Note
dell'autrice
Scrivo
questa storia da dicembre, DICEMBRE, ma eccola, finalmente ed è
la terza e ultima della serie Settembre-Dicembre.
È
ambientata subito dopo la precedente
A
peach by any otter name,
quindi nei dintorni di Capodanno. Sono sicura che tutti vorranno
leggere una storia sulla neve e il freddo a luglio.
Non va bene.
Momo
affretta una corsa già piuttosto stancante, i polmoni che
chiedono pietà e le gambe di burro.
Non
ha quasi chiuso occhio e, se dovesse incrociare lo sguardo con il suo
riflesso in una delle vetrine natalizie che sta oltrepassando a tutta
velocità, probabilmente si spaventerebbe per le occhiaie scure
che lo testimoniano.
Ma
non ha tempo per farlo, perché, dopo essersi addormentato
soltanto alle tre del mattino, non ha sentito né la prima, né
la seconda sveglia e solo la pazienza di sua madre è riuscita
a tirarlo giù dal letto in tempo per prendere il treno.
Treno
che però si è bloccato dieci minuti in piena campagna a
causa della neve caduta durante la notte, finendo per accumulare
venti minuti di ritardo.
Anche
adesso la neve gli dà fastidio. Gli entra nel naso, tanto per
cominciare. E ogni falcata che lo separa dall’obiettivo è
un potenziare incidente mortale.
Vede
Sousuke da lontano. Torreggia sulle coppie a passeggio con la sua
altezza, la testa bassa. Mentre si avvicina si rende conto che sta
guardando il telefono e accelera.
Scivola
sui ciottoli della piazza gelata ed evita per un soffio un palo della
luce, riuscendo a fermarsi solo quando colpisce con le ginocchia la
pietra fredda della fontana.
Sousuke
alza la testa dal telefono per guardare chi si sia schiantato accanto
a lui e ha un sussulto nel riconoscerlo.
“Credevo
te ne fossi già andato.”
La
voce del ragazzo sembra sollevata e per un momento Momo resta a
guardarlo, confuso. Poi si illumina, il dolore pulsante alle gambe
sostituito dal sollievo di vederlo ancora lì.
“Ah!
il mio treno era in ritardo!” esclama, lanciando in avanti le
braccia in un tentativo di offrirgli il sacchetto con dentro il suo
regalo di Natale. “Buon Natale, Sousuke.”
Sousuke
arretra di un passo, ancora confuso, poi prende il sacchetto tra le
mani e lo apre per guardare dentro. Guarda soltanto per un
lunghissimo momento, tanto che Momo comincia a chiedersi se sia stata
poi una grande idea, la sua.
È
nervoso, nonostante tutto. Ha paura di sbagliare qualcosa perché
questa è la sua grande occasione e l’aspetta da mesi.
Anche arrivare in ritardo l’ha mandato nel panico, anche se non
è del tutto propria, la colpa.
“Non
è troppo tardi per il ristorante, vero?” chiede,
lanciando un'occhiata all'orologio della piazza. Le undici e mezza.
Tardi. Ma non troppo. Almeno così spera.
“Dovremo
rinunciare alla passeggiata senza meta, temo.” ribatte Sousuke,
con un mezzo sorriso.
Lo
fa ridere, il corpo che finalmente si rilassa, una tensione di cui
non era del tutto consapevole che lo abbandona. Non c'è niente
da fare per il rossore che gli ha invaso le guance, ma almeno per
quello può accusare il freddo.
Cerca
in Sousuke un nervosismo simile al proprio, qualcosa che lo faccia
sentire meno stupido, perché l'idea di essere l'unico a
sentire quella voragine di imbarazzo in mezzo al petto per tutto il
giorno può farlo sentire solo in questo modo, stupido.
Ha
chiesto a Sousuke di condividere quella giornata insieme, ma non ha
idea di quanto e se Sousuke abbia capito di quell'invito.
Per
Momo è un passo enorme e forse lo realizza pienamente solo
così, a un metro scarso da quello che dovrebbe essere soltanto
il suo compagno di squadra, il suo amico.
È
stato un passo enorme anche ammettere a se stesso di avere una cotta
per un ragazzo, spropositata la paura di disgustarlo, di aver
interpretato male sguardi e parole e di non avere nessuna possibilità
con lui.
Non
sa nemmeno quante volte Ai abbia dovuto spingerlo a non annullare
tutto, assicurandogli che mai Sousuke l'avrebbe disprezzato perché
gli piace.
Sente
i palmi sudati, nei guanti e ritira la testa nelle spalle per cercare
riparo dietro alla sciarpa.
Non
ha nulla da farsi prestare, oggi, è arrivato preparato. Già
se ne pente, tanto la sensazione di essere completamente imbacuccato
lo fa sentire soffocare. Nessun profumo rassicurante, se non
l'ammorbidente che usa sua madre.
“Il
ristorante è da questa parte.” spezza finalmente il
silenzio Sousuke, distogliendolo dai suoi pensieri.
Ha
le mani infilate nel giaccone, le spalle abbastanza rigide da farsi
male, ma Momo non ha il tempo di chiedergli nulla, mentre lo segue in
silenzio, alla ricerca di qualcosa di veramente intelligente da dire.
Non
si ricorda di essere mai stato ad un appuntamento. Non uno vero, con
il ristorante e... qualsiasi cosa abbia deciso di fare Sousuke dopo,
probabilmente una passeggiata per occupare il pomeriggio e non la
battaglia di palle di neve che Momo avrebbe proposto senza una
briciola di vergogna, in altre circostanze.
È
difficile farsi venire in mente qualcosa, quando i pensieri sembrano
tutti girare intorno all'occasione di quest'uscita. A nulla sembra
essere servito cercare di porsi degli obiettivi, come cercare un
regalo di compleanno per Aiichirou, Momo non riesce a smettere di
pensare al fatto che vorrebbe che quello fosse un appuntamento tra
persone che si piacciono.
Fidanzati?
Forse sta correndo troppo per questo.
“Non
ho scelto il giorno migliore, speriamo non nevichi ancora.”
È
strano che sia Sousuke a rompere quei silenzi, ma Momo si ficca le
mani in tasca e gli è accanto in due falciate, sollevato
dall'argomento semplice. Guarda il cielo bianco, dubbioso, il respiro
che forma nuvole di condensa. Un cielo del genere può solo
preannunciare altra neve.
Non
sarebbe male. Potrebbero rifugiarsi in un hotel e per caso
quell'hotel potrebbe avere solo una matrimoniale, ad esempio. Sarebbe
un momento perfetto per confessargli i propri sentimenti, anche se si
trasformerebbe in un disastro se Sousuke lo rifiutasse e lo mettesse
a dormire sul balcone.
Fa
un verso strozzato, scuotendo la testa e sperando che il ragazzo non
lo senta.
Da
quando ha cominciato a vederlo come qualcuno di desiderabile -peggio
di una ragazza, solo lui è riuscito a confonderlo e fargli
impazzire il cuore in quel modo, rovesciando ogni sua sicurezza- non
ha smesso di fantasticare.
Vuole
sapere che effetto fa tenerlo per mano e sentire il suo pollice che
accarezza appena il dorso della propria. Vuole sapere cosa di prova
ad essere abbracciati
spesso, senza un vero motivo, come a volte vede Rin e Ai
abbracciarsi, un gesto fatto apparentemente senza pensare, per stare
semplicemente vicini. Vorrebbe sparire in un abbraccio stretto,
essere colto di sorpresa e restare con la schiena contro il petto di
Sousuke, a confondere il battito del cuore con il proprio. Dormire
così dev'essere rassicurante.
Sì,
Momotarou è completamente perso. Ed è spaventoso. Ed è
bellissimo.
“Hai
i soldi per una stanza?” chiede, cercando di suonare il più
naturale possibile. Rilassato. Un respiro per volta, non tutti
insieme.
“Posso
dormire in stazione, se i treni restano bloccati.”
La
risposta lo fa imbronciare e stringe gli occhi fino a farli diventare
fessure.
“Il
dottor Shimaki non apprezzerebbe.” commenta, buttando le labbra
all'infuori. Del chirurgo di Sousuke se ne frega, ovviamente, è
l'eventualità di vedere i propri sogni infrangersi in questo
modo che lo innervosisce un po'. Questo e il fatto che dormire su una
panchina non farebbe per niente bene alla spalla di Sousuke e di
quello gli importa.
Il
ragazzo volta la testa verso di lui e, per un momento, Momo pensa di
aver toccato un argomento tabù, tanto il suo sguardo è
torvo. Hanno parlato spesso della sua futura operazione, ma il
contesto non riesce a farlo calmare e Momo ha insolitamente paura che
tutto vada storto.
“Sarà
il nostro segreto, allora.” risponde Sousuke, facendogli
l'occhiolino.
Momo
è fortunato che si volti quasi subito per aprire la porta del
ristorante, perché ha la sensazione di essere diventato una
pozzanghera di neve sciolta, da quanto si sente avvampare.
L'interno
del ristorante è meno tipico di quanto si aspettasse. Il
ristorante italiano in un cui l'ha portato Sei quando si è
trasferito a Tokyo, per esempio, era un tripudio di foto in bianco e
nero, reti da pesca, pizze di plastica e buffi personaggi vestiti di
bianco.
Questo
invece è essenziale, con un paio di foto di paesaggi e
arredamenti blu scuro. Sembra quasi un posto di lusso e Momo fa
fatica a restare seduto composto, sentendosi di troppo.
Pensa
di mandare un messaggio al fratello, chiedergli di venirlo a prendere
o almeno dargli una botta sulla testa e farlo tornare quello di
sempre, ma sbloccando lo schermo del cellulare vi trova due messaggi
di Sousuke.
Sono
in ritardo, il treno è fermo chissà dove. Scusami.
Sei
già andato via? Mi dispiace. Se sei ancora in zona ti offro un
dolce e una cioccolata calda.
Momo
alza lo sguardo, arrossendo. Dimentica di mandare il messaggio a
Seijurou il cuore che batte all’impazzata senza che possa fare
nulla per tranquillizzarlo.
Si
dice che è normale che abbia cercato di rimediare in quel
modo, che il viaggio non è esattamente breve e che tornare
indietro subito sarebbe stata una vera seccatura.
Ma
non riesce a smettere di sorridere mentre osserva il profilo di
Sousuke, intento a guardare fuori dalla finestra e sente un calore
insistente farsi largo dalla bocca dello stomaco fino alla punta
delle dita. Non è il riscaldamento del ristorante, quello.
“Non
apri il tuo regalo?” sussurra, perché vorrebbe dire
altro, ma non riesce a smettere di sorridere, il cervello in panne.
Sousuke
torna a guardarlo, fa un sorriso tirato e poi allunga le dita verso
il pacchettino.
Il
modo in cui sembra cercare di non strappare la carta, delicato
nonostante il regalo quasi sparisca tra le sue mani, lo intenerisce e
lo imbarazza allo stesso tempo. Vorrebbe gridargli di strappare tutto
e farla finita, ma, allo stesso tempo, quella cura gli scalda il
cuore.
“Aaah,
strappa tutto!” cede infine, scoppiando a ridere subito dopo
per il tono che riconosce nella propria voce. Sembra quasi
esasperato, ma non può farci niente.
Sousuke
lo guarda storto e finisce di scartare il portachiavi. Appena lo vede
tra le sue mani Momo se ne pente. È troppo piccolo, troppo
stupido e banale. Sousuke gli ha offerto un pranzo al ristorante,
insomma!
La
lontra è sempre la stessa, quella di peluche morbido, una
conchiglia rosa sulla pancia e l'occhio chiuso in un occhiolino che
l'ha convinto a comprarla... solo che ora sembra una stupidaggine.
“È
una lontra!” annuncia, come se non fosse evidente. Avvampa,
boccheggia e riesce a riprendere abbastanza fiato da correggersi.
“Voglio dire, per quando saremo lontani! Così ti
ricorderai di me!”
La
cameriera lo interrompe prima che possa fuggire gridando e, se non
altro, porta con sé un piatto di spaghetti che sembra fatto
apposta per annegarvi la propria disperazione.
Sousuke
aspetta che la ragazza sia lontana per rispondere al suo buon
appetito stridulo e posare la lontra nella propria scatola.
Sembra mettere molta cura nel lasciare parte del musetto appena fuori
da essa e Momo un po' si calma, giusto il tempo per avvampare e
sentire una stretta allo stomaco.
“È
difficile dimenticarti.”
È
fortunato che abbia appena passato due minuti ad arrotolare la pasta
intorno alla forchetta come se si fosse dimenticato come fare, perché
se avesse già iniziato a mangiare, quella frase sarebbe stata
la sua morte.
“È
perché sono troppo rumoroso?” domanda, sottovoce,
trattenendo la forchetta per puro miracolo.
Vorrebbe
scherzare e ridere. Vorrebbe essere più simile al normale e
rumoroso Momo che gli piace essere, ma non ci riesce. Il suo è
un continuo mutare di sensazioni tra il calore dell'imbarazzo e il
gelo dell'ansia che lo attanaglia, la paura di dire qualcosa di male
e farlo scappare via.
Ha
paura di sperare, Momo, paura di mettere troppo cuore in quell'amore
e rimanere deluso, ferito. È confuso dall'atteggiamento di
Sousuke, persino dal proprio, a volte, quando si sente
irrimediabilmente attratto da lui e potrebbe fare un elenco infinito
delle ragioni per cui quel sentimento è giusto e sbagliato
allo stesso tempo.
Sousuke
scuote la testa, punzecchiando un raviolo. Non alza lo sguardo, ma
Momo nota il suo rossore e si chiede se anche lui sia in imbarazzo o
abbia paura. Saperlo sarebbe un sollievo.
“Sei
particolare. Luminoso. Non credo di riuscire a dimenticarti molto
presto.” Risponde, finalmente, avvicinando alle labbra il
bicchiere d'acqua e bevendo un sorso.
“Non
ho intenzione di farlo.” aggiunge, tornando al povero raviolo.
Ma sorride. Un sorriso un po' storto, qualcosa che non raggiunge i
suoi occhi.
“Ci
sentiremo!” sbotta Momo, colmando un vuoto. Allunga un braccio
per afferrargli un polso, farsi guardare. “Verrò a
trovarti! E anche Ai-senpai!” aggiunge, nel tentativo di non
suonare disperato.
Tenta
di rassicurarsi, in qualche modo, soffocando l’imbarazzo in una
forchettata di spaghetti.
Non
è un brutto imbarazzo, però, quello. È di quelli
che sente come un tepore in mezzo al petto, quell’imbarazzo
particolare che sente solo con Sousuke.
“Non
so ancora cosa farò. Potrei… seguire Rin. Anche se non
è per nuotare, forse mi farebbe bene ricominciare da qualche
parte, prendermi un anno per pensare a cosa voglio davvero. Fin’ora
non ho mai veramente pensato ad un’alternativa.” sussurra
il senpai ed è più di quanto sia riuscito a tirargli
fuori fino a questo momento.
Ed
è un’altra illusione che crolla, questa.
Non
vuole restare solo, non vuole essere lasciato indietro. Eppure
dovrebbe accettare che tutti loro andranno avanti, in un modo o
nell’altro, perché è stato lui a dire che
quell’anno insieme sarebbe stato solo l’inizio, una
rassicurazione che non riesce a far funzionare con se stesso.
“Allora
dovrai darmi tu qualcosa che mi ricordi che ci sei stato.”
ribatte, un piccolo sorriso sulle labbra, prima di tornare agli
spaghetti.
Quando
escono dal ristorante, ha ripreso a nevicare.
Il
passaggio dal tepore del locale al gelo lo fa rabbrividire e Momo si
abbraccia, tentando di scaldarsi.
“Spero
che la prossima tappa sia un posto chiuso!” si lamenta,
cercando di soffiare via un fiocco di neve dalla punta del naso.
Sousuke
ridacchia e gli sfrega la mano al centro della schiena, cercando di
riportarlo ad una temperatura normale. Di sicuro si sente avvampare,
così.
“Sei
senza sangue.” commenta, prima di lasciare che la stessa mano
si posi sulla sua guancia. Ovviamente è caldissimo e Momo
vorrebbe dirgli un sacco di parolacce, ma ammutolisce, lo sguardo
fermo sul suo compagno di squadra.
Sousuke
lo sta guardando a propria volta e se c'è un buon momento per
morire è proprio questo, tra i polmoni che collassano e il
cuore che lo saluta. Aspetta che si ricordi di chi sia, di cosa
stiano facendo insieme e perché non dovrebbe essere così
tenero, ma il ragazzo sorride, sempre un po' di sbieco e Momo chiude
gli occhi per apprezzare quel calore necessario, quel contatto che
vorrebbe protrarre a lungo.
Ma
è estremamente rapido a fargli una linguaccia appena Sousuke
si allontana, sfrecciando in avanti per non buttarglisi addosso e
usarlo come stufa per tutta la giornata.
“Sei
tu quello che non è normale! Sta nevicando!” borbotta,
imbronciandosi.
Sousuke
ridacchia, lo raggiunge e lo spinge appena con un fianco. Momo lo
spinge a propria volta e non riesce a trattenere un sorriso.
“Il
prossimo posto non è molto lontano, resisti.”
“Dove
andiamo?” chiede, nuovamente incuriosito, ma Sousuke fa finta
di ignorarlo e lui reagisce gonfiando le guance.
“Sei
ridicolo!” esclama il ragazzo, guardandolo. Di nuovo, gli posa
le mani sul viso per sgonfiargli le guance, il contatto che lo
ammutolisce, costringendolo a fermarsi per non ondeggiare troppo sul
marciapiede.
È
solo che... è troppo naturale. Momo è abituato ad
essere quello che cerca il contatto fisico maggiore, quello che si
appende al braccio sano di Sousuke per lamentarsi di qualcosa, quello
che tira per mano Aiichirou nei corridoi, quello che punzecchia il
fianco di Rin per attirare la sua attenzione anche e soprattutto
mentre stanno già parlando insieme.
Anche
ora, mentre hanno ripreso a camminare fianco a fianco, vorrebbe
prendergli la mano e farsi scaldare un poco, creare il contatto che
tanto disperatamente cerca.
Gli
piace il contatto fisico. Gli piace tenere per mano, abbracciare,
stringere. Soprattutto con le persone a cui vuole più bene,
non si fa sicuramente problemi a cercare di invadere il più
possibile il loro spazio vitale.
Ma
da parte di Sousuke è strano, come qualcosa che si è
tanto cercato e arriva all'improvviso e sembra un sogno, qualcosa di
impossibile.
La
vetrina di un negozio di peluche attira la sua attenzione e si ferma
lì, ricordandosi di avere ancora un regalo da fare, seppur non
esattamente di Natale.
“Non
hai passato l'età per queste cose?” chiede Sousuke,
meritandosi una nuova spinta con il gomito.
“Non
è per me! È per Ai senpai!” protesta, come se
questo potesse giustificare qualcosa. E in effetti non può
essere l'unico a conoscenza della sua collezione di mucche di
peluche, no?
“Oh,
sì, in effetti ha più senso.” commenta invece
Sousuke, non senza una punta di ironia. Momo lo guarda male, poi si
imbroncia e borbotta qualcosa sull'essere pessimi senpai che non si
curano degli interessi dei loro kohai, prima di tornare a scrutare la
vetrina in cerca di qualcosa di adatto.
“Tra
poco è il suo compleanno e volevo regalargli uno squalo
enorme!” spiega comunque, indicandogli la dimensione dello
squalo allargando le braccia il più possibile. “Ma
nessuno di quelli che ho visto fin'ora mi piace. Sono tutti con la
faccia scema o costano tantissimo!” si lamenta, appiccicando il
naso alla vetrina.
“Uno
squalo?”
Davvero
Sousuke è stato risparmiato anche dalla passione smisurata di
Aiichirou per gli squali? E non ha mai dovuto affrontare uno dei suoi
monologhi su quanto siano carini?
A
Momo non spiacciono quei momenti. Gli piace vederlo così
entusiasta e gli piace poterlo prendere un po' in giro per la
somiglianza tra gli squali e un certo capitano della squadra di
nuoto.
“Credo
che gli mancherà tantissimo.” sussurra, appannando il
vetro. Si allontana per pulirlo con la manica e lanciare un'occhiata
all'altro ragazzo.
“Io
faccio davvero il tifo per loro, ma per quanto può durare, se
non si vedono quasi mai?” chiede e allunga d'istinto una mano
verso Sousuke, afferrandolo per il polsino del cappotto.
“E
per quanto poteva durare, in due stanze diverse dopo averne condivisa
una per un anno?”
“Non
è la stessa cosa. Possono uscire da quella stanza e vedersi e
fare finta di aver dimenticato qualcosa in piscina... Quando Rin sarà
in Australia, Ai sarà da solo. Non ci saranno corridoi tra di
loro, ma chilometri e chilometri di mare. Non è spaventoso?”
domanda, lo sguardo fisso sulle dita che stringono quella minuscola
parte di Sousuke.
“Non
lo so. Non ci ho mai pensato. Non posso dire che non mi interessi,
perché non voglio immaginare in che stato sarebbe Rin, se
dovesse finire. Probabilmente si chiuderebbe in camera e non
metterebbe più in ordine e ci sarebbero piogge di fuoco in
tutto il Giappone...” spiega Sousuke, ruotando delicatamente il
polso. Solleva l'indice fino a sfiorare il palmo di Momo e lo lascia
lì, a fargli formicolare la pelle.
“Conoscendo
entrambi si saranno sicuramente posti la questione e probabilmente
hanno finito con il dedurre che sono anime gemelle legate dal destino
e che nulla può separarli. Sì, Rin potrebbe aver detto
una cosa del genere.”
Momo
ridacchia, nonostante quell'unico dito sul suo palmo -la punta
soltanto, ancora peggio- non riesca a non mandarlo in agitazione.
Sì,
vede benissimo il loro romantico capitano dire qualcosa del genere.
In modo molto più esagerato, anche, tirando in ballo destino,
stelle, leggende e gruppi sanguigni.
“A
te non mette ansia?”
“Che
cosa, Rin? Quando comincia a borbottare per la minima cosa fuori
posto sì, parecchio.”
“No,
dico... Rin, Ai... Sembrano avere già tutto programmato.
Quello che faranno all'università, il loro futuro lavoro...
Scommetto che hanno persino programmato quando sposarsi e i nomi per
i bambini!” si lamenta Momo, sbuffando. Lascia andare il suo
polsino per gesticolare e se ne pente immediatamente.
Sprofonda
con la faccia nella sciarpa, facendo una nuova nuvola irritata di
condensa.
“Fa
un po' paura sentirli parlare di futuro, io non so nemmeno decidere
cosa voglio mangiare a colazione domani mattina, sembra tutto così
buono, sul menù!” ammette, ridacchiando di se stesso.
“Hai
ancora tempo. Non sei esattamente la persona più matura che
conosca, è normale che ancora tu non abbia deciso.”
Momo
sa di doversi sentire offeso per quel commento, ma non fa altro che
spingerlo appena con il gomito e ammettere silenziosamente che, in
effetti, non ha tutti i torti.
Sousuke
ricambia la piccola spinta, puntando l’indice sulla sua
guancia. “Ti ricordo che nemmeno io ho ancora deciso.”
“Sì,
ma...”
Non
si tratta soltanto di Rin e Aiichirou.
Riguarda
tutti loro, le amicizie che Momo non vuole perdere, quella cotta
mostruosa che non vuole uccidere sul nascere. Ma soprattutto loro
quattro, l'equilibrio che sono riusciti a raggiungere, nonostante
siano profondamente diversi. Sono i loro momenti, tra liti buffe e
condivisioni un po' più profonde, che non vuole perdere.
La
migliore squadra che potesse formarsi.
“Non
voglio restare solo.”
Sousuke
gli preme l'indice sulla fronte, sbuffando.
“Parli
come se non dovessimo mai più rivederci. E non sei nemmeno il
tipo da restare senza amici per troppo tempo, ne avrai altri. In
quanto a quei due...”
Non
gli lascia il tempo per finire, però, perché Momo ha
uno scatto all'indietro, allontanandosi da quel contatto.
“Non
voglio altri amici!” sbotta, le sopracciglia aggrottate tra
sorpresa e rabbia. “Manca così poco al tuo diploma e a
quello di Rin senpai e mi sembra di aver perso tempo! Tutto il tempo
che avrei potuto passare con voi e conoscervi e creare nuovi ricordi
e...”
È
il turno di Sousuke di zittirlo, posandogli l'indice sulle labbra.
Scuote la testa, l'espressione più seria, come se avesse
appena capito che per Momo quella è una questione
fondamentale.
“Momo,
non scompariremo dalla faccia della terra, dopo il diploma.”
“Ok,
ma...”
La
pressione sulle sue labbra si fa più insistente e Momo può
soltanto sbuffare.
Cosa
c'è di tanto strano nell'aver paura di perderli? Sì,
non è come se non dovessero vedersi mai più ed è
vero che Ai sarà sempre in contatto con Rin e Sousuke, ma,
insomma...
“Davvero
vorrai avere a che fare con me, in futuro?” domanda, spostando
le dita che lo censurano. “Davvero Rin senpai vorrà
sentirmi, quando si allenerà per le olimpiadi? Sono... sono
solo al primo anno, magari per voi sono un bambino e magari pensi
davvero che io possa sostituirti o possa solo ammirare Rin senpai,
ma...!”
Non
sa nemmeno come spiegarlo a parole. È solo che sono così
importanti, loro tre, per lui, così essenziali, che davvero fa
fatica ad immaginare che le loro strade possano dividersi per mai più
incontrarsi. È quello di cui ha paura, ma solo perché
sono diventati una certezza, una presenza sicura.
“Vieni,
stai congelando.” è l'unica risposta di Sousuke, mentre
lo afferra per la mano e lo trascina nel negozio.
Momo
si rende conto di quanto avesse freddo solo quando passa accanto ad
una stufetta e si ferma ad allungarvi le mani, irrigidite e
doloranti.
Tutt'intorno,
il disordine regna sovrano e quello che poteva vedersi nella vetrina
non era nulla, in confronto alla quantità di peluche e
giocattoli accatastati sugli scaffali. Ha il tempo di rimanere a
bocca aperta, prima di essere trascinato fino all'angolo degli
animali marini.
“Woah!
Hanno il peluche di quel pesce bruttissimo che Ai senpai adora!”
esclama, indicando un pesce lanterna.
Come
possano davvero esserci peluche di quell'essere terrificante e
moltissimi altri di cui non sa il nome è un mistero, di cui
Momo però smette di curarsi nel vedere il più enorme e
perfetto peluche di squalo che abbia mai visto.
“È
alto quanto Rin-senpai!” si meraviglia, gli occhi che si
illuminano come quelli di un bambino la mattina di Natale.
Probabilmente esagera con le proporzioni, ma è il più
grande peluche che abbia mai visto.
Non
ha smesso di fare versi di sorpresa quando grida nel vedere una
piccola remora attaccata alla pancia dello squalo.
“Soucchi!
È Ai senpai!” esclama, indicandola furiosamente. Sousuke
guarda il peluche, poi ridacchia. “Quella devi regalarla a
Rin.” afferma, staccando delicatamente la remora e notando la
striscia di velcro che tiene i due uniti.
“Come
fanno a stare a testa in giù tutto il tempo?” domanda,
notando la forma del pesce.
“Ah!
Ma non sono a testa in giù!” lo corregge Momo,
allungando la mano verso il muso dello squalo. “Ai senpai dice
che la parte superiore della loro testa è piatta, così
si attaccano meglio!”
Lo
squalo è morbidissimo, perfetto per abbracciarlo prima di
dormire! Già immagina la felicità del suo senpai, ma
quella sfuma in Momo quando lancia un'occhiata al cartellino del
prezzo.
“Non
c'è niente di più piccolo, con la remora?”
domanda, sconsolato.
Non
può permettersi uno squalo di peluche da 3500 yen, anche se è
il regalo di compleanno per uno dei suoi migliori amici.
Anche
Sousuke guarda il prezzo e storce il naso, ma sembra intercettare la
sua delusione, perché gli posa tra le braccia un piccolo
delfino e sorride.
“Puoi
sempre regalargli un Nanase da picchiare nei momenti di sconforto.
Verrei alla Samezuka ad aiutarlo di tanto in tanto.” spiega e
Momo non è del tutto sicuro che non sia serio, in quel
proposito.
Però
scoppia a ridere, posando il delfini su una pila di suoi simili e
prendendo uno squalo rosa dall'espressione stupida.
“Momo!”
Si
guarda intorno, perché Sousuke sembra essere sparito e lo
trova dietro uno scaffale, un peluche di uno squalo balena in
braccio. Non è molto grande, ma sembra morbido quanto l'altro
e Momo per un momento si imbroncia, perché non è
possibile che quando gli serve qualcosa...
“Guarda!”
esclama di nuovo Sousuke, assumendo un'espressione allo stesso tempo
stupita e tranquilla, a bocca aperta... di fatto imitando quella del
peluche.
Momo
ride di nuovo, allungando le mani per strizzare le guance del
peluche. È adorabile.
“È
bellissimo! Non credevo esistessero!” si stupisce,
accarezzandolo sulla testa.
“E
io?” chiede Sousuke, prendendolo alla sprovvista. Ha ripreso la
sua espressione normale, ma sembra in qualche modo in attesa e Momo
si sente avvampare, ma è tanto serio che finisce per
accarezzargli i capelli con gli stessi gesti fatti al peluche. Glielo
prende dalle mani, ben intenzionato a vedere il prezzo e rinunciare
definitivamente all'idea di averlo.
Non
ha il tempo di guardare il cartellino, però, perché
Sousuke si riprende lo squalo balena e lo tiene in alto, dove non può
raggiungerlo.
“No.
Prendi Rin e Ai e portali alla cassa, facciamo a metà. E
questo è il tuo regalo di Natale.”
Momo
ammutolisce, cercando di pensare contemporaneamente a per quanti anni
dovrà lavorare per ripagargli il favore e a come farà,
visto che il suo cuore ha deciso di battere completamente a caso e
probabilmente morirà da un momento all'altro.
Da
qualche parte un timido pensiero si fa largo in lui e sembra farsi
coraggio all'improvviso per gridargli che deve accettare quel regalo
anche a costo di andare in autocombustione.
“No,
Soucchi...” cerca di protestare, sentendosi immensamente in
colpa perché vorrebbe sorridere e abbracciarlo e saltellare
per il negozio.
Afferra
lo squalo e la remora, perché fare un regalo insieme a lui non
è un problema, ma cerca di trattenerlo dal comprare lo squalo
balena, ben conscio di avergli comprato soltanto un peluche grosso
come il suo palmo e non meritare niente di più.
“Sousuke,
non c'è bisogno...” protesta, anche se la volontà
di fermarlo è ormai soffocata dal sorriso che sente di dover
far esplodere da un momento all'altro. “Il regalo di Ai senpai
è ok, ma...”
“Non
c'è bisogno, ma voglio farlo.” lo zittisce Sousuke e
Momo finalmente sorride, cercando rifugio dietro lo squalo.
Quando
escono dal negozio, la neve scende più fitta di prima e Momo
non sa se essere arrabbiato o felice. La sua mente riesce solo ad
elaborare che ha qualcosa con cui dormire per il resto della sua vita
da liceale -e anche dopo, se dev'essere sincero- qualcosa che gli
ricordi Sousuke e lui stesso gli ha regalato.
Ha
le guance rosse e non è soltanto colpa del freddo. Tiene
stretta la maniglia del sacchetto, facendolo dondolare appena, gli
occhi bassi sul marciapiede innevato. Mai come ora è
essenziale non cadere.
“Grazie.”
mormora, dopo un po' che cammina senza sapere dove stia andando di
preciso.
“Dovremmo
andare verso la stazione e controllare i treni.” risponde
Sousuke, costringendolo a guardarlo, da quanto il suo tono di voce è
atipico. Gli sembra insicuro, quasi tremante.
Il
senpai ha le orecchie rosse, questo lo nota anche se è qualche
passo davanti a lui. Sorride, intenerito.
“Se
non ci sono treni possiamo sempre dormire alla Samezuka!”
esclama, affrettando il passo per raggiungerlo. Lo afferra di nuovo
per il polsino, come se intorno a loro ci fosse un mare di gente e
temesse di perderlo e Momo sobbalza quando Sousuke sposta il braccio,
negandogli quel contatto.
Lo
stomaco sembra crollargli nella pancia, la delusione e la paura di
aver fatto qualcosa di sbagliato che lo mandano nel panico, ma dura
solo un secondo, perché il senpai gli afferra la mano e
intreccia le dita con le sue.
Momo
controlla che la strada sia deserta, gli occhi grandi come piattini,
realizzando nello stesso istante che gli importa poco di essere
visto. Potrebbe esserci la folla di cui aveva paura, che comunque
approfitterebbe di quel momento per sfregare la guancia sul suo
braccio, con un sospiro soddisfatto.
“Una
pallina a forma di pesca.”
“Eh?”
chiede il ragazzo, confuso, aprendo gli occhi ma non spostandosi
troppo dalla sua spalla.
Sousuke
sembra far fatica a voltarsi ed emergere dal colletto del cappotto,
ma lo fa comunque, dopo un sospiro rumoroso.
“Per
Natale ti avevo comprato una pallina profumata alla pesca. A forma di
pesca. Rosa.” ammette il senpai, stringendogli meglio la mano.
“Sia Ai che Rin mi hanno rimproverato dicendomi che non sei una
vera lontra, quando gliel'ho detto... Ma prima ho capito.”
Sembra
parlare più per se stesso che per Momo, ma il ragazzo
ridacchia lo stesso, perché una pallina a forma di pesca
sarebbe stato un regalo divertentissimo.
“Non
lo sono, ma non mi sarebbe dispiaciuta.” ammette, posando la
tempia sul suo braccio.
Stanno
camminando verso la stazione, ma la strada è quasi deserta e
sente di poterselo permettere. O forse, ancora, gli importa sempre
meno che qualcuno li veda, tanto è felice di potersi concedere
un gesto del genere senza essere allontanato.
“Non
è questo il punto. Ho avuto molte idee, prima di quella, ma
ognuna...” la voce di Sousuke si fa sottile, come se non
potesse andare avanti e Momo lo guarda dal basso, notando come il
rossore ora sia diffuso sulle guance e il naso.
“Qualunque
cosa mi venisse in mente era qualcosa da... fidanzato.”
Non
è che non se lo aspettasse.
No,
Momo ci ha sperato. Così tanto che, passata quella fase in cui
si sarebbe sfondato la testa contro il primo muro perché gli
piaceva un ragazzo, ha cominciato a tendersi quando restava solo con
Sousuke.
Non
è così scemo. Ha notato indizi, piccoli gesti, il suo
compagno di stanza insinua cose da mesi, sostenendo che si siano
girando troppo intorno.
Ma
Momo non è mai andato oltre la speranza. Non c'è mai
stata una vera possibilità e giusto dieci minuti prima si è
convinto che avrebbe vissuto il resto della sua cotta insieme ad un
peluche che gli ricordava Sousuke.
“Fidanzato.”
ripete, ma non è sicuro di sentirsi davvero. Ha la gola e la
bocca secche e tenta di deglutire per poter esprimere tutto ciò
che gli sta passando per la testa in questo momento.
Ma
non sa nemmeno cosa. È tutto confuso, gioia e paura
immobilizzano il suo cervello, la prudenza che lo tira indietro e gli
dice di non riporre troppe speranze in una frase così
semplice.
Ma
è devastante.
Il
cuore gli fa male, tanto gli sembra gonfio di sentimenti. Sente che
potrebbe esplodere anche lui, se non dicesse anche solo una minima
percentuale di quello che sente.
Eppure
è difficile. Sente che si sta aggrappando alla mano che
Sousuke ancora stringe, quasi annaspando nel tentativo di
trattenerla, anche se lui non sta facendo nulla per portarla via.
“Da
quando mi hai portato Momopyon io...”
Anche
Sousuke sembra in difficoltà e Momo riesce soltanto a
stringergli la mano di rimando, anche se sta sudando e non è
molto piacevole.
“...mi
sono chiesto se ti piacessi. Perché è assurdo, no? Ma
tu mi piaci. Anche se hai una passione per gli animali brutti e sei
troppo agitato e a volte mi fai venire mal di testa e ti piacciono le
ragazze, io...” Sousuke gli da le spalle, ora, la mano libera
che copre il suo viso. Sbuffa, scuote la testa e quando torna a
guardarlo ha un'espressione quasi furiosa.
“È
frustrante! Mi sono detto che non ti sarei mai piaciuto, che sarebbe
bastato far passare quest'anno e poi sparire, ma poi... Poi
all'improvviso era già dicembre e ho capito. Non voglio
perdere quest'occasione. Tu... Tu mi confondi così tanto, però
non posso non dirtelo. E non voglio che finisca con il diploma, non
voglio dimenticarti o lasciarti indietro e nemmeno...”
A
questo punto, Momo non ce la fa. Non riesce ad aprire bocca per
rispondergli qualcosa che abbia un senso, non riesce a dirgli che
anche a lui piace, che vuole vederlo ancora anche lui, dopo il liceo,
che non vuole essere lasciato indietro.
Avanza
di un passo e gli butta il braccio libero intorno al collo per
abbassarlo al proprio livello e spingerglisi contro. Chiude gli
occhi, si lascia guidare dall'istinto e calcola male le distanze,
creando un impatto di denti che è più un incidente
ferroviario che un bacio.
Scatta
all'indietro, coprendosi il volto in un misto di dolore e umiliazione
e rannicchiandosi per terra, l'imbarazzo che gli colora le guance,
una vocina nella testa che gli consiglia di nascondersi in un cumulo
di neve e aspettare la primavera.
“Mi
dispiace! Era orribile!” sbotta, cercando febbrilmente con lo
sguardo una vanga o qualcosa di simile.
Sente
la neve scricchiolare ben prima di trovarsi faccia a faccia con
Sousuke e per un momento pensa a come la scena possa presentarsi ad
un passante. Due ragazzi rannicchiati e in procinto di andare in
autocombustione nella neve fresca.
Non
è così che i baci istintivi funzionano, negli anime!
“Un
po'.” ammette Sousuke e Momo allungherebbe un braccio per
spingerlo nella neve, se non fosse concentrato sulla sua espressione.
Ha un sorriso sulle labbra che ha visto raramente, qualcosa di
delicato, ma che sembra essere fatto apposta per stare sul suo viso.
Non
minaccia di tornare ad essere una smorfia triste, quel sorriso,
seppur spontaneo, naturale.
È
l'espressione che Momo vuole vedergli addosso per sempre.
“Sei
così... bello.” gli sfugge, mentre gli sfiora una
guancia con la punta delle dita. “Davvero non si vede? Non si
vede quanto mi piaci?”
Gli
sembra così improbabile, perché sente il modo in cui lo
guarda, sente il batticuore quando sono insieme, da soli e teme che
anche lui se ne accorga, che lo prenda in giro.
“Hai
chiamato la bestia Pyunsuke.” mormora Sousuke, ridacchiando.
“Ma non potevo esserne sicuro.”
“Hai
chiamato il tuo cervo volante Momopyon.” ribatte Momo, come
realizzando l'esatto peso di quel nome, all'improvviso. Era ovvio.
Eppure fino a questo momento ha provato ad ignorarlo, a reputarlo
impossibile.
“Hai
chiamato Pyunsuke il cervo volante che volevi regalare a Gou!”
sbotta improvvisamente il senpai, ridendo di gusto.
Momo
avvampa, sconcertato, boccheggiando un paio di volte prima di
scattare in piedi e gesticolare nel tentativo di giustificarsi. “Non
è colpa mia! Volevo fosse virile e bello e mi sei venuto in
mente tu!” esclama, di fatto peggiorando la situazione.
Decide
di nascondersi nella sciarpa e borbottare, camminando velocemente
fino all'entrata della stazione, ma viene bloccato da un paio di
braccia intorno alla vita.
“Momo.”
“Sei
virile e bello. Contento? Sono gay per te. Spero tu sia un minimo
soddisfatto perché...!” sbotta, aggrottando le
sopracciglia.
“Dovremmo
rifarlo.”
“Eh?”
Alza
la testa, appoggiandosi contro il suo petto, ma è costretto a
chiudere gli occhi perché è davvero troppo. Gli gira la
testa.
“Un
altro appuntamento. Altri appuntamenti.”
“...ah.”
Probabilmente
perderà i sensi da lì a poco, ma cerca di guardarlo di
nuovo e finisce per arrendersi, arrossendo per quell’abbraccio
troppo pubblico.
“Anche
se manca poco al tuo diploma?”
Che
succede se rovinano tutto? Che succede se un giorno Sousuke si
arrabbia e smette di parlargli? Che ne sarebbe della loro amicizia?
“Se
possono farcela Ai e Rin, perché noi non dovremmo?”
Momo
infila le dita negli spazi tra sé e le sue braccia, allentando
la presa, il respiro intrappolato nel petto, una sensazione calda che
si diffonde dal suo centro esatto nel resto del corpo, anche con la
neve che ancora cade tutt’intorno a loro.
Quante
volte si è ritrovato a chiedersi se anche lui avesse diritto a
qualcosa del genere, un amore fatto di piccoli e grandi gesti,
destinato a non vacillare nemmeno con la testardaggine di uno o
dell’altro? Quante volte li ha invidiati?
Forse
non sono la coppia perfetta, ma sono davanti ai suoi occhi ogni
giorno. Sperare di avere anche solo in minima parte un rapporto del
genere con qualcuno…
“Dici…
Dici che possiamo?” domanda, stupefatto, occhi negli occhi con
Sousuke, la sua presa nuovamente salda intorno a lui. Non vuole
rinunciarvi tanto presto. “Possiamo davvero vivere lontani e
sentirci ogni giorno e non perderci?”
“Possiamo.”
Non
c’è dubbio, in quella frase, nessuna precisazione sul
fatto che è un tentativo soltanto e se non funzionasse sarebbe
solo un insignificante fallimento.
C’è
sicurezza nella voce di Sousuke e Momo si accorge che è tutto
quello di cui ha bisogno, che forse potrebbero durare due settimane,
ma che sanno entrambi di potercela fare.
“Posso
baciarti?” chiede, un sorriso enorme sul viso arrossato.
Sousuke
picchia appena le loro fronti una contro l’altra e ridacchia.
“Se
non rischio di nuovo gli incisivi, perché no?”
Momo
sbuffa e s’imbroncia, ma non ha tempo di protestare e spingerlo
via.
Il
secondo bacio è decisamente migliore del primo. È
lento, un contatto di labbra che si protrae per il giusto tempo. Momo
ride quando i denti di Sousuke si stringono appena sul suo labbro
inferiore, perché il brivido che gli causano è
abbastanza forte da scuoterlo e si appoggia alla sua spalla con la
tempia, in un abbraccio in cui non si era accorto di essere finito.
Non
un bacio da film, ma decisamente meglio del primo incidente
ferroviario.
“Dovremmo
farlo di nuovo.” sussurra, con gli occhi socchiusi, perso in un
tepore che non pensava possibile, in una giornata del genere.
Sousuke
scoppia a ridere e lo fa dondolare appena, stringendolo ancora.
“Dobbiamo.”
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