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Autore: TheAuthor    21/06/2015    2 recensioni
Dentro ognuno di noi si nascondono dei Demoni.
Questi Demoni nascono, crescono e muoiono insieme a noi.
Il Buono e il Cattivo differiscono solo di un piccolo particolare. L’uno sa riconoscere e frenare i propri istinti, riuscendo a distinguere ciò che è giusto, anche se non sempre. L’altro potrebbe anche non aver idea dell’esistenza di questi mostri che risiedono nella sua anima. Come può qualcuno difendersi da qualcosa di cui non conosce l’esistenza?
L’anima è quella sostanza che separa i Demoni dal corpo materiale.
Quando veniamo feriti più volte, l’anima tende ad assottigliarsi, e i demoni provano ad uscire. A volte ci riescono, squarciandola. Ed è quando gridano “libertà” che bisognerebbe avere paura. Ricostruire un’anima non è facile, ed ancor meno rimettervi quelle creature dentro.
L’anima di Regina si era lacerata una volta, ed ora lei stava provando a rinchiudervi di nuovo quei mostri. Ma il passato sembra tormentarla, continuando a recidere quelle cuciture che con fatica era riuscita a fare.
Un passato oscuro di cui solo lei, Gold e Leila, una figura appena apparsa in città, sono a conoscenza.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Henry Mills, Nuovo personaggio, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 4

Love is Weakness

Presente

 

I vetri erano appannati, fuori faceva freddo e la pioggia era diventata neve leggera. Regina guardava attraverso la finestra della sua villa, ripensando alla giornata appena trascorsa. Aveva paura che quel tempo perso l’avesse allontanata ancora di più da Robin. Quelle ore trascorse dall’incidente le sembravano essere durate più di quanto fossero durate le settimane senza lui.

Lo amava? Sì. Assolutamente sì.

La testa le faceva male eppure sembrava essere più leggera del solito. E la nausea, oh quella stramaledetta nausea. Forse si sentiva così per il troppo alcol ingerito in quelle ore per affogare il proprio dolore, eppure non ricordava che alcuna sbronza le avesse mai fatto quell’effetto.

 Emma si avvicinò alla donna che stava seduta a vedere la neve che cadeva piano sull’asfalto. Portava un vassoio con del té e due piccole tazzine perlacee. Lo posò piano sul comodino per non spaventare Regina.

“Regina” disse il suo nome, piano, come fosse un sussurro. La donna non accennò a girarsi.

“Possiamo riprovare stasera.” Le poggiò una mano sulla schiena, accarezzandola delicatamente. Regina sussultò. Non l’aveva vista e non l’aveva neanche sentita arrivare. Forse era troppo impegnata a pensare. Ma pensare a cosa? A Robin? No. Forse. Non ricordava. Era confusa.

Nel vedere lo sguardo perso di Regina, Emma acquisiva sempre più la consapevolezza che qualcosa non andava. La donna che conosceva era forte e non si sarebbe mai lasciata andare così. Quell’apatia non le apparteneva.

Regina sciolse le braccia che teneva strette sullo stomaco e prese la tazzina che Emma le aveva appena porto.

“Cosa?” Farfugliò piano, poco prima di rovesciare il té in terra e correre in bagno.

No, decisamente non poteva essere stato l’alcol.

Emma si appoggiò alla porta, cercando di capire se fosse il caso di entrare per aiutarla.

Però la conosceva fin troppo bene e sapeva che per lei sarebbe stato umiliante. Non avrebbe permesso a nessuno di vederla ridotta a quel modo.

Quando Regina uscì si ritrovò davanti la figura di Emma e si fermò di colpo. I loro nasi si sfiorarono.

“Tutto okay?” Chiese Emma. Che domanda stupida. No, non andava tutto bene.

Il senso di colpa si impossessò nuovamente di lei. Era colpa sua se Regina si trovava in quello stato. Colpa sua se Zelena era tornata. Colpa sua se Robin e Roland erano in pericolo. Colpa sua per l’incidente della notte prima. Dannazione, tutta quella situazione era colpa sua!

Regina la fissò per un lungo istante prima di sorridere e aggiungere: “Oh lei crede, signorina Swan?”. Quel tono e quello sguardo le ricordarono il tempo in cui si odiavano e cercavano di affossarsi a vicenda. Ma si accorse subito che quello era un sorriso ironico e sorrise anche lei.

L’accompagnò nuovamente a letto e la donna appoggiò piano la testa sul cuscino, massaggiandosi le tempie con gli indici.

“Quanto hai bevuto?”  Quelle parole uscirono dalla bocca di Emma quasi come fossero un rimprovero, ma i suoi occhi, quei meravigliosi occhi verdi, erano preoccupati. Regina aveva passato l’intera giornata a letto quasi in uno stato catatonico, il sonno che si alternava alla veglia.

“Non molto. E comunque solo ieri sera. Sono troppo stanca perfino per bere al momento.” Sentenziò Regina socchiudendo gli occhi provando a metterla a fuoco, ma la cosa sembrava più difficile del previsto.

Emma le mise una mano sulla fronte e poi sul collo per sentirne la temperatura. “Non hai la febbre.” Decise, ritraendo la mano e sorridendo appena.

“Regina, ascolta, so che stai male per quello che è successo. So che ora vorresti essere lì da lui. So che vorresti sapere se stanno bene e che ti senti impotente. Però non è questo il modo di reagire. Non è da te. La donna che conosco avrebbe insistito per andare a New York anche a piedi pur di raggiungerlo.” Le sue parole risuonarono nella stanza come fossero un rimprovero, ma c’era dolcezza e comprensione nel suo sguardo. “Ascoltami. Lui sta bene. Gold pensa che tu stia dalla sua parte ora e poi abbiamo il cuore di Belle e sappiamo entrambe che tiene più a lei che a sé stesso e preferirebbe salvare il suo di cuore rispetto a quello che gli batte in petto. Domani andremo a New York te lo prometto. Andremo da lui e sconfiggeremo Zelena. Torneremo qui tutti e quattro e tu avrai di nuovo la tua famiglia. Potrai amarlo per il resto della tua vita. Farci un figlio. Avrai finalmente il tuo finale felice.” Alla parola figlio Regina rabbrividì.

“SMETTILA!” Le urlò contro con tutta la rabbia che aveva in corpo. Un figlio. Scattò in piedi. Quella singola parola era in grado di spezzarla. Le sue mani formicolavano. Sentiva la magia scaturire da ogni fibra del suo corpo. Un figlio. La odiava per averlo detto. La odiava per credere che sarebbe andato tutto bene. Odiava Emma Swan per il suo essere così fastidiosamente ottimista riguardo al suo finale felice. E la odiava per averle riportato alla mente quei ricordi così dolorosi che aveva sepolto da tempo sotto un cumulo di rabbia e desiderio di vendetta.

Emma indietreggiò. Non capiva il perché di quello scatto di nervi. Poco dopo però Regina iniziò a barcollare. La testa iniziò a girarle vorticosamente. Doveva essersi alzata troppo in fretta. E prima di riuscire anche solo a sbattere le palpebre cadde sulla moquette.

 

 

 

 

Trentasei anni prima

 

Regina si avvicinò piano alla tomba di Daniel. Una delicata rosa gialla era riposta sopra la lapide. Il suo fiore preferito. Il fiore che lui le regalò quando le confessò il suo amore la prima volta. Qualcuno l’aveva messa lì. Qualcuno che sapeva di loro due. Regina rabbrividì al pensiero.

D’un tratto sentì dei passi avvicinarsi. Il rumore di foglie infrante. Nessun altro sapeva di quel posto né della tomba di Daniel se non..  “Madre” Disse con disprezzo.

“È passato troppo tempo” rispose Cora con gli angoli della bocca leggermente incrinati verso l’alto.

“Voi vi mostrate il giorno dell’anniversario dell’uccisione dell’uomo che amavo. Per cosa? Per girare il coltello nella piaga?” La voce le si incrinò appena e l’odio nelle sue parole era evidente.

“Per chiedere scusa.” Replicò Cora immediatamente.

“Capisco. Come avete fatto a uscire dallo specchio?” Cercava in tutti i modi di non seguire il suo istinto e rimanere razionale.

“Usando un coniglio.” Il sorriso sulle labbra di sua madre si fece più ampio, quasi maligno. “Il Paese delle Meraviglie è un posto fantastico” Continuò, avvicinandosi sempre di più alla figlia. “E ho imparato molte cose. Ora capisco perché hai voluto mandarmi via. Senza di me, sei diventata una persona indipendente e... e sono molto fiera di te” Il suo sguardo era sincero. Più sincero di quanto Regina si aspettasse. Ma di cosa era fiera? Di tutte le persone che la figlia aveva ucciso e torturato per semplice vendetta personale? Sotto tutta quella comprensione e quelle parole doveva esserci sicuramente qualcosa.

“Cosa volete, madre?”

“Aiutarti. Possiedi bellezza, forza, potere... voglio solo aiutarti a trovare l’ultimo pezzo mancante. L’amore.” La donna che le stava davanti e che aveva detto ciò la inquietava forse ancora di più della donna che in passato aveva ucciso il suo amato Daniel. Quella donna era meno subdola, sempre manipolatrice ed egoista ma meno.

“Avevo quel pezzo. Ma voi lo avete preso e gli avete strappato il cuore” Sentiva la rabbia che le offuscava la mente. Le mani e le braccia le tremavano per quanto erano tesi i muscoli.

“Lo stalliere” Sussurrò Cora, quasi delusa dal fatto che Regina ancora non avesse chiamato in causa il figlio che aveva perso.

“Daniel!”  La corresse con astio. Faticava a controllarsi. Digrignò i denti. “Il suo nome era Daniel.” Provava a tenere a freno tutto ciò che sentiva dentro. Avrebbe voluto stringere le dita intorno al suo collo e vederla mentre soffocava, così almeno avrebbe capito cosa aveva provato lei quel giorno in cui Daniel era morto.

“Sì ho fatto un errore terribile. A me stava bene un matrimonio senza amore , pensavo che sarebbe valso lo stesso per te. Ora ho capito che i tuoi sentimenti sono più profondi dei miei.”  Regina spostò lo sguardo verso il terreno sotto i suoi piedi “No, è vero.” Continuò Cora. “Tu meriti più di quello che io ho avuto.”

“Un po’ tardi, no?” L’ironia nella sua voce mascherava quella confusione che albergava in lei.

“No, sappiamo entrambe che non è così. Ho incontrato una certa fata senz’ali. Che mi ha parlato di un vano tentativo di farti conoscere la tua anima gemella.”

“Avete conosciuto Trilli.” Dedusse Regina, quasi scocciata dal fatto che quell’insulsa fata gliene avesse parlato

“Esatto. Lei mi ha detto, Regina, che là fuori c’è qualcuno per te. Qualcuno con cui sei destinata a stare. E io sono qui per trovarlo.”

“Non ci crederò finché non lo vedrò.”

 

Presente

Emma, Uncino, Henry, Biancaneve e James aspettavano in sala d’attesa qualche notizia di Regina. Emma l’aveva portata in ospedale dopo lo svenimento. Il dottor Whale entrò in quel momento con la cartella di Regina stretta in mano.

“Victor” Emma era terrorizzata, si staccò da Uncino e si avvicinò a lui velocemente lo fissava bianca in volto.

“Cos’ha?” Chiese. Non riuscì a dire altro. Sentiva che se avesse detto qualcos’altro sarebbe scoppiata a piangere e doveva essere forte per Henry. Doveva proteggerlo.

Henry stava seduto sulla sedia. Non accennava ad alzare lo sguardo. I nonni provavano a parlargli ma lui non voleva aprire bocca. Non aveva pianto nè parlato da quando gli era stato detto che una delle sue madri era in ospedale.

“Signorina Swan, lei mi ha detto che ieri sera siete state vittime di un incidente autostradale.”

“Sì” rispose subito Emma. Aveva fretta di sapere cos’avesse avuto Regina.

 Il Dottor Whale alzò il primo foglio della cartellina per leggere qualcosa ed essere sicuro della domanda che stava per fare.

“Ha bevuto alcol poco dopo l’incidente?” Chiese lui. “Io..” Emma si sentì crollare la terra sotto i piedi. “Deve essere sincera con me signorina Swan. La paziente ha ingerito alcol dopo l’incidente?” Chiese di nuovo. “Sì.” Lei tremava. “Lo sospettavo. Deve aver bevuto più di cinque ore fa perché nelle analisi del sangue non c’è traccia di alcol.” Emma continuava a non capire quale fosse il problema e il perché Whale ci stesse mettendo così tanto ad esporre la sua diagnosi.

Il dottore si tolse gli occhiali e guardò Henry preoccupato, poi lei.

“Non c’è traccia di alcol nel sangue ma si intuiscono i suoi effetti. La paziente ha subito un lieve trauma cranico che sarebbe guarito da solo nel giro di qualche giorno. Il problema è che l’alcol è un vasodilatatore. Questo ha comportato una formazione di un ematoma subdurale molto esteso, ovvero una raccolta di sangue tra la dura madre e l’aracnoide dovuta alla rottura di vene a ponte, e deve essere drenato chirurgicamente. Ci serve l’autorizzazione di un parente per poter procedere immediatamente.” Guardò nuovamente Henry che ora aveva alzato gli occhi per fissarlo.

“Il problema è che l’unico parente legale di Regina Mills è minorenne. Legalmente la responsabilità è solo mia ma moralmente mi sento comunque in dovere di chiedere ad Henry quello che lui riterrebbe giusto fare. So che è solo un ragazzo ma è pur sempre il figlio.” Henry però non rispose a quella richiesta. Rimase immobile per qualche minuto.

“La legge mi impone di mettervi al corrente dei rischi.Se la paziente uscirà viva da quella sala operatoria dopo l’intervento l’aspetta una lunga riabilitazione e possono presentarsi anche una serie di complicazioni come: la perdita di memoria, vertigini, cefalea, difficoltà di concentrazione, difficoltà nel parlare e l’ernia del cervello. Comunque le probabilità che ce la faccia non sono molto alte.” Dopo un attimo di pausa aggiunse “Faccio preparare la sala operatoria” Quando varcò la porta Henry lo seguì di corsa.

Il ragazzo lo prese per il camice bianco. “Faccia uscire mia madre viva da lì. La prego.” I suoi occhi erano lucidi e la voce gli tremava. “La prego.” Ripetè. Ormai le lacrime gli avevano rigato le guance.

Te lo prometto Henry.

 

Trentasei anni prima

 

Henry le stava spazzolando i capelli mentre Regina si stava mettendo gli orecchini quando il padre si girò per scoprire chi fosse la causa di quel rumore di tacchi.

“Cora.. pensavo..” Ma prima che lui potesse finire venne interrotto dalla moglie. “Sì, ciao, vattene Henry.”  Concluse lei velocemente avvicinandosi alla figlia.

“Perché sei qui?” Disse Regina riponendo la spazzola sul comodino.

“Ho buone notizie. Ho trovato il tuo uomo” Rispose Cora sempre con quell’odioso sorriso dipinto sulla faccia.

“L’avete trovato?” Le chiese incredula Regina.

“Sta arrivando.” Accompagnò queste parole con una leggera risata soddisfatta. “Sta arrivando?” Non poteva crederci. Sua madre l’aveva aiutata veramente a trovarlo. Forse era cambiata sul serio?

“Madre!” non sapeva cos’altro dire. Era sotto shock. “Vieni. “ La condusse davanti allo specchio e le cambiò l’abito con un veloce movimento della mano. Un meraviglioso vestito argenteo con parti di stoffa bianca e ricamata apparì al posto del nero e lugubre vestito che portava poco prima.

Una collana di perle le cingeva il collo e i capelli legati in una coda regale le ricadevano sulla spalla destra. “Ve ne siete ricordata. Amo questo colore” Disse commossa, ammirando quello che la madre aveva fatto per lei. “Non posso credere che abbiate fatto tutto questo.”

“Te l’avevo detto che ho imparato.” Le prese le mani e le strinse piano nelle sue.

“Grazie per il vestito.” Forse era arrivato il momento di perdonarla.

“Di niente, tesoro” le accarezzò la guancia. “Ora voltati e conoscilo.”

Un uomo di bell’aspetto le si avvicinò, con le braccia allargate. Regina notò subito lo stemma con il leone sul braccio.

“Vostra Maestà” L’uomo pronunciò queste parole con una voce calda e sicura di sé. Prese la sua mano e la baciò con un piccolo inchino.

“Credo che vi lascerò un po’ da soli. Godetevi la serata insieme.” Così dicendo Cora lasciò la stanza e i due si ritrovarono da soli a guardarsi negli occhi.

Andarono in cortile. Regina decise di fargli vedere l’albero delle mele a cui era tanto affezionata.

“Sapete che quest’albero di mele si trovava dove sono cresciuta?” Lo guardava con fierezza e nostalgia.

“Un tempo mi piaceva uno stalliere... e ci incontravamo sempre sotto quest’albero.”

“Uno stalliere?” a quella notizia l’uomo rise di gusto. “Be’, ora frequentate persone di alto rango, non più infimi stallieri, direi.”

“Dite davvero? A me invece sembra di cadere sempre più in basso.” Queste parole erano piene di angoscia e nostalgia per quei tempi che ormai erano andati.

“Avete solo bisogno di braccia vigorose che vi risollevino” L’uomo allargò nuovamente le braccia, andando a cercare con le mani la vita di Regina per cingerla. “Lasciate che sia io quello forte. Così che voi possiate essere debole quando vorrete.”

“Debole” Quella parola la fece rabbrividire.

“Be’... femminile.”

“Braccia vigorose” Disse Regina attirandolo ancora di più a sé in modo da far toccare i bacini di entrambi. “Come queste.” Gli accarezzò gli avambracci e le mani che ormai avevano risalito i fianchi fino ad arrivare ai lati del seno. “Oh ciao” Sussurrò lui guardandole il seno con avidità. Avvicinò la sua bocca a quella di lei ma poco prima che le loro labbra si sfiorassero gli prese la mano e gli girò il polso. Il tatuaggio inizio a brillare. Un dolore accecante lo pervase. “Santo cielo! Cosa state facendo” Ansimava. Da quel tatuaggio uscì un leone dorato.

“Non è un vero tatuaggio. Questa è magia. Chi ce l’ha messo lì?”

“Smettetela” Il polso gli bruciava ed ogni passo del leone sulla sua pelle era accompagnato da un dolore lancinante.

“È stata mia madre?” La rabbia. Ancora quella familiare sensazione di calore e tremore che le riscaldava il petto e le dava più forza. Il leone iniziò a risalire verso la spalla.

“Sì! Mi ha detto di fingere di essere la vostra anima gemella. Così avrei potuto essere Re. Toglietemelo di dosso!” La implorò invano. Lei non sembrava voler cedere alle sue suppliche.

“Cosa ci avrebbe guadagnato?” Domandò Regina con fare minaccioso e violento.

“Fermatelo!” La pregò di nuovo, il dolore era lancinante.

“COSA CI AVREBBE GUADAGNATO?” Urlò ancora più forte dando sfogo alla rabbia che provava.

“Voleva che aveste un bambino.” Fece scomparire il leone che ormai aveva raggiunto il collo.

“Cosa?” A quella parola si spezzò. Un bambino? Dopo tutto quello che era successo voleva che rimanesse incinta? Sapeva che lei ne avrebbe sofferto se avesse scoperto di aspettare di nuovo un bambino e nonostante questo era disposta sacrificare la felicità della figlia per il suo tornaconto personale?

“Ha detto che voleva che aveste un bambino. E non so il perché.” Ma lei lo sapeva. O almeno credeva di saperlo.

 

Presente

 

Gold si avvicinò alla ragazza. Erano ore ormai che stava seduta con il volto pallido osservando il vuoto. Le mise una coperta sulle spalle e le si sedette vicino. Gli aveva detto dell’incidente e che al momento stavano operando Regina.

“Leila, ne uscirà viva e più forte di prima. Come sempre d’altronde.” Cercò di consolarla ma anche lui credeva ben poco alle sue parole.

“Odio  non riuscire a vedere quello che succederà” Disse lei. Le prime parole che aveva pronunciato dopo ore di silenzio.

“Da quando tu sei tornata neanche io riesco a usare quel potere e devo ammettere che è abbastanza fastidioso, hai ragione” Le appoggiò le mani sulle spalle e gliele strinse appena. “Io almeno so perché non riesco a vedere il  futuro.”

“Anche io lo so perché non ci riesco. Ma comunque sia non voglio dirlo a te. Non è ancora arrivato il momento” Si dimenò dalla presa del padre. Tutti quei misteri non erano per lui era abituato a sapere tutto delle persone. Comunque sia voleva distrarla dal pensiero di Regina in sala operatoria.

“Allora come portiamo Zelena qui?” Cambiò argomento sperando di rivedere quella luce di cinismo nei suoi occhi. “Apprezzo il tuo tentativo di distrarmi da quello che sta succedendo, Padre. Ma non ce la faccio a parlare di Zelena al momento. E comunque se mia madre non ce la dovesse fare.. tutto quello che direi su come portarla qui sarebbe inutile. Senza offesa ma se non fosse per la felicità di Regina mi importerebbe ben poco di Robin Hood.” Sentenziò lei. C’era rassegnazione nella sua voce, Gold riusciva ad intuirla.

“Penso che ti farebbe bene pensare ad altro.” Si sedette vicino a lei cercando di essere un buon padre, cosa che non aveva fatto per anni. Era la stessa cosa che aveva provato a fare con Baelfire, ma aveva fallito. Non intendeva fallire di nuovo.

“D’accordo. Entrambi sappiamo che Zelena vuole l’infelicità di Regina.” Guardò Gold come per cercare la sua approvazione. “Ma c’è qualcosa che Zelena vuole ancora di più.” Leila fece una pausa molto lunga.

“Ovvero?” Chiese Gold.

“Me.”

Trentasei anni prima

Regina stava mescolando piano la pozione all’interno del bicchiere.

“Dunque, com’è andata?” Chiese curiosa Cora. “Non è più qui, vero?” Le sue domande da sciocca ragazzina stavano turbando la donna seduta al tavolo.

“Oh invece sì.” Rispose Regina facendo apparire un’immagine sullo specchio accanto. Quest’immagine ritraeva lo sceriffo di Nottingham appeso a testa in giù sopra al fuoco vivo. “Voleva vedere i sotterranei.”

“Oh per l’amor di Dio, stai facendo una scenata.” Schioccò le dita e fece scomparire l’uomo dalle segrete “Ecco, è a casa ora poverino.”

“Perché l’avete lasciato andare? Non volete qualcun altro che soffra per quel che avete fatto come al solito?” Ironica e sprezzante rivolse il suo sguardo prima alla madre e poi di nuovo alla pozione.

“Non capisco. Pensavo andaste d’accordo.”

“Be’ non ho conosciuto molto l’amore nella mia vita. Ma adesso lo so. Questo non è un Anima Gemella.” Guardava la madre dritta negli occhi, come sfidandola silenziosamente.

“La tua così detta Anima Gemella è un poveraccio sposato e moralista. Quello che ho trovato è molto meglio.” Concluse Cora, cercando di mascherare il suo disgusto per Robin Hood.

“Non vi è mai importato della mia felicità.”

“Non sarai mai felice. Non sai come fare. Ma comprendi il potere. E stai per perderlo. Il tuo popolo vuole Biancaneve come regina. E se non inizi a crearti una discendenza si riprenderà il regno e tu perderai tutto.” Stavolta non voleva ingannarla. Non era mai stata più sincera. Voleva davvero che la figlia rimanesse sul trono e voleva che avesse un figlio. Ma ciò che non le disse era che voleva che avesse un figlio perché si sentiva tremendamente in colpa per ciò che aveva fatto. Aveva fatto uccidere un bambino innocente. Suo nipote. Non riusciva più a vivere in pace con sé stessa dal quel giorno e pensava che un bambino potesse mettere a posto le cose.

“E quando morirò di una malattia misteriosa voi sarete il potere che starà dietro al bambino sul trono, giusto?” Regina alzò il calice di vetro “Indovinate un po’ madre. Ho trovato uno stratagemma per evitare tutto questo.”

“Cos’è quello?” Cora era spaventata. Sapeva che la figlia era capace di qualunque cosa pur di fargliela pagare.

“Una pozione. Per elimare la vostra futura pretesa della stirpe regale.” La voce di Regina era piatta e non accennò ad incrinarsi.

“Ma tu non sei incinta.” O almeno sperava che Regina non lo fosse. Di chi avrebbe potuto esserlo?

“E ora non lo sarò mai più. Non sarò una macchina sforna-bambini per voi,  madre.” Con quella frase tentò di rinfacciarle tutto ciò che le aveva fatto penare fino a quel momento

“Non lo faresti mai, è una farsa” rise ma non credeva veramente alle sue parole.

“Davvero? Avete detto chiaramente che nessuno mi amerà mai. Allora perché non rendere la cosa ufficiale? Tutto sommato L’Amore è Debolezza.” Sussurrò queste ultime parole con rabbia e tutta la cattiveria che aveva in corpo.

Cora tentò di salvare la situazione avvicinando piano la mano alla sua per farle mettere via quel calice. “Mi sbagliavo riguardo a questo. Quell’uomo, pensavo sul serio che fosse un buon partito per te. Mi dispiace molto. Ora, sappiamo entrambe che non la berrai, quindi mettila giù e sistemiamo le cose.”

Regina la guardò. Ormai aveva la mente annebbiata da tutte quelle emozioni. Odio. Rancore. Vendetta.“Voi pensate che io non sia forte abbastanza per farlo?” Gli occhi spalancati quasi da maniaco.

“Stupida ragazzina. Pensi che far del male a te stessa ti renda più forte?” No, non era quello il modo per evitare che bevesse. Forse poteva toglierglielo di mano prima che lei potesse avvicinarlo alle labbra.

“Oh sì se fa più male a voi.” Subito dopo Regina bevve. Il movimento fu così rapido che Cora non riuscì ad impedirlo. Un dolore lancinante le attraversò la pancia. Quasi come se fosse stata ferita da un coltello. Un dolore che la faceva respirare a fatica. Aveva già sentito quella sensazione. Somigliavano alle doglie di quando aveva partorito e la fatica nel respirare le ricordò di quando aveva stretto tra le braccia il suo bambino ormai esanime. Ciò non fece altro che incrementare il dolore della donna che fu costretta a sedersi e stringeva le mani intorno all’ombelico nel vano tentativo di farlo smettere.

 “No! No!” Urlo Cora. Ma ormai il danno era fatto. Regina non avrebbe mai più avuto figli. Non avrebbe avuto un bambino sul quale riversare tutto il suo amore. Perché lei lo sapeva. Regina, nonostante non sapesse cosa fosse l’amore era in grado di amare. E amava. Lei amava più intensamente di chiunque altro.

“SPARISCI DALLA MIA VITA.” Rantolò ancora in preda alle fitte.

“Oh Regina. Sono venuta qui davvero con le migliori intenzioni. Ti voglio bene. Volevo che avessi un figlio per il tuo bene.  Tu non nomini mai il bambino che hai perso ma la tua sofferenza è palpabile. Volevo solo che tu trovassi qualcuno da poter amare intensamente. Se avessi voluto rubarti il potere.. Avrei trovato un modo più diretto. Ora accetta un ultimo consiglio materno. Spero che comprenderai cosa mi ci è voluta una vita per capire riguardo me stessa.

L’unica persona che ostacola la tua felicità... sei tu.”

“Tornatevene nel paese delle meraviglie Madre. Io non ho bisogno di voi.”

 

Presente

 

Il sogno che Regina fece era molto vivido, talmente tanto vivido che a lei sembrò reale. Si trovava nella foresta incantata. Indossava di nuovo le vesti della Regina Cattiva. Quell’abito nero attillato le metteva in risalto le curve e i capelli erano legati in un complicatissimo chignon.

“Vostra maestà, vostro marito la attende nella sala dei ricevimenti.” Alle sue spalle si presentò una guardia dall’aspetto molto giovane. Era un ragazzino di appena sedici anni con indosso la divisa da soldato. Sotto braccio portava l’elmetto nero.

“Henry!” Esclamò lei sorridendo e correndo verso il figlio. Il ragazzo però si ritrasse e lei si rimise dritta. “Henry?” abbassò le braccia che aveva teso qualche attimo prima.

“Vi sentite bene vostra altezza?” Chiese preoccupato il ragazzo.

“Henry, sono io!” Perché la stava trattando a quel modo? Perché si rivolgeva a lei così?

“Sì vostra maestà, lo so. Ma perché continuate a chiamarmi come vostro padre? Vuole che dica a suo marito che al momento non si sente molto bene?” Chiese nuovamente.

“Mio marito? Leopold?” Domandò lei, ancora più confusa di prima.

“Sì vostra altezza. Vuole ricevervi per parlare con voi del fatto che vostra sorella e il promesso sposo Robin di Locksley celebreranno il loro matrimonio nelle terre reali tra qualche giorno.” Confermò lui.

“Leopold è ancora vivo” Sussurrò lei. Cercò una sedia per sedersi. “Zelena e Robin hai detto?” Il giovane annuì. Regina aveva il volto cinereo, sembrava sul punto di vomitare. “Capisco la vostra reazione, so che Sir Robin di Locksley non le è mai piaciuto e ogni volta che lo incontrate finisce sempre male. Ma vostra sorella lo ama e aspetta anche un figlio da lui.” Quelle parole le congelarono il sangue. Si sentí mancare l’aria.

“Non può essere reale.” Continuava a ripeterlo a sé stessa. Ma ogni secondo che passava lei assumeva sempre più la consapevolezza che tutto quello lo fosse.

“Soldato Baelfire James Cassidy. Il suo evidente affetto per la Regina è preoccupante.” La voce apparteneva ad un ragazzo e sembrava essere anche abbastanza ironica.

“Daniel!” Esclamò Henry, o almeno quello che Regina ricordava essere Henry. Un sorriso gli si dipinse sul volto. Mentre i due si stringevano la mano il ragazzo di nome Daniel lo corresse “Principe Daniel.” Entrambi riserò. Regina si girò piano per poterlo vedere meglio. Era un ragazzo dal bell’aspetto, portava anche lui una divisa da soldato ma era diversa da quella di Henry. Era una divisa da guardia reale. Ed era sporca, sudicia. Doveva combattere nell’esercito. Aveva i capelli neri come la pece e dei bellissimi occhi azzurri. Occhi che assomigliavano incredibilmente a quelli del suo Daniel. Non avrebbe mai potuto dimenticare occhi così.

“Madre!” Esclamò poco dopo aver stretto la mano di Henry. La abbracciò prima che lei potesse rispondere.

Non capiva nulla. Chi era quel ragazzo? Lo strinse a sé d’istinto. Odorava di sudore e sangue, ma non le importava. Era forse suo figlio?

“Madre, mi siete mancata.” Le sussurrò all’orecchio. “Anche tu..” fece una breve pausa prima di aggiungere “Figlio mio.” Doveva essere suo figlio.

“I Troll sono stati sconfitti. Le terre dell’est ora appartengono di nuovo al regno.” Le disse soddisfatto.

“Deve essere stato bello! Avrei voluto combattere anch’io” esclamò Henry evidentemente insoddisfatto della sua attuale carica di soldato di palazzo.

Daniel allora gli mise un braccio intorno al collo. “Tra un paio d’anni, quando avrai l’età giusta. Vero madre?”

Regina non sapeva come reagire.. Dire che era confusa era ben poco. Aveva davanti a sé suo figlio che non ricordava di essere suo figlio e aveva un altro nome, e dall’ altra aveva un figlio che lei non ricordava avesse superato il minuto di vita. Realizzò solo in quel momento che il bambino che aveva perso anni prima era davanti a lei. Così bello e coraggioso. Suo figlio. I suoi figli. Insieme.

Non riuscì a trattenere le lacrime e Daniel la abbracciò di nuovo. Lasciò andar via tutto quel senso di colpa, quella rabbia, quel rancore, il risentimento e l’angoscia che l’avevano accompagnata per anni.

Non le importava se fosse reale oppure no. Decise di abbandonarsi tra quelle braccia e di essere vulnerabile, debole. Almeno per lui.

 

Note dell’autrice:  Finalmente sono riuscita a finire il capitolo YEEE *balla la conga*. Vi chiedo immensamente scusssa per tutto il tempo che ci ho messo per pubblicarlo ma tra scuola e per il fatto che la puntata “Mother” è uscita poco dopo che avevo finito di scrivere il capitolo 4 (Dove avevo inserito il fatto che Regina era sterile), mi ci è voluto un po' di tempo per riscriverlo. È stata una pura coincidenza che sia nella serie tv che nella fanfiction Regina non potesse più avere figli e così ho deciso di sostituire tutta la parte che avevo inventato io e di metterci quella della serie tv, cancellando così praticamente metà della storia e riscrivendola perché sono tipo malata (?) E vabbuò, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e scusatemi se ad un certo punto sembra tipo Grey’s Anatomy ma ho una fissazione anche per quella serie tv e da poco mi sono messa a rivederla.

Lasciate una recensione se volete. Leggere i vostri pareri mi fa sempre piacere.

   
 
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