Tharidl Lhad
Il
sole splendeva, il cinguettare degli uccelli suonava melodioso e il
vento rinfrescava la stanza.
Da
quando aveva sentito il potere del sonnifero farsi debole, Elena era
rimasta sveglia dall’alba. Seduta sul letto con le gambe
incrociate si guardava attorno e ammirava come quel posto potesse
cambiare dal giorno alla notte.
Le
tende erano state legate con dei cordoni bianchi alle colonne in
pietra, e sul pavimento erano stati portati coloratissimi tappeti. Ad
ornare le pareti vi erano altri arazzi e rappresentazioni.
Non
tutti degli uomini che la circondavano erano ancora sotto
l’anestetico. Molti di loro si erano svegliati di soprassalto
e le avevano volto solo un’occhiata di sfuggita, prima di
mettersi a controllare lo stato delle proprie ferite.
Il
ragazzo accanto al suo letto non aveva più
quell’orribile bendaggio, ma sembrava stesse ancora dormendo,
e russava per di più.
Elena
incontrò lo sguardo di uno dei presenti che la fissava
mentre si stringeva lo stivale. L’uomo si allacciò
una cintura di cuoio e continuò a non staccarle gli occhi di
dosso, come tenendola sotto osservazione per analizzare una sua
reazione.
Elena
ricambiò guardando come lui si finiva di armare con una
spada e alcuni coltelli che nascose nella cintura. La guardava torvo,
con amarezza e cattiveria.
Ad
Elena parve di non conoscerlo, ma forse si erano già visti
da qualche parte mentre lei era incosciente.
L’uomo
finì di allacciarsi per bene entrambi gli stivali e si
sgranchì la schiena con pochi fluidi ed impressionanti
movimenti delle scapole. Per finire, si calò il cappuccio
sul volto e lasciò la stanza.
Elena
rimase impietrita.
Perché
lì dentro sembrava che celare il proprio viso fosse una
componente della divisa di Masyaf?
-
No!- sentì una voce e si voltò verso il ragazzo
che ora era sveglio e si stiracchiava sbadigliando.
-
Hai qualcosa che non va?- chiese un altro in piedi vicino alle tende,
appoggiato ad una colonna. Aveva una gamba intermante fasciata e vicino
a lui erano adagiate delle stampelle.
-
Speravo che a toglierti dalle scatole ci pensassero i saraceni!-
sbottò il ragazzo agitato.
L’uomo
alzò un sopracciglio e rispose con uno sguardo truce.
– Cosa hai detto?- chiese a denti stretti.
-
Ehi, smettetela!- intervenne un altro. Era seduto tra i cuscini con la
schiena alla parete, coperto da una coperta pesante. Giocherellava con
un coltellino che si faceva scorrere tra le dita. –La nostra
ultima missione non è andata come credevamo, ma non
è stata colpa di nessuno, chiaro?-.
-
Taci tu!- lo indicò il ragazzo. – Che hai
preferito svignartela!-.
-
Ma guarda caso gli arcieri non mi hanno mancato!- rispose quello.
– sarai contento ora- mormorò tra sé.
Il
ragazzo annuì. –Certo, certo, ma voglio sapere
come mai a te non hanno fatto nulla!- gridò.
L’uomo
appoggiato alla colonna si voltò a guardare come
l’altro presente nel dibattito alzava la coperta e mostrava
che gli mancava la parte inferiore della gamba; dal ginocchio in
giù, l’arto sinistro gli era stato amputato.
–Hai qualcosa da aggiungere?- fece irritato, e si
coprì di nuovo tornando in seguito a girarsi la lama tra le
mani.
Elena
distolse lo sguardo, ma attirò su di lei
l’attenzione dei tre.
-
E questa chi è?- domandò interessato il ragazzo.
-
L’hanno portata qui Marhim e Halef qualche giorno fa -
rispose l’uomo seduto.
Il
giovane sbuffò. – Credo che abbia la lingua per
parlare da sola, non trovi anche tu?-.
Di
risposta alzò le spalle e tornò alla sua lama.
-
Non dargli fiducia, ragazza- le disse quello contro la colonna.
– L’ultima volta gliene abbiamo data tutti e due, e
non è finita bene- borbottò.
-
Sei sempre il solito testardo, dai sempre la colma a me!- si difese il
ragazzo. – Questa volta sei stato tu a far saltare la
copertura, maledetto! Garik ci ha perso una gamba ed è stata
colpa tua, NON mia!-.
Elena
cercò di pensare a qualcos’altro ma la
conversazione si stava facendo interessante quanto strana e pericolosa.
Garik
doveva essere quello senza la gamba.
Elena
rimase in silenzio.
-E
tu sei sempre il solito moccioso. Cresci! Sei un assassino di un certo
rango, che secondo me neppure ti meriti, ed è ora di pensare
al tuo dovere!- rispose l’altro.
-Mi
sono meritato il rango con la fatica che neppure immagini,
Jarhéd! Neppure sapresti come arrivare al mio livello!-
-Ma
quale livello, ragazzino!- rispose scontrosamente Jarhéd.
– Sono di due targhe più in alto di te, stupido!-.
-Non
per molto! Per questo avrei preferito che morissi a
Gerusalemme…- mormorò il giovane.
-Cosa
è che hai detto, Rhami?!- gli ruggì contro Garik
fermando d’un tratto la lama che scorreva tra le sue dita.
–Non dirlo neppure per scherzo- aggiunse.
-Non
mentire, Garik. Sappiamo cos’è successo davvero.
È stato un caso che le guardie lo abbiano colpito, forse
l’hanno scambiato per me o te, ma so per certo che
Jaréd è un traditore, e sarò io stesso
a raccontarlo al Maestro!-.
-Non
sono un traditore!-.
Non
riuscì ad aggiungere altro che Rhami si alzò e
cominciò a vestirsi. – è inutile
continuare a mentire. Ti ho visto che parlavi con quel saraceno! Ti ho
visto!- gli puntò il dito contro.
-Rhami,
rimettiti giù- disse Garik.
-
Non lascerò che un traditore giri per le stanze della
fortezza, non lo permetterò!- continuò Rhami.
-Tutto
ciò- fece Jarhéd. – Tutto
ciò è assurdo, non sono una spia, tanto meno un
traditore. Se hai visto qualcuno quella mattina, ti posso assicurare
che non ero io!- tentò di calmare il compagno.
-Sono
stanco delle tue!…- non poté terminare la frase
che i battenti in fondo alla stanza si aprirono di colpo.
Adha
quella mattina indossava un mantello bianco con dei ricami rossi,
mentre le guardie ai suoi fianchi indossavano tuniche corte e grigie.
Armi alla mano e occhi attenti.
Due
donne dietro di loro portavano dei cesti con delle coperte e delle
federe pulite.
-Avevo
chiesto che questi tre pezzenti fossero divisi prima che si
svegliassero, ma il Maestro non ha voluto darmi ascolto, a quanto pare-
Adha incrociò le braccia e squadrò i presenti.
-Mia
Signora Adha…- Rhami s’inchinò
portandosi una mano al cuore, e altrettanto fecero Jarhéd e
Garik, quest’ultimo abbassò solo lo sguardo non
potendo fare di più.
-Su,
chi di voi è in grado di lasciare l’infermeria lo
faccia ora o mai più- Adha si rivolse ai pazienti
svegli.
Jarhéd
prese le sue stampelle e s’incamminò verso
l’uscita, seguito da Rhami.
-Vedete
che non si menino sulle scale- disse Adha, e una delle due guardie
seguì di paro passo Rhami, che in volto aveva solo rabbia.
L’altro
soldato andò di fianco al letto dov’era seduto
Garik e lo aiutò ad alzarsi. Garik mise un braccio attorno
alle spalle della guardia e lasciò anche lui la sala.
Le
due donne poggiarono i cesti accanto al letto.
-Avanti,
scendi. Non hai più nulla da temere, puoi togliertela- disse
Adha con tono più gentile.
Elena,
ancora intimorita, scese dal letto che le due donne presero a pulire e
si guardò la coscia.
La
fasciatura era ancora lì, così tentò
di sciogliere il nodo che la teneva stretta.
Adha
sbuffò vedendola in difficoltà e le porse un
coltello che estrasse dallo stivale.
Elena
lo prese con mano tremante, poi poggiò la lama sulla pelle e
la infilò tra la carne e le bende. Con un taglio unico,
preciso e potente, le garze svolazzarono al pavimento.
-Ecco
fatto- annuì contenta dal donna.
-E
ora?- domandò Elena restituendole l’arma.
-Voglio
farti conoscere il posto. O meglio- si corresse. –Ho ricevuto
l’ordine di farlo-.
Adha
andò verso un armadio a parete e prese dei sandali da uno
scaffale. Tornò verso di lei e glieli lasciò
cadere davanti. –Mettili- disse.
Elena
li legò ai piedi in fretta.
-Ora
seguimi, e stammi incollata dietro, chiaro?- fece seria.
-Va
bene, ma quando posso sapere perché…-
Adha
alzò una mano, ed Elena chiuse la bocca. –Non ora-
guardò il paesaggio fuori dalla stanza e sospirò.
–Non posso essere io a prendere certe decisioni. Ora
fa’ come ti ho chiesto, cammina…-.
Adha
s’incamminò, e la ragazza, inciampando
più volte nei tappeti e pensando che nulla di più
strano nella vita le sarebbe capitato, la seguì.
Le
stanze del palazzo avevano tutti altri colori con la luce del sole che
passava attraverso ampie finestre che la notte prima, Elena non aveva
neppure notato.
Molti
degli arazzi lungo lo pareti le comparvero cento volte più
incredibili, pieni di dettagli.
Si
guardò attorno come fosse in un posto nuovo.
Notò
subito con simpatia che di gente che girava ce n’era e tanta.
Uomini
con la solita buffa divisa salivano e scendevano le scale, fermandosi
ed inchinandosi ad Adha chiamandola “signora”.
Spesso e solitamente i loro sguardi si posavano anche su di lei, ed
Elena, in tutta risposta, provava a mostrarsi distratta.
Il
piano terra, e poi verso uno dei corridoi. Non imboccarono quello che
andava al cortile, ma seguirono una strettoia che poi svoltava diverse
volte.
Sul
corridoio si aprivano delle stanze.
Adha
si fermò proprio davanti ad una grande porta di legno e
l’aprì con una chiave.
L’interno
era buio e l’aria che la pervase era intorpidita e malsana.
Adha
andò verso la fine della camera e spalancò delle
tende.
La
luce fece male a quel posto quanto agli occhi della ragazza, che stava
cominciando da poco ad abituarsi. –Ma che posto
è?- domandò soffocando uno starnuto.
Aloni
di polvere si sollevarono per la stanza, mentre Adha correva ad alcuni
scaffali poco distanti.
Elena
identificò quel luogo come un dormitorio forse, o comunque
una stanza trasandata nella quale erano buttati una decina di letti.
-In
questa stanza ora ci teniamo la roba che non serve più. Come
un tempo…- disse Adha sollevando una vecchia coperta che
celava una cassapanca in mogano. – Come un tempo ci dormivano
delle persone che alla fine non sono più
servite…- lo disse con malinconia e spensieratezza, come se
l’argomento la toccasse in qualche modo.
-Era
la tua stanza?- chiese ancora Elena.
Adha
aprì la cassa e vi infilò le mani, ed Elena
rimase all’ingresso accanto alla porta.
In
effetti, oltre ai vecchi letti dimenticati, la stanza ospitava antichi
mobili, vestiti, armi e tappeti. Il tutto più che coperto da
polvere. La polvere lì aveva fondato le colonie!
-Prendi!-
Elena
afferrò al volo quello che le parve un vestito che bianco
era stato ma non era più.
Adha
le lanciò anche una cintura e alcuni lacci di cuoio. In
fine, coperta fino al collo, Elena riuscì per miracolo ad
afferrare il fodero di una spada.
-Posso
sapere cos’è tutta questa roba?!-
domandò cercando di non perdere l’equilibrio.
Adha
chiuse la cassapanca e rimise la coperta dov’era, poi le
indicò la strada fuori dalla stanza.
Chiuse
a chiave e s’incamminarono.
-Puoi
rispondermi?!- le guardie che passavano di lì le guardavano
entrambe stupefatti e sorpresi.
Adha
si fermò voltandosi verso di lei. -Vorrei avere
più tempo, ma spero che…-
-Mia
signora Adha!- la voce veniva dalle spalle di Elena, che non
provò neppure a girarsi per quanto l’equilibrio le
fosse precario.
-Adel,
è un piacere rivedervi, ma cosa?…-
-Mia
signora- disse l’uomo guardando Elena coperta fino al naso di
vestiti e cuoio. –Il Maestro chiede urgentemente di voi e
della ragazza, prima di qualsiasi altra cosa- l’uomo aveva il
fiato corto per la corsa, e sotto il cappuccio mostrava le guance
arrossate.
-Immediatamente
– fece Adha. –Adel, porta questi nella sua stanza-
aggiunse.
Elena
lasciò che l’uomo afferrasse saldamente la roba
che aveva in braccio, e assaporò l’aria pulita
lontana dalla polvere che quegli abiti trasudavano.
Adel,
nonostante il peso degli oggetti, proferì un inchino e
tornò verso le scale.
-Dov’è
che andiamo?- domandò Elena prendendo una grossa boccata
d’aria.
-Sei
molto attenta, vedo…- commentò Adha avviandosi.
–Dovrai imparare ad ascoltare meglio ciò che ti
circonda, ma veramente… non era in programma tutto questo-.
-Che
programma?-
Salirono
delle altre scale che le portarono all’interno di una sala
divisa su due piani. Il primo sembrava una biblioteca ed era
controllato su entrambi i lati da una dozzina di guardie, mentre il
secondo era appena sopra le loro teste.
Intrapresero
dei gradini di pietra che le portarono di fronte ad una grata di
metallo.
-Ehi,
guarda chi c’è!- sbottò una guardia.
Elena
si staccò da Adha che continuò sulle scale.
-Voi…-
balbettò la ragazza riconoscendo i due soldati della notte
prima.
Erano
di guardia alla grata che ora era per metà alzata e dava sul
quel magnifico cortile.
-Un
vero piacere vedervi in forma, signorina- disse il più
giovane.
Elena
non poté far a meno di arrossire.
L’altro
gli diede una pacca sulla spalla. –Smettila, sai che non
possiamo immischiarci. Avanti, torna a fissare il vuoto davanti a te-
fece quello più vecchio riacquistando compostezza.
Elena
rimase stupita del rigido codice che dovevano seguire.
–Cosa…-
-Fareste
meglio ad avviarvi, ragazza- aggiunse la seconda guardia.
Elena
riprese il cammino e lanciò un’occhiata ad Adha,
che era di fronte ad un uomo incappucciato di una mantella tra il verde
e il blu.
Mosse
qualche passo avanti, ma si sentì in dovere di restare da
parte mentre i due si scambiavano alcune parole.
Rimase
dietro una colonna e attese.
Erano
bisbigli che non riuscì a cogliere, ma si disse che era
meglio non origliare, sarebbe stato scortese.
Adha
e l’uomo la videro, e la ragazza arrossì
d’un tratto.
-Vieni-
gli disse l’uomo con una voce tranquilla.
Elena
si fece avanti e si fermò di fianco ad Adha, che fece per
andarsene.
-No,
ti prego- fece lui. –Mi servi ancora-.
Adha
allora tornò di fianco alla ragazza.
Era
vecchio, forse sulla quarantina d’anni, ma aveva un corpo
giovane ed eretto. Ben composto e davvero imponente.
Elena
imitò un inchino col capo, ma non riuscì a
proferire parola.
Sotto
il cappuccio Elena scorse solo un mento coperto da ciuffi di barba
grigia. –Elena, giusto?-
Annuì
timidamente.
-Un
bellissimo nome, che sicuramente non è di queste parti. Sai
perché tuo padre ti diede questo nome?-
A
quel punto lei non seppe che rispondere, e si limitò a
scuotere la testa.
-Nonostante
la tua carnagione scura e gli occhi di tua madre, egli ti diede un nome
che potesse assicurare la tua sopravvivenza ad Acri. Egli ti permise
con quel nome di poter vivere dentro le sue mura-.
Elena
non ci aveva mai pensato. Le venne da chiedergli come facesse a sapere
certe cose, ma rimase in silenzio, perché l’uomo
proseguì.
-Conoscevo
tuo padre, e conoscevo ance tua madre. La lettera che tuo padre ti
chiese di consegnare ad Adha, in realtà era indirizzata a
me, ma egli non era a conoscenza del fatto che fossi ancora vivo. Vedi,
so che all’inizio ti sarà difficile capire, ma sei
qui perché lo voleva tuo padre, e so che ti fidi molto di
lui-.
-Sì,
è così- mormorò la ragazza.
Nel
frattempo Adha la guardava commossa.
-Sono
contento che ti sia lasciata curare da Adha, anche perché la
maggior parte dei nostri medici sono uomini e la cosa posso immaginare
sarebbe stata fastidiosa. So cosa hai passato per arrivare qui, e ne
porti ancora i segni. Se non sulla pelle, allora nel cuore. Elena, sono
felice di accoglierti a Masyaf nei migliori dei modi, in onore di tuo
padre e di chi egli ci consegnò molto tempo fa…-.
Adha
si schiarì la voce. –Maestro- lo
richiamò.
-Sì?-.
Elena
la guardò colpita.
-Sarò
felice di occuparmi di ciò di cui mi avete parlato, a
cominciare da ora-.
-No,
Adha. Ella non è qui per questo. Kalel la mandò a
noi affinché la proteggessimo, e mi sento in dovere di
rispettare le sue parole-.
Kalel
era il nome di suo padre, e le parole di cui parlava “ il
Maestro” erano quelle che aveva lasciato sulla lettera.
-Ma
maestro! Kalel!…-Adha scattò in avanti.
-No,
ho detto di noi! E ora lasciaci soli. Va’-.
Adha
scese le scale e lasciò la stanza con passo incalzante.
Rimase
sola di fronte all’uomo che sembrava sapere parecchie cose su
di lei, su suo padre e sua madre. Poteva restare ad ascoltare anche
tutta la vita.
-
Elena, questa ora è la tua nuova casa e io non so da dove
cominciare per insegnarti in che razza di posto ti trovi. Se hai
domande, ti prego, non esitare- rise l’uomo.
Elena
ci pensò su. – Vi debbo la vita, a voi e ai due
uomini che mi salvarono quando avrei preferito morire. Ma mi
chiedevo…-
Si
chiedeva tante cose, ma le sembrò davvero irritante
chiedere, chiedere e chiedere. – Come mai vi fate chiamare
“Maestro”? Qual è, se posso, il vostro
nome?-.
L’uomo
non si scompose. – Il mio nome è Tharidl Lhad.
C’è altro?-.
-Cosa
posso fare per rendermi utile?- gli era uscito spontaneo, inevitabile e
impulsivo.
Anche
sotto il cappuccio, la ragazza poté notare che il vecchio
aveva alzato un sopracciglio. –Utile? Per essere utile, qui
non basta nessuna delle qualità che possiedi, e
sinceramente, molti di noi speravano che tuo padre ti avesse insegnato
qualcosa di più…-.
-Non
capisco di cosa state parlando- disse in tutta sincerità.
-Non
c’è bisogno di capire. Ora più che mai
ci servirebbero diverse mani per far tornare questo luogo allo
splendore di un tempo. Sarai disposta a barattare la tua salvezza in
cambio di alcuni lavori domestici?- un angolo della bocca di Tharidl
Lhad si sollevò.
-Qualsiasi
cosa, pur che la mia mente sia impegnata e lontana dalle vite che ho
spezzato…- abbassò gli occhi al suolo, ma il
Maestro le prese il mento tra le mani.
-Un
giorno, quando dimostrerai quanto il tuo animo è forte, e i
tuoi muscoli sono scattanti, un giorno tutte le tue paure svaniranno, e
ai tuoi occhi comparirà la via che devi seguire.
Sarò io ad indicartela, e tu potrai scegliere, come in
passato fecero molte altre…-
Elena
rimase sbigottita, ma il Maestro si voltò e andò
ad affacciarsi alla vetrata dietro il
tavolo.
– Puoi andare, abbiamo finito- disse sospirando.
Una
guardia comparve alla destra della ragazza ed Elena la seguì
fino al piano inferiore.
-Il
Maestro ti concede il permesso di girare nella fortezza e assistere a
qualsivoglia intraprendenza al suo interno- fece il soldato, poi si
allontanò fuori dalla sala.
Elena
si guardò attorno, sperduta.
Fuori
dalla biblioteca veniva il suono del clangore di spade, e fu attirata
da quel suono, come un topo che va dritto al formaggio.
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