un altro profondo sospiro.
  «Ho qualche altra pista da battere. Aspetta mie notizie.»
  Era già pronto a replicare, ma la linea fu interrotta bruscamente. Imprecando a denti stretti, Kelly strinse il cellulare tra le dita, strofinandosi il volto con l'altra mano. Se chiudeva gli occhi, poteva vedere quelli feriti di Matt e la sua espressione dura, quando avrebbe scoperto di quella chiamata. Cercò di non sentirsi sporco per questo -diamine, l'unica cosa che l'aveva spinto ad avvicinarsi a Voight era stata dare giustizia a Matt. La morale rigida e testarda del biondo non poteva impedirgli di fare quello che era giusto; meglio fosse lui a sporcarsi le mani.





 
   Matt non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, forse neanche allo specchio, ma il ritorno in Caserma dopo l'incidente della palestra gli portò più nervosismo del previsto. Non riuscì a rilassarsi neanche quando Mills, già dietro i fornelli, lo salutò con un cenno politico del capo. Sapeva che era solo una sua paranoia sentire i suoi occhi bruciargli la nuca quando, ritirandosi nello spogliatoio, gli diede le spalle. Eppure non poté fare a meno di sentirsi rabbrividire. Non si era mai sentito a suo agio nell'intimità di sguardi che deriva dal condividere, soprattutto quando non era conseguenza di una sua decisione.
   Forse, si disse, la paranoia era un'altra cosa su cui lavorare con Michael.
  «Tenente!» lo salutò Hermann, staccandosi da una conversazione con Cruz e Otis e raggiungendolo davanti al suo armadietto.
  «Hermann.»
  L'uomo rimase a fissarlo, strusciando le mani tra loro e attendendo che lo spazio si liberasse. Matt gli lanciò un'occhiata confusa, finché l'uomo, appuratosi che entrambi i colleghi fossero tornati in sala comune, gli strinse una spalla.
  «Come va, Casey?»
  «Bene» rispose cautamente e con una nota di sorpresa. «Qualche problema, Hermann?»
  «No no, tutto okay.»
  «Okay...» mormorò Matt, chiudendo l'armadietto e avviandosi all'uscita.
  «Tenente, aspetta» lo richiamò il più anziano. «Senti, ti parlo da amico a amico» disse, chinandosi in avanti in tono cospiratore.
   Matt lo imitò sarcasticamente, sperando in segreto che le prossime parole a uscire da quelle labbra non riguardassero in alcun modo Severide.
  «Io rispetto Severide, davvero-»
  Accidenti.
  «-ma...sei sicuro che sia una buona idea tutto questo legare e vivere insieme? Ti vedo un po'...fuori rotta.»
  Matt sapeva di dover tenere i nervi saldi e agire con disinvoltura, ma a dispetto delle sue buone intenzioni, non poté evitare alla sua voce di divenire dura. «Non credo che questi siano realmente affari tuoi, Hermann.»
  Di fronte allo sguardo ferito dell'uomo, sospirò e cercò di essere più politico. Dovette impiegare tutte le sue energie, perché sentire uno dei suoi uomini offendere sottilmente il proprio compagno era nella lista delle cose capaci di spruzzargli il sangue al cervello.
   «Scusa, non volevo fare lo stronzo» disse, massaggiandosi la fronte. «Sono grato che ti preoccupi per me, Hermann, ma non sono al liceo e non mi farò trascinare sulla cattiva strada dal bullo della scuola.»
  Riuscì ad accompagnare il suo tentativo di umorismo con un sorriso. Hermann sembrò dubitarne, ma alla fine ricambiò il ghigno e gli diede una pacca sulla spalla. Matt cominciava a odiare quel gesto, a odiare la preoccupazione di Hermann e odiare essere lì in quel momento. Per fortuna, l'uomo si ritirò senza indulgere ancora su quell'argomento, lasciando Matt da solo e sollevato.
  Con un grosso sospiro, si sedette sulla panca, prendendo un minuto per calmare i nervi.
  Mentre ripensava a quello che il sottoposto gli aveva detto, una rivelazione lo colpì, un dubbio strusciante: possibile che Hermann sapesse di lui e Kelly? Con questo pensiero, ne giunsero altri, in una copiosa valanga. Tutti riportavano a Mills e all'incidente in palestra.
  Si alzò di scatto, con l'intenzione di affrontare il candidato - anche se non aveva idea di come parlargli senza urlare; il suono dell'allarme frantumò i suoi piani. Malgrado il disagio e la rabbia, una casa in fiamme era mille volte più importante di qualunque problema personale.


 

   Matt aveva imparato a separare la sua vita privata dal lavoro molto prima della maggior parte dei suoi colleghi. Forse era dovuto al suo carattere riservato e a quell'autocontrollo che molti gli invidiavano, o forse doveva ringraziare sua madre, che troppo presto gli aveva insegnato che i panni sporchi si lavano in casa. Così andava avanti a dispetto di tutto: si alzava, si preparava per il turno e dava il meglio di sé, anche quando aveva passato la notte sveglio e gli occhi ancora erano gonfi per il pianto. Quando la situazione diventava critica, i suoi uomini dovevano potersi affidare a lui, non importava quanto il peso gli schiacciasse le spalle; Matthew Casey doveva agire con calma e razionalità, perché in gioco c'erano le vite, c'era il caos delle fiamme che solo un cuore fermo poteva domare. Eppure Matt, a dispetto di ogni buona intenzione, era dannatamente umano e ogni essere umano ha i suoi limiti.
  Così si ritrovò nel sangue non solo adrenalina, ma anche panico. In un attimo gli passò nella mente l'immagine di una vita triste e desolata, una vita senza Kelly, nella quale lavorare alla Caserma 51 o anche in qualunque altra sarebbe stato impossibile. Una vita nella quale non avrebbe più potuto guardare negli occhi i suoi uomini, sua sorella, sua madre, nessuno, senza sentirsi sporco e colpevole.
   Ripensandoci a mente fredda, furono solo pochi secondi, ma al momento per Matt erano anni, mentre la voce di Kelly, distorta dalla radio, rimbombava nelle sue orecchie.
  "Situazione ostaggi. Uomo armato."
  Poteva smembrare le parole, privarle del loro significato, ma il senso era chiaro a tutti. Di fronte alla casa a due piani in cui il fuoco era stato relegato ad un angolo, ma ancora s'agitava, i vigili si guardavano increduli. La squadra di Severide era entrata nell'edificio adiacente per controllare che il fuoco allargatosi fin lì non avesse mietuto vittime. Tutti gli uomini della squadra 3 erano usciti, tutti tranne Severide, sceso nel seminterrato per controllare la sorgente di strani rumori.
  Gli sguardi dei vigili cercavano gli occhi di Boden, che stringeva la trasmittente tra le dita.
  «Severide, la polizia sta arrivando.»
  Non vi fu risposta.
  In quel silenzio, Matt cancellò ogni razionalità. Sapeva che la cosa più saggia da fare fosse aspettare la polizia e dei negoziatori. Sapeva che se fosse entrato nel seminterrato per aiutare l'altro Tenente il fuoco o un proiettile avrebbe ucciso entrambi. Sapeva molte cose, schemi d'azione, piani e protocolli, ma in quel momento distrusse ogni consapevolezza. Indossò l'elmetto che aveva stretto in una mano e cominciò a correre verso l'ingresso est al seminterrato.
  Una mano lo bloccò.
  Voltandosi non vide Boden, come si sarebbe aspettato, ma Hermann. In qualche modo il vigile era stato l'unico a notarlo, ad anticiparlo.
  «Hermann, togliti di dosso» ringhiò, in tono più minaccioso di quanto necessario. Il vigile si limitò a scuotere la testa, fissandolo negli occhi con uno sguardo duro che nascondeva una consapevolezza, un dolore che Matt non aveva tempo o voglia di capire.
  Cercò invano di divincolarsi dalla presa, pensando a quanti preziosi secondi stesse sprecando.
  «Christopher, non te lo dico un'altra volta.»
  «No, Casey! Non ti lascerò mettere la tua vita in pericolo. Dobbiamo aspettare la polizia.»
  «Kelly morirà!» gli urlò in faccia. Sapeva di aver attirato sguardi che era meglio non fossero su di lui, ma ora non gli importava.
  «Se fosse chiunque altro, tu aspetteresti» ritorse Hermann, per nulla impressionato dalla sua rabbia.
  «Se lì dentro ci fosse Cindy, aspetteresti? Se ci fosse Parker o un altro dei tuoi figli, tra le fiamme e con una pistola puntata alla testa, tu aspetteresti?»
  Hermann sembrò colpito dalla domanda e si ritrovò a scuotere la testa.
  «Casey! Che diavolo succede?» urlò la voce di Boden.
  Matt lo ignorò e approfittò della distrazione per divincolarsi e correre via.
  Fu come in un sogno che raggiunse la porta ormai sfondata che conduceva al seminterrato. Chiuse fuori le urla che venivano dall'esterno e dalla sua trasmittende, i rumori della strada e dei vigili che lo richiamavano. Scese i gradini e cercò di non perdere la calma.
  Guardati attorno, analizza ogni dettaglio.
  Ora più che mai, poteva fare la differenza tra la vita e la morte.


 
  «Severide!»
  Kelly sentì il sangue congelarsi nelle vene. Ancora una volta, la voce di Boden lo richiamava, con una disperazione questa volta al limite. L'uomo di fronte a lui reggeva la pistola nella mano, mentre con l'altra grattava furiosamente la pelle del volto e della nuca. Dagli occhi arrossati e dal tremore che gli sconquassava le membra sottili, Kelly poteva dire senza difficoltà che il ragazzo fosse sotto l'effetto di qualcosa. A giudicare dal rude e sporco laboratorio alle sue spalle, avrebbe scommetto sulle anfetamine.
  «Fa tacere quella cazzo di radio!» urlò il ragazzo, sventolando la pistola nella sua direzione.
  «Okay, calmati. La spengo subito» disse Kelly, sapendo che assecondarlo ora non era una scelta.
   Il tremito delle dita intorno al calcio dell'arma lo allarmava: o il ragazzo aveva già usato una pistola, oppure era talmente nervoso che il grilletto sarebbe potuto diventare fragile da un momento all'altro.
  Sapere che la propria vita era racchiusa nel gesto di un solo dito di un uomo fuori di sé, lo fece sentire impotente e rabbioso. Lentamente portò la mano alla trasmittente, spingendo la levetta che era l'ultimo filo di connessione tra sé e il resto della Caserma. L'apparecchio gracchiò, poi rimase silente.
  Il ragazzo sembrò sollevato e riprese a camminare avanti e indietro, bloccandosi solo nell'udire gli scricchiolii delle assi sulle loro teste, dilatate e scosse dal calore. Kelly sapeva che il fuoco che aveva invaso l'ultimo piano sarebbe sceso molto velocemente e, considerando il vento che sbatteva contro la finestra in alto, poteva trattarsi di una questione di troppi pochi minuti. Si aspettava di sentire da un momento all'altro le sirene della polizia avvicinarsi, ma ora il silenzio rotto dai passi, i respiri e gli spergiuri di quell'uomo era tutto ciò che aveva.
  Tentare di farlo ragionare era stato inutile, e Kelly aveva dovuto mordersi la lingua prima di aggravare la situazione.
  Fu con lucida brutalità che realizzò di non avere molte chance di uscirne vivo.
  Il suo corpo si stava automaticamente preparando alla lotta, poteva avvertire il proprio cuore battere velocemente e i muscoli tendersi. Se quello doveva essere l'ultimo turno della sua vita, avrebbe combattuto fino a non poterlo più fare. Strinse i pugni e, proprio mentre attendeva il momento propizio per lanciarsi contro l'uomo, passi pesanti attirarono l'attenzione di entrambi.
  Le scale scricchiolarono e si sentì contro il muro il frusciare di vestiti e qualcosa che tintinnava. Kelly trattenne il respiro, non volendo davvero credere alla familiarità di quel pattern di rumori. Le sue migliori speranze furono frantumate quando dal buio delle scale emerse una figura.
  «Matt?»
  «Tu chi cazzo sei?» urlò l'uomo, sventolando la pistola in direzione del Tenente.
  Matt alzò le mani e si avvicinò cautamente, finché Kelly poté avvertire il distinto odore del suo corpo avvolto dalla fuligine e dell'adrenalina.
  «Sono Matt» disse Casey, mostrando una calma che Kelly sapeva nessuno dei presenti possedeva. «Tu come ti chiami?»
  L'uomo esitò un attimo, poi rialzò la pistola, puntandola nella direzione generale della testa di Casey. «Mi prendi in giro? Ora vi sparo, giuro vi sparo.»
  «Okay» mormorò Matt, avanzando di qualche cauto passo.
   Kelly sapeva di non dover distogliere lo sguardo dalla canna dell'arma, ma i suoi occhi non riuscivano a staccarsi dal compagno. Era furioso, confuso, spaventato, ma soprattutto avrebbe voluto cacciare a calci Matt per metterlo in salvo.
  «Se ci uccidi ora» continuò il biondo. «Finisce tutto qui. Per te, per noi, per tutti.»
  Matt guardò Kelly all'angolo del campo visivo e per un attimo i loro sguardi si incrociarono. Fu in quel momento che il moro capì cosa sarebbe successo: c'era solo una pallottola e uno dei loro due nomi era scritto sopra. Non si trattava più di lottare fino alla morte, ma di morire al posto dell'altro.
  Kelly si allontanò da Matt, cotringendo l'uomo a puntargli la pistola contro. Se c'era abbastanza distanza tra loro, uno dei due si sarebbe salvato. In quella situazione estrema, quella gli sembrava l'unica speranza salda.
  «Ascolta» quasi ringhiò Matt, attirandosi ancora l'attenzione dell'uomo, che ora dardeggiava lo sguardo nervosamente tra i due. «Dammi la pistola e arrenditi. La polizia sarà qui a breve, se spari è finita.»
  Il biondo tese la mano e l'unica reazione dell'altro fu stringere più saldamente l'arma.
  «Stai zitto! Devo pensare! Taci!»
  Il volto arrossato sfiorò una nota livida e Kelly seppe che quella era la sua ultima possibilità. Uno spiraglio nel caos. Guardò Matt e quando il biondo annuì, lui seppe esattamente cosa fare. Il suono delle sirene rimbombò attraverso il seminterrato, facendo scattare la testa dell'uomo.
  «Ti sbatteranno dentro» urlò Matt.
  L'esca era stata lanciata. L'uomo si voltò furioso, così assorbito dal proprio panico da non notare che il suo secondo ostaggio lo aveva fiancheggiato. Kelly gli assestò un colpo sul fianco. L'uomo grugnì e fu sul punto di sparare, ma la mano di Matt gli circondò il polso, spingendogli il braccio in alto. Un colpo partì a vuoto, liberando tutta l'adrenalina nei corpi dei Tenenti.
  In poco più che qualche secondo, l'uomo fu a terra, spinto da un ginocchio di Kelly piantato sul petto, mentre passi frenetici calpestavano le scale.
  Uno suqadrone di agenti aveva fatto il suo ingresso, attirati dallo sparo.
  L'uomo, al limite della coscienza, fu issato e ammanettato.
  Quando gli agenti uscirono, Kelly guardò Matt con una furia che presto cedette di fronte alla consapevolezza di essere vivi, entrambi.
  «Mai più» ringhiò.
  Matt sorrise stancamente e gli afferrò la nuca. Prima che potesse baciarlo, il soffitto scricchiolò e la voce di Boden echeggiò attraverso la trasmittente.
  «Venite fuori!»
  Senza farselo ripetere, i due Tenenti corsero verso la salvezza.






Note: Hello, guys! Non ho molto da dire, se non che l'ispirazione comincia pian piano a strisciare di nuovo a casa (e sempre nei momenti meno opportuni, ma non ci lamentiamo). Cercherò di aggiornare più assiduamente.
   Ax.



  
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