03 If I Had A Heart
Siamo arrivati, siamo arrivati!
Mi ripeto questa frase da quando siamo sbarcati ad
Austropoli,
anche se siamo ancora lontani dalla destinazione finale, per ora non
devo più soffrire il mal di mare. Un problema in meno. Ah,
Unima... è da anni che non tornavo qui.Avevo sentito le
notizie alla radio e visto i telegiornali riguardo
alla regione e, soprattutto, riguardo il Team Plasma, ma sembra che
alla fine le acque si siano calmate. Giusto prima che Max si ammalasse.
Sono molto preoccupato per lui, temo che, con la salute che si ritrova,
possa peggiorare. Rossella mi ha assicurato che non
permetterà
una cosa del genere, e dopotutto è una tipa affidabile. Ho
notato, e penso che anche quel testone di Alan se ne sia accorto, che
Ada si era improvvisamente interessata a lei. So già come
andrà a finire, Ivan aveva posato gli occhi su Max allo
stesso
modo, e dopo poco ecco il risultato. E' solo questione di tempo, prima
che Rossella si renda conto della realtà. Non che mi
dispiacesse, odio ammetterlo ma Ada è una donna capace, una
degna rivale. Non mi stupisco che sia Vice, perlomeno so che Ivan ogni
tanto fa scelte sensate.
Ora che ci penso, lo zingaro e Max stanno insieme. Ben presto anche le
nostre due tenenti, se le mie congetture si rivelano esatte. E poi?
Manchiamo io e Alan.
Guardo il mio ex rivale, ora collega forzato. Ci siamo fermati a un bar
a far colazione, siamo sbarcati presto, e Alan ha pensato di scendere
immediatamente per "conoscere meglio il terreno". L'idea non
è
poi così male, così siamo scesi con i nostri
costumi
improvvisati. Lui si è creato adirittura una nuova
identità, mi chiedo se riuscirà a ricordarla.
Un artista... non ce lo vedo per niente, anche se alcune sere fa l'ho
visto scrivere non riesco proprio a figurarmelo come un intellettuale.
Forse perchè, mio malgrado, lo conosco bene, so che non ha
poi
così tanta cultura da permettergli di essere un artista in
tutti
i sensi. Ma se è contento così...
Ora ci siamo fermati al "Linoone Rosso" un piccolo ma grazioso locale
vicino al mare. Hmpf, dovevo aspettarmelo da Alan. Ma pazienza, non
voglio lamentarmi per qualsiasi cosa. Lui sorseggia una bibita, io
rimescolo il mio caffè per poi cominciare a berlo poco dopo.
Alan sembra
ignorarmi completamente, assorto com'è. Guarda il mare con
espressione assente, mi chiedo a cosa pensa. Quando gli ho chiesto cosa
avrebbe risposto se qualcuno gli avesse chiesto che genere di artista
era e cosa componeva, lui mi ha risposto che scriveva poesie. A quella
risposta, avevo aggrottato la fronte.
"Poesie?"
"Sì,
dopotutto lo faccio veramente... quindi l'identità che mi
sono creato in parte corrisponde al vero!"
"Che genere di
poesie scrivi?"
"Eh...
chissà, forse un giorno te ne farò leggere una,
se te lo meriti".
Sa essere così irritante... mi ha incuriosito, il maledetto,
sa
che certe cose mi attraggono. E sono sicuro che non
resisterò e
ne leggerò qualcuna, giusto per farmi un'idea. E se mi
scoprirà, mi prenderà in giro sicuramente. Cosa
che ormai
fa sempre. Ho imparato a farmi scivolare le parole degli altri addosso,
come se non avessero alcun peso per me.
Fin
da
quando ero piccolo ho dovuto difendermi dagli altri non con la
forza fisica (che non avevo e che non ho tutt'ora) ma con la forza
delle parole. Ero piccolo, gracile, abitavo in una delle zone meno
ricche di Fiordoropoli
e sicuramente con le persone più miserabili al mondo. Mio
padre
non c'era mai, aveva sempre degli impegni da portare a termine,
lavorava come marinaio su una nave mercantile. Pian piano i suoi
"impegni" aumentavano sempre di più, diceva, e gli
occupavano
sempre più tempo. Come se una moglie e un
bambino non
fossero già un impegno. Lui non mi ha mai voluto, e questo
penso che lo abbia saputo fin dall'inizio. Un giorno, quando avevo
appena sei anni, uno di questi suoi impegni se lo portò via
per
sempre. Forse la nave di turno era affondata trascinandoselo dietro. E'
quello che spero, non volevo e non voglio più rivederlo. Mi
bastavano i lividi che ogni volta lasciava a me e a mia madre ogni
volta che tornava e si ubriacava. Bastava una qualsiasi cosa per farlo
infuriare. Forse si è rifatto una famiglia al di
là del
mare. Ma non ho mai desiderato scoprirlo.
Di contro, lei era relativamente più dolce nei miei
confronti.
Ma
soprattutto dopo che mio padre scomparve che lei cambiò. Era
un'artista. Vera. Suonava il violino, ricordo. Mio padre non accettava
mai che si esibisse, nè tantomeno che mi insegnasse. Non
voleva
che suonasse se non quando era sola. Alcune volte la sentivo eseguire
piano un brano mentre lui dormiva. Mi rannicchiavo davanti alla porta
della stanza in cui si rifugiava per sentirla.
Per lui,
era una vergogna che suo figlio si dedicasse a qualcosa di tanto
"femminile", trascinandosi in un'accesa discussione con mia madre. Io
m'immobilizzavo
per il terrore, ricordo. Sapevo come andava a finire, mia madre aveva
sempre la peggio, e se capitavo a tiro finivo per essere picchiato,
anche se apparentemente non avevo colpa. Fu un sollievo quando se ne
andò, sebbene avevo ancora il terrore infantile che
tornasse.
Lei rimase sola con me, era ovvio che ce la mise tutta a insegnarmi
qualcosa. M'insegnò a
suonare, cosa che avevo sempre sognato. M'insegnò a leggere,
a
scrivere, ad amare la conoscenza. Ma questo non bastò, io
rimanevo sempre debole rispetto agli altri. Imparai ben presto a
difendermi con le parole, manipolando gli altri, e poco a poco
m'indurivo. Imparai anche i trucchi per ferire fisicamente anche in
modo grave
qualcuno ricorrendo a trappole. Imparai a rubacchiare semplicemente per
perfidia, portando a casa il bottino. Non si sapeva mai, non eravamo
ricchi, e da quando papà scomparve la situazione
economica peggiorò, e ogni tanto un pò di cibo
gratis non
guastava. Dicevano che ero diventato cattivo e perfido, e forse
è pure vero.
Mia
madre
morì quando avevo dodici anni per malattia, e solo dopo il
funerale
mi resi veramente conto di essere rimasto solo. Solo, con l'unica
compagnia della mia mente e di quel vecchio strumento.
All'orfanotrofio, ero conosciuto per il mio essere vendicativo. Tutti
sapevano chi ero, di conseguenza mi disprezzarono da subito. Io non
chiedevo altro che esser lasciato da solo
con me stesso e quel violino che tenevo nascosto in una scatola. Non
avevo una famiglia, un gruppo con cui stare, nessuno voleva la mia
compagnia e io non volevo altro che la solitudine. Forse è
per
questo
che mi sono unito al Team Magma. Max, freddo e imparziale da bravo
scienziato che era, mi accettò subito al suo fianco quando
divenni maggiorenne,
permettendomi anche di suonare il mio amato strumento, a volte
ascoltandomi adirittura, ma senza esprimere alcun giudizio al riguardo.
Semplicemente, rimaneva in silenzio. Poi c'era Rossella, entusiasta
come tutti i giovani. Mi prese subito in simpatia, le piacevano
tantissimo i brani che eseguivo. Le mie dita scorrevano veloci sulle
corde, per quei pochi minuti mi sembrava di essere solo io e la musica,
il violino era solo un'estensione del mio essere. Avevo appena
diciannove anni. Mi
sembrava di aver trovato una casa, qualcuno che mi apprezzasse e mi
volesse bene. E per questo mi prodigai per il bene del Team. Ma mi
sbagliavo. Me ne resi conto quando tu, Alan, e il resto del Team Idro
non s'infilò nei nostri piani d'espandere le terre per
mandarli
all'aria e favorire le acque. Ma non erano tanto le vostre idee, seppur
assurde, che mi spinsero ad odiare te e i tuoi amici marinai. Era il
fatto che, per la prima volta, compresi com'era fatta una vera
famiglia. Voi eravate e siete ancora adesso
così uniti...
Max mi apprezza, anche Rossella mi rispetta, ma non avrò mai
la
loro amicizia, il loro amore. Tu... per Ivan e Ada non sei solo un
tenente, sei un fratello per loro. E questo io non l'accettavo. Sono
veramente così malvagio da non meritare affetto?
Probabilmente
ora mi prendi in giro per vendetta, per quello che ti avevo fatto da
giovane. Sì, mi rendo conto di averti ferito. E
sì, ero
invidioso, invidioso di qualcosa che tu avevi e io no, un qualcosa che
non avevo e non avrei mai avuto. Forse ora mi
odierai per questo, e forse non merito altro che odio.
Guardo la mia tazzina di caffè, ormai vuota. Questi pensieri
non
mi fanno bene, non ora che mi devo concentrare sulla missione, anche se
è difficile quando c'è qualcuno che te li riporta
a galla. Uff,
questo viaggio si sta rivelando più tortuoso del previsto.
Mentre Alan chiede il conto, sposto lo sguardo verso un gruppo di
ragazzine che ridacchiano, indicandoci. O meglio, indicando Alan.
"Ehm, Al... Yves?"
gli sussurro, correggendomi all'ultimo.
"Sì?"
fa lui, ignorando l'errore che stavo per commettere. Gli
indico con un cenno le ragazze, lui si gira e gli sorride, alzando i
pollici. Le ragazze arrossiscono di colpo e scoppiano a ridere,
parlottando velocemente fra loro. Alan si rigira verso di me, raggiante.
"Ho già
fatto colpo" sorride lui, tutto contento.
"Ricordati cosa
dobbiamo fare..." sbuffo, esasperato.
"Avanti, Ottavio,
rilassati. Dopotutto nessuno sospetta di noi. Ah, ecco il conto".
La cameriera, una giovane donna che assomiglia vagamente ad Ada da
giovane, ci raggiunge con
lo scontrino.
"Oggi pago io"
sorride Alan, progendo alla donna alcuni spiccioli. Lei
li contò e, dopo averli contati, ci sorrise e se ne
andò.
Mi alzo, Alan guarda la giovane allontanarsi per poi alzarsi a sua
volta con me. Stiamo per andare via, quando qualcuno ci
chiamò.
"S-scusate!".
E' la cameriera.
"Che succede? Il
mio amico ha sbagliato a pagare?" dissi, fulminandolo con
un'occhiata.
"No... ecco... se non
sono indiscreta, vorrei chiedervi una cosa..."
"Sì?"
la invitiamo a continuare, non possiamo fermarci troppo.
"Ma voi due state insieme?"
A quella domanda mi sento avvampare, io e Alan siamo talmente diversi.
Noto che anche il mio collega è imbarazzato, decido di
prendere
in mano la situazione, che sta prendendo una brutta piega.
"No, veramente io e
lui siamo solo capitati nella stessa nave, lui
è un artista, e io non ho potuto fare a meno di notarlo. Sa,
scrive... Alla
fine ci siamo conosciuti e ho deciso di accompagnarlo in giro per
Unima, lui non la conosce bene, mentre io ci sono stato varie volte. Mi
piace avere artisti attorno. Siamo amici, ma..." lancio
una breve occhiata ad Alan, che sorride.
"... ma non stiamo
insieme" completa lui, sempre accennando un sorriso.
"Come non detto, scusatemi"
mormorò, per poi scapparsene via.
Alan ridacchiava, per poi dirigersi verso le strade di Austropoli.
"Su, piccolo
Makuhita, andiamo"
"La smetti di
chiamarmi così?" ribatto seccato.
"Ma è
divertente!"
"Non per me".
Che bel modo di cominciare il nostro viaggio nell'entroterra. Prima
pensano che stiamo insieme. So che ormai le coppie dello stesso sesso
sono diventate una cosa normale, ma io e Alan siamo a stento colleghi.
Poi Alan si fa una nuova identità in un giorno e la mattina
dopo
se la dimentica. Glielo avevo detto io, di non fare qualcosa di troppo
elaborato! Ma il testone mi ha ascoltato? Ovviamente no. Ma cosa devo
fare con lui? Quest'idea del camuffamento non mi piace gran che, ma so
che è necessaria per passare inosservati, e quindi non mi
lamento. Anche se la convivenza con il bestione qui vicino a me
è un'idea assai peggiore. Preferisco di gran lunga Ada, con
me
è più gentile e sicuramente è molto
più
intelligente di tutto il Team Idro. E' un peccato che sia con loro, le
sue
capacità sono sprecate... nel Team Magma sarebbe un'ottimo
elemento, e penso che a Rossella una collega come lei faccia
più
che bene. Ma so che è impossibile, è talmente
affezionata
a Ivan e Alan... cosa ci troverà di tanto speciale in loro?
Me
lo chiedo da quando ho saputo che il Capo si era messo insieme a Ivan.
Come possono due tipi con caratteri così opposti amarsi
così profondamente? Max è un tipo freddo, rigido,
calcolatore, che non lascia mai spazio alle emozioni, che ragiona con
la logica. Come può provare amore per un uomo
così
impulsivo, emotivo e... solare? Max ha sempre respinto coloro che
avevano queste caratteristiche, ha odiato Ivan così tanto, e
adesso la situazione si è ribaltata completamente. Non
è
accaduto così velocemente, dopo le catastrofi con Groudon e
Kyogre tra i nostri due Team si è instaurata una tacita
tregua,
che pian piano si è trasformata in qualcos'altro. Ora, per
quello che abbiamo fatto, dobbiamo lavorare a servizio della Regione di
Hoenn per un periodo a seconda delle nostre capacità, Ivan e
il
suo Team ha scelto di collaborare come flotta navale (ammetto che sono
dei marinai eccellenti, l'unica cosa che manca alle reclute
è
l'autodisciplina) e noi lavoriamo insieme agli scienziati. E' in quel
periodo che Max ha cominciato gradualmente a cambiare, lo vedevo
distrarsi, cosa che non gli accadeva mai. Quando Ivan mancava, vedevo
che tra una relazione e l'altra lanciava lunghe occhiate alla finestra
dell'ufficio che condividiamo, come se il pirata comparisse
lì
davanti da un momento all'altro, magari sorridendogli e salutandolo con
quella sua faccia allegra. Ma se prima Max mi trasmetteva una sorta di
malinconia, ora sembra... non so, felice. Da quando sta con Ivan,
sembra ringiovanito e sorride più spesso. E' bello vederlo
così. Forse gli mancava qualcosa che prima di Ivan non
aveva,
qualcuno che lo amasse. Mi chiedo cosa ne pensa Alan della loro
relazione, glielo chiedo.
"Cosa penso di
quei due?" ripete, ridendo.
"Bhè,
il Capo non è molto cambiato, a dir la
verità. Sembra che abbia un obiettivo in più,
ora. Non
so, è più motivato. Ma perchè me lo
chiedi?"
"No, niente..."
"Stavi pensando a
loro due, dimmi la verità!"
"Hmp, ok, lo
ammetto..."
"Ah-ha! Lo sapevo
io!" ridacchiò lui.
"Senti, Ottavio,
pensavo..."
"Alan, quando pensi
mi preoccupi".
"Perchè?"
"Non lo fai mai..."
mormorai sorridendo, lui mi spinge di lato.
"Ehi!"
ribatto, fingendomi irritato, anche se per poco non prendo
alcuni passanti. Cerco di spintonarlo per vendicarmi, lui si discosta
un appimo dopo, ridendo. Uff, fa caldo, e ora devo pure giocare ad
acchiapparella con lui.
"Dai, Makuhita,
non riesci a prendermi?" grida lui, in tono sferzante.
Il mio gesto è improvviso, dettato dall'istinto. Comincio a
correre, cercando di acchiappare quell'uomo che si è sempre
divertito a prendermi in giro. Ma, stranamente, non sono animato da
odio. Non in questo momento. Magari i passanti ci vedono come due
persone normali che corrono per non perdere l'autobus, anche se Alan
ride come un pazzo e io lo chiamo con quel nome che si è
inventato, Yves. Che poi, non gli si adatta per niente.
Continuo a correre, dimenticando per un attimo tutto il
rancore.
Lo ritrovo dopo qualche minuto di corsa appoggiato a un muretto,
cercando di soffocare le risate senza successo. Sembra un artista,
sì, ma un pò fuori di testa. Solo ora mi accorgo
di come
gli stanno bene i vestiti che ha scelto. Mi avvicino a lui, ansimando.
"Ora puoi anche
uccidermi" ride lui.
"Fammi riprendere
fiato. Poi ti sistemo". Ma non riesco a trattenermi, la
sua risata è contagiosa. Mi
appoggio alla sua spalla per non crollare sul marciapiede, non mi pare
decoroso. Sembriamo due amici di vecchia data che s'incontrano dopo
tanto tempo e riportano alla memoria episodi passati. Cerco di
ricompormi, ma Alan non perde tempo.
"E come fai? Eh?
Usi Pesobomba su di me?" ridacchiò, tirandomi
piano una guancia. Uff, a quanto pare la cosa è diventata
un'abitudine.
"Quando la
smetterai di prendermi in giro? Sei monotono" ribatto. Mi
sono
stufato di sentire sempre le stesse tiritere. Sono un pò
cicciotto. Lo so. Non c'è bisogno che me lo ricorda. Lui
alza
gli occhi al cielo.
"Va bene... niente
più battute sulla verità...".
Socchiudo gli occhi, per poi sospirare e sorvolare. Devo avere una
pazienza infinita, se sono riuscito a sopportarlo fino a quà.
"E poi smettila di
chiamarmi Makuhita e tirarmi le guance. Mi dai fastidio"
continuo, ma forse è chiedergli troppo.
"Ah, no. Il
soprannome non te lo leva più nessuno. E poi, le tue
guanciotte sono così morbide" dice deliziato,
mentre passa le
dita affusolate di nuovo sulla mia faccia. Ecco, lo sapevo, credo che
sia più forte di lui. All'improvviso mi sento avvampare, si
è avvicinato troppo. Non so perchè, ma quando me
lo
ritrovo così vicino o generalmente in situazioni
così intime mi sento a disagio...
Come ieri quando eravamo nella stiva, e me lo sono praticamente
ritrovato davanti con addosso solo le mutande. Lui mi ha sorriso come
se fosse normale. Volevo ricambiare, ma non mi aspettavo di
ritrovarmelo davanti senza quasi nulla addosso. Non che mi dispiacesse,
ha un corpo niente male. Poi si è messo quel completo
strano,
che lo fa sembrare di Kalos. Si è ripromesso di imitare un
poco
l'accento della regione, ormai sembra che gli viene naturale e
spontaneo. Io non provo nemmeno a modificare la mia parlata, ormai mi
sono abitutato al dialetto di Hoenn, sopprimendo con piacere
quello di Jotho. Non amo ricordare la mia infanzia, ho cercato di
eliminare tutto quanto di quell'epoca. Sembra quasi che io sia nato
quando ho conosciuto Max. Non voglio ricordare altro. Mi tengo solo
quel vecchio legno, anche se continua a richiamare ricordi che
dovrebbero essere sepolti. Ma non posso separarmene, è come
separarmi da una parte di me.
"Dai, continuiamo"
gli mormoro, togliendomi da dosso quelle mani
callose e avviandomi, seguito da Alan, divenuto di colpo silenzioso.
Arriva la sera. Siamo appena usciti da Austropoli e abbiamo affittato
una camera in un piccolo Bed&Breakfast vicino al
percorso.
Nonostante le modeste dimensioni, la camera è accogliente.
E'
costituita da un salotto, una camera da letto e un bagno. Il
salotto è semplice, ha un'unica grande finestra che
dà
sulla strada, un tavolo con quattro sedie e un televisore un
pò
antiquato appoggiato su un mobile, di fronte c'è anche un
divanetto verde. Il bagno è ancora più
semplice, ha il minimo indispensabile.
"Penso che non
c'entri nella doccia".
"Alan, cosa avevamo
detto?"
"Uff, ok, scusa...
comunque se non riesci ad uscire, non chiamarmi subito. Voglio godermi
lo spettacolo".
Sto proprio aprendo il mio bagaglio, per fortuna che almeno i
Crobat che avevamo con noi potevano trasportarli. Appena sento quelle
parole gli tiro addosso la pantofola che avevo in mano. Gli prendo la
schiena, si è tolto gilet e camicia, per cui sta a torso
nudo.
Spero di aver tirato abbastanza forte.
"Ahio, ma
perchè?"
"Se non c'entro io,
figuriamoci tu".
"Vogliamo provare?"
chiede con un tono lievemente malizioso. Lo guardo malissimo.
"Come non detto".
Si stiracchia, per poi sdraiarsi sul letto. Si è cambiato
semplicemente i pantaloni, spero che non dorma così. Per
sfortuna, la camera ha un unico letto matrimoniale, quindi io e il mio
amico pompato non solo dobbiamo condividere la camera ma anche il
letto. Alan non si fa troppi problemi, per lui basta che sia comodo.
Cerco di mettere da parte l'imbarazzo, non c'è tempo per
contestare dettagli simili. Anche se per me sono cose considerevoli
(avanti, dormire appiccicato a quello che fino a poco tempo prima era
il tuo più grande rivale non è una bella cosa per
nessuno), c'è Max che è malato e che aspetta a
Hoenn il
nostro ritorno con la medicina. Chissà come starà
ora.
Sono preoccupatissimo, ma cerco di non far trapelare nulla. Temo che
peggiori in qualcosa di irrimediabile, e se gli succedesse
qualcosa non me lo perdonerò mai.
"Sai
qual'è un tuo difetto, Ottavio?"
"Quale?"
sospiro, mentre frugo nella mia borsa alla ricerca di un pigiama.
"Pensi troppo e
non condividi mai nulla con nessuno. Sei turbato, puoi
parlarne, se no rischi che scoppi. Già stai rischiando..."
"Alan. Smettila. E
poi con chi dovrei parlare, con te?". Lui fa spallucce.
"Perchè
no".
"Scordatelo".
Esco fuori dalla stanza per cambiarmi senza farmi vedere
da lui, mi sono messo qualcosa che non indosso mai. Rientro, e ancora
non si è messo niente a parte i pantaloni.
"Bhè,
neanche una canottiera?"
"Ottavio, io dormo
sempre così. Tranquillo, non puzzo".
"Hmpf, lo spero".
M'infilo sotto le coperte, spengo la luce. Mi assale un dubbio.
"Alan, mi auguro
che tu non russi".
Ci giriamo l'uno verso l'altro, lui sorride ambiguo.
"Chi lo sa. Lo
scoprirai fra un pò. Buonanotte!"
Si sistema un pò e chiude gli occhi. Di lì a poco
s'addormenta. Per fortuna non russa. Decido di addormentarmi, domani ci
aspetta una lunga giornata.
...Alan dorme già da un pezzo. Sono stanchissimo, ho sonno.
Ma
non riesco ad addormentarmi. Mi alzo a sedere, Alan grugnisce nel sonno
e si gira dall'altra parte. Sta sognando qualcosa, spero che sia
qualcosa di bello. Sospiro piano, chissà che ore sono. Mi
alzo e
vado in salotto cercando di non far rumore, se sveglio il mio collega
solo Arceus sa quanto potrebbe irritarsi. E non voglio un Alan
arrabbiato proprio ora. Appena sono nell'altra stanza accendo una
lampada per vederci meglio, ho una sete tremenda. Mi verso un
pò
d'acqua in un bicchiere che ho trovato nella credenza, mentre bevo il
mio sguardo cade su un'agenda consunta posata sul tavolo. E' la
stessa agenda che avevo visto giorni fa nella cabina di Alan,
è lì dove lui scrive le sue poesie. So che non
dovrei, ma
la curiosità è troppo forte, mi siedo e comincio
a
sfogliarla. Ha praticamente scritto tre quarti del quadernino. La
maggior parte è dedicata a Ivan, ad Ada (citando a volte
anche
Rossella) e al mare. Non riesco a leggerle completamente, ha una
scrittura a tratti illegibile.
Hanno un loro perchè, sono
piacevolmente sorpreso nel constatare che sono ben sviluppate e con un
significato profondo. Sorrido, provo ad immaginare come suonerebbero se
Alan le leggesse ad alta voce accompagnato dal suono del mio violino.
Vedo
anche il suo vecchio mangianastri infilato nella sua borsa di traverso
con ancora inserite le composizioni di Yann Tiersen,
forse l'ho sottovalutato e giudicato troppo in fretta. Lancio
un'occhiata alla camera, lui dorme ancora, ignaro. Forse è
meglio che torni a dormire. Sto per alzarmi quando noto l'ultima
pagina scritta. Ci sono solo due parole: "Per Ottavio", ma la pagina
è
vuota. La fisso perplesso, questa è la prima volta che
scrive il
mio nome. Probabilmente non ha avuto il tempo di scrivere altro, o
forse non sapeva cosa comporre. Peccato, ero proprio curioso di sapere
cosa aveva in mente di dedicarmi. La chiudo e torno in camera. Osservo
Alan dormire, è ancora girato su un lato, il volto
è
completamente rilassato, sotto le palpebre gli occhi si muovono piano.
Sogna ancora. Ha un che di tenero, anche se tenero lui non lo
è
proprio, o almeno con me non lo è mai. M'infilo di nuovo
sotto le coperte,
voglio provare a fare una cosa di cui certamente domani mattina me ne
pentirò amaramente. Non so neanche perchè lo
voglio fare,
dopo tutto quello che mi ha detto. Faccio scorrere un braccio attorno
alla sua vita, sfioro i muscoli del ventre, sembra strano che anni fa
era più cicciottello, ormai sono più
abituato a vederlo così. Lui mi
chiama nel sonno, per poi rannicchiarsi s sè stesso,
avvolgendosi sul mio braccio, immobilizzandolo. Sono certo che domani
me la farà pagare in qualche modo, ma sento che non
m'importa,
per una volta. Chissà se potremo diventare amici, un giorno.
Se avessi un cuore, potrei amare.
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