Per
istinto e pensiero
di ellephedre
3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/2
Si trovavano a ridosso di un campo, su un
marciapiede, appoggiati a
una ringhiera. Sotto di loro, incastonata nella città, stava
una
piccola distesa erbosa di rovine, cumuli di pietre consumate che
lasciavano intuire la disposizione di edifici andati distrutti nei
secoli. Ad Ami l'immagine ricordava un luogo in cui si era trovata:
nella
battaglia
contro Nehellenia, in compagnia della sola Uranus, aveva corso lungo
colline disseminate di ruderi arcaici per ricongiungersi alle compagne
da cui era stata separata.
Era come se quei
resti romani le stessero dicendo che, un tempo, si erano avuti scenari
simili
sulla Terra, tra persone comuni. «Non può
essere.»
«Cosa?»
La domanda di Alexander la risvegliò dai suoi
pensieri. Sentì di nuovo il
calore del sole sulla pelle.
«Anni fa ho combattuto in un
luogo simile a questo, all'interno di un'illusione. Ma la
nostra
nemica non poteva conoscere l'antico impero romano.»
D'altronde, rifletté, non sarebbe stato necessario.
«Lo stile di queste
rovine ricorda quello delle costruzioni che sorgevano nell'antico Regno
della
Luna.»
«Eh?»
Era uno dei molti dettagli che non gli aveva rivelato.
«Non
era
un
posto futuristico, sai? L'architettura degli edifici era molto simile a
quella
che si era espansa nel Mediterraneo un paio di millenni
addietro.»
Ben
oltre, anzi. «In verità, i romani si sono limitati
a
copiarla dal
popolo greco. Furono loro a crearla, anche se...» Il ricordo
le causò una smorfia.
«Cosa c'è?»
«Nemesis.
Anche se la parola esiste in inglese, la sua radice è da
ricercare nell'antica lingua greca.»
Alexander era attento. «Come lo hai
saputo?»
«Hotaru. I servizi segreti americani volevano
informazioni da
lei. Hotaru ha trovato il modo di ottenerne a sua volta.»
Ne sorrise con lui, poi si fece grave. «Quello
stesso giorno Zenas di Nemesis le ha rivelato che una persona del suo
popolo era già giunta sulla terra, secoli fa,
plasmando la nostra cultura.»
Lui assorbì l'informazione. «In
Grecia» comprese. Come lei, non gradì l'idea.
«Non ha mentito. Le probabilità che due lingue
appartenenti a mondi diversi abbiano
radici simili senza essere mai entrate in contatto tra loro
è... nulla.»
Esatto, lei aveva fatto lo stesso ragionamento.
Si chiese fino a che punto i nemesiani li avessero
influenzati come popolo terrestre. Era un fatto che quasi li derubava
della loro
identità.
«Scusa» finì col dire,
sospirando.
«Perché?»
«Non volevo parlare ancora dei nemici.»
«Non mi dà fastidio.»
In ogni caso, avevano già passato buona
parte della mattina a riflettere su questioni sovrannaturali. Con le
loro analisi avevano concluso solamente che, col passare delle ore,
l'influenza che il potere di Mamoru aveva avuto su Alexander andava
diminuendo. Il mini-computer ora valutava la
pericolosità di lui nei confronti del potere di Mercurio
al cinquantacinque per cento, da un sessanta per cento rilevato poche
ore addietro.
«Per dopodomani sarò tornato
normale» aveva detto
Alexander. «In questi giorni mi ritengo fortunato a
essere vivo. Se per rimanerlo è stato necessario che si
modificasse qualcosa in me... Non importa, almeno fino a che il
massimo del disagio è aver recuperato la vista e aver
assorbito
un poco delle tue capacità. Con la sua tecnica di guarigione
Mamoru
avrà esaltato
l'effetto del potere che mi hai passato, no? Non stiamo a
preoccuparci.»
In altre circostanze lui avrebbe speso ogni minuto a
disposizione a studiare il fenomeno, soprattutto
perché era
passeggero. Ma aveva ragione: quel giorno stavano vivendo un
altro tipo
di esperienza straordinaria.
Ami riempì i polmoni dell'aria fredda del
mattino.
«Mi sto già abituando al fuso orario. Ho
fame.»
«O può essere che il tuo corpo ti stia
dicendo che
è ora di cena.» Sereno, Alexander le chiese la
mano.
«Ho in mente una buona zona per cercare un
ristorante.»
«Hai visto qualcosa di interessante sulla guida
della
città?»
«Sì. Andiamo alla ricerca di un
tipo di
intrattenimento... internazionale.»
Lo trovarono in una grande libreria, la più fornita
della città
secondo le indicazioni della guida turistica. Il reparto
in lingua inglese non era grande come quello di alcune librerie di
Tokyo, ma Ami trovò ugualmente ciò che
cercava. «È uscito il nuovo numero di The
Lancet!» Si fiondò sullo scaffale,
aprendo la
rivista. Da settimane
era
così occupata che non era riuscita a consultare gli ultimi
numeri.
Contento del suo entusiasmo, Alexander le indicò
l'angolo
opposto del
corridoio. «Mi trovi di là.»
Lei annuì, sapendo che si trattava del
reparto
dedicato alle pubblicazioni scientifiche.
Con del tempo a disposizione, si beò degli articoli
sulle
ultime scoperte in materie di
genetica, sulle nuove tecniche chirugiche sperimentate nel mondo, e sui
protocolli di cura che si stavano attuando nei paesi in via di
sviluppo. In poche pagine risiedevano tutti i suoi sogni.
Presto avrebbe
iniziato l'università, poi sarebbe diventata anche lei,
finalmente, un medico.
O no.
Rimase immobile con le mani, la rivista aperta davanti ai suoi
occhi.
Continuava a dimenticare la verità
della sua situazione: non avrebbe avuto il tempo di laurearsi in
medicina.
Cercando di non pensarci, tornò a leggere gli
articoli.
«Prendi qualcosa?»
«Sì, The Lancet.»
Ami - notò Alexander - stringeva la rivista al
petto come un
tesoro.
«C'è un articolo interessante?»
Lei esitò a rispondere. «Ce ne sono
molti. Tu cosa
prendi?»
«Ho trovato questi nuovi volumi sullo spazio.
L'uscita era prevista per questa settimana e si vede che sono riusciti
a
spedirli nonostante i
disastri di questi giorni.» Si rese conto che la sua ironia
era fuori luogo.
Ma Ami sorrideva. «Hai deciso, vero? Andrai al MIT a
settembre?»
Spiazzato, lui impiegò un momento a rispondere.
«Sì.»
Ami fece silenzio mentre si mettevano in coda alla cassa.
«Non ti
blocca più niente, sai? Io sarò al sicuro in
quel
periodo, ora è certo.»
Lui ne era consapevole. Tuttavia, il suo desiderio di partire
si era
molto
affievolito nelle ultime settimane.
Ami incrociò il suo sguardo.
«Dimentichi che
potrò venire a trovarti quando voglio? Non sarà
una
separazione.»
In lui si accese come un interruttore. «È
vero!»
Aveva parlato forte e le persone attorno a loro si voltarono a
guardarli.
Ami emise una risatina. «Certo. Ci vedremo anche
tutti i
giorni, se vorrai.»
Già. Sarebbe stato come studiare in Giappone. Non
sarebbe cambiato
nulla,
non si sarebbe allontanato da lei.
Vedendo la sua felicità, Ami si avvicinò
di un
passo,
prendendogli la mano. Non si sarebbe comportata in quel modo a casa, ma
lì, in quel momento, appoggiò la testa contro la
sua
spalla, chiudendo gli occhi.
Era così strano, pensò Ami, sentirsi
colmi di un'altra persona.
Quella mattina si era svegliata al caldo, con un braccio sulla
schiena e le narici inondate dell'odore confortante di un pigiama.
Aveva nascosto il viso contro il petto di Alexander, quasi smettendo di
respirare pur di continuare a inebriarsi di lui. Non c'era stato altro
posto
al mondo in cui avesse desiderato trovarsi. Su
quel letto aveva
tutto ciò per cui valeva la pena di combattere.
La sua vita non era più un'incertezza: era al
sicuro, era amata. Si scioglieva per le carezze al viso, si
accendeva per i baci.
Voleva passare ogni momento della sua esistenza con la persona che
amava, vedendola
sempre sorridere - un desiderio che aveva portato fino al punto di
pensare che, con l'eccezione delle sue amiche, poteva perdere qualunque
altra cosa, ma non lui.
Era vero, ma... Nell'amare così tanto si
stava volutamente
perdendo, dimenticando buon senso e ragione.
Nell'amore era naturale -
positivo se erano in due a sentirsi nello stesso modo - e lei non lo
rinnegava. Alexander per primo le offriva tutto se stesso: era lui
quello disposto a mettere in secondo piano qualunque desiderio e
obiettivo pur di seguirla, per un'infinità di tempo.
Eppure, entrambi avevano delle vite da vivere.
Lei forse non sarebbe diventata medico, ma aveva davanti a
sé tre
preziosi anni per vivere un sogno che non voleva lasciar andare -
studiare medicina, almeno quello. Lui aveva già abbandonato
l'idea di dedicarsi alla passione su cui aveva incentrato la sua vita
prima di conoscerla: si era rassegnato a studiare astrofisica nel tempo
che gli rimaneva e aveva persino contemplato la possibilità
di lasciare l'università se loro due, insieme, avessero
avuto...
Di mezzo c'era una domanda. Perché lei
voleva ancora un bambino?
Aveva desiderato l'idea di Adam perché l'aveva
creduta già vera e viva dentro di sé, ma ora che
sapeva che era solo una prospettiva futura... perché?
Per una brama di felicità, ovviamente. E sicurezza,
anche se
era doloroso ammetterlo.
Lei e Alexander con un figlio sarebbero stati una famiglia.
Dentro di sé non avrebbe più temuto di
tornare un
giorno a essere sola, una persona che desiderava un affetto che
rischiava di non ricevere. Alex non l'avrebbe più
lasciata, e il loro piccolo... lei sarebbe stata importante per lui,
necessaria. Quello era un tipo di amore assoluto che lei voleva vivere.
Ruotava tutto intorno ai suoi desideri, si rese
conto. Stava pensando solo a
ciò che voleva per se stessa.
... non era una cosa egoista?
«Pensi da tanto. Ora sembri preoccupata.»
Scrollò piano le spalle. Quando lo faceva,
Alexander lasciava perdere e fu così anche in quel caso.
Per cercare un contatto lui le prese ugualmente la mano
mentre
camminavano. Nel ricambiare la presa lei gli strinse forte le dita e...
capì.
Ormai lo amava così tanto che non lo avrebbe
più lasciato andare.
Ecco cos'era cambiato rispetto a un tempo. Ecco cosa ora la
destabilizzava: il bisogno, la necessità.
Non posso
più vivere senza di te. Erano pensieri
romantici nei momenti di pericolo, ma nella vita di tutti i giorni...
L'amore non si esplicava nel lasciare spazio e libertà di
scelta? Lei doveva poter esistere senza di lui, così da
dargli la possibilità di sceglierla perché lei
era la cosa migliore per la sua
vita, e per nessun altro motivo. Non certo per soddisfare una
dipendenza che lei
non riusciva più a controllare.
Gli aveva proposto di andarlo a trovare spesso in America, per
farlo felice, ma anche... per non perderlo. Per assicurarsi - ammise
con
se stessa - che nulla cambiasse nella sua devozione per lei.
Un tempo era stata più distaccata.
Un tempo aveva pensato di più a lui.
Adesso... si era permessa di cambiare
perché era stato Alexander a volerlo, no? In
libertà
lui continuava a dimostrarle che non desiderava altro che stare con
lei, sopra tutto e tutti, perciò... non era completamente
sbagliato l'atteggiamento che lei stava tenendo. Stava solo...
ricambiando.
No?
«Siamo arrivati, guarda.»
Il suo problema più genuino in fondo era sempre lo
stesso: i sentimenti, soprattutto quando erano molto forti, la
confondevano.
Guardò dove le veniva indicato e fece in tempo
a replicare la sorpresa di lui quando Alexander cercò la sua
reazione.
La costruzione era imponente.
Sollevò la guida. «Città del
Vaticano. Città-stato indipendente sede del Cattolicesimo.
È il più piccolo stato indipendente del mondo,
con una popolazione di poco più di 800 abitanti.»
Continuò a leggere mentre si immettevano nel largo viale che
li avrebbe avvicinati all'enorme chiesa.
Alexander la ascoltava. «Si
può entrare?»
Lei cercò l'informazione tra le pagine.
«Sì, l'ingresso è libero, con alcune
limitazioni sugli orari e al di fuori della celebrazione delle funzioni
più importanti.»
Lui era particolarmente interessato. Era
credente, ma lei non lo aveva mai preso per un tipo religioso,
desideroso di trovarsi in un luogo di culto.
Alexander si spiegò prima ancora di sentire la
domanda.
«Voglio vedere l'interno. Conosci una delle ragioni per cui
il cristianesimo si è scisso, qualche secolo fa? Lutero
diceva che la Chiesa di Roma era troppo materialista.»
Le indicò col mento la cattedrale davanti a loro.
«A guardare questo edificio...»
Lei non ne sapeva molto, tuttavia... «Dietro queste
dimensioni
potrebbe esserci stato anche il desiderio di
costruire un segno tangibile della forza della loro fede.»
L'essere umano lo faceva, con molti dei propri intenti. Le venne in
mente
un collegamento e sorrise.
«Cosa?»
«Ecco... il palazzo di cristallo di Crystal Tokyo
sarà molto più grande di questa
chiesa.» A loro
volta avrebbero ostentato il proprio stato - in un certo
senso,
il loro potere.
Alexander si divertì. «Ti avverto: se
Usagi e Mamoru cominciano a credersi divinità, io me ne vado.»
Le uscì una smorfia.
«Cosa c'è?»
«Niente.»
«Ami...»
Lei lo trascinò in avanti per una mano.
«Andiamo. Per entrare c'è da fare la
coda.»
L'interno della cattedrale del Vaticano si rivelò
maestoso ai
loro occhi. Ami si meravigliò della cura dei dettagli e
della
grandezza dell'edificio. Per costruire mura tanto alte, immense fatiche
erano state fatte, per secoli. Quando l'essere umano lavorava per
qualcosa in cui credeva, ergeva templi e piramidi, anche senza l'aiuto
di macchine.
Accanto a lei Alexander osservava in silenzio, meravigliato.
«Hai cambiato idea?»
«L'ho ampliata» rimuginò lui.
«Questo posto
è un inno al materialismo in pompa magna, ma... è
intriso
di fede. Lo trovo solenne. A loro modo, cercavano solo di costruire
qualcosa che fosse degno di Dio.»
Dio... L'idea di un'entità singola che vegliava su
tutti
le sembrava semplicistica, ma non disdegnava il concetto che vi stava
dietro.
Come aveva detto Usagi al mondo, anche Ami era principalmente
convinta che vi
fosse in tutti una spinta al bene. In molte religioni erano
comportamenti che bisognava tenere in nome di un dio, ma nella
realtà era
semplicemente una pulsione naturale che esisteva in tutti gli uomini
che avevano il coraggio di seguirla.
Comunque, non le piaceva pensare che ciò
che erano in
vita sparisse nel nulla dopo la morte. Sarebbe stata in grado di
accettarlo, ma trovava conforto nell'idea lontana che esistesse un
sovrannaturale buono, che desiderava il bene di chi era ancora in vita.
Avi, parenti morti, persone per cui si era provato affetto... Per lei
era più semplice credere in qualcuno che era realmente
esistito.
Voleva pensare che l'amore che quelle persone avevano provato verso
coloro che avevano conosciuto, o che erano legate alla loro famiglia,
avesse una forza anche dopo la morte.
Qualcuno veglia su di te.
Era un concetto - non solo cristiano - che la inteneriva,
anche se
preferiva trovare la forza dentro se stessa e nelle persone vive che
aveva accanto. In ciò Alexander era più
spirituale di lei, ma di fondo non avevano convinzioni opposte tra loro.
Lui guardava ancora la navata centrale della cattedrale e
alcune
persone, inginocchiate su delle panche, che pregavano.
«Potrebbero farlo anche fuori di qui»
disse. «Ma in
questo luogo si estraneano. Si spostano materialmente per darsi il
tempo di dedicarsi alla loro fede, in un posto in cui la sentono
più vicina.»
Nelle sue parole c'era un pizzico di ammirazione. Ami
continuò a parlare a bassa voce. «Vuoi rimanere ad
assistere a una celebrazione?»
«No» sorrise quieto lui. «Solo
che... finora non mi era accorto dell'importanza che potessero
avere.»
Lei non comprese.
«Ha senso ricordarsi dei sacrifici che sono stati
fatti,
inginocchiarsi e ringraziare. Ciò che abbiamo alla fine
è... effimero.»
Lei ne trasse una sensazione di angoscia.
«Non sto pensando alla morte, Ami. Sto pensando
alla vita.
Finché c'è ed è come la desideriamo,
bisogna
viverla al massimo.»
... prima che battaglie, incidenti o malattie mortali la
portassero
via.
Quelle circostanze erano diventate talmente usuali nella sua
esistenza che era rapida a superare il trauma quando lo incontrava, per
istinto di sopravvivenza. Ma non per tutti era così.
Prese la mano di Alexander, per essere la sua
àncora.
Lui abbassò gli occhi. «Parole troppo
pesanti,
hm?» Si divertì, forse a beneficio suo.
«Su,
usciamo. Andiamo a vedere i musei di questo posto.»
Come aveva già sperimentato, Alexander guardava
statue e dipinti con interesse vago, faticando a trovarvi un
significato.
«È colpa mia, ma... la metà di
queste cose non
mi dice niente. Per me sono più aspetto che
sostanza.»
Era un giudizio duro, pensò lei. Alcune di quelle
opere erano profonde
nella
loro bellezza. Era evidente quanto l'artista si fosse impegnato per
dare vita a un'espressione del volto, o per scegliere il mix di colori
giusti che comunicasse l'atmosfera cercata. «C'è
molto
sforzo dietro.»
«Sì, ma non sempre il risultato mi dice
qualcosa.» Alexander scosse la testa. «Non pensare
a me, io
ascolto la mia musica.» Mise le cuffie. «Ci
muoviamo coi
tuoi tempi, guarda con calma.»
A lei sembrava quasi oltraggioso non concentrarsi sui
contenuti del
museo mentre ci si stava dentro,
ma la differenza nel loro atteggiamento la rese allegra. Aveva voglia
di rimproverare Alexander, come un ragazzino a cui doveva insegnare
qualcosa.
Quando non erano uguali - si rese conto - erano anche molto diversi.
C'erano volte che lui sospirava per atteggiamenti di lei, e a sua volta
aveva pazienza.
Il confronto era stimolante per i diversi punti di vista a cui
esponevano a vicenda. In quel caso lei riusciva a vedere, attraverso
gli occhi di lui, come
metà di quelle opere fossero inutili, ma sceglieva di non
usare
quel tipo di visione, continuando a concentrarsi sulla ricchezza che
traeva dalla
propria comprensione di ciò che vedeva.
Forse un giorno sarebbe
riuscita a trasmetterla ad Alexander, o forse sarebbero rimasti
differenti per
sempre su quel punto, come su altre cose.
Lui si chinò. «Sono curioso: cosa
c'è di divertente in questa statua?»
«Niente. Rido per te.»
«Che ho fatto?»
«La musica e il rifiuto di capire l'arte. Sembri uno
studente
in gita scolastica. Mi sento una professoressa incompresa.»
Non era male neppure prendersi in giro per le loro
diversità.
Lui comprese l'intento. «Una prof? Sei troppo
giovane. Devi esserti appena laureata, perciò mi starai
dando
lezioni private. Mi hai portato fino in Italia, prof? Sicura di non
avere secondi fini con me?»
Lei tossicchiò. «Siamo in un museo,
davanti a opere secolari.» Ci voleva un po' di contegno. Gli
passò la guida.
«Tieni e impara, studente.»
Lui fece scorrere velocemente le pagine. «Stanotte
ho appreso qualcosa. In albergo, ricordi? Credo
che stessi cercando di insegnarmi a dipingere nudi, perché
ti
sei spogliata e...»
Lei gli infilò in bocca la cuffia che si era tolto.
In silenzio, sorrisero per tutto il percorso fino alla
Cappella Sistina.
Nella grande sala, Ami fu conquistata.
Smettendo per un momento di
guardare, lesse piano le parole della guida. «Gli affreschi
sulla
volta sono stati dipinti da Michalengelo Buonarroti, dal 1508 al 1512.
Egli ha realizzato anche il Giudizio Universale, che adorna la parete
di fondo, sopra l'altare, negli anni dal 1535 al 1541.»
Una vita intera. Erano passati più di vent'anni tra
le due
realizzazioni, ma quel pittore era tornato al lavoro sul medesimo
luogo, creando qualcosa di... immenso. Persino lei - che abitava
dall'altra parte del pianeta - conosceva di fama quelle immagini,
distanti più di quattro secoli dal tempo in cui era nata.
Alexander guardava il soffitto. «L'ha dipinto una sola
persona?» Cercò approfondimenti nella guida, per
accertarsene.
«Sì» confermò lei.
Era incredibile. «In tre anni.»
Non era lo stesso periodo di tempo che lei aveva da dedicare
alla
medicina? In seguito la sua vita non sarebbe finita: come quell'uomo,
poteva tornare a quella che considerava una missione, lo scopo massimo
che esaltava la sua essenza in
qualunque momento. Aveva davanti mille anni di vita.
Galvanizzata, prese una decisione.
Iniziò a fare i primi
calcoli, ma per essere precisa aveva bisogno dei libri di testo del
corso di laurea. Doveva tornare a casa.
No, si ammonì. Era in vacanza.
Aveva tempo per immergersi nello studio. Vivere quei
giorni, come aveva detto Alexander, era altrettanto importante.
La vita, il tempo, scappava.
A metà pomeriggio, erano di nuovo distrutti.
Dormire un paio d'ore prima di cena parve a entrambi una buona idea.
Ami mise il pigiama per stare più comoda. Si
sdraiò sul letto per prima, stiracchiandosi in cerca del
sonno.
Unendosi a lei sul materasso, Alexander sbadigliò a
bocca
aperta, senza coprirsi il volto. «A cosa pensavi
oggi?»
«Hm?»
«Un paio di volte hai fatto una faccia strana,
stamattina. Eri preoccupata.»
Be'... Erano pensieri che lei doveva ancora elaborare prima di
poter spiegare. Dovevano essere completi.
Era vero che cominciava a sentirsi egoista nel desiderio che
aveva
di riempire ogni momento della vita di lui, tenendolo legato a
sé, ma Alexander le aveva dato da pensare.
Era
tutto effimero, come aveva detto lui.. La sensazione di perderlo per
sempre, o di non essere
più
viva, era ancora troppo vicina per non darle l'importanza che aveva.
Non si meritevano entrambi un po' di tregua? Le conseguenze
erano ancora lontane.
«Stai pensando invece di parlare.»
Si decise per un'altra verità, non meno crudele.
«Voglio studiare.»
Lui non capì. «Da quando non lo
vuoi?»
Ora era diverso. «Voglio studiare medicina da
subito, come se fossi già all'università. Alla
prima sessione di
esami voglio essere pronta a sostenere anche quelli del secondo
semestre. Cercherò di farmi dare una licenza
speciale.»
Alexander la guardava.
Lei annuì. «Voglio fare così
anche l'anno prossimo, senza sosta. Io... devo avvicinarmi
più che posso a
diventare medico. Non voglio cominciare la prossima fase della mia vita
senza essermi impegnata al massimo in questi anni. Sono quelli che ho
ancora per me. Potrei rilassarmi, ma...»
«Lo so.»
Sì, non era da lei prendersi pause prima di aver
lavorato.
«Questo non significa che ho rinunciato all'idea di una
nostra
famiglia.» Al contrario. «Impegnarmi tanto adesso
mi
darà la sensazione di avere più tempo.
Avrò comunque
studiato tutto quello che potevo, anche se a un certo punto
deciderò di fermarmi.»
Lui rifletteva. «Questo significa che... avrai meno
sere libere. Meno weekend.»
Esatto. Era il suo unico rimpianto, e in effetti un sacrificio
che
gli chiedeva di fare con lei. «Col teletrasporto
risparmierò sui tempi di viaggio. Troverò
comunque il
modo di vederti, anche se...» Era necessario che fosse
sincera.
«Finché non mi sarò organizzata con lo
studio, agli
inizi, ti chiederò un po' di tempo per concentrarmi solo sui
libri. Una settimana o due.» Notò l'umore di lui.
«Cercherò di fare dei break.»
Alexander non parlava. Guardò il soffitto.
«Vuoi tornare a casa oggi?»
«No.
Questi giorni sono per noi.»
Lui espirò via il risentimento. «Non
voglio che non
studi, Ami. Ho capito. Solo che, nemmeno due giorni fa... E tu stai
già pensando a ricominciare col dovere.»
Mi dispiace.
Non era felice
per il dolore di lui, ma non era seriamente dispiaciuta. Aver preso
quella decisione le stava dando stabilità e
uno scopo da seguire, laddove prima si era sentita confusa e frustrata.
«Sei fatta così»
dichiarò lui,
arrendendosi. «Però almeno per altri due giorni...
non
pensare a studiare.»
Era una promessa che voleva mantenere. «Non c'entri
tu con
questo, è... una cosa mia.» In verità,
anche in
quel desiderio c'erano delle differenze tra loro, che lei faticava a
capire. «A te non manca l'idea di non poter studiare
quello
che sognavi?»
«Lo studierò comunque.»
«Sì, ma non all'università. Se
ti metti a
lavorare non potrai più dedicarti completamente allo
studio.»
«Questo non è più un'ipotesi,
ma una certezza.
Io lavorerò per mantenermi» le disse.
Cercò di
capire cosa voleva sentire da lui. «Siamo in fasi diverse
della
vita, Ami. E... io sono meno concentrato di te. Lo studio è
una
passione, ma l'ho sempre preferita quando è libera. Avere
voti
eccellenti agli esami era soddisfacente perché mi faceva
sentire
bravo, ma se non fosse stato per questo... Avrei studiato con meno
criterio, per quanto il mio interesse sia forte. Non soffro all'idea
dell'interruzione che subiremo tra qualche anno perché in un
modo o nell'altro io continuerò a studiare fisica.
Nemmeno una valanga di impegni mi fermerà. In qualunque
minuto
libero imparerò cose nuove, per saperne sempre di
più. Lo sai, anche adesso è così...
Ragiono in formule
mentre corro, sotto la doccia, persino mentre sto con te a volte. Non
riesco a fermarmi.»
Sì, avevano approcci diversi. Quello di lui era
affascinante,
perché - anche se non ne era cosciente - parlava della
fisica
come avrebbe fatto un'artista con la propria arte. L'aveva nel sangue,
faceva parte della sua natura.
Per lei la medicina era un obiettivo. Un'altra delle
differenze tra
loro era che lei non sentiva ancora di essersi impossessata degli
strumenti di base per comprendere la materia che tanto le interessava.
In quel senso era stata pigra negli anni in cui aveva pensato fosse
più importante dedicarsi a una formazione di base il
più
estesa possibile prima di concentrarsi sulla branca della conoscenza
umana che la appassionava sul serio.
Alexander la studiava mesto. «Comunque... Per me
sarà una sofferenza vederti di meno, ma l'importante
è
che tu senta di dare al tuo tempo il suo massimo valore.»
C'era un fraintendimento. «Anche quando sono con te
il mio tempo non ha un valore maggiore.»
«Ma con me avrai anche gli anni dopo il duemila,
giusto?» Il pensiero gli causò un sorriso
rassegnato.
«Sono in svantaggio rispetto alla medicina, almeno per
ora. È inevitabile.»
Lei desiderò che le giornate fossero di quarantotto
ore.
«Quando sarò con te, mi dedicherò solo
a te. Niente
studio.»
«Questa è una promessa che ti
farò mantenere.»
Lei lo toccò sul braccio, cercando di abbracciarlo.
«Alex?»
Lui sollevò le sopracciglia, rimanendo in attesa
della domanda.
Come sai che che mi vorrai
anche tra tre anni?
Era la più stupida delle domande, nonché
una richiesta
nascosta e ingiusta: tutto quello che lui sapeva per ora era che la
amava. Conosceva il proprio cuore e le proprie intenzioni, ma di
ciò che avrebbe provato nel futuro sapeva quanto lei: nulla.
Ami lo baciò. Solo il presente era sicuro, solo nel
presente potevano vivere.
Lo strinse con tutta la propria forza e, per qualche minuto,
gli chiese in modo assoluto di darle tutto ciò che aveva.
Alexander si svegliò un'ora e mezza dopo, alle sei
di sera, con una sensazione di incombenza.
Era iniziata nella tardi mattinata, ma
aveva cercato di non badarci.
Dannazione.
Non stava andando via, anzi.
Si alzò dal letto, cercando i pantaloni e la felpa
del pigiama. Si rivestì, scacciando un brivido di freddo che
non riuscì a
fermare. Barcollò nell'alzarsi in piedi, ma non si permise
di
spaventarsi. Si era solo mosso troppo in fretta, non aveva dato al
sangue il tempo di tornare alla testa.
Dopo qualche secondo, tornò a muoversi verso la
scrivania
della stanza. In silenzio, prese in mano il computer di Ami e si
diresse in bagno.
Unì l'anta della porta al muro e si sedette sopra
la tazza chiusa del water.
Chiese allo strumento di Mercurio di rilevare la sua
temperatura corporea.
37.9
Si sentì troppo debole per imprecare.
... doveva svegliare Ami?
Forse la sua era solo una febbre vera, un raffreddore che
aveva
preso durante la notte e che stava degenerando. Magari non c'entrava
nulla con il fenomeno che lo aveva colpito in casa sua, due sere prima.
... Si stava prendendo in giro da solo. Si sentiva
esattamente come nel primo giorno dell'anno, con un
cerchio alla testa che non aveva mai conosciuto in precedenza.
Studiò la situazione col mini-computer.
Possibilità di
pericolo per Sailor Mercury: 90%
La sua era una malattia di potere. Nella teoria che aveva
elaborato,
era stata l'azione del sovrano nemesiano a far inceppare il
meccanismo dell'ykèos dentro di lui.
Se lo avesse detto ad
Ami, sapeva già qual era la soluzione che avrebbe proposto
lei:
stare lontani.
Massaggiò forte la tempia, sentendo a ondate il
dolore che si propagava lunga la massa grigia.
Se l'ykèos era una conseguenza di quanto tenevano
l'uno all'altra,
stare lontani non sarebbe servito a risolvere il problema,
bensì solo ad
aumentare l'agonia. Ami si sarebbe data la colpa di tutto.
Sarebbe
tornata a pensare che gli aveva fatto danno standogli vicino, che forse
stare con lui non era la cosa giusta.
Che incubo senza fine.
Unì le mani e per la disperazione pregò,
la fronte abbandonata sulle nocche.
Voglio stare
meglio. Non voleva nessuno stupido potere che
cercasse
di ucciderlo e... e voleva Ami. Anche se avesse avuto quegli episodi a
ripetizione, per il resto della sua vita, voleva stare con
lei. Solo questo, al resto sarebbe sopravvissuto.
Sospirò.
Abbattuto, adottò la misura più logica e
settò il computer perché gli fosse di soccorso.
Di suo non
poteva far altro che coprirsi, tornare a dormire e... sperare.
Se la febbre fosse salita a trentanove, aveva ordinato al
computer di emettere un suono di allarme, riepilogando la situazione ad
Ami in un'unica schermata.
Lei sarebbe corsa a prendere Mamoru Chiba, lui lo avrebbe
guarito di nuovo e poi... avrebbero discusso sul da farsi.
Era un discorso che Alexander sperava di non dover affrontare
mai.
Tornò nella stanza da letto e si sdraiò
vicino ad Ami.
Non la toccò, per non svegliarla e non farle sentire la
febbre,
ma nella sua testa l'abbracciò con tutta la propria
forza.
Respirando a fatica, crollò dal sonno.
«Ehi.»
La voce di lei. Sopra la sua testa, Ami sorrideva.
«Sveglia! Ci siamo addormentati per un'ora in
più!»
Alexander sgranò gli occhi. La sua pelle era
fresca, come se...
Aveva sudato. Si tirò su con cautela, tenendo le
coperte
sopra il corpo, cercando di capire se la felpa era umida. La sentiva
fredda al contatto, ma era possibile che non si notasse da fuori.
Non dovette nascondersi da Ami, lei stava andando in bagno.
«Mi preparo per andare a cenare, okay?»
Lui annuì vago e appena lei sparì
nell'altra stanza, saltò fuori dal letto.
Era pieno di energia! Sorrise levandosi la felpa, sentendosi
in forze.
La febbre se n'era andata, era guarito!
... era stata una ricaduta rapida?
Andò al computer.
Osservò il grafico della sua temperatura durante il
sonno e fu percorso da un brivido. Aveva toccato trentotto
gradi e nove mezz'ora prima; a quel punto la febbre aveva
raggiunto un picco ed era sparita.
Era solo l'effetto del rilascio di sudore? In quanto
veniva calcolata ora la sua pericolosità nei confronti di
Mercurio?
Trentacinque per cento.
Tirò un sospirò di sollievo.
Il fenomeno si stava davvero attenuando, come aveva detto ad
Ami quella mattina, credendoci solo a metà.
Stava guarendo, giusto?
Cancellò il grafico con la rilevazione della
febbre. Ami non doveva vederlo.
Ne avrebbero parlato solo e solamente se il problema si fosse
ripresentato, ma...
Fermò le dita sul computer. Tenne fisso il comando
che aveva
impartito in bagno: se in qualunque momento fosse stato tanto male
da avere una febbre superiore ai trentanove gradi, Ami doveva essere
avvisata. La paura non poteva superare la prudenza.
Respirò a pieni polmoni.
... nonostante la cautela, si sentiva ottimista.
Il malessere era andato via da solo, non c'era stato bisogno
dell'intervento di Chiba.
Forse era una cosa che si poteva curare come
un raffreddore vero e proprio, con tè caldo e coperte
pesanti
sul corpo. Sorrise. «Ho trovato un buon ristorante sulla
guida!»
«Ah... okay!» Come la signorina educata
che era, Ami non disse altro da dentro il bagno.
Alexander osservò il simbolo sul computer di
Mercurio.
Se il problema sei tu,
ykèos, non mi batterai.
Lasciò il computer sulla scrivania e
andò a vestirsi.
3 gennaio 1997 - Vacanza in
Italia/2 - FINE
NdA: tre capitoli di questa raccolta e ho descritto
esattamente tre giorni consecutivi. Mi sento lumaca -_-
Ho questo interesse primario a ricollegarmi allo stato d'animo
di Ami che ho descritto in Plenilunio. Il capitolo 6 era ambientato il
13 gennaio 1997, quindi a una decina di giorni da questo momento. Lei e
Luna facevano questo discorso:
«Il matrimonio... è un impegno senza
fine, che durerà almeno mille anni con persone come noi. A
volte mi chiedo... È giusto chiedere una cosa
simile a una
persona? È possibile ora fare tante promesse per un tempo
così
lungo?»
Luna aveva quasi timore di chiedere. «Parliamo di
promesse di... fedeltà?»
Ami tornò a vederla. «No»
sorrise. «Non mi hai mai sfiorato come
problema. Pensavo a...» Col petto pesante, espirò.
«Il matrimonio è un percorso comune: obiettivi,
speranze, scelte. Equivale a prendere decisioni insieme, per sempre,
spesso limitandosi. È solo che...»
Soffrì. «Alexander è così
giovane.»
Oh, no,
comprese Luna. «Tu hai due anni meno di lui.»
«Io conosco il mio percorso, mentre lui ha mille
possibilità. Come fa a sapere che-»
«Ami, Ami! Ti è venuto in mente
leggendo qualche libro? Tu pensi troppo. Persino un racconto
è capace di influenzarti.»
Ami glissò sulla domanda. «Questi
pensieri che ho non sono un vero problema. È solo una
riflessione su quanto sia giusto o meno, da parte mia, aspettarmi che
le cose tra noi possano andare... in quel modo. Verso il
matrimonio.»
Penso che il capitolo 4 della raccolta tratterà
dell'ultimo giorno di vacanza in Italia di Ami e Alexander (quindi due
giorni a partire da adesso, presumibilmente). Ho in mente il contenuto,
dovrebbe essere piuttosto breve e meno didascalico come capitolo.
In effetti Luna ha ragione, Ami sarà stata
influenzata da un libro (di narrativa), anche se già aveva
iniziato ad avere questo tipo di pensieri. Quello che sto cercando di
trasmettere è l'insicurezza di fondo di lei. Non
sarà una cosa che si risolverà a breve, ma - come
è normale - Ami non sarà continuamente tormentata
da questi pensieri. Per ora sono solo idee che le vengono
così, e le danno un po' di fastidio e incertezza. Ci
sarà un'escalation, ma in tempi dilatati.
Ma parlando della 'malattia di potere' di Alexander, alla fine
ho deciso di riprenderla perché era giusto così,
volevo che si capisse che è una cosa importante, anche se si
sta attenuando.
La risposta a questo mistero si avrà in tempi
ancora più lunghi rispetto al problema di Ami, ma era un
concetto che volevo portare avanti con calma, in maniera naturale lungo
la saga.
Parlando dei capitoli successivi, finalmente dopo il capitolo
finale sulla vacanza italiana, potrò saltare avanti nel
tempo e parlare di altri episodi che ho in mente da un po', come Ami e
Alexander che giocano ai videogiochi (in casa di Yamato, con lei che
è
particolarmente forte nei picchiaduro - come dimostrato nell'anime
originale), o il trasloco di lui.
Ah, poi in questa raccolta
potrò mettere anche l'episodio di San Valentino dedicato a
loro due,
racchiuso nell'omonima raccolta per ora.
Grazie di aver letto i miei sproloqui :)
Spero che la lettura vi abbia donato qualche momento
divertente e magari qualche riflessione che mi farebbe piacere sentire.
A presto!
Elle
P.S. Ho due pagine Facebook: una dedicata a Sailor Moon in
generale, dove posto opinioni e immagini (Oltre le stelle saga), e un
gruppo in cui parlo
esclusivamente delle mie fanfiction con i lettori che mi seguono - Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...