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Autore: cartacciabianca    17/01/2009    1 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Tharidl Lhad










Il sole splendeva, il cinguettare degli uccelli suonava melodioso e il vento rinfrescava la stanza.
Da quando aveva sentito il potere del sonnifero farsi debole, Elena era rimasta sveglia dall’alba. Seduta sul letto con le gambe incrociate si guardava attorno e ammirava come quel posto potesse cambiare dal giorno alla notte.
Le tende erano state legate con dei cordoni bianchi alle colonne in pietra, e sul pavimento erano stati portati coloratissimi tappeti. Ad ornare le pareti vi erano altri arazzi e rappresentazioni.
Non tutti degli uomini che la circondavano erano ancora sotto l’anestetico. Molti di loro si erano svegliati di soprassalto e le avevano volto solo un’occhiata di sfuggita, prima di mettersi a controllare lo stato delle proprie ferite.
Il ragazzo accanto al suo letto non aveva più quell’orribile bendaggio, ma sembrava stesse ancora dormendo, e russava per di più.
Elena incontrò lo sguardo di uno dei presenti che la fissava mentre si stringeva lo stivale. L’uomo si allacciò una cintura di cuoio e continuò a non staccarle gli occhi di dosso, come tenendola sotto osservazione per analizzare una sua reazione.
Elena ricambiò guardando come lui si finiva di armare con una spada e alcuni coltelli che nascose nella cintura. La guardava torvo, con amarezza e cattiveria.
Ad Elena parve di non conoscerlo, ma forse si erano già visti da qualche parte mentre lei era incosciente.
L’uomo finì di allacciarsi per bene entrambi gli stivali e si sgranchì la schiena con pochi fluidi ed impressionanti movimenti delle scapole. Per finire, si calò il cappuccio sul volto e lasciò la stanza.
Elena rimase impietrita.
Perché lì dentro sembrava che celare il proprio viso fosse una componente della divisa di Masyaf?
- No!- sentì una voce e si voltò verso il ragazzo che ora era sveglio e si stiracchiava sbadigliando.
- Hai qualcosa che non va?- chiese un altro in piedi vicino alle tende, appoggiato ad una colonna. Aveva una gamba intermante fasciata e vicino a lui erano adagiate delle stampelle.
- Speravo che a toglierti dalle scatole ci pensassero i saraceni!- sbottò il ragazzo agitato.
L’uomo alzò un sopracciglio e rispose con uno sguardo truce. – Cosa hai detto?- chiese a denti stretti.
- Ehi, smettetela!- intervenne un altro. Era seduto tra i cuscini con la schiena alla parete, coperto da una coperta pesante. Giocherellava con un coltellino che si faceva scorrere tra le dita. –La nostra ultima missione non è andata come credevamo, ma non è stata colpa di nessuno, chiaro?-.
- Taci tu!- lo indicò il ragazzo. – Che hai preferito svignartela!-.
- Ma guarda caso gli arcieri non mi hanno mancato!- rispose quello. – sarai contento ora- mormorò tra sé.
Il ragazzo annuì. –Certo, certo, ma voglio sapere come mai a te non hanno fatto nulla!- gridò.
L’uomo appoggiato alla colonna si voltò a guardare come l’altro presente nel dibattito alzava la coperta e mostrava che gli mancava la parte inferiore della gamba; dal ginocchio in giù, l’arto sinistro gli era stato amputato. –Hai qualcosa da aggiungere?- fece irritato, e si coprì di nuovo tornando in seguito a girarsi la lama tra le mani.
Elena distolse lo sguardo, ma attirò su di lei l’attenzione dei tre.
- E questa chi è?- domandò interessato il ragazzo.
- L’hanno portata qui Marhim e Halef qualche giorno fa - rispose l’uomo seduto.
Il giovane sbuffò. – Credo che abbia la lingua per parlare da sola, non trovi anche tu?-.
Di risposta alzò le spalle e tornò alla sua lama.
- Non dargli fiducia, ragazza- le disse quello contro la colonna. – L’ultima volta gliene abbiamo data tutti e due, e non è finita bene- borbottò.
- Sei sempre il solito testardo, dai sempre la colma a me!- si difese il ragazzo. – Questa volta sei stato tu a far saltare la copertura, maledetto! Garik ci ha perso una gamba ed è stata colpa tua, NON mia!-.
Elena cercò di pensare a qualcos’altro ma la conversazione si stava facendo interessante quanto strana e pericolosa.
Garik doveva essere quello senza la gamba.
Elena rimase in silenzio.
-E tu sei sempre il solito moccioso. Cresci! Sei un assassino di un certo rango, che secondo me neppure ti meriti, ed è ora di pensare al tuo dovere!- rispose l’altro.
-Mi sono meritato il rango con la fatica che neppure immagini, Jarhéd! Neppure sapresti come arrivare al mio livello!-
-Ma quale livello, ragazzino!- rispose scontrosamente Jarhéd. – Sono di due targhe più in alto di te, stupido!-.
-Non per molto! Per questo avrei preferito che morissi a Gerusalemme…- mormorò il giovane.
-Cosa è che hai detto, Rhami?!- gli ruggì contro Garik fermando d’un tratto la lama che scorreva tra le sue dita. –Non dirlo neppure per scherzo- aggiunse.
-Non mentire, Garik. Sappiamo cos’è successo davvero. È stato un caso che le guardie lo abbiano colpito, forse l’hanno scambiato per me o te, ma so per certo che Jaréd è un traditore, e sarò io stesso a raccontarlo al Maestro!-.
-Non sono un traditore!-.
Non riuscì ad aggiungere altro che Rhami si alzò e cominciò a vestirsi. – è inutile continuare a mentire. Ti ho visto che parlavi con quel saraceno! Ti ho visto!- gli puntò il dito contro.
-Rhami, rimettiti giù- disse Garik.
- Non lascerò che un traditore giri per le stanze della fortezza, non lo permetterò!- continuò Rhami.
-Tutto ciò- fece Jarhéd. – Tutto ciò è assurdo, non sono una spia, tanto meno un traditore. Se hai visto qualcuno quella mattina, ti posso assicurare che non ero io!- tentò di calmare il compagno.
-Sono stanco delle tue!…- non poté terminare la frase che i battenti in fondo alla stanza si aprirono di colpo.
Adha quella mattina indossava un mantello bianco con dei ricami rossi, mentre le guardie ai suoi fianchi indossavano tuniche corte e grigie. Armi alla mano e occhi attenti.
Due donne dietro di loro portavano dei cesti con delle coperte e delle federe pulite.
-Avevo chiesto che questi tre pezzenti fossero divisi prima che si svegliassero, ma il Maestro non ha voluto darmi ascolto, a quanto pare- Adha incrociò le braccia e squadrò i presenti.
-Mia Signora Adha…- Rhami s’inchinò portandosi una mano al cuore, e altrettanto fecero Jarhéd e Garik, quest’ultimo abbassò solo lo sguardo non potendo fare di più.
-Su, chi di voi è in grado di lasciare l’infermeria lo faccia ora o mai più- Adha si rivolse ai pazienti  svegli.
Jarhéd prese le sue stampelle e s’incamminò verso l’uscita, seguito da Rhami.
-Vedete che non si menino sulle scale- disse Adha, e una delle due guardie seguì di paro passo Rhami, che in volto aveva solo rabbia.
L’altro soldato andò di fianco al letto dov’era seduto Garik e lo aiutò ad alzarsi. Garik mise un braccio attorno alle spalle della guardia e lasciò anche lui la sala.
Le due donne poggiarono i cesti accanto al letto.
-Avanti, scendi. Non hai più nulla da temere, puoi togliertela- disse Adha con tono più gentile.
Elena, ancora intimorita, scese dal letto che le due donne presero a pulire e si guardò la coscia.
La fasciatura era ancora lì, così tentò di sciogliere il nodo che la teneva stretta.
Adha sbuffò vedendola in difficoltà e le porse un coltello che estrasse dallo stivale.
Elena lo prese con mano tremante, poi poggiò la lama sulla pelle e la infilò tra la carne e le bende. Con un taglio unico, preciso e potente, le garze svolazzarono al pavimento.
-Ecco fatto- annuì contenta dal donna.
-E ora?- domandò Elena restituendole l’arma.
-Voglio farti conoscere il posto. O meglio- si corresse. –Ho ricevuto l’ordine di farlo-.
Adha andò verso un armadio a parete e prese dei sandali da uno scaffale. Tornò verso di lei e glieli lasciò cadere davanti. –Mettili- disse.
Elena li legò ai piedi in fretta.
-Ora seguimi, e stammi incollata dietro, chiaro?- fece seria.
-Va bene, ma quando posso sapere perché…-
Adha alzò una mano, ed Elena chiuse la bocca. –Non ora- guardò il paesaggio fuori dalla stanza e sospirò. –Non posso essere io a prendere certe decisioni. Ora fa’ come ti ho chiesto, cammina…-.
Adha s’incamminò, e la ragazza, inciampando più volte nei tappeti e pensando che nulla di più strano nella vita le sarebbe capitato, la seguì.
Le stanze del palazzo avevano tutti altri colori con la luce del sole che passava attraverso ampie finestre che la notte prima, Elena non aveva neppure notato.
Molti degli arazzi lungo lo pareti le comparvero cento volte più incredibili, pieni di dettagli.
Si guardò attorno come fosse in un posto nuovo.
Notò subito con simpatia che di gente che girava ce n’era e tanta.
Uomini con la solita buffa divisa salivano e scendevano le scale, fermandosi ed inchinandosi ad Adha chiamandola “signora”. Spesso e solitamente i loro sguardi si posavano anche su di lei, ed Elena, in tutta risposta, provava a mostrarsi distratta.
Il piano terra, e poi verso uno dei corridoi. Non imboccarono quello che andava al cortile, ma seguirono una strettoia che poi svoltava diverse volte.
Sul corridoio si aprivano delle stanze.
Adha si fermò proprio davanti ad una grande porta di legno e l’aprì con una chiave.
L’interno era buio e l’aria che la pervase era intorpidita e malsana.
Adha andò verso la fine della camera e spalancò delle tende.
La luce fece male a quel posto quanto agli occhi della ragazza, che stava cominciando da poco ad abituarsi. –Ma che posto è?- domandò soffocando uno starnuto.
Aloni di polvere si sollevarono per la stanza, mentre Adha correva ad alcuni scaffali poco distanti.
Elena identificò quel luogo come un dormitorio forse, o comunque una stanza trasandata nella quale erano buttati una decina di letti.
-In questa stanza ora ci teniamo la roba che non serve più. Come un tempo…- disse Adha sollevando una vecchia coperta che celava una cassapanca in mogano. – Come un tempo ci dormivano delle persone che alla fine non sono più servite…- lo disse con malinconia e spensieratezza, come se l’argomento la toccasse in qualche modo.
-Era la tua stanza?- chiese ancora Elena.
Adha aprì la cassa e vi infilò le mani, ed Elena rimase all’ingresso accanto alla porta.
In effetti, oltre ai vecchi letti dimenticati, la stanza ospitava antichi mobili, vestiti, armi e tappeti. Il tutto più che coperto da polvere. La polvere lì aveva fondato le colonie!
-Prendi!-
Elena afferrò al volo quello che le parve un vestito che bianco era stato ma non era più.
Adha le lanciò anche una cintura e alcuni lacci di cuoio. In fine, coperta fino al collo, Elena riuscì per miracolo ad afferrare il fodero di una spada.
-Posso sapere cos’è tutta questa roba?!- domandò cercando di non perdere l’equilibrio.
Adha chiuse la cassapanca e rimise la coperta dov’era, poi le indicò la strada fuori dalla stanza.
Chiuse a chiave e s’incamminarono.
-Puoi rispondermi?!- le guardie che passavano di lì le guardavano entrambe stupefatti e sorpresi.
Adha si fermò voltandosi verso di lei. -Vorrei avere più tempo, ma spero che…-
-Mia signora Adha!- la voce veniva dalle spalle di Elena, che non provò neppure a girarsi per quanto l’equilibrio le fosse precario.
-Adel, è un piacere rivedervi, ma cosa?…-
-Mia signora- disse l’uomo guardando Elena coperta fino al naso di vestiti e cuoio. –Il Maestro chiede urgentemente di voi e della ragazza, prima di qualsiasi altra cosa- l’uomo aveva il fiato corto per la corsa, e sotto il cappuccio mostrava le guance arrossate.
-Immediatamente – fece Adha. –Adel, porta questi nella sua stanza- aggiunse.
Elena lasciò che l’uomo afferrasse saldamente la roba che aveva in braccio, e assaporò l’aria pulita lontana dalla polvere che quegli abiti trasudavano.
Adel, nonostante il peso degli oggetti, proferì un inchino e tornò verso le scale.
-Dov’è che andiamo?- domandò Elena prendendo una grossa boccata d’aria.
-Sei molto attenta, vedo…- commentò Adha avviandosi. –Dovrai imparare ad ascoltare meglio ciò che ti circonda, ma veramente… non era in programma tutto questo-.
-Che programma?-
Salirono delle altre scale che le portarono all’interno di una sala divisa su due piani. Il primo sembrava una biblioteca ed era controllato su entrambi i lati da una dozzina di guardie, mentre il secondo era appena sopra le loro teste.
Intrapresero dei gradini di pietra che le portarono di fronte ad una grata di metallo.
-Ehi, guarda chi c’è!- sbottò una guardia.
Elena si staccò da Adha che continuò sulle scale.
-Voi…- balbettò la ragazza riconoscendo i due soldati della notte prima.
Erano di guardia alla grata che ora era per metà alzata e dava sul quel magnifico cortile.
-Un vero piacere vedervi in forma, signorina- disse il più giovane.
Elena non poté far a meno di arrossire.
L’altro gli diede una pacca sulla spalla. –Smettila, sai che non possiamo immischiarci. Avanti, torna a fissare il vuoto davanti a te- fece quello più vecchio riacquistando compostezza.
Elena rimase stupita del rigido codice che dovevano seguire. –Cosa…-
-Fareste meglio ad avviarvi, ragazza- aggiunse la seconda guardia.
Elena riprese il cammino e lanciò un’occhiata ad Adha, che era di fronte ad un uomo incappucciato di una mantella tra il verde e il blu.
Mosse qualche passo avanti, ma si sentì in dovere di restare da parte mentre i due si scambiavano alcune parole.
Rimase dietro una colonna e attese.
Erano bisbigli che non riuscì a cogliere, ma si disse che era meglio non origliare, sarebbe stato scortese.
Adha e l’uomo la videro, e la ragazza arrossì d’un tratto.
-Vieni- gli disse l’uomo con una voce tranquilla.
Elena si fece avanti e si fermò di fianco ad Adha, che fece per andarsene.
-No, ti prego- fece lui. –Mi servi ancora-.
Adha allora tornò di fianco alla ragazza.
Era vecchio, forse sulla quarantina d’anni, ma aveva un corpo giovane ed eretto. Ben composto e davvero imponente.
Elena imitò un inchino col capo, ma non riuscì a proferire parola.
Sotto il cappuccio Elena scorse solo un mento coperto da ciuffi di barba grigia. –Elena, giusto?-
Annuì timidamente.
-Un bellissimo nome, che sicuramente non è di queste parti. Sai perché tuo padre ti diede questo nome?-
A quel punto lei non seppe che rispondere, e si limitò a scuotere la testa.
-Nonostante la tua carnagione scura e gli occhi di tua madre, egli ti diede un nome che potesse assicurare la tua sopravvivenza ad Acri. Egli ti permise con quel nome di poter vivere dentro le sue mura-.
Elena non ci aveva mai pensato. Le venne da chiedergli come facesse a sapere certe cose, ma rimase in silenzio, perché l’uomo proseguì.
-Conoscevo tuo padre, e conoscevo ance tua madre. La lettera che tuo padre ti chiese di consegnare ad Adha, in realtà era indirizzata a me, ma egli non era a conoscenza del fatto che fossi ancora vivo. Vedi, so che all’inizio ti sarà difficile capire, ma sei qui perché lo voleva tuo padre, e so che ti fidi molto di lui-.
-Sì, è così- mormorò la ragazza.
Nel frattempo Adha la guardava commossa.
-Sono contento che ti sia lasciata curare da Adha, anche perché la maggior parte dei nostri medici sono uomini e la cosa posso immaginare sarebbe stata fastidiosa. So cosa hai passato per arrivare qui, e ne porti ancora i segni. Se non sulla pelle, allora nel cuore. Elena, sono felice di accoglierti a Masyaf nei migliori dei modi, in onore di tuo padre e di chi egli ci consegnò molto tempo fa…-.
Adha si schiarì la voce. –Maestro- lo richiamò.
-Sì?-.
Elena la guardò colpita. 
-Sarò felice di occuparmi di ciò di cui mi avete parlato, a cominciare da ora-.
-No, Adha. Ella non è qui per questo. Kalel la mandò a noi affinché la proteggessimo, e mi sento in dovere di rispettare le sue parole-.
Kalel era il nome di suo padre, e le parole di cui parlava “ il Maestro” erano quelle che aveva lasciato sulla lettera.
-Ma maestro! Kalel!…-Adha scattò in avanti.
-No, ho detto di noi! E ora lasciaci soli. Va’-.
Adha scese le scale e lasciò la stanza con passo incalzante.
Rimase sola di fronte all’uomo che sembrava sapere parecchie cose su di lei, su suo padre e sua madre. Poteva restare ad ascoltare anche tutta la vita.
- Elena, questa ora è la tua nuova casa e io non so da dove cominciare per insegnarti in che razza di posto ti trovi. Se hai domande, ti prego, non esitare- rise l’uomo.
Elena ci pensò su. – Vi debbo la vita, a voi e ai due uomini che mi salvarono quando avrei preferito morire. Ma mi chiedevo…-
Si chiedeva tante cose, ma le sembrò davvero irritante chiedere, chiedere e chiedere. – Come mai vi fate chiamare “Maestro”? Qual è, se posso, il vostro nome?-.
L’uomo non si scompose. – Il mio nome è Tharidl Lhad. C’è altro?-.
-Cosa posso fare per rendermi utile?- gli era uscito spontaneo, inevitabile e impulsivo.
Anche sotto il cappuccio, la ragazza poté notare che il vecchio aveva alzato un sopracciglio. –Utile? Per essere utile, qui non basta nessuna delle qualità che possiedi, e sinceramente, molti di noi speravano che tuo padre ti avesse insegnato qualcosa di più…-.
-Non capisco di cosa state parlando- disse in tutta sincerità.
-Non c’è bisogno di capire. Ora più che mai ci servirebbero diverse mani per far tornare questo luogo allo splendore di un tempo. Sarai disposta a barattare la tua salvezza in cambio di alcuni lavori domestici?- un angolo della bocca di Tharidl Lhad si sollevò.
-Qualsiasi cosa, pur che la mia mente sia impegnata e lontana dalle vite che ho spezzato…- abbassò gli occhi al suolo, ma il Maestro le prese il mento tra le mani.
-Un giorno, quando dimostrerai quanto il tuo animo è forte, e i tuoi muscoli sono scattanti, un giorno tutte le tue paure svaniranno, e ai tuoi occhi comparirà la via che devi seguire. Sarò io ad indicartela, e tu potrai scegliere, come in passato fecero molte altre…-
Elena rimase sbigottita, ma il Maestro si voltò e andò ad affacciarsi alla vetrata dietro il tavolo.       – Puoi andare, abbiamo finito- disse sospirando.
Una guardia comparve alla destra della ragazza ed Elena la seguì fino al piano inferiore.
-Il Maestro ti concede il permesso di girare nella fortezza e assistere a qualsivoglia intraprendenza al suo interno- fece il soldato, poi si allontanò fuori dalla sala.
Elena si guardò attorno, sperduta.
Fuori dalla biblioteca veniva il suono del clangore di spade, e fu attirata da quel suono, come un topo che va dritto al formaggio.

   
 
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