Capitolo 3 – You’re
not alone in this
Con
un paio di minacce ben formulate e supportate dalle
occhiatacce alla Beckett, quelle che sarebbero in grado di incenerire
anche un
ghiacciaio eterno, Kate costringe Rick ad ingoiare qualche cucchiaiata
di brodo
di pollo e a sgranocchiare un paio di cracker, così da poter
assumere un altro
antipiretico visto che la febbre non vuole dargli tregua.
Quest’influenza
sembra non volerne sapere di lasciarlo in pace. Se continua
così, domani dovrà
rivolgersi al medico curante.
Nel
giro di pochi minuti Castle ronfa di nuovo e Beckett,
dopo aver sistemato la cucina, si ritrova a pensare a come organizzarsi
per la
notte. La camera degli ospiti, così come le stanze di Alexis
e Martha sono al
piano di sopra e teme di essere troppo lontana da lui, tanto da
rischiare di non
sentirlo qualora avesse bisogno di aiuto. Decide pertanto di sistemarsi
sul
divano nel soggiorno. Il loft è caldo e confortevole e le
basterà una coperta
per stare bene.
Si
toglie gli abiti, indossa la sua mise notturna –
quella rassicurante, non certo il completino aggressivo proposto dalla
sua
amica Lanie –, si lega i capelli in una treccia morbida e
dopo aver fatto un
passaggio nel bagno del piano superiore, per non attraversare di nuovo
la
stanza di Rick, si mette comoda sul sofà, si avvolge nel
plaid e accende la tv.
Le è anche venuto in mente di leggere qualcosa, ma la
libreria si trova nello
studio di Castle e le parrebbe di invadere il suo spazio, quindi quel
pensiero
è stato subito accantonato. La fatica della settimana e la
mancanza di
programmi interessanti (ma non c’è mai una
maratona di film? Magari di John
Woo? The bloodier, the better?) la
fanno piombare presto in uno stato di sonnolenza, così che
afferra il
telecomando e spenge il televisore, addormentandosi quasi subito.
Poche
ore più tardi, un mugolio sofferente la sveglia.
E’
un suono appena percettibile, ma il detective Beckett è un
poliziotto: è sempre
in allerta, 24 ore su 24. Aprendo gli occhi, ha bisogno di qualche
secondo per
realizzare dove si trova, però poi riconosce la voce e parte
a razzo, in
direzione della stanza di Rick.
Entra
nella camera e lo vede che si sta agitando: ha la
fronte imperlata di sudore, le mani stringono con forza il lenzuolo,
mentre
gira la testa a destra e a sinistra e ripete frasi sconnesse, di cui
Kate riesce
solo a percepire brandelli: “Io… ho provato a
fermarla… ma non ci sono
riuscito… lo so, l’accordo era chiaro…
niente più indagini… ma no… vi
prego…
non uccidetela… NOOOOO… Kate… Don’t leave me, please. Stay with me. Ok.
Kate, I love you. I
love you Kate.”
Eccole,
quelle parole.
Quelle
parole che la riportano a un momento terribile e
meraviglioso.
Quelle
parole che, paradossalmente, l’hanno spaventata a
morte e le hanno dato la forza di continuare a vivere.
In
questo momento la inchiodano sulla porta, mentre Rick
continua a dimenarsi e a respirare in modo sempre più
affannato, finché Beckett
si scuote dal suo torpore e si avvicina a lui.
“Rick”
prova a chiamarlo, ma dalla gola le esce solo un
flebile sussurro, ancora sconvolta dalla portata di quella
dichiarazione.
Si
siede sul letto e gli afferra le mani, ripetendo il
suo nome: “Rick, you’re
not alone in
this, I’m here. Svegliati…”
Castle
apre gli occhi a fatica e le rivolge uno sguardo
confuso. “Kate? Stai bene?”
“Dovrei
essere io a chiederlo a te, non pensi?” gli domanda,
stupita ancora una volta dal modo in cui lui la mette sempre al primo
posto.
“Perché?”
replica perplesso.
“Castle,
non ero io a lamentarmi. Hai avuto un incubo?”
prova a indagare, ma lo vede assumere subito una posizione di difesa.
“Sssssì”
risponde a fatica.
“Ti
va di parlarne?” gli domanda, accarezzandogli il
volto. Per verificare che la febbre non sia salita troppo. Certo, Kate, continua pure a raccontarti delle balle.
“Magari
un’altra volta… ehy, stai rabbrividendo.
Perché
non entri qui sotto?” la invita, sollevando la coperta. Gesto
di fronte al
quale Kate, invece, solleva un sopracciglio. “Non
fraintendere, Beckett, è solo
che fuori fa freddo e non vorrei che poi ti ammalassi anche tu. Non
riesco a
spiegarmi il motivo ma stranamente non vado a genio al capitano Gates.
E se
dovesse anche rinunciare alla sua migliore detective per colpa mia,
Iron non me
lo perdonerebbe!” Ottimo, Rick,
grande
mossa: mettere di mezzo il suo capo. E’ scritto su tutti i
manuali del
corteggiamento.
Resta
indecisa per qualche secondo, poi fa il giro del
letto e scivola sotto il piumone, tenendosi a debita distanza da
Castle, ma
voltandosi verso di lui. Rick si mette su un fianco e la guarda
intensamente,
per quanto glielo permetta la penombra della stanza, rischiarata solo
dalla
luce proveniente dallo studio.
“Sai
Kate, sei una continua sorpresa.”
Lei
aggrotta la fronte davanti a questa affermazione,
così Rick si affretta ad aggiungere: “Ti stai
occupando di me, mi fai prendere
delle medicine cattivissime e per compensare mi hai persino preparato
uno
squisito brodo di pollo. Te l’ho già detto, ma te
lo ripeto. Penso che non
riuscirò mai a svelare il tuo mistero, a scoprire tutti i so many layers to the Beckett onion”
le sussurra con voce dolce.
“You’re not so bad
yourself, Castle, nemmeno in queste condizioni” gli
risponde sorridendo. “E
adesso perché non provi a dormire? Ti ricordo che hai un
febbrone da cavallo.”
Annuisce
e risponde, con le palpebre già cariche di
sonno: “Until tomorrow, detective
Beckett.”
Until
tomorrow is more hopeful,
le ha detto anni fa, spiegandole il
motivo per cui preferisce quel saluto. Ha sempre adorato la sua
smisurata
fiducia nel futuro, il suo approccio fanciullesco alla vita. Una volta
ce lo
aveva anche lei.
Ma
questo era prima.
Prima
di Johanna.
Prima
del muro.
Anche
se… quel muro si sta sgretolando, giorno dopo
giorno. Grazie proprio all’uomo che sta dormendo accanto a
lei. Un momento, è
nel letto di Castle? E perché non si sente a disagio? Anzi,
perché si sente
sicura, accolta, insomma… a casa? Come se lei appartenesse a
quel luogo e a
quell’uomo? Come se fosse finalmente nel posto giusto e
accanto alla persona
giusta? Troppe domande per quest’ora della notte. Meglio
godersi questa
sensazione confortevole e dormirci su.
Qualche
ora più tardi, quando Kate si sveglia, la prima
cosa che vede sono due occhi sorridenti che la osservano. Da vicino.
Molto
vicino. Eppure le sembrava di essersi addormentata assai più
distante, tanto al
limite da rischiare di ruzzolare giù dal letto. E invece
adesso il suo volto è
a pochi centimetri da quello dello scrittore e la sua mano è
appoggiata sul suo
petto. Un momento, che ci fa la sua mano sul petto di Rick? Non riesce
a
formulare una spiegazione razionale per questo avvicinamento
perché il suo
ragionamento mentale viene interrotto dal proprietario di quelle due
iridi azzurre
che afferma: “Beckett, continuiamo a dormire insieme ma non
facciamo mai sesso.
Dobbiamo rimediare!”
“In your dreams,
Castle. Magari facciamo una cosa a tre come sognavi qualche
tempo fa?”
ormai è talmente abituata alle sue uscite svalvolate che non
le prende nemmeno
più sul serio. Un po’ come si fa con gli
psicopatici, quando li si lascia
blaterare senza interromperli e anzi si dà loro corda
perché alla fine sono
divertenti. Senza considerare che da tempo non riposava così
bene e adesso si
sente piena di energia. Che lo scrittore funga da sonnifero? Meglio non
dirglielo, sarebbe un colpo troppo duro per la sua virilità.
“No,
nei miei sogni siamo solo noi due. Ci svegliamo nudi
e facciamo l’amore. Nel sesso mattutino sono imbattibile!
Oppure alcune volte
sogno che veniamo destati dai nostri figli che saltano sul letto. Tre,
per la
precisione. Non ho ancora pensato ai nomi, ma non mi dispiacerebbe che
uno dei
maschietti si chiamasse Cosmo. E la bambina sicuramente avrà
il nome di tua
madre” dichiara serio.
Di
fronte a queste parole Beckett rimane totalmente senza
fiato e riesce solo a sussurrare: “Rick…”
“Ehy,
è l’influenza. Sto delirando. Non sono in grado di
intendere e di volere, pertanto ciò che dico non
potrà essere usato contro di
me” minimizza Castle.
Kate
si poggia sul gomito, solleva la mano dal suo petto
e gliela pone sulla fronte per verificare se sia ancora caldissima come
la sera
precedente, lasciandola scivolare lungo la sua guancia e indugiando
forse più a
lungo del dovuto.
E’
il suo modo per dirgli grazie.
Grazie
per esserle sempre stato accanto, rispettando i
suoi tempi e i suoi spazi, e regalandole dei momenti di assoluta e
impagabile serenità.
Grazie
per averle permesso di dormire senza incubi e
senza nemmeno ricorrere a qualche medicinale.
Grazie
per essersi gettato su di lei, quel giorno,
rischiando di beccarsi una pallottola al suo posto.
Ma
a parlare non sono mai stati bravi. Nemmeno lui che
con le parole ci lavora. Così si limita a guardarlo dritto
negli occhi per
qualche secondo. Finché, scuotendo la testa, commenta:
“Spiacente, scrittore,
la febbre è passata. Forse hai bisogno di una doccia per
schiarirti le idee e…
frenare i bollenti spiriti?”
“Vieni
con me?” le chiede, con un misto di sfrontatezza,
speranza e dolcezza. Proposta davanti alla quale lei solleva gli occhi
al cielo,
anche se dentro di sé sente l’ennesimo mattone del
muro crollare. Anzi, le pare
quasi di udire il tonfo della terracotta che si sgretola a terra. Ma
non è
ancora completamente pronta a donarsi a lui. Lui si merita una donna
migliore.
Un
momento, precisiamo.
Lui
si merita una versione migliore del detective Beckett,
non qualcun’altra. Non ha alcuna intenzione di farselo
portare via da una
Serena Kaye. O da un’altra musa, stile Sophia Turner, tanto
per citarne due. O
da qualunque altra donna affascinante o semplicemente disposta a farlo
divertire senza drammi.
E’
per questo che sta continuando le sedute con il dottor
Burke. Ed è sempre per questa ragione che non ha interrotto
nemmeno la fisioterapia.
Vuole essere in forma, nel corpo e nello spirito. Per lui e per
sé stessa. Per
loro due, insomma.
“Vediamo
se riesci a stare in piedi da solo, altrimenti
ti preparo un bagno. E ti lascio in ammollo nella vasca mentre mi
dedico alla
colazione, ok?” gli domanda. Naturalmente lui le fa il
broncio per trasmetterle
la sua profonda delusione ma prova ad alzarsi, mettendosi dapprima
seduto sul
letto e poi cercando di assumere la posizione verticale, con
l’aiuto di Kate
che si è precipitata al suo fianco, pronta a sorreggerlo.
Gli gira un po’ la
testa, ma tutto sommato non sta male. Anzi, rispetto a due giorni
prima, gli
pare di essere fresco come una rosa. Sì, la detective
Beckett ha delle indubbie
qualità taumaturgiche. Dovrà inserire una scena
simile anche nel prossimo
romanzo di Nikki Heat. Con un risvolto assai più piccante, that goes without saying. Il pensiero gli
fa comparire un sorrisino
malizioso sul volto. Rassicura Kate sulle sue condizioni e si avvia
verso la
doccia.
Lei
invece si reca in cucina, con la ferma intenzione di
preparargli una colazione sostanziosa. Mentre sta armeggiando con lo
spremiagrumi e le padelle, lo sente canticchiare. Drizza le orecchie,
cercando
di riconoscere la melodia e sorride: Frank Sinatra,
“I’ve got you under my skin”.
Solo ora si accorge di quanto quel testo rispecchi la sua vita:
I said to myself: this affair never will go so
well.
But why should I try to resist when, baby,
I know so well I’ve got you under my
skin?
Ha
provato a resistergli, Dio solo sa con quale cocciuta tenacia
si sia impegnata a negare di provare un sentimento profondo per lui, ma
ormai
lui le è entrato nel cuore, è diventato una parte
di lei.
A
sua volta, sotto la doccia, mentre canta la strofa
centrale, Rick ripensa al suo legame con Kate e a quel patto che ha
stipulato
con Smith:
I’d sacrifice anything come what might
For the sake of havin’ you near
In spite of a warnin’ voice that
comes in the night
And repeats, repeats in my ear:
Don’t you know, little fool, you
never can win?
Già,
nell’incubo che ha avuto la notte precedente, un
sogno terribile che gli ha avvelenato il sonno più di una
volta negli ultimi
mesi, quella voce nell’oscurità gli ha ribadito
che non ha vinto. Non vince mai.
Anche stanotte non è riuscito a salvarla
dall’ennesimo cecchino. E ancora una
volta, in punto di morte, le ha ripetuto quanto la amasse.
Un
momento, stanotte c’era anche lei quando si è
svegliato.
Chiude
il rubinetto della doccia e si rende conto che questa
volta deve averlo sentito.
E
non può averlo dimenticato.
Questa
volta non c’è stato alcun evento traumatico che
possa giustificare l’amnesia. Allora perché non
gli ha detto niente? Forse
perché non ricambia i suoi sentimenti? Eppure eccola qui che
ha rinunciato al
suo tempo libero per curarlo. Benedetta donna, è the most challenging, maddening, frustrating person
che abbia mai
incontrato! Si avvolge nell’accappatoio e guardando la
propria immagine nello
specchio, offuscata dall’alone del vapore, si dice:
“A noi due, detective
Beckett: è il momento della verità.”
Nota
dell’autrice
Un
incubo nel cuore della notte fa sentire di nuovo a Kate quella
straziante
dichiarazione d’amore, mentre Rick, dopo un piacevole
risveglio in compagnia
della sua musa, si rende conto che questa volta non può non
aver udito le sue
parole.
Ahi
ahi ahi, è giunto il momento della verità!
Grazie
per aver letto anche questo e a giovedì prossimo per la resa
dei conti!
Deb
|