Capitolo
4
Love
is Weakness
Presente
I vetri erano appannati, fuori faceva
freddo e la pioggia
era diventata neve leggera. Regina guardava attraverso la finestra
della sua
villa, ripensando alla giornata appena trascorsa. Aveva paura che quel
tempo
perso l’avesse allontanata ancora di più da Robin.
Quelle ore trascorse
dall’incidente le sembravano essere durate più di
quanto fossero durate le
settimane senza lui.
Lo amava?
Sì.
Assolutamente sì.
La testa le faceva male eppure
sembrava essere più leggera
del solito. E la nausea, oh quella stramaledetta nausea. Forse si
sentiva così
per il troppo alcol ingerito in quelle ore per affogare il proprio
dolore,
eppure non ricordava che alcuna sbronza le avesse mai fatto
quell’effetto.
Emma
si avvicinò alla
donna che stava seduta a vedere la neve che cadeva piano
sull’asfalto. Portava
un vassoio con del té e due piccole tazzine perlacee. Lo
posò piano sul
comodino per non spaventare Regina.
“Regina” disse il
suo nome, piano, come fosse un sussurro.
La donna non accennò a girarsi.
“Possiamo riprovare
stasera.” Le poggiò una mano sulla
schiena, accarezzandola delicatamente. Regina sussultò. Non
l’aveva vista e non
l’aveva neanche sentita arrivare. Forse era troppo impegnata
a pensare. Ma
pensare a cosa? A Robin? No. Forse. Non ricordava. Era confusa.
Nel vedere lo sguardo perso di
Regina, Emma acquisiva sempre
più la consapevolezza che qualcosa non andava. La donna che
conosceva era forte
e non si sarebbe mai lasciata andare così.
Quell’apatia non le apparteneva.
Regina sciolse le braccia che teneva
strette sullo stomaco e
prese la tazzina che Emma le aveva appena porto.
“Cosa?”
Farfugliò piano, poco prima di rovesciare il té
in
terra e correre in bagno.
No, decisamente non poteva essere
stato l’alcol.
Emma si appoggiò alla
porta, cercando di capire se fosse il
caso di entrare per aiutarla.
Però la conosceva fin
troppo bene e sapeva che per lei
sarebbe stato umiliante. Non avrebbe permesso a nessuno di vederla
ridotta a
quel modo.
Quando Regina uscì si
ritrovò davanti la figura di Emma e si
fermò di colpo. I loro nasi si sfiorarono.
“Tutto okay?”
Chiese Emma. Che domanda stupida. No, non
andava tutto bene.
Il senso di colpa si
impossessò nuovamente di lei. Era colpa
sua se Regina si trovava in quello stato. Colpa sua se Zelena era
tornata.
Colpa sua se Robin e Roland erano in pericolo. Colpa sua per
l’incidente della
notte prima. Dannazione, tutta quella situazione era colpa sua!
Regina la fissò per un
lungo istante prima di sorridere e
aggiungere: “Oh lei crede, signorina Swan?”. Quel
tono e quello sguardo le
ricordarono il tempo in cui si odiavano e cercavano di affossarsi a
vicenda. Ma
si accorse subito che quello era un sorriso ironico e sorrise anche lei.
L’accompagnò
nuovamente a letto e la donna appoggiò piano la
testa sul cuscino, massaggiandosi le tempie con gli indici.
“Quanto hai
bevuto?”
Quelle parole uscirono dalla bocca di Emma quasi come
fossero un
rimprovero, ma i suoi occhi, quei meravigliosi occhi verdi, erano
preoccupati. Regina
aveva passato l’intera giornata a letto quasi in uno stato
catatonico, il sonno
che si alternava alla veglia.
“Non molto. E comunque solo
ieri sera. Sono troppo stanca
perfino per bere al momento.” Sentenziò Regina
socchiudendo gli occhi provando
a metterla a fuoco, ma la cosa sembrava più difficile del
previsto.
Emma le mise una mano sulla fronte e
poi sul collo per
sentirne la temperatura. “Non hai la febbre.”
Decise, ritraendo la mano e
sorridendo appena.
“Regina, ascolta, so che
stai male per quello che è
successo. So che ora vorresti essere lì da lui. So che
vorresti sapere se
stanno bene e che ti senti impotente. Però non è
questo il modo di reagire. Non
è da te. La donna che conosco avrebbe insistito per andare a
New York anche a
piedi pur di raggiungerlo.” Le sue parole risuonarono nella
stanza come fossero
un rimprovero, ma c’era dolcezza e comprensione nel suo
sguardo. “Ascoltami.
Lui sta bene. Gold pensa che tu stia dalla sua parte ora e poi abbiamo
il cuore
di Belle e sappiamo entrambe che tiene più a lei che a
sé stesso e preferirebbe
salvare il suo di cuore rispetto a quello che gli batte in petto.
Domani
andremo a New York te lo prometto. Andremo da lui e sconfiggeremo
Zelena.
Torneremo qui tutti e quattro e tu avrai di nuovo la tua famiglia.
Potrai
amarlo per il resto della tua vita. Farci un figlio. Avrai finalmente
il tuo
finale felice.” Alla parola figlio
Regina rabbrividì.
“SMETTILA!”
Le urlò contro con
tutta la rabbia che aveva in corpo. Un
figlio. Scattò in piedi. Quella singola parola era
in grado di spezzarla.
Le sue mani formicolavano. Sentiva la magia scaturire da ogni fibra del
suo
corpo. Un figlio. La odiava per
averlo detto. La odiava per credere che sarebbe andato tutto bene.
Odiava Emma
Swan per il suo essere così fastidiosamente ottimista
riguardo al suo finale
felice. E la odiava per averle riportato alla mente quei ricordi
così dolorosi
che aveva sepolto da tempo sotto un cumulo di rabbia e desiderio di
vendetta.
Emma
indietreggiò. Non capiva il
perché di quello scatto di nervi. Poco dopo però
Regina iniziò a barcollare. La
testa iniziò a girarle vorticosamente. Doveva essersi alzata
troppo in fretta.
E prima di riuscire anche solo a sbattere le palpebre cadde sulla
moquette.
Trentasei
anni prima
Regina si avvicinò piano
alla tomba di Daniel. Una delicata
rosa gialla era riposta sopra la lapide. Il suo fiore preferito. Il
fiore che
lui le regalò quando le confessò il suo amore la
prima volta. Qualcuno l’aveva
messa lì. Qualcuno che sapeva di loro due. Regina
rabbrividì al pensiero.
D’un tratto
sentì dei passi avvicinarsi. Il rumore di foglie
infrante. Nessun altro sapeva di quel posto né della tomba
di Daniel se
non.. “Madre”
Disse con disprezzo.
“È passato
troppo tempo” rispose Cora con gli angoli della
bocca leggermente incrinati verso l’alto.
“Voi vi mostrate il giorno
dell’anniversario dell’uccisione
dell’uomo che amavo. Per cosa? Per girare il coltello nella
piaga?” La voce le
si incrinò appena e l’odio nelle sue parole era
evidente.
“Per chiedere
scusa.” Replicò Cora immediatamente.
“Capisco. Come avete fatto
a uscire dallo specchio?” Cercava
in tutti i modi di non seguire il suo istinto e rimanere razionale.
“Usando un
coniglio.” Il sorriso sulle labbra di sua madre
si fece più ampio, quasi maligno. “Il Paese delle
Meraviglie è un posto
fantastico” Continuò, avvicinandosi sempre di
più alla figlia. “E ho imparato
molte cose. Ora capisco perché hai voluto mandarmi via.
Senza di me, sei
diventata una persona indipendente e... e sono molto fiera di
te” Il suo
sguardo era sincero. Più sincero di quanto Regina si
aspettasse. Ma di cosa era
fiera? Di tutte le persone che la figlia aveva ucciso e torturato per
semplice
vendetta personale? Sotto tutta quella comprensione e quelle parole
doveva
esserci sicuramente qualcosa.
“Cosa volete,
madre?”
“Aiutarti. Possiedi
bellezza, forza, potere... voglio solo
aiutarti a trovare l’ultimo pezzo mancante. L’amore.” La donna che le stava
davanti e che aveva detto ciò la
inquietava forse ancora di più della donna che in passato
aveva ucciso il suo
amato Daniel. Quella donna era meno subdola, sempre manipolatrice ed
egoista ma
meno.
“Avevo quel pezzo. Ma voi
lo avete preso e gli avete
strappato il cuore” Sentiva la rabbia che le offuscava la
mente. Le mani e le
braccia le tremavano per quanto erano tesi i muscoli.
“Lo stalliere”
Sussurrò Cora, quasi delusa dal fatto che
Regina ancora non avesse chiamato in causa il figlio che aveva perso.
“Daniel!” La corresse
con astio. Faticava a controllarsi. Digrignò i denti.
“Il suo nome era Daniel.”
Provava a tenere a freno tutto ciò che sentiva dentro.
Avrebbe voluto stringere
le dita intorno al suo collo e vederla mentre soffocava,
così almeno avrebbe
capito cosa aveva provato lei quel giorno in cui Daniel era morto.
“Sì ho fatto un
errore terribile. A me stava bene un
matrimonio senza amore , pensavo che sarebbe valso lo stesso per te.
Ora ho
capito che i tuoi sentimenti sono più profondi dei
miei.” Regina
spostò lo sguardo verso il terreno
sotto i suoi piedi “No, è vero.”
Continuò Cora. “Tu meriti più di quello
che io
ho avuto.”
“Un po’ tardi,
no?” L’ironia nella sua voce mascherava
quella confusione che albergava in lei.
“No, sappiamo entrambe che
non è così. Ho incontrato una
certa fata senz’ali. Che mi ha parlato di un vano tentativo
di farti conoscere
la tua anima gemella.”
“Avete conosciuto
Trilli.” Dedusse Regina, quasi scocciata
dal fatto che quell’insulsa fata gliene avesse parlato
“Esatto. Lei mi ha detto,
Regina, che là fuori c’è qualcuno
per te. Qualcuno con cui sei destinata a stare. E io sono qui per
trovarlo.”
“Non ci crederò
finché non lo vedrò.”
Presente
Emma,
Uncino, Henry, Biancaneve e
James aspettavano in sala d’attesa qualche notizia di Regina.
Emma l’aveva
portata in ospedale dopo lo svenimento. Il dottor Whale
entrò in quel momento
con la cartella di Regina stretta in mano.
“Victor”
Emma era terrorizzata,
si staccò da Uncino e si avvicinò a lui
velocemente lo fissava bianca in volto.
“Cos’ha?”
Chiese. Non riuscì a
dire altro. Sentiva che se avesse detto qualcos’altro
sarebbe scoppiata a
piangere e doveva essere forte per Henry. Doveva proteggerlo.
Henry
stava seduto sulla sedia.
Non accennava ad alzare lo sguardo. I nonni provavano a parlargli ma
lui non
voleva aprire bocca. Non aveva pianto nè parlato da quando
gli era stato detto
che una delle sue madri era in ospedale.
“Signorina
Swan, lei mi ha detto
che ieri sera siete state vittime di un incidente
autostradale.”
“Sì”
rispose subito Emma. Aveva
fretta di sapere cos’avesse avuto Regina.
Il Dottor Whale
alzò il primo foglio della
cartellina per leggere qualcosa ed essere sicuro della domanda che
stava per
fare.
“Ha
bevuto alcol poco dopo
l’incidente?” Chiese lui.
“Io..” Emma si sentì crollare la terra
sotto i piedi.
“Deve essere sincera con me signorina Swan. La paziente ha
ingerito alcol dopo
l’incidente?” Chiese di nuovo.
“Sì.” Lei tremava. “Lo
sospettavo. Deve aver
bevuto più di cinque ore fa perché nelle analisi
del sangue non c’è traccia di
alcol.” Emma continuava a non capire quale fosse il problema
e il perché Whale
ci stesse mettendo così tanto ad esporre la sua diagnosi.
Il
dottore si tolse gli occhiali
e guardò Henry preoccupato, poi lei.
“Non
c’è traccia di alcol nel
sangue ma si intuiscono i suoi effetti. La paziente ha subito un lieve
trauma
cranico che sarebbe guarito da solo nel giro di qualche giorno. Il
problema è
che l’alcol è un vasodilatatore. Questo ha
comportato una formazione di un
ematoma subdurale molto esteso, ovvero una raccolta di sangue tra la
dura madre
e l’aracnoide dovuta alla rottura di vene a ponte, e deve
essere drenato
chirurgicamente. Ci serve l’autorizzazione di un parente per
poter procedere
immediatamente.” Guardò nuovamente Henry che ora
aveva alzato gli occhi per
fissarlo.
“Il
problema è che l’unico
parente legale di Regina Mills è minorenne. Legalmente la
responsabilità è solo
mia ma moralmente mi sento comunque in dovere di chiedere ad Henry
quello che
lui riterrebbe giusto fare. So che è solo un ragazzo ma
è pur sempre il
figlio.” Henry però non rispose a quella
richiesta. Rimase immobile per qualche
minuto.
“La
legge mi impone di mettervi
al corrente dei rischi.Se la paziente uscirà viva da quella sala operatoria dopo l’intervento l’aspetta
una lunga riabilitazione e
possono presentarsi anche una serie di complicazioni come: la perdita
di
memoria, vertigini, cefalea, difficoltà di concentrazione,
difficoltà nel
parlare e l’ernia del cervello. Comunque le probabilità che ce la faccia non sono molto alte.” Dopo un attimo di
pausa aggiunse “Faccio
preparare la sala operatoria” Quando varcò la
porta Henry lo seguì di corsa.
Il
ragazzo lo prese per il camice
bianco. “Faccia uscire mia madre viva da lì. La
prego.” I suoi occhi erano
lucidi e la voce gli tremava. “La prego.”
Ripetè. Ormai le lacrime gli avevano
rigato le guance.
“Te lo prometto Henry.”
Trentasei
anni prima
Henry le stava spazzolando i capelli
mentre Regina si stava
mettendo gli orecchini quando il padre si girò per scoprire
chi fosse la causa
di quel rumore di tacchi.
“Cora..
pensavo..” Ma prima che lui potesse finire venne
interrotto dalla moglie. “Sì, ciao, vattene
Henry.” Concluse
lei velocemente avvicinandosi alla
figlia.
“Perché sei
qui?” Disse Regina riponendo la spazzola sul
comodino.
“Ho buone notizie. Ho
trovato il tuo uomo” Rispose Cora
sempre con quell’odioso sorriso dipinto sulla faccia.
“L’avete
trovato?” Le chiese incredula Regina.
“Sta arrivando.”
Accompagnò queste parole con una leggera
risata soddisfatta. “Sta arrivando?” Non poteva
crederci. Sua madre l’aveva
aiutata veramente a trovarlo. Forse era cambiata sul serio?
“Madre!” non
sapeva cos’altro dire. Era sotto shock. “Vieni.
“ La condusse davanti allo specchio e le cambiò
l’abito con un veloce movimento
della mano. Un meraviglioso vestito argenteo con parti di stoffa bianca
e
ricamata apparì al posto del nero e lugubre vestito che
portava poco prima.
Una collana di perle le cingeva il
collo e i capelli legati
in una coda regale le ricadevano sulla spalla destra. “Ve ne
siete ricordata.
Amo questo colore” Disse commossa, ammirando quello che la
madre aveva fatto
per lei. “Non posso credere che abbiate fatto tutto
questo.”
“Te l’avevo detto
che ho imparato.” Le prese le mani e le
strinse piano nelle sue.
“Grazie per il
vestito.” Forse era arrivato il momento di
perdonarla.
“Di niente,
tesoro” le accarezzò la guancia. “Ora
voltati e
conoscilo.”
Un uomo di bell’aspetto le
si avvicinò, con le braccia
allargate. Regina notò subito lo stemma con il leone sul
braccio.
“Vostra
Maestà” L’uomo pronunciò
queste parole con una voce
calda e sicura di sé. Prese la sua mano e la
baciò con un piccolo inchino.
“Credo che vi
lascerò un po’ da soli. Godetevi la serata
insieme.” Così dicendo Cora lasciò la
stanza e i due si ritrovarono da soli a
guardarsi negli occhi.
Andarono in cortile. Regina decise di
fargli vedere l’albero
delle mele a cui era tanto affezionata.
“Sapete che
quest’albero di mele si trovava dove sono
cresciuta?” Lo guardava con fierezza e nostalgia.
“Un tempo mi piaceva uno
stalliere... e ci incontravamo
sempre sotto quest’albero.”
“Uno stalliere?”
a quella notizia l’uomo rise di gusto.
“Be’, ora frequentate persone di alto rango, non
più infimi stallieri, direi.”
“Dite davvero? A me invece
sembra di cadere sempre più in
basso.” Queste parole erano piene di angoscia e nostalgia per
quei tempi che
ormai erano andati.
“Avete solo bisogno di
braccia vigorose che vi risollevino”
L’uomo allargò nuovamente le braccia, andando a
cercare con le mani la vita di
Regina per cingerla. “Lasciate che sia io quello forte.
Così che voi possiate
essere debole quando
vorrete.”
“Debole” Quella
parola la fece rabbrividire.
“Be’...
femminile.”
“Braccia
vigorose” Disse Regina attirandolo ancora di più a
sé in modo da far toccare i bacini di entrambi.
“Come queste.” Gli accarezzò
gli avambracci e le mani che ormai avevano risalito i fianchi fino ad
arrivare
ai lati del seno. “Oh ciao” Sussurrò lui
guardandole il seno con avidità.
Avvicinò la sua bocca a quella di lei ma poco prima che le
loro labbra si
sfiorassero gli prese la mano e gli girò il polso. Il
tatuaggio inizio a
brillare. Un dolore accecante lo pervase. “Santo cielo! Cosa
state facendo”
Ansimava. Da quel tatuaggio uscì un leone dorato.
“Non è un vero
tatuaggio. Questa è magia. Chi ce l’ha messo
lì?”
“Smettetela” Il
polso gli bruciava ed ogni passo del leone
sulla sua pelle era accompagnato da un dolore lancinante.
“È stata mia
madre?” La rabbia. Ancora quella familiare
sensazione di calore e tremore che le riscaldava il petto e le dava
più forza.
Il leone iniziò a risalire verso la spalla.
“Sì! Mi ha detto
di fingere di essere la vostra anima
gemella. Così avrei potuto essere Re. Toglietemelo di
dosso!” La implorò
invano. Lei non sembrava voler cedere alle sue suppliche.
“Cosa ci avrebbe
guadagnato?” Domandò Regina con fare
minaccioso e violento.
“Fermatelo!” La
pregò di nuovo, il dolore era lancinante.
“COSA CI AVREBBE
GUADAGNATO?” Urlò ancora più forte
dando
sfogo alla rabbia che provava.
“Voleva che aveste un
bambino.” Fece scomparire il leone che
ormai aveva raggiunto il collo.
“Cosa?” A quella
parola si spezzò. Un bambino? Dopo tutto
quello che era successo voleva che rimanesse incinta? Sapeva che lei ne
avrebbe
sofferto se avesse scoperto di aspettare di nuovo un bambino e
nonostante
questo era disposta sacrificare la felicità della figlia per
il suo tornaconto
personale?
“Ha detto che voleva che
aveste un bambino. E non so il
perché.” Ma lei lo sapeva. O almeno credeva di
saperlo.
Presente
Gold
si avvicinò alla ragazza.
Erano ore ormai che stava seduta con il volto pallido osservando il
vuoto. Le
mise una coperta sulle spalle e le si sedette vicino. Gli aveva detto
dell’incidente e che al momento stavano operando Regina.
“Leila,
ne uscirà viva e più
forte di prima. Come sempre d’altronde.”
Cercò di consolarla ma anche lui
credeva ben poco alle sue parole.
“Odio non riuscire a vedere
quello che succederà”
Disse lei. Le prime parole che aveva pronunciato dopo ore di silenzio.
“Da
quando tu sei tornata neanche
io riesco a usare quel potere e devo ammettere che è
abbastanza fastidioso, hai
ragione” Le appoggiò le mani sulle spalle e gliele
strinse appena. “Io almeno
so perché non riesco a vedere il
futuro.”
“Anche
io lo so perché non ci
riesco. Ma comunque sia non voglio dirlo a te. Non è ancora
arrivato il momento”
Si dimenò dalla presa del padre. Tutti quei misteri non
erano per lui era
abituato a sapere tutto delle persone. Comunque sia voleva distrarla
dal
pensiero di Regina in sala operatoria.
“Allora
come portiamo Zelena
qui?” Cambiò argomento sperando di rivedere quella
luce di cinismo nei suoi
occhi. “Apprezzo il tuo tentativo di distrarmi da quello che
sta succedendo,
Padre. Ma non ce la faccio a parlare di Zelena al momento. E comunque
se mia
madre non ce la dovesse fare.. tutto quello che direi su come portarla
qui
sarebbe inutile. Senza offesa ma se non fosse per la
felicità di Regina mi
importerebbe ben poco di Robin Hood.” Sentenziò
lei. C’era rassegnazione nella
sua voce, Gold riusciva ad intuirla.
“Penso
che ti farebbe bene
pensare ad altro.” Si sedette vicino a lei cercando di essere
un buon padre,
cosa che non aveva fatto per anni. Era la stessa cosa che aveva provato
a fare
con Baelfire, ma aveva fallito. Non intendeva fallire di nuovo.
“D’accordo.
Entrambi sappiamo che
Zelena vuole l’infelicità di Regina.”
Guardò Gold come per cercare la sua
approvazione. “Ma c’è qualcosa che
Zelena vuole ancora di più.” Leila fece una
pausa molto lunga.
“Ovvero?”
Chiese Gold.
“Me.”
Trentasei
anni prima
Regina stava mescolando piano la
pozione all’interno del
bicchiere.
“Dunque,
com’è andata?” Chiese curiosa Cora.
“Non è più qui,
vero?” Le sue domande da sciocca ragazzina stavano turbando
la donna seduta al
tavolo.
“Oh invece
sì.” Rispose Regina facendo apparire
un’immagine
sullo specchio accanto. Quest’immagine ritraeva lo sceriffo
di Nottingham
appeso a testa in giù sopra al fuoco vivo. “Voleva
vedere i sotterranei.”
“Oh per l’amor di
Dio, stai facendo una scenata.” Schioccò
le dita e fece scomparire l’uomo dalle segrete
“Ecco, è a casa ora poverino.”
“Perché
l’avete lasciato andare? Non volete qualcun altro
che soffra per quel che avete fatto come al solito?” Ironica
e sprezzante
rivolse il suo sguardo prima alla madre e poi di nuovo alla pozione.
“Non capisco. Pensavo
andaste d’accordo.”
“Be’ non ho
conosciuto molto l’amore nella mia vita. Ma
adesso lo so. Questo non è un Anima Gemella.”
Guardava la madre dritta negli
occhi, come sfidandola silenziosamente.
“La tua così
detta Anima Gemella è un poveraccio sposato e
moralista. Quello che ho trovato è molto meglio.”
Concluse Cora, cercando di
mascherare il suo disgusto per Robin Hood.
“Non vi è mai
importato della mia felicità.”
“Non sarai mai felice. Non
sai come fare. Ma comprendi il
potere. E stai per perderlo. Il tuo popolo vuole Biancaneve come
regina. E se
non inizi a crearti una discendenza si riprenderà il regno e
tu perderai
tutto.” Stavolta non voleva ingannarla. Non era mai stata
più sincera. Voleva
davvero che la figlia rimanesse sul trono e voleva che avesse un
figlio. Ma ciò
che non le disse era che voleva che avesse un figlio perché
si sentiva
tremendamente in colpa per ciò che aveva fatto. Aveva fatto
uccidere un bambino
innocente. Suo nipote. Non riusciva più a vivere in pace con
sé stessa dal quel
giorno e pensava che un bambino potesse mettere a posto le cose.
“E quando morirò
di una malattia misteriosa voi sarete il
potere che starà dietro al bambino sul trono,
giusto?” Regina alzò il calice di
vetro “Indovinate un po’ madre. Ho trovato uno
stratagemma per evitare tutto
questo.”
“Cos’è
quello?” Cora era spaventata. Sapeva che la figlia
era capace di qualunque cosa pur di fargliela pagare.
“Una pozione. Per elimare
la vostra futura pretesa della
stirpe regale.” La voce di Regina era piatta e non
accennò ad incrinarsi.
“Ma tu non sei
incinta.” O almeno sperava che Regina non lo
fosse. Di chi avrebbe potuto esserlo?
“E ora non lo
sarò mai più. Non sarò una macchina
sforna-bambini per voi, madre.”
Con
quella frase tentò di rinfacciarle tutto ciò che
le aveva fatto penare fino a
quel momento
“Non lo faresti mai,
è una farsa” rise ma non credeva
veramente alle sue parole.
“Davvero? Avete detto
chiaramente che nessuno mi amerà mai.
Allora perché non rendere la cosa ufficiale? Tutto sommato
L’Amore è Debolezza.”
Sussurrò queste
ultime parole con rabbia e tutta la cattiveria che aveva in corpo.
Cora tentò di salvare la
situazione avvicinando piano la
mano alla sua per farle mettere via quel calice. “Mi
sbagliavo riguardo a
questo. Quell’uomo, pensavo sul serio che fosse un buon
partito per te. Mi
dispiace molto. Ora, sappiamo entrambe che non la berrai, quindi
mettila giù e
sistemiamo le cose.”
Regina la guardò. Ormai
aveva la mente annebbiata da tutte
quelle emozioni. Odio. Rancore. Vendetta.“Voi pensate che io
non sia forte
abbastanza per farlo?” Gli occhi spalancati quasi da maniaco.
“Stupida ragazzina. Pensi
che far del male a te stessa ti
renda più forte?” No, non era quello il modo per
evitare che bevesse. Forse
poteva toglierglielo di mano prima che lei potesse avvicinarlo alle
labbra.
“Oh sì se fa
più male a voi.” Subito dopo Regina bevve. Il
movimento fu così rapido che Cora non riuscì ad
impedirlo. Un dolore lancinante
le attraversò la pancia. Quasi come se fosse stata ferita da
un coltello. Un
dolore che la faceva respirare a fatica. Aveva già sentito
quella sensazione.
Somigliavano alle doglie di quando aveva partorito e la fatica nel
respirare
le ricordò di quando aveva stretto tra le braccia il suo
bambino ormai esanime.
Ciò non fece altro che incrementare il dolore della donna
che fu costretta a
sedersi e stringeva le mani intorno all’ombelico nel vano
tentativo di farlo
smettere.
“No!
No!” Urlo Cora.
Ma ormai il danno era fatto. Regina non avrebbe mai più
avuto figli. Non
avrebbe avuto un bambino sul quale riversare tutto il suo amore.
Perché lei lo
sapeva. Regina, nonostante non sapesse cosa fosse l’amore era
in grado di
amare. E amava. Lei amava più intensamente di chiunque altro.
“SPARISCI DALLA MIA
VITA.” Rantolò ancora in preda alle
fitte.
“Oh Regina. Sono venuta qui
davvero con le migliori intenzioni.
Ti voglio bene. Volevo che avessi un figlio per il tuo bene. Tu non nomini mai il
bambino che hai perso ma
la tua sofferenza è palpabile. Volevo solo che tu trovassi
qualcuno da poter
amare intensamente. Se avessi voluto rubarti il potere.. Avrei trovato
un modo
più diretto. Ora accetta un ultimo consiglio materno. Spero
che comprenderai
cosa mi ci è voluta una vita per capire riguardo me stessa.
L’unica persona che
ostacola la tua felicità... sei tu.”
“Tornatevene nel paese
delle meraviglie Madre. Io non ho
bisogno di voi.”
Presente
Il
sogno che Regina fece era
molto vivido, talmente tanto vivido che a lei sembrò reale.
Si trovava nella
foresta incantata. Indossava di nuovo le vesti della Regina Cattiva.
Quell’abito nero attillato le metteva in risalto le curve e i
capelli erano
legati in un complicatissimo chignon.
“Vostra
maestà, vostro marito la
attende nella sala dei ricevimenti.” Alle sue spalle si
presentò una guardia dall’aspetto
molto giovane. Era un ragazzino di appena sedici anni con indosso la
divisa da
soldato. Sotto braccio portava l’elmetto nero.
“Henry!”
Esclamò lei sorridendo e
correndo verso il figlio. Il ragazzo però si ritrasse e lei
si rimise dritta.
“Henry?” abbassò le braccia che aveva
teso qualche attimo prima.
“Vi
sentite bene vostra altezza?”
Chiese preoccupato il ragazzo.
“Henry,
sono io!” Perché la stava
trattando a quel modo? Perché si rivolgeva a lei
così?
“Sì
vostra maestà, lo so. Ma
perché continuate a chiamarmi come vostro padre? Vuole che
dica a suo marito
che al momento non si sente molto bene?” Chiese nuovamente.
“Mio
marito? Leopold?” Domandò
lei, ancora più confusa di prima.
“Sì
vostra altezza. Vuole
ricevervi per parlare con voi del fatto che vostra sorella e il
promesso sposo
Robin di Locksley celebreranno il loro matrimonio nelle terre reali tra
qualche
giorno.” Confermò lui.
“Leopold
è ancora vivo” Sussurrò
lei. Cercò una sedia per sedersi. “Zelena e Robin
hai detto?” Il giovane annuì.
Regina aveva il volto cinereo, sembrava sul punto di vomitare.
“Capisco la
vostra reazione, so che Sir Robin di Locksley non le è mai
piaciuto e ogni
volta che lo incontrate finisce sempre male. Ma vostra sorella lo ama e
aspetta
anche un figlio da lui.” Quelle parole le congelarono il
sangue. Si sentí
mancare l’aria.
“Non può essere
reale.” Continuava a ripeterlo a sé
stessa. Ma ogni
secondo che passava lei assumeva sempre più la consapevolezza
che tutto quello
lo fosse.
“Soldato
Baelfire James Cassidy.
Il suo evidente affetto per la Regina è
preoccupante.” La voce apparteneva ad
un ragazzo e sembrava essere anche abbastanza ironica.
“Daniel!”
Esclamò Henry, o almeno
quello che Regina ricordava essere Henry. Un sorriso gli si dipinse sul
volto.
Mentre i due si stringevano la mano il ragazzo di nome Daniel lo
corresse
“Principe Daniel.” Entrambi riserò.
Regina si girò piano per poterlo vedere
meglio. Era un ragazzo dal bell’aspetto, portava anche lui
una divisa da
soldato ma era diversa da quella di Henry. Era una divisa da guardia
reale. Ed
era sporca, sudicia. Doveva combattere nell’esercito. Aveva i
capelli neri come
la pece e dei bellissimi occhi azzurri. Occhi che assomigliavano
incredibilmente
a quelli del suo Daniel. Non avrebbe mai potuto dimenticare occhi
così.
“Madre!”
Esclamò poco dopo aver
stretto la mano di Henry. La abbracciò prima che lei potesse
rispondere.
Non
capiva nulla. Chi era quel
ragazzo? Lo strinse a sé d’istinto. Odorava di
sudore e sangue, ma non le
importava. Era forse suo figlio?
“Madre,
mi siete mancata.” Le
sussurrò all’orecchio. “Anche
tu..” fece una breve pausa prima di aggiungere
“Figlio
mio.” Doveva essere suo figlio.
“I
Troll sono stati sconfitti. Le
terre dell’est ora appartengono di nuovo al regno.”
Le disse soddisfatto.
“Deve
essere stato bello! Avrei
voluto combattere anch’io” esclamò Henry
evidentemente insoddisfatto della sua
attuale carica di soldato di palazzo.
Daniel
allora gli mise un braccio
intorno al collo. “Tra un paio d’anni, quando avrai
l’età giusta. Vero madre?”
Regina
non sapeva come reagire..
Dire che era confusa era ben poco. Aveva davanti a sé suo
figlio che non
ricordava di essere suo figlio e aveva un altro nome, e
dall’ altra aveva un
figlio che lei non ricordava avesse superato il minuto di vita.
Realizzò solo
in quel momento che il bambino che aveva perso anni prima era davanti a
lei.
Così bello e coraggioso. Suo figlio. I suoi figli. Insieme.
Non
riuscì a trattenere le
lacrime e Daniel la abbracciò di nuovo. Lasciò
andar via tutto quel senso di
colpa, quella rabbia, quel rancore, il risentimento e
l’angoscia che l’avevano
accompagnata per anni.
Non
le importava se fosse reale
oppure no. Decise di abbandonarsi tra quelle braccia e di essere
vulnerabile,
debole. Almeno per lui.
Note
dell’autrice: Finalmente
sono riuscita a finire il capitolo
YEEE *balla la conga*. Vi chiedo immensamente scusssa per tutto il
tempo che ci
ho messo per pubblicarlo ma tra scuola e per il fatto che la puntata
“Mother” è
uscita poco dopo che avevo finito di scrivere il capitolo 4
(Dove avevo
inserito il fatto che Regina era sterile), mi ci è voluto un po' di tempo per riscriverlo. È stata una pura
coincidenza che
sia nella serie tv che nella fanfiction Regina non potesse
più avere figli e
così ho deciso di sostituire tutta la parte che avevo
inventato io e di
metterci quella della serie tv, cancellando così
praticamente metà della storia
e riscrivendola perché sono tipo malata (?) E
vabbuò, spero che questo capitolo
vi sia piaciuto, e scusatemi se ad un certo punto sembra tipo
Grey’s Anatomy ma
ho una fissazione anche per quella serie tv e da poco mi sono messa a
rivederla.
Lasciate
una recensione se
volete. Leggere i vostri pareri mi fa sempre piacere.
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