40.
Umani, Superumani, Inumani
Si aggiravano
circospetti in quella landa desolata punteggiata da bare trasparenti,
scrutando i volti immersi nel sinistro liquido aranciato al di
là del vetro, nella speranza di scorgere qualcuno di loro
conoscenza.
Giovani e meno
giovani, uomini e donne. Non sembrava esserci uno schema fisso nei
raggruppamenti. Solo ogni tanto si erano imbattuti in gruppi
eterogenei, per aspetto e poteri, di individui classificati con una I
al posto di una M ma, in ogni caso, alcuni sembravano semplici umani,
altri creature uscite dalle pagine di un libro di fiabe.
Avendo
individuato qualcuno con una S nella sua scheda, Strange aveva
suggerito ai ragazzi al suo seguito che quest'ultima fosse l'iniziale
di un gruppo difficilmente suddivisibile in categorie, quello dei
Superumani, composto da esseri umani vittime di incidenti di
laboratorio o potenziati artificialmente, in modi diversi tra loro. A
quel punto la M diventava automaticamente l'emblema dei Mutanti.
“E la
I?” aveva domandato Illyana
“Credo
stia per Inumani...” aveva risposto l'ex chirurgo.
“Inumani?”
aveva domandato Wanda, confusa.
“Da
quello che so, dovrebbe trattarsi di una sorta di ingegnerizzazione
genetica della razza umana ad opera degli alieni Kree, dalla galassia
di Andromeda” aveva risposto vago il dottore.
“E
quindi? Cosa cambia da tutti gli altri?” l'aveva incalzato
Pietro
“Il
D.N.A. In un caso è stato ingegnerizzato dagli esseri umani,
in un altro è una mutazione naturale mentre quello degli
Inumani è stato ingegnerizzato, sì, ma da mani
aliene. Una cosa certa, infatti, è che i poteri e le
mutazioni degli Inumani non sono geneticamente trasmissibili alle
generazioni successive mentre le prime due danno una certa
ereditarietà. Pensate a Nightcrawler e ai suoi genitori: con
i Mutanti e con i Superumani si può avere un certo grado di
prevedibilità statistica mentre gli Inumani il fenomeno
è totalmente randomico. Ecco perché rappresentano
un interessante soggetto di studio”
Umani,
Superumani, Inumani.
Mutanti e mutati
a diversi stadi, gli eredi o l'evoluzione gli uni degli altri.
“E un
mutante con un'inumana?” domandò Pietro,
appoggiando involontariamente una mano sul vetro di una bara al di
là della quale una giovane donna dai lunghi capelli biondi
giaceva immobile nel suo sonno farmacologicamente indotto, rapito dalla
sua bellezza. La targhetta di riconoscimento la identificava come
Crystal e la identificava come posseditrice di pirocinesi, idrocinesi,
geocinesi e aerocinesi, oltre ad altre abilità non
specificamente menzionate.
Pietro
digitò distrattamente sul dispositivo, per scoprire qualcosa
di più su quella che era, a
tutti gli
effetti, una creatura aliena, distante da lui eoni genetici. Eppure era
così fisicamente simile a qualunque altro essere umano... Ne
era affascinato.
Forse
perché era l'unica giovane Inumana, l'unica giovane aliena,
bloccata in quel posto. Gli altri erano adulti fatti e finiti, alcuni
con un aspetto massiccio e spaventoso, altri avevano l'aspetto di
mostruose chimere, raccapriccianti ibridi umano-animale. Uno,
addirittura, aveva uno strano dispositivo dall'aspetto osceno che gli
ricordava tremendamente volgari attrezzature per giochi erotici al
limite della perversione, che lo immobilizzavano e gli impedivano
l'articolazione di qualunque tipo di suono.
“Credo
che il D.N.A. Kree risulterebbe dominante...” stava valutando
il dottore “Quindi il potere non sarebbe la somma di
quello dei genitori”
Pietro accedette
al file che illustrava l'albero genealogico della donna e vide che gli
esseri accanto a lei facevano parte della sua famiglia.
Passò, quindi, a quello che sembrava essere il capofamiglia,
quello immobilizzato da orribili cinghie, Blackagart.
L'attesa del
caricamento della pagina era, per i suoi sensi ipervelocizzati, una
vera agonia. Quando riuscì ad aprire la pagina, il lamento
della sirena si alzò tutt'attorno quasi volesse avvertire
dell'intrusione subita, lasciando lui, il dottore e le loro
accompagnatrici, attoniti.
Possibile che
fosse stata colpa sua? La banale consultazione di un file elettronico?
AV AV AV AV AV AV AV AV
AV AV AV AV AV AV
Sorvolato
ch'ebbero quel mare di teche, ora disposte in gruppi, ora allineate in
righe compatte, quasi impattarono contro la tribuna che era la loro
meta.
Sembrava una
sorta di laboratorio sopraelevato open space da cui si dominava tutta
la situazione nello sterminato cimitero tecnologico alle loro spalle.
Come mai non era
intervenuto nessun altro oltre Scott e Alex? Possibile che davvero non
nessuno si fossero accorto di nulla? Che tutti quelli che lavoravano in
quel posto avessero tagliato la corda per tempo anche quella volta? Che
si trattasse di una trappola?
Era una storia
che avevano già vissuto.
La rabbia
combattiva di Rogue sembrò scemare rapidamente alla vista
dell'ambiente vuoto: se il motivo di tanto odio non era presente, che
senso aveva far perdurare quel sentimento che non faceva altro che
farle ribollire inutilmente il sangue nelle vene? Rodersi il fegato se
non poteva massacrare il responsabile di quello schifo?
“Ci
è sfuggito anche 'sta volta?” domandò
retorica avvicinandosi a uno dei tavoli che facevano bella mostra di
sé al centro dell'ambiente e sfogliandone distrattamente le
carte abbandonate sul pianale.
Kurt non sapeva
se essere contento di quella situazione o meno. Avrebbero controllato
di essere effettivamente soli e poi avrebbe comunicato il via libera a
Rogers.
Anche se...
Un orrendo
pensiero gli attraversò velocemente la mente. In quel posto,
secondo le loro stime, dovevano essere radunati tutti i Mutanti e i
Mutati del pianeta...alla cui conta mancavano solo loro.
E se non fosse
stato un progetto di Essex? L'avevano dato per scontato. Ma se,
chiunque fosse stato dietro a tutto quello, non avesse aspettato altro
che gli ultimi superumani, sfuggiti alla cattura silenziosa, si
consegnassero di loro sponte?
Sbarrò
gli occhi al pensiero. E se non avessero aspettato altro che
un gruppo di stolidi paladini, gli ultimi rimasti sulla terra,
intervenissero per salvare i loro simili e si intrufolassero
volontariamente all'interno di una realtà dimensionale in
cui l'esplosione di una testata atomica non avrebbe comportato alcuna
ripercussione nel mondo reale? Se avessero già caricato
l'arma che avrebbe sterminato i superumani per mano dei loro simili?
“Nessuno
tocchi le teche!” sbraitò furioso nell'auricolare
prima che chiunque altro pensasse di aver via libera. Kurt fece appena
in tempo a lanciare il comunicato che il silenzio di quell'ambiente
venne squarciato dall'urlo assordante di una sirena.
“E
così siete arrivati fin qui...” sibilò,
divertita, una voce che ben conoscevano. Non sembrava sorpresa dalla
loro presenza né dal raglio isterico dell'allarme.
A entrambi i
mutanti si accapponò la pelle per il ribrezzo e l'orrore
mentre Essex scivolava fuori dall'ombra e si palesava loro con quello
strano sorrisino che lo contraddistingueva, a metà tra il
divertito e l'ubriaco. Notando lo sguardo allarmato e al contempo
sollevato dei due mutanti, stirò il migliore dei suoi ghigni
compiaciuti e agghiaccianti. “Non è colpa
vostra...” disse schioccando le dita in aria e subito il
sibilo si spense e lui continuò “...ma
sì, vi stavo aspettando.” Vista la reazione di
Rogue, fattasi immediatamente scura in volto, sembrava stesse per
aggiungere qualcosa ma la mutante non gliene diede il tempo. Si
limitò a un sorrisetto condiscendente mentre lei scattava in
avanti, i pugni serrati, pronta a colpire, finalmente, il mostro che da
troppo tempo popolava i suoi incubi.
Kurt
osservò la scena col cuore in gola, in parte sperando che la
donna riuscisse finalmente a compiere la sua vendetta, in parte
desiderando che la sorella non si trasformasse in un'omicida.
Il suo sogno
controverso fu stroncato praticamente sul nascere.
Era
più che prevedibile.
Essex non si
sarebbe mai esposto a quel modo se non fosse stato più che
certo di essere al sicuro. E, a pensarci in quel momento, nemmeno la
sua misteriosa apparizione dal nulla era poi così strana:
doveva aver avuto un dispositivo schermante che lo aveva reso
invisibile fino al momento in cui non avesse voluto palesarsi. In
pratica erano caduti in una trappola tra le più elementari.
Rogue
impattò violentemente contro la sagoma confusa e inaspettata
di un uomo, comparso all'improvviso a far da scudo al genetista. Una
figura che, Kurt l'avvertì da distante, traboccava odio e
rabbia da ogni poro.
“In
particolare, aspettavo proprio te, Annamarie...”
continuò Essex con un sorriso divertito come niente fosse,
aggirando la sua guardia del corpo come se non fosse altro che una
statua piazzata nel punto sbagliato del giardino “Ho
preparato questa sorpresa appositamente, specificamente per te. Ci
tenevo tanto a incontrarti, credo tu lo sappia... Ma Remy era
così...come dire... geloso.” disse mentre
gesticolava teatralmente “Ti voleva tutta per sé.
Ma io non mordo mica...” disse sfoggiando un sorriso
smagliante e denti aguzzi nemmeno fosse stato un vampiro. Anche la sua
giovinezza risultava sospetta. Che si facesse davvero il bagno nel
sangue di vergini sacrificate alla sua sete di vanità?
Vedendolo, ai due fratellastri era sembrato che non fosse passato un
solo giorno da quello della loro liberazione: aveva lo stesso identico
aspetto d'allora.
L'uomo, che si
era parato in difesa del genetista e che aveva scaraventato Rogue
giù dal laboratorio a cielo aperto, aveva qualcosa di
familiare ma, di primo acchito, Kurt non riuscì a capire chi
gli ricordasse. Lunghi capelli bianchi e pelle nera come l'ebano: dai
colori poteva sembrare un anziano afroamericano ma i lineamenti (il
naso adunco, gli zigomi alti e scolpiti, le labbra sottili) erano
caucasici. E non c'era alcun segno di decadimento fisico. Quanto agli
occhi... avevano un'innaturale bagliore rossastro. Era troppo strano e
insolito.
Al mondo non
erano molte le persone a possedere una caratteristica simile anche
se... possibile che si trattasse di Gambit? Se sì, cosa gli
era successo per essere arrivato a un risultato simile?
Inebetito, lo
osservò allontanarsi e dovette ammettere che, visto di
spalle, colore dei capelli a parte, il corpo snello e asciutto
così come la camminata erano i suoi. E sembrava fermamente
intenzionato a uccidere Rogue.
“Oh
sì...” ghignò Essex alle sue spalle,
intuendo, o leggendo nella sua mente, l'angoscia del demone per
quell'assurda situazione. “I nostri novelli Romeo e
Giulietta... non ti sembra carino?”
Kurt
reagì d'istinto. Per quanto avesse giurato a Dio che avrebbe
cercato di restare sulla retta via, quelle parole, le conseguenze che
prospettavano, la spregiudicatezza che sottintendevano e che ne erano
alla base, gli diedero alla testa. Bamfò sul genetista
intenzionato a ucciderlo con le proprie mani. Ma Essex -l'aveva
dimenticato, accecato com'era dalla rabbia- le pensava sempre tutte. Un
campo elettromagnetico che lo sbalzò lontano al contatto si
era alzato a protezione prima ancora che lui si smaterializzasse per
aggredirlo.
Essex
stirò un sorriso di divertimento perverso e
l'osservò rimettersi in piedi, fumante, prima di avviarsi a
indicargli, orgoglioso, una teca speciale: un sarcofago del quale era
impossibile determinare il contenuto. Sulle pareti del freddo metallo
grigio campeggiavano due lettere rosse come il sangue.
Una X e una M.
Sopra
l'inamovibile baldacchino, un display, sul quale scorrevano i valori di
due soggetti distinti, indicava che l'esperimento aveva il nome di Onslaught. Essex, con fare
magnanimo, fece cenno a Kurt di riavvicinarsi: lo invitava a indagare.
Riluttante, mentre la sorella affrontava la sua lotta personale, si
avvicinò a quell'armadio dal design futuristico. Cercando di
tenere Essex sempre davanti a sé, come temendo di poter
essere aggredito alle spalle, studiò il marchingegno. Ma non
poté impedirsi di abbassare la guardia, per la paura, lo
sconforto e la disperazione, quando lesse i nomi coinvolti in
quell'operazione.
Essex era
protetto da nient'altro che dalla fusione dei poteri delle menti
più pericolose del pianeta: Charles Xavier ed Erik Lansher;
il professor X e Magneto.
X e M.
Ecco cosa
indicavano quelle lettere poste così sfacciate sulla paratia
esterna di quella che ora si rivelava essere, in tutto il suo orrore,
una tomba claustrofobica e sigillata.
AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV
AV AV AV
Dopo aver
duramente impattato col suolo, capito all'istante che quello strano e
losco figuro ce l'aveva con lei, Rogue scappò all'assalto
spiccando un salto: inutile coinvolgere suo fratello. Il piccolo demone
blu se la sarebbe cavata nonostante lei non desiderasse altro che
tornare tra le sue braccia sicure e affrontare l'uomo che tanto odiava.
Volare di nuovo al punto di partenza, però, non avrebbe
risolto nulla. La guardia del corpo di Essex sembrava essere un mastino
e se lo sarebbe trascinato dietro inutilmente: la seguiva come un'ombra
e riusciva ad anticipare tutte le sue mosse, nemmeno la conoscesse come
le sue tasche. Per prima cosa doveva liberarsi di lui.
Con piccoli salti
si portava a distanza di sicurezza, cercando di smarcarsi da
quell'inquietante individuo dall'aspetto stranamente familiare ma che
non era ancora riuscita a osservare attentamente, concentrata com'era a
scappargli e convinta di riuscire a sbarazzarsene in fretta. Quello,
però, si era rivelato uno dei peggiori ossi duri
mai incontrati. E ancora non aveva rivelato il suo potere: si limitava
ad anticiparla, come uno specchio, quasi godesse nel vederla affannarsi
a cercare un'inesistente via di fuga.
Aveva provato,
quindi, più volte, ad attaccarlo e ne era uscita sempre
gambe all'aria, ammaccata e frustrata. Non le era mai capitato nulla
del genere.
Alzò
lo sguardo per studiarlo e capirne le intenzioni. La posizione in cui
tratteneva il fisico, i lineamenti... Tutto le rimandava dolorosamente
l'idea che a fronteggiarla ci fosse Gambit. Ma era un'idea impossibile.
O l'aveva ucciso o lui era scappato approfittando del disastro al
Triskelion. E il pensiero di essere stata presa così
abilmente in giro le rodeva fin nelle viscere. Era arrabbiata, furiosa
con se stessa e contro quel damerino finto francese. Di cui conservava
ancora gli occhi roventi come braci.
Accecata dal
ricordo, attaccò ancora, quasi avesse davanti proprio l'uomo
responsabile delle sue sofferenze e una volta ancora finì
lunga distesa dopo essersi scartavetrata la pelle sulla pavimentazione
ruvida.
“Inutile
che insisti tanto, Chère...”
gorgogliò la voce cavernosa dell'uomo, così
simile e così distante da quella che la rossa conosceva.
Inevitabilmente
quanto involontariamente, un tuffo al cuore le scosse le viscere.
Quello era Remy
LeBeau. Il suo Gambit.
Il clone e il
figlio di Nathaniel Essex, il folle genetista.
E ora appariva...
non solo diverso... proprio stravolto.
Come un schiaffo,
le tornarono in mente le parole di Sauron: i ricordi di Karl non erano
i vaneggiamenti di un folle.
Sentì
gli occhi inumidirsi: non aveva creduto -non aveva voluto farlo- a
quello che la mente del mutante preistorico le aveva mostrato.
E ora lui era
lì.
Vivo, vegeto... e
vendicativo.
Cosa gli era
successo?
“Non
puoi vincermi... in realtà non hai mai potuto. Ho sempre
giocato con te.” confessò l'uomo con un sorriso
genuino e orgoglioso, lasciandola più confusa di prima.
Cosa intendeva?
L'uomo si
guardò distrattamente le unghie perfette, quasi godendo
dell'agitazione suscitata. Sembrava sapere esattamente cosa la
agitasse. “Unisciti a me” disse infine, tendendole
la mano nuda senza esitazione alcuna.
Rogue non sapeva
come reagire. Si era bevuto completamente il cervello?
Perché offrirle la mano sguarnita? Voleva dimostrarle che
non la temeva? Che in realtà poteva toccarla liberamente?
Voleva confermare che aveva sempre giocato, che aveva fatto
sì che lei dipendesse da lui?
Oppure... beh...
la odiava al punto che la voleva morta. Tutte le moine in cui si era
prodigato per farla capitolare e lei aveva continuato a nicchiare fino
alla fine erano state una strategia per portare a quel momento? A
mostrarle come lui fosse immune al suo potere e potesse eliminarla
senza che lei si opponesse?
Ma
perché continuare a flirtare? Aveva vinto lui. Voleva farla
capitolare definitivamente? A quale scopo? Presa in giro o vero
innamoramento?
Il solo pensiero
le mandò il sangue alla testa. Brutto stronzo! Prendersi
così gioco di chi aveva un problema come il suo. Chi poteva
mai volere una come lei con un potere così invalidante? Se
lui ne era sempre stato immune, era stato crudele a giocare
così con lei, facendole desiderare l'impossibile.
Forse voleva
farle pagare il fatto di essersi sottratta al suo giochino, di non aver
voluto farlo divertire a sufficienza lasciandosi cadere nella sua rete
seduttiva come tutte. Immaginava il divertimento di lui nel metterla
così in difficoltà. Più è
ostico l'avversario più è soddisfacente vederlo
cadere nella polvere. E lui era il figlio di Essex. O meglio, il suo
clone. Come aveva potuto essere così ingenua? Probabilmente,
anche lui conosceva piccoli trucchetti mentali con cui circuire i suoi
poteri. Era evidente che le aveva mostrato solo parte della sua mente.
Bastardo.
E ora, in un
ultimo tentativo di far finire i giochi come voleva lui, in ginocchio e
supplichevole, arrivava a proporle quel tipo di accordo? Passare al
nemico?
“Sono
un X-men... e teoricamente lo eri anche tu...”
replicò lei con voce tagliente. Cercò di
drizzarsi in tutta la sua statura di un metro e settantasei, il mento
sollevato in segno di sfida, gli occhi smeraldini che guizzavano vivaci
della fiamma di lui da dietro le lunghe ciglia.
“E' un
rifiuto?” sibilò l'altro, riducendo gli occhi a
due fessure ardenti e ritirando la mano in un pugno stizzito.
“Vorrei
ben vedere! Altro che non
ne so nulla.
Avevano ragione gli altri. Avrei dovuto dar loro ascolto! Invece, come
una stupida, ho pensato che fossi come me! Che avessi davvero solo
bisogno di una chance! Invece, tu hai aiutato tuo padre con le
sentinelle contro i Morlock e contro noi stessi!”
urlò puntandogli il dito contro “Dannazione! Tu ci
hai schiaffato in questi cosi! Tu ci hai messo i collari! Tu hai
contribuito alla merda che ci hanno fatto! Non sei stato solo un
palo!”
“Chère...”
sibilò lui, con tono minaccioso, avvicinandosi lentamente ma
inesorabilmente. Un brivido istintivo le corse lungo la schiena. Sembra
la personificazione della Morte: aveva un'aura minacciosa come quella
che aveva intravisto in Warren.
“Fatti
da parte, Cajun. Non voglio farti del male. Non sono come
te.” disse ritrovando un po' di orgoglio, di amor proprio e
anche la forza sufficiente per far avanzare rigidamente le gambe che le
tremavano come budini liquidi e dimenticando come, fino a quel momento,
lui avesse abilmente eluso i suoi attacchi.
Nessuno dei due
si scansò e finirono muso a muso un'altra volta. Nessuno dei
due sembrava intenzionato a cedere.
“Libera
questa gente... non far passare loro quello che ho subito io... ti
prego...” lo supplicò in un ultimo, disperato,
tentativo di redimerlo “Sei migliore
di...questo...” disse lasciando scorrere lo sguardo su di lui.
“Non
posso...” rispose lui, la voce sardonica improvvisamente
incrinata da quella che sembrava nostalgia o dispiacere “Ho
venduto la mia anima a Sinistro...” confessò
subito dopo “Ho promesso a Essex che, in cambio del mio
aiuto, lui mi avrebbe reso immune al tuo potere...”
alitò tornando ad allungare la mano al volto di lei.
Prima che potesse
rendersene conto, prima che potesse fermarla, una lacrima
rotolò sul suo volto sconvolto dalla rivelazione. Non se ne
curò. Al momento non le interessava nulla se non
ciò che si nascondeva dietro alle parole del bel ladro.
Lasciò che quella goccia d'acqua salata continuasse la corsa
verso il terreno.
Per lei. Per
poterla toccare, Remy aveva venduto la sua anima a quel delinquente di
suo padre. E non una volta. Quando c'erano problemi, quel cretino
tornava sempre all'ovile, in cerca di una qualunque soluzione. Prima il
collare, ora questo...
Lasciò
che la sua mano si avvicinasse al suo volto, desiderando egoisticamente
poterlo toccare ancora, poter sfiorare ancora le sue labbra fino ad
annegarvi.
Ne voleva ancora
ma sapeva di doversi ritenere fortunata ad aver avuto almeno
un'occasione per provare quello che per le altre era routine. Ne voleva
ancora anche se sapeva perfettamente che avrebbe potuto ucciderlo
definitivamente, privi com'erano entrambi di protezioni.
Lasciò
che il Cajun le si avvicinasse, sopraffatta dai ricordi e dal desiderio
che aveva di lui. C'era qualcosa di oscuro e sbagliato in tutto quello
ma non poteva, non riusciva e forse non voleva negare l'attrazione che
la spingeva verso di lui. Inutilmente, cercò di riscuotersi
per allontanarlo ma il suo cervello sembrava essere in un loop
impossibile da spezzare. La razionalità era sparita in un
lampo, al punto da farle sospettare che lui stesse usando i suoi poteri
secondari su di lei.
Quando, infine,
la sua bocca si posò sulle sue labbra, il mondo
sembrò scomparire, inghiottito da un buco nero.
AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV
AV AV AV
Rieccomi
di rientro da Etnacomics. In questi giorni, poi, mi stanno montando la
cucina. Spero quindi di avere una certa tranquillità a breve
per riuscire a riprendere il normale ritrmo di aggiornamento.
Un bacio e scusate ancora il disagio!
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