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Autore: darkronin    16/06/2015    0 recensioni
Terza e ultima parte (spero) della saga 'L'ira degli Eroi'
Scopriremo, finalmente, come sono connessi tra loro Loki, Thanos e i potenti della Terra e cosa ciascuno di essi nasconda o desideri. Vedremo come i nostri eroi, finalmente riunitisi, finiranno nei guai e cercheranno di uscirne.
- - - - - - Crossover Avengers-X-men col Marvelverse più in generale (come dovrebbe essere in realtà)
- - Altri personaggi secondari aggiuntivi rispetto alla fic precedente: I nuovi personaggi introdotti in quest'ultima parte, per ora, sono solo l'agente 13 Sharon Carter, i gemelli Fenris, Ercole, Sersi, Ares, Danny Rand e Luke Cage, Polaris, Havoc, Ciclope, Sole Ardente, Cable (in minima parte).
+ Riferimenti a World War Hulk, Age of Apocalypse, Secret Invasion, House of M
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Cross-over, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'ira degli eroi'
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40.  Umani, Superumani, Inumani







Si aggiravano circospetti in quella landa desolata punteggiata da bare trasparenti, scrutando i volti immersi nel sinistro liquido aranciato al di là del vetro, nella speranza di scorgere qualcuno di loro conoscenza.
Giovani e meno giovani, uomini e donne. Non sembrava esserci uno schema fisso nei raggruppamenti. Solo ogni tanto si erano imbattuti in gruppi eterogenei, per aspetto e poteri, di individui classificati con una I al posto di una M ma, in ogni caso, alcuni sembravano semplici umani, altri creature uscite dalle pagine di un libro di fiabe.
Avendo individuato qualcuno con una S nella sua scheda, Strange aveva suggerito ai ragazzi al suo seguito che quest'ultima fosse l'iniziale di un gruppo difficilmente suddivisibile in categorie, quello dei Superumani, composto da esseri umani vittime di incidenti di laboratorio o potenziati artificialmente, in modi diversi tra loro. A quel punto la M diventava automaticamente l'emblema dei Mutanti.
“E la I?” aveva domandato Illyana
“Credo stia per Inumani...” aveva risposto l'ex chirurgo.
“Inumani?” aveva domandato Wanda, confusa.
“Da quello che so, dovrebbe trattarsi di una sorta di ingegnerizzazione genetica della razza umana ad opera degli alieni Kree, dalla galassia di Andromeda” aveva risposto vago il dottore.
“E quindi? Cosa cambia da tutti gli altri?” l'aveva incalzato Pietro
“Il D.N.A. In un caso è stato ingegnerizzato dagli esseri umani, in un altro è una mutazione naturale mentre quello degli Inumani è stato ingegnerizzato, sì, ma da mani aliene. Una cosa certa, infatti, è che i poteri e le mutazioni degli Inumani non sono geneticamente trasmissibili alle generazioni successive mentre le prime due danno una certa ereditarietà. Pensate a Nightcrawler e ai suoi genitori: con i Mutanti e con i Superumani si può avere un certo grado di prevedibilità statistica mentre gli Inumani il fenomeno è totalmente randomico. Ecco perché rappresentano un interessante soggetto di studio”
Umani, Superumani, Inumani.
Mutanti e mutati a diversi stadi, gli eredi o l'evoluzione gli uni degli altri.
“E un mutante con un'inumana?” domandò Pietro, appoggiando involontariamente una mano sul vetro di una bara al di là della quale una giovane donna dai lunghi capelli biondi giaceva immobile nel suo sonno farmacologicamente indotto, rapito dalla sua bellezza. La targhetta di riconoscimento la identificava come Crystal e la identificava come posseditrice di pirocinesi, idrocinesi, geocinesi e aerocinesi, oltre ad altre abilità non specificamente menzionate.
Pietro digitò distrattamente sul dispositivo, per scoprire qualcosa di più su quella che era, a
tutti gli effetti, una creatura aliena, distante da lui eoni genetici. Eppure era così fisicamente simile a qualunque altro essere umano... Ne era affascinato.
Forse perché era l'unica giovane Inumana, l'unica giovane aliena, bloccata in quel posto. Gli altri erano adulti fatti e finiti, alcuni con un aspetto massiccio e spaventoso, altri avevano l'aspetto di mostruose chimere, raccapriccianti ibridi umano-animale. Uno, addirittura, aveva uno strano dispositivo dall'aspetto osceno che gli ricordava tremendamente volgari attrezzature per giochi erotici al limite della perversione, che lo immobilizzavano e gli impedivano l'articolazione di qualunque tipo di suono.
“Credo che il D.N.A. Kree risulterebbe dominante...” stava valutando il dottore “Quindi il potere non sarebbe la somma di quello dei genitori”
Pietro accedette al file che illustrava l'albero genealogico della donna e vide che gli esseri accanto a lei facevano parte della sua famiglia. Passò, quindi, a quello che sembrava essere il capofamiglia, quello immobilizzato da orribili cinghie, Blackagart.
L'attesa del caricamento della pagina era, per i suoi sensi ipervelocizzati, una vera agonia. Quando riuscì ad aprire la pagina, il lamento della sirena si alzò tutt'attorno quasi volesse avvertire dell'intrusione subita, lasciando lui, il dottore e le loro accompagnatrici, attoniti.
Possibile che fosse stata colpa sua? La banale consultazione di un file elettronico?

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Sorvolato ch'ebbero quel mare di teche, ora disposte in gruppi, ora allineate in righe compatte, quasi impattarono contro la tribuna che era la loro meta.
Sembrava una sorta di laboratorio sopraelevato open space da cui si dominava tutta la situazione nello sterminato cimitero tecnologico alle loro spalle.
Come mai non era intervenuto nessun altro oltre Scott e Alex? Possibile che davvero non nessuno si fossero accorto di nulla? Che tutti quelli che lavoravano in quel posto avessero tagliato la corda per tempo anche quella volta? Che si trattasse di una trappola?
Era una storia che avevano già vissuto.
La rabbia combattiva di Rogue sembrò scemare rapidamente alla vista dell'ambiente vuoto: se il motivo di tanto odio non era presente, che senso aveva far perdurare quel sentimento che non faceva altro che farle ribollire inutilmente il sangue nelle vene? Rodersi il fegato se non poteva massacrare il responsabile di quello schifo?
“Ci è sfuggito anche 'sta volta?” domandò retorica avvicinandosi a uno dei tavoli che facevano bella mostra di sé al centro dell'ambiente e sfogliandone distrattamente le carte abbandonate sul pianale.
Kurt non sapeva se essere contento di quella situazione o meno. Avrebbero controllato di essere effettivamente soli e poi avrebbe comunicato il via libera a Rogers.
Anche se...
Un orrendo pensiero gli attraversò velocemente la mente. In quel posto, secondo le loro stime, dovevano essere radunati tutti i Mutanti e i Mutati del pianeta...alla cui conta mancavano solo loro.
E se non fosse stato un progetto di Essex? L'avevano dato per scontato. Ma se, chiunque fosse stato dietro a tutto quello, non avesse aspettato altro che gli ultimi superumani, sfuggiti alla cattura silenziosa, si consegnassero di loro sponte?
Sbarrò gli occhi al pensiero. E se  non avessero aspettato altro che un gruppo di stolidi paladini, gli ultimi rimasti sulla terra, intervenissero per salvare i loro simili e si intrufolassero volontariamente all'interno di una realtà dimensionale in cui l'esplosione di una testata atomica non avrebbe comportato alcuna ripercussione nel mondo reale? Se avessero già caricato l'arma che avrebbe sterminato i superumani per mano dei loro simili?
“Nessuno tocchi le teche!” sbraitò furioso nell'auricolare prima che chiunque altro pensasse di aver via libera. Kurt fece appena in tempo a lanciare il comunicato che il silenzio di quell'ambiente venne squarciato dall'urlo assordante di una sirena.
“E così siete arrivati fin qui...” sibilò, divertita, una voce che ben conoscevano. Non sembrava sorpresa dalla loro presenza né dal raglio isterico dell'allarme.
A entrambi i mutanti si accapponò la pelle per il ribrezzo e l'orrore mentre Essex scivolava fuori dall'ombra e si palesava loro con quello strano sorrisino che lo contraddistingueva, a metà tra il divertito e l'ubriaco. Notando lo sguardo allarmato e al contempo sollevato dei due mutanti, stirò il migliore dei suoi ghigni compiaciuti e agghiaccianti. “Non è colpa vostra...” disse schioccando le dita in aria e subito il sibilo si spense e lui continuò “...ma sì, vi stavo aspettando.” Vista la reazione di Rogue, fattasi immediatamente scura in volto, sembrava stesse per aggiungere qualcosa ma la mutante non gliene diede il tempo. Si limitò a un sorrisetto condiscendente mentre lei scattava in avanti, i pugni serrati, pronta a colpire, finalmente, il mostro che da troppo tempo popolava i suoi incubi.
Kurt osservò la scena col cuore in gola, in parte sperando che la donna riuscisse finalmente a compiere la sua vendetta, in parte desiderando che la sorella non si trasformasse in un'omicida.
Il suo sogno controverso fu stroncato praticamente sul nascere.
Era più che prevedibile.
Essex non si sarebbe mai esposto a quel modo se non fosse stato più che certo di essere al sicuro. E, a pensarci in quel momento, nemmeno la sua misteriosa apparizione dal nulla era poi così strana: doveva aver avuto un dispositivo schermante che lo aveva reso invisibile fino al momento in cui non avesse voluto palesarsi. In pratica erano caduti in una trappola tra le più elementari.
Rogue impattò violentemente contro la sagoma confusa e inaspettata di un uomo, comparso all'improvviso a far da scudo al genetista. Una figura che, Kurt l'avvertì da distante, traboccava odio e rabbia da ogni poro.
“In particolare, aspettavo proprio te, Annamarie...” continuò Essex con un sorriso divertito come niente fosse, aggirando la sua guardia del corpo come se non fosse altro che una statua piazzata nel punto sbagliato del giardino “Ho preparato questa sorpresa appositamente, specificamente per te. Ci tenevo tanto a incontrarti, credo tu lo sappia... Ma Remy era così...come dire... geloso.” disse mentre gesticolava teatralmente “Ti voleva tutta per sé. Ma io non mordo mica...” disse sfoggiando un sorriso smagliante e denti aguzzi nemmeno fosse stato un vampiro. Anche la sua giovinezza risultava sospetta. Che si facesse davvero il bagno nel sangue di vergini sacrificate alla sua sete di vanità? Vedendolo, ai due fratellastri era sembrato che non fosse passato un solo giorno da quello della loro liberazione: aveva lo stesso identico aspetto d'allora.
L'uomo, che si era parato in difesa del genetista e che aveva scaraventato Rogue giù dal laboratorio a cielo aperto, aveva qualcosa di familiare ma, di primo acchito, Kurt non riuscì a capire chi gli ricordasse. Lunghi capelli bianchi e pelle nera come l'ebano: dai colori poteva sembrare un anziano afroamericano ma i lineamenti (il naso adunco, gli zigomi alti e scolpiti, le labbra sottili) erano caucasici. E non c'era alcun segno di decadimento fisico. Quanto agli occhi... avevano un'innaturale bagliore rossastro. Era troppo strano e insolito.
Al mondo non erano molte le persone a possedere una caratteristica simile anche se... possibile che si trattasse di Gambit? Se sì, cosa gli era successo per essere arrivato a un risultato simile?
Inebetito, lo osservò allontanarsi e dovette ammettere che, visto di spalle, colore dei capelli a parte, il corpo snello e asciutto così come la camminata erano i suoi. E sembrava fermamente intenzionato a uccidere Rogue.
“Oh sì...” ghignò Essex alle sue spalle, intuendo, o leggendo nella sua mente, l'angoscia del demone per quell'assurda situazione. “I nostri novelli Romeo e Giulietta... non ti sembra carino?”
Kurt reagì d'istinto. Per quanto avesse giurato a Dio che avrebbe cercato di restare sulla retta via, quelle parole, le conseguenze che prospettavano, la spregiudicatezza che sottintendevano e che ne erano alla base, gli diedero alla testa. Bamfò sul genetista intenzionato a ucciderlo con le proprie mani. Ma Essex -l'aveva dimenticato, accecato com'era dalla rabbia- le pensava sempre tutte. Un campo elettromagnetico che lo sbalzò lontano al contatto si era alzato a protezione prima ancora che lui si smaterializzasse per aggredirlo.
Essex stirò un sorriso di divertimento perverso e l'osservò rimettersi in piedi, fumante, prima di avviarsi a indicargli, orgoglioso, una teca speciale: un sarcofago del quale era impossibile determinare il contenuto. Sulle pareti del freddo metallo grigio campeggiavano due lettere rosse come il sangue.
Una X e una M.
Sopra l'inamovibile baldacchino, un display, sul quale scorrevano i valori di due soggetti distinti, indicava che l'esperimento aveva il nome di Onslaught. Essex, con fare magnanimo, fece cenno a Kurt di riavvicinarsi: lo invitava a indagare. Riluttante, mentre la sorella affrontava la sua lotta personale, si avvicinò a quell'armadio dal design futuristico. Cercando di tenere Essex sempre davanti a sé, come temendo di poter essere aggredito alle spalle, studiò il marchingegno. Ma non poté impedirsi di abbassare la guardia, per la paura, lo sconforto e la disperazione, quando lesse i nomi coinvolti in quell'operazione.
Essex era protetto da nient'altro che dalla fusione dei poteri delle menti più pericolose del pianeta: Charles Xavier ed Erik Lansher; il professor X e Magneto.
X e M.
Ecco cosa indicavano quelle lettere poste così sfacciate sulla paratia esterna di quella che ora si rivelava essere, in tutto il suo orrore, una tomba claustrofobica e sigillata.

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Dopo aver duramente impattato col suolo, capito all'istante che quello strano e losco figuro ce l'aveva con lei, Rogue scappò all'assalto spiccando un salto: inutile coinvolgere suo fratello. Il piccolo demone blu se la sarebbe cavata nonostante lei non desiderasse altro che tornare tra le sue braccia sicure e affrontare l'uomo che tanto odiava. Volare di nuovo al punto di partenza, però, non avrebbe risolto nulla. La guardia del corpo di Essex sembrava essere un mastino e se lo sarebbe trascinato dietro inutilmente: la seguiva come un'ombra e riusciva ad anticipare tutte le sue mosse, nemmeno la conoscesse come le sue tasche. Per prima cosa doveva liberarsi di lui.
Con piccoli salti si portava a distanza di sicurezza, cercando di smarcarsi da quell'inquietante individuo dall'aspetto stranamente familiare ma che non era ancora riuscita a osservare attentamente, concentrata com'era a scappargli e convinta di riuscire a sbarazzarsene in fretta. Quello, però,  si era rivelato uno dei peggiori ossi duri mai incontrati. E ancora non aveva rivelato il suo potere: si limitava ad anticiparla, come uno specchio, quasi godesse nel vederla affannarsi a cercare un'inesistente via di fuga.
Aveva provato, quindi, più volte, ad attaccarlo e ne era uscita sempre gambe all'aria, ammaccata e frustrata. Non le era mai capitato nulla del genere.
Alzò lo sguardo per studiarlo e capirne le intenzioni. La posizione in cui tratteneva il fisico, i lineamenti... Tutto le rimandava dolorosamente l'idea che a fronteggiarla ci fosse Gambit. Ma era un'idea impossibile. O l'aveva ucciso o lui era scappato approfittando del disastro al Triskelion. E il pensiero di essere stata presa così abilmente in giro le rodeva fin nelle viscere. Era arrabbiata, furiosa con se stessa e contro quel damerino finto francese. Di cui conservava ancora gli occhi roventi come braci.
Accecata dal ricordo, attaccò ancora, quasi avesse davanti proprio l'uomo responsabile delle sue sofferenze e una volta ancora finì lunga distesa dopo essersi scartavetrata la pelle sulla pavimentazione ruvida.
“Inutile che insisti tanto, Chère...” gorgogliò la voce cavernosa dell'uomo, così simile e così distante da quella che la rossa conosceva.
Inevitabilmente quanto involontariamente, un tuffo al cuore le scosse le viscere.
Quello era Remy LeBeau. Il suo Gambit.
Il clone e il figlio di Nathaniel Essex, il folle genetista.
E ora appariva... non solo diverso... proprio stravolto.
Come un schiaffo, le tornarono in mente le parole di Sauron: i ricordi di Karl non erano i vaneggiamenti di un folle.
Sentì gli occhi inumidirsi: non aveva creduto -non aveva voluto farlo- a quello che la mente del mutante preistorico le aveva mostrato.
E ora lui era lì.
Vivo, vegeto... e vendicativo.
Cosa gli era successo?
“Non puoi vincermi... in realtà non hai mai potuto. Ho sempre giocato con te.” confessò l'uomo con un sorriso genuino e orgoglioso, lasciandola più confusa di prima.
Cosa intendeva?
L'uomo si guardò distrattamente le unghie perfette, quasi godendo dell'agitazione suscitata. Sembrava sapere esattamente cosa la agitasse. “Unisciti a me” disse infine, tendendole la mano nuda senza esitazione alcuna.
Rogue non sapeva come reagire. Si era bevuto completamente il cervello? Perché offrirle la mano sguarnita? Voleva dimostrarle che non la temeva? Che in realtà poteva toccarla liberamente? Voleva confermare che aveva sempre giocato, che aveva fatto sì che lei dipendesse da lui?
Oppure... beh... la odiava al punto che la voleva morta. Tutte le moine in cui si era prodigato per farla capitolare e lei aveva continuato a nicchiare fino alla fine erano state una strategia per portare a quel momento? A mostrarle come lui fosse immune al suo potere e potesse eliminarla senza che lei si opponesse?
Ma perché continuare a flirtare? Aveva vinto lui. Voleva farla capitolare definitivamente? A quale scopo? Presa in giro o vero innamoramento?
Il solo pensiero le mandò il sangue alla testa. Brutto stronzo! Prendersi così gioco di chi aveva un problema come il suo. Chi poteva mai volere una come lei con un potere così invalidante? Se lui ne era sempre stato immune, era stato crudele a giocare così con lei, facendole desiderare l'impossibile.
Forse voleva farle pagare il fatto di essersi sottratta al suo giochino, di non aver voluto farlo divertire a sufficienza lasciandosi cadere nella sua rete seduttiva come tutte. Immaginava il divertimento di lui nel metterla così in difficoltà. Più è ostico l'avversario più è soddisfacente vederlo cadere nella polvere. E lui era il figlio di Essex. O meglio, il suo clone. Come aveva potuto essere così ingenua? Probabilmente, anche lui conosceva piccoli trucchetti mentali con cui circuire i suoi poteri. Era evidente che le aveva mostrato solo parte della sua mente. Bastardo.
E ora, in un ultimo tentativo di far finire i giochi come voleva lui, in ginocchio e supplichevole, arrivava a proporle quel tipo di accordo? Passare al nemico?
“Sono un X-men... e teoricamente lo eri anche tu...” replicò lei con voce tagliente. Cercò di drizzarsi in tutta la sua statura di un metro e settantasei, il mento sollevato in segno di sfida, gli occhi smeraldini che guizzavano vivaci della fiamma di lui da dietro le lunghe ciglia.
“E' un rifiuto?” sibilò l'altro, riducendo gli occhi a due fessure ardenti e ritirando la mano in un pugno stizzito.
“Vorrei ben vedere! Altro che non ne so nulla. Avevano ragione gli altri. Avrei dovuto dar loro ascolto! Invece, come una stupida, ho pensato che fossi come me! Che avessi davvero solo bisogno di una chance! Invece, tu hai aiutato tuo padre con le sentinelle contro i Morlock e contro noi stessi!” urlò puntandogli il dito contro “Dannazione! Tu ci hai schiaffato in questi cosi! Tu ci hai messo i collari! Tu hai contribuito alla merda che ci hanno fatto! Non sei stato solo un palo!”
Chère...” sibilò lui, con tono minaccioso, avvicinandosi lentamente ma inesorabilmente. Un brivido istintivo le corse lungo la schiena. Sembra la personificazione della Morte: aveva un'aura minacciosa come quella che aveva intravisto in Warren.
“Fatti da parte, Cajun. Non voglio farti del male. Non sono come te.” disse ritrovando un po' di orgoglio, di amor proprio e anche la forza sufficiente per far avanzare rigidamente le gambe che le tremavano come budini liquidi e dimenticando come, fino a quel momento, lui avesse abilmente eluso i suoi attacchi.
Nessuno dei due si scansò e finirono muso a muso un'altra volta. Nessuno dei due sembrava intenzionato a cedere.
“Libera questa gente... non far passare loro quello che ho subito io... ti prego...” lo supplicò in un ultimo, disperato, tentativo di redimerlo “Sei migliore di...questo...” disse lasciando scorrere lo sguardo su di lui.
“Non posso...” rispose lui, la voce sardonica improvvisamente incrinata da quella che sembrava nostalgia o dispiacere “Ho venduto la mia anima a Sinistro...” confessò subito dopo “Ho promesso a Essex che, in cambio del mio aiuto, lui mi avrebbe reso immune al tuo potere...” alitò tornando ad allungare la mano al volto di lei.
Prima che potesse rendersene conto, prima che potesse fermarla, una lacrima rotolò sul suo volto sconvolto dalla rivelazione. Non se ne curò. Al momento non le interessava nulla se non ciò che si nascondeva dietro alle parole del bel ladro. Lasciò che quella goccia d'acqua salata continuasse la corsa verso il terreno.
Per lei. Per poterla toccare, Remy aveva venduto la sua anima a quel delinquente di suo padre. E non una volta. Quando c'erano problemi, quel cretino tornava sempre all'ovile, in cerca di una qualunque soluzione. Prima il collare, ora questo...
Lasciò che la sua mano si avvicinasse al suo volto, desiderando egoisticamente poterlo toccare ancora, poter sfiorare ancora le sue labbra fino ad annegarvi.
Ne voleva ancora ma sapeva di doversi ritenere fortunata ad aver avuto almeno un'occasione per provare quello che per le altre era routine. Ne voleva ancora anche se sapeva perfettamente che avrebbe potuto ucciderlo definitivamente, privi com'erano entrambi di protezioni.
Lasciò che il Cajun le si avvicinasse, sopraffatta dai ricordi e dal desiderio che aveva di lui. C'era qualcosa di oscuro e sbagliato in tutto quello ma non poteva, non riusciva e forse non voleva negare l'attrazione che la spingeva verso di lui. Inutilmente, cercò di riscuotersi per allontanarlo ma il suo cervello sembrava essere in un loop impossibile da spezzare. La razionalità era sparita in un lampo, al punto da farle sospettare che lui stesse usando i suoi poteri secondari su di lei.
Quando, infine, la sua bocca si posò sulle sue labbra, il mondo sembrò scomparire, inghiottito da un buco nero.








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Rieccomi di rientro da Etnacomics. In questi giorni, poi, mi stanno montando la cucina. Spero quindi di avere una certa tranquillità a breve per riuscire a riprendere il normale ritrmo di aggiornamento.
Un bacio e scusate ancora il disagio!
   
 
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