23
Affittare l'anima
Ritti di fronte alla scrivania di Boden, Matt e
Kelly condividevano una sensazione davvero spiacevole: sarebbe loro
piovuta sulla testa una pioggia di guai.
Usciti dal seminterrato, Boden aveva rivolto loro appena uno
sguardo truce. Qualunque offesa o urlo sarebbe stato migliore che quel
terribile e duro silenzio. Il ritorno in Caserma era stato silenzioso
su entrambi i camion; nessuno degli uomini delle due squadre aveva
osato commentare ciò che era successo. Per la maggior parte
aleggiava il terrore del momento in cui la reazione di Boden sarebbe
giunta.
Quando i Tenenti erano stati convocati nell'ufficio, i loro
uomini avevano indossato sguardi compassionevoli e spaventati.
Matt guardava Boden, che guardava entrambi con le mascelle
serrate. Non riuscendo più a sopportare l'attesa,
parlò prima di potersi frenare.
«Senta, Capo, so di aver sbagliato-»
Boden alzò una mano per frenarlo e i suoi occhi
si infiammarono.
«Quando, Casey? Quando hai deciso di entrare senza
permesso, o quando hai deliberatemente ignorato un ordine?»
Matt abbassò il capo istintivamente,
vergognandosi della sua attuale posizione.
«Non so cosa stia succedendo qui» disse
Boden, stringendo le mani sulla scrivania. «Prima tu, Casey,
ignori il mio ordine di uscire da un edificio in fiamme e menti
spudoratamente, poi questo.» Prima di ricevere risposta,
Boden si voltò verso Kelly. «E tu, Severide,
prendi decisioni di testa tua, mi oltrepassi, lasci il turno e torni
dopo un'ora senza una valida ragione. Ora, voglio credere di non aver
perso il controllo sui miei due Tenenti, i miei uomini migliori, quelli
che dovrebbero avere il buonsenso per comandare. È
così?»
Matt annuì, ma non osò guardare Kelly.
Malgrado ciò, avvertì il capo del moro imitarlo.
Provò l'istinto di dire la verità, di svelare a
Boden la loro relazione. Non era certo che Kelly approvasse la sua
intenzione, né che questo non li avrebbe messi in guai
peggiori. L'ultima cosa che voleva era che Boden considerasse il loro
rapporto qualcosa che ne degenerasse le capacità lavorative,
ma non era certo di avere molte alternative.
«Casey» lo richiamò Boden,
spingendolo a guardarlo negli occhi.
Ciò che vide non gli piacque affatto e
sentì il sangue defluirgli dal viso, attendendo parole che
non avrebbe mai voluto sentire.
«Sei sospeso.»
La verità folgorò la sua mente: Kelly
era la cosa più preziosa che aveva. Il suo lavoro e la
posizione che aveva guadagnato con così tanta fatica, non
erano nulla paragonato a quello che aveva con il suo compagno. Kelly
era la persona che lui aveva atteso per tutta la vita, la speranza che
non era riuscito ad abbandonare, il sentimento che aveva potuto
osservare solo negli occhi di pochi fortunati.
«Cosa?» sbottò Kelly.
«Sta scherzando?»
«Vuoi essere sospeso ance tu, Severide?»
lo sfidò duramente Boden, prima di tornare a Casey.
«Ti ho dato tempo, ma a quanto pare hai bisogno di altro
riposo. Quello che hai fatto oggi non solo è assurdamente
stupido, ma così pericoloso che siete fortunati ad esserne
usciti vivi. Non posso rischiare la vita dei miei uomini per i tuoi
problemi.»
«Stranzate» ringhiò Kelly.
«Kelly» lo ammonì Matt,
guardandolo negli occhi.
Si voltò lentamente verso Boden e, con voce
ferma, disse: «Quello che ho fatto oggi lo rifarei mille
volte, Capo.»
Infilò una mano nella tasca dei
pantaloni e ne estrasse il distintivo. Per Kelly fu un terribile
deja-vu vedere quel pezzo di metallo lasciare le dita di Matt e posarsi
sulla scrivania. Eppure questa volta era diverso: non era la
disperazione a muovere le sue mani, ma qualcosa di più
lucente. Qualcosa che a Kelly sembrava amore.
«Se essere un vigile del fuoco non vuol dire
difendere la vita delle persone a cui tengo, allora non lo
sono.»
Boden si alzò dalla sedia, reggendosi alla
scrivania come se cercasse un equilibrio tra le sue emozioni. Kelly
guardò con strana fascinazione i due uomini fissarsi negli
occhi senza cedere, da un lato abbagliato dalla determinazione di Matt,
dall'altro preoccupato per la reazione di Boden a quelle parole.
«Questo cosa vuol dire? Cosa ti aspetti che
faccia?» chiese Boden.
«Quello che vuole» disse Matt, aprendo
le braccia in tono di sfida.
Kelly lo aveva visto comportarsi così
molto raramente, e mai con Boden. Casey non era il tipo di persona che
provocava un diretto superiore, soprattutto qualcuno che rispettava;
per lui era molto importante ottenere l'approvazione e il rispetto
reciproco. Per un attimo fu tentato di intervenire, ma era bloccato
dall'indecisione: cosa avrebbe potuto fare? La diplomazia non era il
suo forte.
«Avrei fatto lo stesso» disse di getto,
attirandosi due paia di occhi stupiti.
Guardò fisso Boden, ignorando lo sguardo di Matt.
«Ci sospenda entrambi, o ci lasci
andare.»
Boden li guardò uno ad uno con un cipiglio
confuso a increspargli la fronte.
«Che diavolo sta succedendo qui?»
«Non siamo coinquilini» rispose Kelly.
«Siamo una coppia.»
Il cipiglio di Boden divenne più profondo, mentre
la sorpresa passava nei suoi occhi scuri. Per secondi che sembrarono
eterni, l'aria si congelò e nessuno dei tre uomini
riuscì a muovere un muscolo. Matt abbassò lo
sguardo appena oltre il volto di Boden e quando tornò ad
esso, assistette a un inatteso spettacolo di emozioni scavare tra le
rughe e i lineamenti del Comandante.
Boden si mosse lentamente, rompendo la tenzione, e
afferrò il distintivo. Lo guardò e lo tese a
Matt, prima di sedersi e sospirare pesantemente.
«Questo non cambia niente» disse Boden.
«Siete sospesi entrambi. Finite questo turno e andate a casa.
Schiaritevi le idee e non tornate prima di due turni. Intesi?»
«Poteva andare peggio, eh?»
cercò di scherzare Kelly, appena usciti dall'ufficio di
Boden.
La tensione lasciava i suoi muscoli tanto velocemente da
fargli girare la testa. Ma Matt non sembrava in vena di scherzi. Senza
dare segno di aver registrato le sue parole, si avviò lungo
il corridoio. Kelly lo intercettò, parandogli la strada.
«Hey, che ti prende?»
«Niente» mormorò Casey,
facendo un passo indietro. «Senti, ho da fare.»
Cercò di aggirarlo, ma Kelly lo frenò
ancora.
«Ce l'hai con me per quello che ho detto a
Boden?»
Matt lo guardò ferito, ma la rabbia
lasciò velocemente i suoi occhi, risucchiata dalla
stanchezza. Sospirò e scosse la testa.
I suoi occhi sembrarono addolcirsi, mentre
rispondeva: «No, prima o poi lo avrebbe scoperto. Ho solo
bisogno di stare un po' solo, okay?»
Per Kelly non era affatto okay. Non voleva mostrarlo a Matt,
ma si sentiva lievemente ferito dal suo atteggiamento. Aveva lottato
per lui, messo in gioco tutto in quell'ufficio, e sentirlo ritirarsi
così gli faceva dubitare di aver realmente fatto dei
progressi in quelle settimane.
Alzò le mani in finta resa.
«Come vuoi» mormorò,
noncurante del tono acido e rude.
Matt lo guardò allontanarsi, schiaffeggiandosi
mentalmente. Sapeva che avrebbe dovuto sistemare le cose dopo il turno,
ma ora era davvero troppo stanco e confuso per farlo. In un solo giorno
aveva messo in gioco la sua vita, il suo lavoro e i suoi affetti per
un'unica persona. Era quanto di più ardito avesse mai fatto
per qualcuno, Hellie compresa.
Amava Kelly. Questa ora sembrava l'unica certezza.
Lo spaventava pensare a cosa sarebbe stato capace
di fare per Kelly, ma ora le parole di sua madre acquistavano un senso
diverso, che pesava come un macigno.
Si ritirò nel suo ufficio, chiudendo la
porta e abbandonandosi alla sedia. Si massaggiò le palpebre,
cercando di far chiarezza nel turbine di emozioni che, dopo
l'adrenalinica chiamata, ricadeva nelle sue ossa.
Kelly decise che starsene con le mani in mano non fosse
un'opzione; era molto più allettante concedere finalmente a
Shay quel controllo al motore dell'ambulanza che le aveva promesso una
settimana prima. Mentre armeggiava nel cofano aperto, gli
sembrò di ritrovare il controllo su tutta la situazione.
Sapeva che Matt sarebbe tornato da lui e avrebbe chiesto scusa -non per
forza verbalmente, anzi probabilmente non verbalmente, ma non gli
importava. Conosceva il suo compagno e sapeva che a volte aveva solo
bisogno di un po' di spazio per ritrovare la presa sulle sue emozioni.
A lui andava bene, in fondo, perché preferiva non spingerlo
fino al punto di poterlo attaccare. Non era ancora certo di poterlo
dire, ma gli sembrava di cominciare a capire quale fosse il ritmo della
loro relazione.
Nel profondo delle sue paure e delle sue debolezze,
tuttavia, la freddezza di Matt l'aveva ferito.
«Hey.»
Alzò lo sguardo e trovò Gabriela
poggiata al cofano aperto, con un lieve sorriso sul volto.
«Hey, Dowson» rispose, con un cenno del
capo.
Con uno straccio unto grattò via i residui di
olio dalle nocche, stirando al contempo la schiena. Tutta la tensione
della giornata cominciava a farsi sentire, ma il turno era ancora lungo
e non credeva di riuscire a concedersi il lusso di una veloce dormita.
Voleva dare il massimo finché non fosse suonata la sirena di
fine turno, dato che non avrebbe lavorato per altri sei giorni.
«Allora, trovato il problema?»
«Sì e no» rispose grattandosi
la fronte.
«La cinghia di trasmissione è un po'
logora, ma non credo sia tutto qui. Onestamente, a questo affare serve
più una rottamazione che una riparazione.»
«Già, parla col comando
centrale» sbuffò Gaby. «Chiedo una nuova
ambulanza da quando ho iniziato a usare questa.»
Kelly rise e fu quasi stupito quando Gaby lo
accompagnò. Non avevano mai avuto un buon rapporto - anzi
questo era un eufemismo. Era quasi certo che Gabriela, fin dal primo
incontro, non avesse mai smesso di odiarlo, eppure ora c'era qualcosa
di diverso nello sguardo che gli rivolgeva. Si chiese se anche lui
sarebbe stato capace di gioire sapendo che Matt era con la persona che
amava, anche se non fosse stato lui. Non ne fu certo e decise di non
avventurarsi in quei pensieri.
«Hey, Severide!» lo richiamò
Capp, correndo verso di lui. «Hai visite, qui
fuori.»
Kelly guardò interrogativo Gabriela, quindi si
allontanò e uscì nel parcheggio.
La figura che vide poggiata a un'auto scura lungo il
marciapiede gli inviò una scarica nervosa lungo la schiena.
«Se non hai una nuova pista, meglio che
sparisci» disse, avvicinandosi e sfilando dal taschino un
pacco di sigarette.
Voight si staccò dall'auto e gli rivolse un
ghigno, prima di scuotere la testa.
«Sai, a me solitamente piacciono le teste calde,
ma prima o poi dovrai moderare i toni con me.»
Kelly rise con la sigaretta tra i denti, accendendola con
indifferenza. Sbuffò una nuvola di fumo in direzione del
detective, che non accennò a muoversi. Se avesse dovuto
scommettere sulle emozioni dell'uomo, avrebbe detto che lo odiava fino
al midollo e che desiderasse rompergli la faccia. Non capiva
perché Voight trattenesse il suo sangue caldo con lui, ma
immaginò c'entrasse con la volontà di ripulirsi
dopo quello che aveva fatto a Matt.
Era un compromesso che Kelly poteva accettare.
«Che vuoi, Voight?»
«Ho sentito dai ragazzi quello che avete fatto
oggi, tu e il tuo amico Casey.»
Kelly represse il moto di rabbia che gli serrò la
gola.
«E sei venuto qui per congratularti o
ringraziarci?»
«Nessuno dei due» disse Voight,
infilando la testa nel finestrino dell'auto. Ritirò un
fascicolo e lo porse a Kelly, assicurandosi che nessuno li osservasse.
«Lui è Jeremy, il cognome non
conta» spiegò il detective quando Kelly ebbe
aperto il fascicolo. «Un piccolo delinquente che stava in
banda con il vostro amico di oggi, Jim. Ha parlato subito, incredibile.
Lo avete conciato bene.»
Kelly ignorò il commento, concentrandosi sul
volto ritratto in fotografia.
«E allora? È un piccolo delinquente
qualunque.»
«Invece no» disse Voight, poggiando la
schiena alla portiera dell'auto e incrociando le braccia.
«Quel piccolo delinquente è in combutta con un
pezzo grosso, o meglio uno che crede di esserlo. Il suo nome
è Tyrone.»
«Qual è il punto, Voight?»
sputò fuori Kelly, agitando in aria il fascicolo.
«Il punto è che prendiamo Jeremy, lo
portiamo in centrale e lui vede le foto al muro dei Messer. Bingo!
Comincia a cantare come se fosse in chiesa.»
Kelly rischiò di far cadere la sigaretta dalle
labbra. La estrasse e la gettò a terra, incurante che fosse
solo a metà. Riaprì il fascicolo e
guardò ancora la foto di Jeremy.
«Che cosa ha detto?»
«Che facendo una consegna per Tyrone ha sentito
parlare di questi due italiani. Non sa altro.»
«Okay» mormorò Kelly.
Cercò di frenare il tremito delle mani, scosso
dall'adrenalina di avere finalmente qualcosa di concreto. Quando
alzò gli occhi, vide che Voight aveva aperto la portiera
dell'auto.
«Quando smonti, fammi uno squillo. Andremo a fare
una visita a Tyrone» disse. Salì e chiuse la
portiera, aggiungendo: «Lascia a casa il tuo Robin. Solo io e
te, intesi?»
Quando Matt riuscì a ritrovare Kelly tra i
corridoi della Caserma, ricevette appena un cenno di saluto. Non era di
quelli carichi di astio, perché se fosse stato davvero
arrabbiato probabilmente non lo avrebbe salutato, nel migliore dei
casi. Nel peggiore...bhe, sarebbe stato un disastro di urla e insulti.
Kelly non possedeva la sottile abilità di tenersi le cose
per sé o far buon viso a cattivo gioco, o se la possedeva
non si curava di sfoggiarla con Matt. E lui, in fondo, lo aveva sempre
apprezzato, poiché gli dava la sicurezza di sapere che
poteva fidarsi di un suo sorriso.
Matt sapeva che ora toccava a lui dargli tempo.
Dopo la sua lunga riflessione -o meglio, i lunghi
minuti ad osservare il vuoto delle pareti del suo ufficio- Matt
riemerse nella vita della Caserma sentendosi uno stupido. La sua mente
ora andava schiarendosi e una doccia fredda riuscì a calmare
ogni dissidio interiore.
Svoltando l'angolo del corridoio, Matt quasi si
scontrò con Hermann. L'uomo si ricompose subito e Matt si
scusò politicamente, pronto a tornare al suo vagare
meditabondo.
Ma il vigile gli afferrò il gomito. Matt lo
guardò confuso e l'altro allentò la presa,
scrutandolo a fondo. Erano rare le volte che quel tipo di
serietà induriva i lineamenti di Hermann, e Matt non era
certo di riuscire ora a reggere qualunque cosa avesse da dirgli.
Dopo un lungo dialogo di sguardi, Hermann disse:
«Quindi tu e Severide, uhm?»
«Sì» rispose Matt lentamente,
cercando di capire se la domanda fosse pervasa da emozioni negative.
Hermann alla fine annuì e gli diede una pacca
sulla spalla. Matt rimase perplesso.
«Non fare quella faccia, Tenente!» disse
l'uomo, tornando luminoso come sempre. «Sono settimane che
cerco di tirarvi fuori qualcosa, ma siete come muri. Comunque, buon per
voi.»
«Buon per noi?» chiese Matt,
più confuso di prima.
Hermann fece una smorfia di finta offesa.
«Cosa? Pensavi che vi avrei messo al rogo? Casey,
in questa Caserma non è mai stato un problema chi uno si
porta a letto.»
Matt sentì di star per ridere e
cercò di trattenersi, invano. Quello che ne uscì
fu una risata gutturale che somigliava a un colpo di tosse. Si sentiva
attirato in una strana euforia. In qualche modo, sapere che Hermann non
aveva cambiato idea sulla sua persona lo faceva sentire leggero.
«Non credo che il comandante pensi la stessa
cosa.»
«Cosa?» chiese Hermann, accigliandosi.
«Tu non conosci Rey Filson?»
Matt scosse la testa e vide l'altro vigile ridere di grosso.
«Casey, quello è uno dei migliori amici
di Boden. Qualche anno fa erano inseparabili. L'unica volta che Boden
ha fatto da testimone a delle nozze sono state le sue.»
«E allora?»
«E allora, era un matrimonio con due
sposi» disse Hermann, strizzandogli l'occhio. «Rey
e Phillip erano l'unica coppia non scoppiata della Caserma.»
Matt battè le palpebre più volte,
sentendosi improvvisamente stupido. Ora le sue paranoie gli sembravano
ridicole e infantili. Hermann gli battè ancora una mano
sulla spalla, ridendo del suo stupore.
«Finché non combinate guai, avete il
mio totale appoggio.»
Quando Matt si fu ripreso abbastanza dal mormorare un grazie
sincero, si accorse che Hermann era già andato via per la
sua strada. Poteva tuttavia sentirne ancora la risata.
Pensò a Mills, Hermann e a Boden e
capì che non gli importava affatto che sapessero. Il subdolo
terrore che lo aveva chiuso nel silenzio non aveva, ora, alcun potere
su di lui. Gli occhi furiosi di suo padre ancora continuavano a
osservarlo da un angolo nascosto della sua mente, ma ora Matt non era
più un ragazzino spaventato. Ora era certo, per la prima
volta nella sua vita, che nulla potesse distruggere il suo legame con
Kelly. Aveva qualcosa che doveva essere difeso e che meritava ogni
energia. Non era certo di riuscire a considerare la sospensione giusta,
o che cosa questo dicesse di lui come Tenente. Ma non aveva mentito a
Boden: quello che aveva fatto lo avrebbe rifatto altre mille volte.
Pensò ai giorni che avrebbe dovuto
trascorrere lontano dal lavoro e, contrariamente al previsto, la
sospensione non gli apparì più come una
vergognosa punizione. Riusciva solo a pensare al tempo che avrebbe
potuto finalmente trascorrere con Kelly, lontani dal caos della
città, chiusi nel loro appartamento, soli e vicini.
In sala comune, Kelly sembrava assorto in un giornale che
non stava realmente leggendo. Matt afferrò una sedia e la
trascinò accanto a lui, sedendosi a cavalcioni per scrutare
oltre le sue spalle.
Kelly se ne accorse con qualche secondo di ritardo.
Sembrò emergere da una profonda riflessione; scosse la testa
e guardò interrogativo Matt.
Quello sguardo fu abbastanza perché il
biondo sapesse che la tensione tra loro si era dissipata.
«Cosa?»
«Niente, mi chiedevo se quella pagina numero
tredici sia così interessante, o se hai dimenticato come si
legge.»
Kelly guardò il giornale, poi Matt, quindi
richiuse il fascicolo con uno sbuffo e si passò una mano sul
volto. Si sentiva a disagio, questa era l'unica spiegazione a quello
strano senso di fastidio e difficoltà nel guardare Matt
negli occhi. Si sentiva come un ragazzino che cammini per strada con i
pantaloni sbagliati, per la stagione e l'anno sbagliati.
Non poteva dirgli di Voight, di averlo cercato, di essersi
messo lui nella situazione di non poter rifiutare il suo invito alla
caccia. Si sentiva quasi geloso di quel privilegio, perché
era certo che Matt avrebbe fatto di tutto per impedirgli di seguire
Voight quella sera. E Kelly non voleva lasciarsi convincere, non voleva
giugere al "o me o la tua personale vendetta." Aveva paura di
ciò che avrebbe scelto.
Così fece l'unica cosa in grado di farlo sentire
piccolo, infimo e pieno di vergogna. Mentì con il sorriso
sulle labbra e il petto pesante.
«Tutta questa faccenda di Boden mi
innervosisce» disse, afferrando la tazza di caffé
abbandonata sul tavolo. Ne prese un sorso e resistette all'impulso di
sputare la miscela zuccherina e fredda. «Una sospensione,
ora? Non ci voleva.»
Matt si grattò la nuca e fece spallucce.
Decisamente non ci voleva, ma ora che Kelly sembrava così
sotto tono, si sentiva in dovere di sollevarlo. Ignorò la
paranoica vocina che gli suggeriva che qualcosa fosse fuori posto con
il compagno. Ne aveva abbastanza di paranoie. «Abbiamo fatto
la cosa giusta, lo sai.»
Kelly alzò su di lui uno sguardo ironico, ma Matt
non vi badò.
«Okay, magari io ho agito un po'-»
«Da idiota?» si intromise una voce
tagliente.
Shay si sedette di fronte a loro, congiungendo le mani sul
tavolo e scrutandoli.
«Complimenti, tenenti. Grazie al vostro piccolo
cuore coccoloso e al vostro complesso dell'eroe, la Caserma
rimarrà senza tenenti. Ciò vuol dire: Dowson
stressata, che vuol dire io stressata, Hermann stressato e...oh, guarda
un po', nessuno dei tuoi amici della Squadra sarà stressato,
giocheranno a carte e rideranno del caos generale.»
Kelly guardò Matt, che alzò le mani in
segno di resa. Ignorò lo sguardo fulminante di Shay,
indossando un grosso sorriso.
«Stasera al Galapagos,
offro io» disse Matt, guardando la bionda con quanta
affabilità possedeva.
«Okay» concesse Shay, alzando tre dita.
«Questi sono i drink che mi devi.»
«Wow, qualcuno domani dovrà pur andare
a lavoro» commentò Kelly, guadagnandosi un'ultima
occhiata infuocata dalla bionda.
Shay si alzò e mormorò
qualcosa, allontanandosi a grossi passi.
«Ti divertirai stasera con lei» disse
Kelly, alzandosi.
Matt lo imitò con uno sguardo interrogativo.
«Scusa, che vuol dire?»
«Cosa?»
«Che vuol dire io e lei? Tu non vieni?»
Kelly scosse la testa e stirò il collo,
massaggiandone l'attaccatura con la spalla.
«Credo di aver preso una bella botta oggi,
resterò a casa. E poi abbiamo un bel po' di tempo da passare
soli.»
Si allontanò certo che la sua menzogna non fosse
tanto opaca per Matt. Sperò solo che non fosse neanche
troppo trasparente. Forse, entro il sorgere della prossima alba, tutto
sarebbe finito: la sua rabbia e frustrazione, gli incubi suoi e di
Matt. E allora avrebbe stretto il suo compagno nel letto, mentre il
sole gli sfiorava i capelli e ne riscaldava l'odore, senza nessun
fantasma a freddare i loro cuori.
Note:
Rispondo qui al commento di Cecimolli,
in modo da dissipare i dubbi anche di altri: l'episodio della palestra
nel capitolo 21 può essere interpretato in entrambi i modi
che tu hai proposto. Se da una parte Matt ha covato un po' di
risentimento verso Kelly (e malgrado i chiarimenti, il corpo spesso
agisce in automatico e nel momento di sfogo, un po' esce il represso),
dall'altra parte Kelly si propone come vero e proprio canale di sfogo
per tutta la rabbia che il compagno si è ritrovato a dover
tenere a bada. Spero di aver chiarito e, come sempre, ringrazio te e Sasuke_kun_Uchiha per
la vostra costante presenza. Questo è un periodo un po'
colmo di impegni e, se di certo mi piace, d'altro canto è
difficile stare al passo con le storie che sto scrivendo. Sapere che
voi continuate a seguire a dispetto dei miei salti temporali mi sprona
a continuare a pubblicare. Quindi, un ringraziamento davvero sentito.
A presto,
Ax.
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