26
Non solo parole
Il fiume correva con calma, imperturbabile. Il sole era alto
e padroneggiava un cielo privo di nuvole, ma la superficie dell'acqua
sembrava non impressionata dalla sua forza. Anche a distanza, protetto
dal parapetto, poteva sentire le gelide dita del fiume carezzargli la
pelle.
Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, le dita
serrate intorno al ferro ormai caldo della balaustra.
L'ultima volta che era stato lì con Matt, ogni
cosa gli era sembrata perfetta. C'era il sorriso sul volto del biondo e
nei suoi occhi, e lui poteva sentirlo in fondo all'anima. Poteva
sentire le dita di Matt sulle sue, e a quel contatto qualcosa nel suo
petto allargarsi, come un palloncino che attenda da sempre di essere
riempito.
Era bastato un attimo per raggrinzirlo. Un solo errore per
distruggere ogni cosa. Uno stupido sogno, una stupida ossessione e una
stupida decisione irrazionale per inquinare la sua felicità.
Guardando indietro a quella notte e a quell'incubo, Kelly
non riusciva a localizzare il momento esatto in cui il grilletto della
vendetta era stato premuto. Non riusciva a capire come potesse qualcosa
innescarsi all'improvviso. Suo padre una volta gli aveva detto che ci
sono bombe che non puoi disinnescare finché non le fai
esplodere. Forse era questo ciò che c'era nella sua mente,
forse quella bomba era stata piazzata sotto il suo cranio quel giorno
sul ponte.
Ora c'era solo un modo per ritrovare la strada di casa.
Quanto avrebbe voluto abbandonare tutto e tornare da Matt,
tornare con tutto se stesso, e fare l'amore con lui senza null'altro a
frenare la sua libertà.
Odiava se stesso per esserne incapace.
«Severide.»
Si voltò e quando incontrò lo sguardo
di Antonio, distolse il proprio. Strofinò il volto con il
palmo sudato della mano, sperando che gli occhi smettessero di pungere.
«Senza offesa, amico, hai un aspetto
orribile.»
«Lo so.»
Antonio poggiò la schiena alla balaustra,
incrociando le braccia al petto e guardandolo criticamente.
«Che succede?»
Kelly chiuse gli occhi ed inspirò aria pungente,
prima di rilasciarla lentamente. «Ho bisogno del tuo
aiuto.»
Antonio inarcò le sopracciglia, invitandolo a
continuare.
Quanto odiava quella situazione! Si fece forza,
perché ormai la porta era stata aperta, e gli serviva altra
luce per distinguere tra le ombre che affollavano la stanza buia.
Doveva fidarsi di Antonio, forse lasciare a lui le redini...Non era
certo di riuscire ad arrivare fino in fondo, a liberarsi dell'armatura
e lasciare a qualcun altro il compito di combattere quella battaglia.
«Conosci un certo Tyrone?»
Il detective irruppe in una breve risata secca.
«Devi essere un po' più specifico.»
«Il capo del tipo che avete arrestato
ieri.»
«Jeremy?»
Quando Kelly annuì, Antonio serrò le
mascelle, staccandosi dal parapetto e drizzando la schiena.
«Stanne fuori»
«Cosa?»
Antonio distolse lo sguardo, puntandolo sugli edifici oltre
il fiume. Sospirò pesantemente e si passò una
mano tra i capelli, prima di guardarlo con decisione.
«Ascolta, non so cosa tu hai in mente...ma stanne lontano,
intesi?»
«Qual è il problema?»
sibilò Kelly.
Improvvisamente si sentiva in trappola e aveva la sensazione
che Voight gli avesse nascosto qualcosa. Accidenti, era stato davvero
così stupido da fidarsi del detective? Ora gli sembrava di
essere incappato in un gioco del quale non conosceva neanche
metà delle regole.
«Il problema è che Tyrone è
nel libro paga di Voight da anni, e quando c'è lui di mezzo
succede sempre qualcosa di molto molto brutto, mi capisci?»
«No, e non mi interessa. Tyrone ha aiutato i
Messer, lo sapevi?»
Antonio sospirò, abbassando le spalle e annuendo.
«Lo sapevi? Antonio, che sta succedendo?»
«Okay, ascolta, questa conversazione non
è mai avvenuta, ci siamo capiti?»
Kelly non batté ciglio.
Antonio sospirò ancora e mormorò
qualcosa tra i denti. Si guardò attorno, quindi
infilò una mano nella giacca e ne estrasse un pezzo di
carta. Quando lo girò, Kelly rimase senza fiato,
più confuso di prima di fronte alla fotografia di un
ragazzino. Doveva avere almeno tre anni in meno di come lui l'aveva
visto, ma gli occhi erano gli stessi.
Antonio rimise la foto al suo posto e poggiò una
mano al parapetto. «Immagino tu lo abbia riconosciuto, Tyrone
ce l'ha sempre intorno. Lo chiama Felipe, ma non è il suo
vero nome. Quattro anni fa era parte di un gruppo di ragazzini
scomparsi in un viaggio attraverso il confine messicano.»
«Traffico umano?» chiese Kelly sgomento.
La nausea lo colpì all'idea, rischiando di farlo
chinare sull'asfalto.
«Così sembra. Degli altri ragazzi non
se ne ha traccia. Severide, parliamo di dodici ragazzi scomparsi,
rapiti dalle loro stesse famiglie, capisci?»
«Come...» la gola si serrò.
Si passò una mano sul volto, cercando di impedirle di
tremare. «Come può Voight avere a che fare con una
persona che fa una cosa simile?»
«Non è come pensi. Voight
sarà anche marcio, ma non fino a questo punto. Tyrone ha
preso il ragazzo nella sua banda, ma è escluso che sappia
del giro. L'unico che potrebbe darci informazioni su chi regge il
traffico è Felipe.»
«Quindi...» Kelly non riuscì
a finire la frase, perché la sua mente cercava di correre
dietro tutte le informazioni.
«Quindi Voight ti ha portato con sé per
non destare sospetti. Doveva essere certo che Felipe fosse il ragazzo
scomparso. Senti, mi dispiace di averti mentito, ma ci servivano le
informazioni, lo capisci?»
Kelly fece un passo indietro, allacciando le dita dietro la
nuca e sollevando lo sguardo al cielo. Il respiro era troppo corto e
lui sapeva di essere sul punto di perdere la calma.
«Severide-»
«No!» ringhiò, puntando un
dito contro il detective. «Dannazione, Antonio! A qualcuno
interessa prendere quei bastardi dei Messer o sono l'unico?»
«Non sei l'unico» rispose seccamente
Antonio. «Matt è un amico e noi stiamo facendo il
possibile per trovare i responsabili. Ma tu...Severide, devi cercare di
farti da parte. Finirai per farti male o fare un casino,
fidati.»
«Un casino? Come posso fare peggio di voi che non
fate nulla?»
Kelly era quasi certo che Antonio, dopo aver fatto un passo
avanti, lo avrebbe colpito. Drizzò le spalle in attesa del
colpo, che non arrivò.
Il detective lo fissò a lungo, quindi disse:
«Io so esattamente cosa provi, ci sono passato, credimi.
Questa caccia alle streghe ti logorerà, perderai tutto
quello che hai intorno, allontanerai le persone che ami
perché per te non esisterà altro che la vendetta.
E quando alla fine riuscirai a piantare una pallottola nella testa di
ognuno di loro due, ti ritroverai con nulla. Sarai solo un altro
assassino e nessuno, nemmeno le persone che ami e per le quali hai
venduto l'anima, saranno dalla tua parte, perché di te non
sarà rimasto nulla.»
Kelly sentì lo stomaco contorcersi.
Fissando il fondo degli occhi di Antonio, vide il futuro ipotetico nel
quale non era troppo difficile specchiarsi.
«Sei un brav'uomo, Kelly» disse alla
fine Antonio, voltandosi.
Si allontanò, salendo sull'auto senza aggiungere
altro. Non serviva, non davvero, perché ormai per Kelly era
impossibile assorbire altre parole.
Guardò le proprie mani tremare senza controllo,
mentre il sole continuava a battere la superficie di ogni cosa.
Pensò ai genitori di Felipe, alla madre e il
padre e i fratelli. Si chiese se anche loro avessero nella testa la
stessa bomba innescata e come potessero andare avanti ogni giorno
sapendo che la giustizia non era stata sritta per loro.
Immaginò il dolore di non sapere dove il loro figlio e
fratello fosse, se fosse vivo, o cosa avesse passato, come fosse
diventato e se ancora fosse in grado di riconoscerli.
E poi l'epifania lo scosse: Matt era ancora vivo.
Lui poteva sfiorarlo, amarlo e viverlo ogni giorno.
Non poteva disinnescare la bomba, né
tantomeno farla esplodere senza far danni.
L'unica alternativa era imparare a convivere con
il costante ticchettio in un angolo della mente.
Matt rimase in silenzio. Il suo sguardo si
spostò dal soffitto solo in pochi punti salienti del
racconto. L'espressione che in quei momenti rivolse al compagno gli
serrò la gola, ma si impose di non vacillare, non fermarsi.
Quando Kelly finì, rimase in attesa di una
reazione, qualunque essa fosse. Sentiva la testa leggera, gli occhi
bruciare e il sudore attaccarsi sulla nuca. Non era la catarsi che
aveva desiderato e fantasticato durante tutto il viaggio di ritorno a
casa.
Ora che le sue colpe erano allo scoperto, sentiva di non
riuscire a reggere un altro secondo di immobilità.
Cominciava a credere che fosse meglio correre in bagno prima
di rovinare il tappeto con la propria bile, quando Matt
sospirò. Si passò una mano sul volto, stringendo
e rilassando le mascelle diverse volte.
«Mi hai mentito.»
Non era una domanda, anche se Kelly sentì
l'impulso di rispondere. Non era neanche un'affermazione. Lo sguardo di
Matt era rivolto al pavimento, assorbito nel suo mondo interiore. Le
spalle ebbero un sussulto, indicando un lungo sospiro. Matt si
lasciò cadere sul divano, poggiando i gomiti alle ginocchia
e infilando le dita tra i capelli corti.
Kelly rimase immobile, osservandolo strusciare le mani sul
volto, fino a fermarle in un saldo pugno sotto il mento. Riconosceva il
lieve rossore alla guance e il luccichio degli occhi come segni della
sua rabbia.
Per la prima volta in mezzora, Matt alzò lo
sguardo su di lui, guardandolo negli occhi. Kelly sentì i
nervi cercare una strada per sgusciare via dalla pelle. No, lui non
aveva mai avuto bisogno di giustificazioni, ma quello sguardo lo
uccideva. Delusione.
«Mi hai mentito» ripeté Matt.
«Poi mi hai detto la verità. Tutta la
verità?»
Quella domanda era più dolorosa del suo sguardo e
della sua stessa voce.
Incapace di parlare, Kelly annuì deciso. Se in
quel momento avesse perso la fiducia di Matt, avrebbe perso ogni cosa.
Non farò un casino, non rovinerò tutto.
Le sue stesse parole, ripetute a se stesso all'infinito in quei mesi, gli parvero un oscuro e spietato presagio. Quanto era
stato ingenuo.
«Okay» mormorò Matt, facendo
forza sulle ginocchia per alzarsi. «Ascolta. Non ti
dirò che non sono arrabbiato o che ti perdono, non
ora.» Abbassò appena lo sguardo sulla sua t-shirt,
prima di guardarlo. La distanza tra loro appariva a Kelly fredda e
impersonale, ma sapeva che era ciò di cui avevano bisogno,
ora. «Però, ti ringrazio...per avermi detto la
verità, alla fine.»
Kelly sentì di star per ridere e,
involontariamente, gli angoli delle sue labbra si sollevarono i un tic
nervoso.
«Ora è meglio che esca» disse
Matt, ponendo ancor più distanza mentre indossava la giacca.
«Prima che ceda alla tentazione di darti un pugno.»
Quando Matt uscì, Kelly rimase in piedi
a guardare la porta. Non era certo di cosa avrebbe dovuto provare.
Matt si ritrovò a vagare senza una meta precisa.
Infilando le mani nelle tasche della giacca, percorse a falcate il
primo isolato, prima di arrivare a uno stop. Si fermò e
chiuse gli occhi, prendendo un grosso respiro.
Kelly aveva mentito proprio a lui, malgrado fosse pienamente
cosciente del peso che una menzogna potesse avere per Matt. Non poteva
evitare di sentirsi ferito, nell'orgoglio e in posti ben più
vulnerabili della sua mente. Mesi prima, non avrebbe creduto di
riprovare quella particolare stretta al petto, quella che gli faceva
sentire la testa leggera e le gambe molli. C'era rabbia, era
innegabile, e c'era anche una ferita nascosta che riprendeva a pulsare.
Aprì gli occhi ed esalò un lungo
sospiro, che bruciò in gola. Cercò di rilassare
le mascelle contratte e scoprì che le proprie dita erano
serrate in pugni dolorosi.
Kelly aveva mentito e l'aveva ammesso. Sostenendo il suo
sguardo, aveva buttato fuori tutta la verità. A Matt veniva
quasi da ridere, combattuto tra l'offesa e uno strano orgoglio.
Kelly che per mesi aveva mentito sul suo infortunio e la sua
dipendenza, senza mai distogliere lo sguardo mentre ripeteva Io sto bene. Lo
stesso uomo aveva ammesso i propri errori, nudo e crudo, e Matt non
poteva non pensare che l'amore davvero possa cambiare ogni cosa.
Malgrado riuscisse a comprendere le ragioni del compagno,
aveva bisogno di tempo per afferrare con mano quella consapevolezza e
lasciare che essa sciogliesse il grumo di emozioni negative.
Fu tentato di chiamare Gabby o Michael, ma nessuno dei due
era disponibile a quell'ora.
Estrasse il cellulare e compose il primo numero che gli
venne in mente.
«Stevens.»
Matt rimase un attimo interdetto, quindi strofinò
la nuca con il palmo sudato.
«Sam? Sono Matt.»
«Hey,
Matt. Che succede?»
Il biondo sospirò, poggiando la schiena a un
palo.
«Dimmi che hai ancora il turno di notte,
perché ho decisamente bisogno del tuo
caffé.»
La risata infantile di Sam in qualche modo
riuscì a calmare Matt.
«Ti
invio l'indirizzo.»
Un'ora dopo, Matt non ebbe dubbi del
perché Shay avesse deciso di portare la sua relazione con
Sam al livello successivo all'avventura di una notte. Se Leslie non
nascondeva ciò che pensava e sapeva essere diretta, Sam
possedeva la sottile e controversa arte di essere spietata e cruda,
senza tuttavia alcuna cattiveria. Matt sentì quasi di dover
chinare il capo a metà del lungo sproloquio della ragazza.
Rimase in silenzio, annuendo di tanto in tanto, distogliendo lo sguardo
e fissando il proprio caffé. Sam riuscì a colpire
tanti nervi scoperti da farlo sentire nudo e indifeso. Incosciamente,
strinse le braccia al petto, poggiando i gomiti sul piano della cucina.
«Se la persona che amo facesse una cosa simile per
me, la sposerei.»
Questa fu la conclusione giusta e pungente dell'intero
discorso, nel quale Sam denudò tutte le colpe e gli errori
di Matt in quei due mesi, e quanto fosse ingiusto ora prendersela con
Kelly. Matt lo sapeva, e sapeva che Sam era la voce di quel piccolo
essere giudicante che era in fondo alla sua mente.
Assorbito dalle proprie colpe, Matt non registrò
il silenzio, fin quando divenne così teso da spingere Sam a
schiarirsi la voce. Il biondo alzò lo sguardo su di lei e
sospirò, rispondendo alla muta domanda trattenuta nello
sguardo corrucciato.
«Okay» mormorò, drizzandosi e
alzando le mani in segno di resa. «Hai completamente ragione,
sono stato un idiota.»
L'espressione di Sam si addolcì e la
sua voce divenne più soffice. «So che hai passato
un periodo duro. Diamine, io al posto tuo sarei rannicchiata sul divano
a guardare The L Word
tutto il giorno, affogando nel gelato e nella mia sporcizia»
disse, allungando una mano per prendere la sua. «Ed
è normale essere arrabbiati, ma anche per Kelly deve essere
stata dura. Se una cosa del genere succedesse a Leslie...»
Sam rabbrividì e si morse il labbro. Matt le
diede una stretta alla mano, sforzandosi di sorriderle.
«Voi siete questo, Matt. Voi siete dei combattenti
e lottate per quello che amate... Non c'è niente di brutto
in questo. Ora va da lui e sistema le cose, perché non vale
la pena far scaturire da una tragedia un'altra.»
Matt chiuse gli occhi, massaggiandosi il ponte del naso con
la mano libera. Sam aveva ragione e Matt sapeva che nulla di tutto
questo dovesse essere facile per Kelly. Entrambi avevano reagito come
avevano sempre fatto: cercare di farcela da soli, risolvendo il
problema prima di capire quale realmente fosse.
Ma lui sapeva, aveva imparato, che quello che ha sempre
funzionato non è destinato a funzionare per sempre. Questa
relazione era qualcosa di nuovo per entrambi.
Si alzò, pronto a tornare a casa, quando Sam lo
richiamò. Nei suoi occhi c'era un'espressione dura, ma non
accusatoria. «Tutti mentiamo, Matt, e quando siamo fortunati
lo facciamo per un buon motivo. Anche tu gli hai mentito, te lo leggo
in faccia.»
Improvvisamente, Matt si sentì tanto in colpa da
non riuscire a reggere il suo sguardo.
Il
buio lo avvolgeva, schiarito solo dalla luna oltre le finestre. Si
strinse nella coperta quando sentì la porta aprirsi. Chiuse
gli occhi mentre l'uscio veniva richiuso con cura. Un sospiro
risuonò nella stanza. Sapeva che era lui, sapeva che sarebbe
arrivato per spiegargli le sue ragioni, ma lui non voleva sentirle.
Gregory Casey voleva essere considerato nel giusto, sempre. Quando non
poteva farlo in un'aula di tribunale, lo faceva tra le mura di casa,
con i suoi sorrisi falsi e le sue parole studiate.
Matt avrebbe
voluto che credesse stesse dormendo, ma in fondo suo padre lo conosceva
dannatamente bene.
«Matthew.»
Odiava quel
nome. Suo padre e sua madre erano gli unici, al di fuori della scuola,
a chiamarlo così, e quel giorno Matt decise che nessun'altro
avrebbe dovuto.
«So che non dormi» disse il padre, avvicinandosi.
Matt poté sentirlo sedersi sulla sedia alla scrivania,
quella sulla quale era stato Edward. Strinse gli occhi, impedendo alle
lacrime di scendere. Non poteva mostrarsi debole con lui nella stessa
stanza, neanche a se stesso, malgrado volesse solo la pace e la
sicurezza della solitudine, per liberare le sue paure e i suoi dolori.
Suo padre non sembrava volergli concedere neanche questo.
«Non capisci quello che ho fatto, e forse mi odi, ma va bene
così per ora. Sei un ragazzo intelligente e so che presto
capirai, quando non sarai più arrabbiato. Tu meriti meglio
di questo. Quella vita non fa per te, Matthew; tu sei meglio di questo,
io lo so. Sei mio figlio e ti conosco meglio di chiunque altro. Eri
confuso e ti sei lasciato trascinare da quel ragazzo.»
Matt avrebbe
voluto difendere Edward, ma le parole erano bloccate in gola. Quando
suo padre cominciava la sua arringa, sembrava non esserci spazio per
alcuna protesta.
«Alle persone che fanno quel tipo di cose succedono cose
brutte, lo capisci? Tu non lo sai perché sei giovane e
ingenuo, e io voglio che non ti capiti mai di scoprirlo sulla
pelle.»
Lo
sentì alzarsi e sospirare, e in qualche modo
trovò la forza di chiedere: «Mi manderai
via come hai fatto con Chris?»
«Certo che no, figliolo. Tua sorella è una testa
calda. Sei tu il futuro della famiglia.» Il tono divertito
nella sua voce, in qualche modo, fu peggiore di tutte le sue
parole. «Per questo sono sicuro che i miei nipotini
verranno da te.»
Matt si addormentò solo quando ebbe pianto tanto da restarne
esausto. Dopo quella notte, non versò più lacrime
per Edward. Quando il pensiero e i ricordi bussavano alla porta, lui li
scacciava via. Non parlarono mai più di quello che era
successo. Matt non ebbe mai la possibilità di confessare chi
fosse in realtà, e in qualche modo lasciò che
quella maschera divenisse la sua seconda pelle. Scoprì che
poteva davvero provare un affetto profondo per le ragazze e le donne
che si avvicinavano a lui, e si illuse di chiamarlo amore. Quando un
ragazzo attirava la sua attenzione, risvegliando i suoi istinti,
chiudeva gli occhi e prendeva un grosso respiro. Una ricaduta era
inevitabile, ma la mattina seguente non c'era spazio per domande e
ripensamenti. Rabbia era la prima emozione, dopo la vergogna. Non era
avvenuto, si diceva. Era un incubo, qualcosa che non era lui.
Perché Matthew Casey non era gay, non lo era mai stato e non
lo sarebbe stato mai.
Quando un battere frenetico risuonò tra
le assi della porta, Kelly sobbalzò nel suo posto sul
divano, nel quale aveva passato l'ultima ora e mezzo guardando cronache
sportive senza un reale interesse. Impiegò qualche secondo
ad alzarsi e raggiungere l'offeso uscio. Sbirciando nell'occhiello,
vide il volto agitato di Matt. Si accigliò.
Ricordò che Matt era uscito così di fretta da
dimenticare le chiavi. Sospirò e afferrò la
maniglia, preparandosi a uno scontro verbale che davvero non aveva
voglia di affrontare. Ma, in fondo, sentiva di meritarlo.
Raccolse respiro e forze e aprì la porta. Matt
abbassò il pugno ed entrò nell'appartamento,
sorpassandolo.
Chiudendo piano la porta, Kelly poteva sentirlo alle sue
spalle osservarlo in attesa. Si voltò e aprì la
bocca per scusarsi ancora, ma Matt alzò una mano e lo
bloccò.
«Ho mentito.»
Kelly rimase pietrificato. Né le parole
né il tono erano quello che si attendeva. Malgrado la
postura ancora tesa, la voce di Matt era calma e ragionevole. Lui
poteva benissimo vedere tutti i piccoli indizi corporei che essudavano
senso di colpa. Una strana agitazione gli montò in petto.
«Io» mormorò Matt, prima di
sospirare, gli occhi fissi sulla maglietta di Kelly. Quando li
alzò e incontrò i suoi, Kelly fu quasi certo che
dalle sue prossime parole sarebbe dipesa la propria vita. Era una
sensazione sciocca e strana, ma non poté evitarla.
«Quando tu hai detto tutto a Boden...quando Mills ci ha
scoperti, e poi Hermann-»
«Hermann lo sa?» si ritrovò a
chiedere meccanicamente.
Matt sospirò ancora e annuì.
«Non è questo il punto...»
«Allora quale?» chiese Kelly, con voce
più dura del necessario. Matt sembrò urtato dal
suo tono, ma si riprese in fretta.
«Ti ho detto che non mi interessava chi lo
sapesse, ma non era vero. Io ho provato vergogna» ammise.
«Cosa? Ti vergogni di me?»
«No... no, assolutamente.» Matt rimase
in silenzio, come se cercasse di capire come rimediare al suo errore, o
rovistasse nella sua mente per trovare le parole.
Kelly sentiva il familiare fuoco dell'offosa serrargli i
pugni, sovrastando le proprie colpe. La rabbia in quel momento gli
sembrava il rifugio migliore, senza il quale sarebbe stato esposto al
senso di tradimento che percepiva.
«Kel...» mormorò Matt. La sua
testa scattò e sembrò ricordare come usare le
parole. «Quando mio padre...quando ha scoperto me e
Edward...tu non hai idea di cosa ho provato.»
Kelly serrò le labbra, perché Matt
aveva ragione. In un modo contorto, avrebbe voluto saperlo.
«Dopo quel giorno, mi sentivo sporco e sbagliato.
Ho impiegato così tante energie a cambiare ciò
che ero, ciò che sono...
A nasconderlo.
Ma quella vergogna non è mai andata via. Io so che essere
ciò che sono non è vergognoso, non c'è
nulla di sbagliato, ma non riuscivo a convincere me stesso ad
accettarmi. Mio padre era un bravo uomo, ma aveva i suoi
difetti...direi che mi ha incasinato il cervello, uhm?»
L'ombra di un sorriso triste passò sul suo volto.
I suoi occhi tornarono sui propri piedi, prima di alzarsi tentativi
verso Kelly. Nello sguardo del compagno vide confusione, attenzione e
una punta di tristezza.
«Quando ho sentito alla radio la tua voce...eri in
pericolo e lì ho sentito che nient'altro contava. Io non
posso perderti, Kelly. Semplicemente non posso.»
Kelly sentì la sua rabbia sciogliersi e
qualcosa di molto più sereno e appagante espandersi nel
petto.
Non riusciva a dir nulla, ma malgrado
ciò Matt disse: «Ora ascoltami e non
parlare.» Appuratosi che Kelly avesse capito, Matt
continuò: «Quello che hai fatto lo avrei fatto
anche io. Diamine, se qualcuno avesse anche solo provato a sfiorarti lo
avrei ammazzato. Non dico che è giusto, ma lo capisco. Noi
siamo così, siamo combattenti, è quello che
facciamo. Noi proteggiamo chi amiamo.» Matt distolse un
attimo lo sguardo, passandosi una mano sulla fronte sudata, prima di
guardarlo di nuovo. «Ciò non vuol dire che non mi
hai fatto incazzare, ma che...lo capisco. Ma ti sei messo in una
situazione pericolosa e la cosa peggiore è che non me lo hai
detto non perché non volessi ferirmi. Non me lo hai detto
perché sapevi che ti avrei fermato, e tu sei troppo
fottutamente orgoglioso e testardo per lasciarmelo fare. Lo capisco.
Avrei fatto lo stesso.»
Kelly sentì gli angoli delle proprie labbra
sollevarsi a tono con il battito del proprio cuore. Che diavolo aveva
fatto per meritarsi un uomo del genere nella sua vita?
«Io sono gay, Kelly» sputò
fuori. Spalancò gli occhi, come sorpreso dalla forza di
quelle parole. Era lui, era vero, ed era la cosa più giusta
da dire. Alzò lo sguardo e sorrise così
giovialmente che Kelly capì quanto quella semplice parola,
in fondo, fosse capace di farlo sentire bene. «E ti amo,
okay? Kelly, ti amo così tanto che farei qualunque cosa per
te» ammise Matt, e Kelly non ebbe dubbi su quanto gli fosse
costato dirlo, anche solo a se stesso. «Ma tu non permetterti
mai più di fare una cosa del genere alle mie spalle. Se
siamo nella merda, ci siamo insieme. Io voglio essere ovunque tu sei.
Siamo insieme in tutto questo, intesi?»
Matt riprese fiato e Kelly fu attratto dal petto che si
alzava ed abbassava frenetico. Una scossa gli percorse la schiena,
sciogliendo ogni ansia in un intenso desiderio in fondo allo stomaco.
Alzò lo sguardo e lo fissò in quello di Matt. In
quel momento, tutto il suo essere si sentiva attratto da lui come mai
prima d'ora. Matt lo comprendeva ad un livello così profondo
da scuoterlo. Non solo lo capiva, ma lo accettava. Kelly si sentiva
nudo e sentiva quello sguardo, come dita calde, frugargli nel petto.
«Siamo a posto, ora?» chiese in un
sussurro.
Matt roteò gli occhi, ma un sorriso gli
curvò le labbra. «Certo, siamo a posto,
Kel.»
«Bene» mormorò Kelly,
raggiungendolo. Gli poggiò una mano sul collo, carezzando il
punto in cui poteva sentire le pulsazioni veloci del suo cuore.
Inclinò la testa e ghignò.
«Perché ora ho una voglia matta di portarti a
letto.»
Matt esalò la risata più liberatoria
che Kelly gli avesse mai sentito.
«Meglio per te che ne valga la pena.»
Note: Hello. Come scusa
per la mia assenza, ho deciso di non tagliare questo capitolo come
inizialmente pensavo di fare, così da darvi qualcosa di
più sostanzioso da leggere. Il prossimo sarà
presto in arrivo (cambio di pc e altre diavolerie tecniche mi hanno
rallentata). Grazie ancora a Cecimolli e Sasuke_kun_Uchiha per la loro presenza. Vi apprezzo molto
Piccole precisazioni: la professione di Gregory Casey, così
come tutto ciò che lo riguarda, è frutto di mie
congetture e non è fedelle allo Show originale, dal quale si
ricavano poche informazioni su di lui.
A presto,
Ax.
|