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Autore: AlexEinfall    19/07/2015    3 recensioni
[Casey/Severide] Prima mia long-fic su questa coppia, che credo abbia un grosso potenziale.
Severide affronta Casey circa il suo comportamento sconsiderato, ma le cose non vanno mai come ci si aspetta. Questo è l'inizio di qualcosa oppure le resistenze e l'antico astio ostacoleranno la loro strada?
Un giorno qualunque alla Caserma 51 è destinato a cambiare ogni cosa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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26
Non solo parole


  Il fiume correva con calma, imperturbabile. Il sole era alto e padroneggiava un cielo privo di nuvole, ma la superficie dell'acqua sembrava non impressionata dalla sua forza. Anche a distanza, protetto dal parapetto, poteva sentire le gelide dita del fiume carezzargli la pelle.
  Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, le dita serrate intorno al ferro ormai caldo della balaustra.
  L'ultima volta che era stato lì con Matt, ogni cosa gli era sembrata perfetta. C'era il sorriso sul volto del biondo e nei suoi occhi, e lui poteva sentirlo in fondo all'anima. Poteva sentire le dita di Matt sulle sue, e a quel contatto qualcosa nel suo petto allargarsi, come un palloncino che attenda da sempre di essere riempito.
  Era bastato un attimo per raggrinzirlo. Un solo errore per distruggere ogni cosa. Uno stupido sogno, una stupida ossessione e una stupida decisione irrazionale per inquinare la sua felicità.
  Guardando indietro a quella notte e a quell'incubo, Kelly non riusciva a localizzare il momento esatto in cui il grilletto della vendetta era stato premuto. Non riusciva a capire come potesse qualcosa innescarsi all'improvviso. Suo padre una volta gli aveva detto che ci sono bombe che non puoi disinnescare finché non le fai esplodere. Forse era questo ciò che c'era nella sua mente, forse quella bomba era stata piazzata sotto il suo cranio quel giorno sul ponte.
  Ora c'era solo un modo per ritrovare la strada di casa.
  Quanto avrebbe voluto abbandonare tutto e tornare da Matt, tornare con tutto se stesso, e fare l'amore con lui senza null'altro a frenare la sua libertà.
  Odiava se stesso per esserne incapace.
  «Severide.»
  Si voltò e quando incontrò lo sguardo di Antonio, distolse il proprio. Strofinò il volto con il palmo sudato della mano, sperando che gli occhi smettessero di pungere.
  «Senza offesa, amico, hai un aspetto orribile.»
  «Lo so.»
  Antonio poggiò la schiena alla balaustra, incrociando le braccia al petto e guardandolo criticamente.
  «Che succede?»
  Kelly chiuse gli occhi ed inspirò aria pungente, prima di rilasciarla lentamente. «Ho bisogno del tuo aiuto.»
  Antonio inarcò le sopracciglia, invitandolo a continuare.
  Quanto odiava quella situazione! Si fece forza, perché ormai la porta era stata aperta, e gli serviva altra luce per distinguere tra le ombre che affollavano la stanza buia. Doveva fidarsi di Antonio, forse lasciare a lui le redini...Non era certo di riuscire ad arrivare fino in fondo, a liberarsi dell'armatura e lasciare a qualcun altro il compito di combattere quella battaglia.
  «Conosci un certo Tyrone?»
  Il detective irruppe in una breve risata secca. «Devi essere un po' più specifico.»
  «Il capo del tipo che avete arrestato ieri.»
  «Jeremy?»
  Quando Kelly annuì, Antonio serrò le mascelle, staccandosi dal parapetto e drizzando la schiena. «Stanne fuori»
  «Cosa?»
  Antonio distolse lo sguardo, puntandolo sugli edifici oltre il fiume. Sospirò pesantemente e si passò una mano tra i capelli, prima di guardarlo con decisione. «Ascolta, non so cosa tu hai in mente...ma stanne lontano, intesi?»
  «Qual è il problema?» sibilò Kelly.
  Improvvisamente si sentiva in trappola e aveva la sensazione che Voight gli avesse nascosto qualcosa. Accidenti, era stato davvero così stupido da fidarsi del detective? Ora gli sembrava di essere incappato in un gioco del quale non conosceva neanche metà delle regole.
  «Il problema è che Tyrone è nel libro paga di Voight da anni, e quando c'è lui di mezzo succede sempre qualcosa di molto molto brutto, mi capisci?»
  «No, e non mi interessa. Tyrone ha aiutato i Messer, lo sapevi?»
  Antonio sospirò, abbassando le spalle e annuendo.
  «Lo sapevi? Antonio, che sta succedendo?»
  «Okay, ascolta, questa conversazione non è mai avvenuta, ci siamo capiti?»
  Kelly non batté ciglio.    
  Antonio sospirò ancora e mormorò qualcosa tra i denti. Si guardò attorno, quindi infilò una mano nella giacca e ne estrasse un pezzo di carta. Quando lo girò, Kelly rimase senza fiato, più confuso di prima di fronte alla fotografia di un ragazzino. Doveva avere almeno tre anni in meno di come lui l'aveva visto, ma gli occhi erano gli stessi.
  Antonio rimise la foto al suo posto e poggiò una mano al parapetto. «Immagino tu lo abbia riconosciuto, Tyrone ce l'ha sempre intorno. Lo chiama Felipe, ma non è il suo vero nome. Quattro anni fa era parte di un gruppo di ragazzini scomparsi in un viaggio attraverso il confine messicano.»
  «Traffico umano?» chiese Kelly sgomento.
  La nausea lo colpì all'idea, rischiando di farlo chinare sull'asfalto.
  «Così sembra. Degli altri ragazzi non se ne ha traccia. Severide, parliamo di dodici ragazzi scomparsi, rapiti dalle loro stesse famiglie, capisci?»
  «Come...» la gola si serrò. Si passò una mano sul volto, cercando di impedirle di tremare. «Come può Voight avere a che fare con una persona che fa una cosa simile?»
  «Non è come pensi. Voight sarà anche marcio, ma non fino a questo punto. Tyrone ha preso il ragazzo nella sua banda, ma è escluso che sappia del giro. L'unico che potrebbe darci informazioni su chi regge il traffico è Felipe.»
  «Quindi...» Kelly non riuscì a finire la frase, perché la sua mente cercava di correre dietro tutte le informazioni.
  «Quindi Voight ti ha portato con sé per non destare sospetti. Doveva essere certo che Felipe fosse il ragazzo scomparso. Senti, mi dispiace di averti mentito, ma ci servivano le informazioni, lo capisci?»
  Kelly fece un passo indietro, allacciando le dita dietro la nuca e sollevando lo sguardo al cielo. Il respiro era troppo corto e lui sapeva di essere sul punto di perdere la calma.
  «Severide-»
  «No!» ringhiò, puntando un dito contro il detective. «Dannazione, Antonio! A qualcuno interessa prendere quei bastardi dei Messer o sono l'unico?»
  «Non sei l'unico» rispose seccamente Antonio. «Matt è un amico e noi stiamo facendo il possibile per trovare i responsabili. Ma tu...Severide, devi cercare di farti da parte. Finirai per farti male o fare un casino, fidati.»
  «Un casino? Come posso fare peggio di voi che non fate nulla?»
  Kelly era quasi certo che Antonio, dopo aver fatto un passo avanti, lo avrebbe colpito. Drizzò le spalle in attesa del colpo, che non arrivò.
  Il detective lo fissò a lungo, quindi disse: «Io so esattamente cosa provi, ci sono passato, credimi. Questa caccia alle streghe ti logorerà, perderai tutto quello che hai intorno, allontanerai le persone che ami perché per te non esisterà altro che la vendetta. E quando alla fine riuscirai a piantare una pallottola nella testa di ognuno di loro due, ti ritroverai con nulla. Sarai solo un altro assassino e nessuno, nemmeno le persone che ami e per le quali hai venduto l'anima, saranno dalla tua parte, perché di te non sarà rimasto nulla.»
   Kelly sentì lo stomaco contorcersi. Fissando il fondo degli occhi di Antonio, vide il futuro ipotetico nel quale non era troppo difficile specchiarsi.
  «Sei un brav'uomo, Kelly» disse alla fine Antonio, voltandosi.
  Si allontanò, salendo sull'auto senza aggiungere altro. Non serviva, non davvero, perché ormai per Kelly era impossibile assorbire altre parole.
  Guardò le proprie mani tremare senza controllo, mentre il sole continuava a battere la superficie di ogni cosa.
  Pensò ai genitori di Felipe, alla madre e il padre e i fratelli. Si chiese se anche loro avessero nella testa la stessa bomba innescata e come potessero andare avanti ogni giorno sapendo che la giustizia non era stata sritta per loro. Immaginò il dolore di non sapere dove il loro figlio e fratello fosse, se fosse vivo, o cosa avesse passato, come fosse diventato e se ancora fosse in grado di riconoscerli.
   E poi l'epifania lo scosse: Matt era ancora vivo. Lui poteva sfiorarlo, amarlo e viverlo ogni giorno.
   Non poteva disinnescare la bomba, né tantomeno farla esplodere senza far danni.
   L'unica alternativa era imparare a convivere con il costante ticchettio in un angolo della mente.
 





   Matt rimase in silenzio. Il suo sguardo si spostò dal soffitto solo in pochi punti salienti del racconto. L'espressione che in quei momenti rivolse al compagno gli serrò la gola, ma si impose di non vacillare, non fermarsi.
  Quando Kelly finì, rimase in attesa di una reazione, qualunque essa fosse. Sentiva la testa leggera, gli occhi bruciare e il sudore attaccarsi sulla nuca. Non era la catarsi che aveva desiderato e fantasticato durante tutto il viaggio di ritorno a casa.
  Ora che le sue colpe erano allo scoperto, sentiva di non riuscire a reggere un altro secondo di immobilità.
  Cominciava a credere che fosse meglio correre in bagno prima di rovinare il tappeto con la propria bile, quando Matt sospirò. Si passò una mano sul volto, stringendo e rilassando le mascelle diverse volte.
  «Mi hai mentito.»
  Non era una domanda, anche se Kelly sentì l'impulso di rispondere. Non era neanche un'affermazione. Lo sguardo di Matt era rivolto al pavimento, assorbito nel suo mondo interiore. Le spalle ebbero un sussulto, indicando un lungo sospiro. Matt si lasciò cadere sul divano, poggiando i gomiti alle ginocchia e infilando le dita tra i capelli corti.
  Kelly rimase immobile, osservandolo strusciare le mani sul volto, fino a fermarle in un saldo pugno sotto il mento. Riconosceva il lieve rossore alla guance e il luccichio degli occhi come segni della sua rabbia.
  Per la prima volta in mezzora, Matt alzò lo sguardo su di lui, guardandolo negli occhi. Kelly sentì i nervi cercare una strada per sgusciare via dalla pelle. No, lui non aveva mai avuto bisogno di giustificazioni, ma quello sguardo lo uccideva. Delusione.
  «Mi hai mentito» ripeté Matt. «Poi mi hai detto la verità. Tutta la verità?»
  Quella domanda era più dolorosa del suo sguardo e della sua stessa voce.
  Incapace di parlare, Kelly annuì deciso. Se in quel momento avesse perso la fiducia di Matt, avrebbe perso ogni cosa.

    Non farò un casino, non rovinerò tutto.
 
   Le sue stesse parole, ripetute a se stesso all'infinito in quei mesi, gli parvero un oscuro e spietato presagio. Quanto era stato ingenuo.
  «Okay» mormorò Matt, facendo forza sulle ginocchia per alzarsi. «Ascolta. Non ti dirò che non sono arrabbiato o che ti perdono, non ora.» Abbassò appena lo sguardo sulla sua t-shirt, prima di guardarlo. La distanza tra loro appariva a Kelly fredda e impersonale, ma sapeva che era ciò di cui avevano bisogno, ora. «Però, ti ringrazio...per avermi detto la verità, alla fine.»
  Kelly sentì di star per ridere e, involontariamente, gli angoli delle sue labbra si sollevarono i un tic nervoso.
  «Ora è meglio che esca» disse Matt, ponendo ancor più distanza mentre indossava la giacca. «Prima che ceda alla tentazione di darti un pugno.»
   Quando Matt uscì, Kelly rimase in piedi a guardare la porta. Non era certo di cosa avrebbe dovuto provare.





  Matt si ritrovò a vagare senza una meta precisa. Infilando le mani nelle tasche della giacca, percorse a falcate il primo isolato, prima di arrivare a uno stop. Si fermò e chiuse gli occhi, prendendo un grosso respiro.
  Kelly aveva mentito proprio a lui, malgrado fosse pienamente cosciente del peso che una menzogna potesse avere per Matt. Non poteva evitare di sentirsi ferito, nell'orgoglio e in posti ben più vulnerabili della sua mente. Mesi prima, non avrebbe creduto di riprovare quella particolare stretta al petto, quella che gli faceva sentire la testa leggera e le gambe molli. C'era rabbia, era innegabile, e c'era anche una ferita nascosta che riprendeva a pulsare.
  Aprì gli occhi ed esalò un lungo sospiro, che bruciò in gola. Cercò di rilassare le mascelle contratte e scoprì che le proprie dita erano serrate in pugni dolorosi.
  Kelly aveva mentito e l'aveva ammesso. Sostenendo il suo sguardo, aveva buttato fuori tutta la verità. A Matt veniva quasi da ridere, combattuto tra l'offesa e uno strano orgoglio.
  Kelly che per mesi aveva mentito sul suo infortunio e la sua dipendenza, senza mai distogliere lo sguardo mentre ripeteva Io sto bene. Lo stesso uomo aveva ammesso i propri errori, nudo e crudo, e Matt non poteva non pensare che l'amore davvero possa cambiare ogni cosa.
  Malgrado riuscisse a comprendere le ragioni del compagno, aveva bisogno di tempo per afferrare con mano quella consapevolezza e lasciare che essa sciogliesse il grumo di emozioni negative.
  Fu tentato di chiamare Gabby o Michael, ma nessuno dei due era disponibile a quell'ora.
  Estrasse il cellulare e compose il primo numero che gli venne in mente.
  «Stevens.»
  Matt rimase un attimo interdetto, quindi strofinò la nuca con il palmo sudato.
  «Sam? Sono Matt.»
  «Hey, Matt. Che succede?»
  Il biondo sospirò, poggiando la schiena a un palo.
  «Dimmi che hai ancora il turno di notte, perché ho decisamente bisogno del tuo caffé.»
  La risata infantile di Sam  in qualche modo riuscì a calmare Matt.
  «Ti invio l'indirizzo.»


   Un'ora dopo, Matt non ebbe dubbi del perché Shay avesse deciso di portare la sua relazione con Sam al livello successivo all'avventura di una notte. Se Leslie non nascondeva ciò che pensava e sapeva essere diretta, Sam possedeva la sottile e controversa arte di essere spietata e cruda, senza tuttavia alcuna cattiveria. Matt sentì quasi di dover chinare il capo a metà del lungo sproloquio della ragazza. Rimase in silenzio, annuendo di tanto in tanto, distogliendo lo sguardo e fissando il proprio caffé. Sam riuscì a colpire tanti nervi scoperti da farlo sentire nudo e indifeso. Incosciamente, strinse le braccia al petto, poggiando i gomiti sul piano della cucina.
  «Se la persona che amo facesse una cosa simile per me, la sposerei.»
  Questa fu la conclusione giusta e pungente dell'intero discorso, nel quale Sam denudò tutte le colpe e gli errori di Matt in quei due mesi, e quanto fosse ingiusto ora prendersela con Kelly. Matt lo sapeva, e sapeva che Sam era la voce di quel piccolo essere giudicante che era in fondo alla sua mente.
  Assorbito dalle proprie colpe, Matt non registrò il silenzio, fin quando divenne così teso da spingere Sam a schiarirsi la voce. Il biondo alzò lo sguardo su di lei e sospirò, rispondendo alla muta domanda trattenuta nello sguardo corrucciato.
  «Okay» mormorò, drizzandosi e alzando le mani in segno di resa. «Hai completamente ragione, sono stato un idiota.»
   L'espressione di Sam si addolcì e la sua voce divenne più soffice. «So che hai passato un periodo duro. Diamine, io al posto tuo sarei rannicchiata sul divano a guardare The L Word tutto il giorno, affogando nel gelato e nella mia sporcizia» disse, allungando una mano per prendere la sua. «Ed è normale essere arrabbiati, ma anche per Kelly deve essere stata dura. Se una cosa del genere succedesse a Leslie...»
  Sam rabbrividì e si morse il labbro. Matt le diede una stretta alla mano, sforzandosi di sorriderle.
  «Voi siete questo, Matt. Voi siete dei combattenti e lottate per quello che amate... Non c'è niente di brutto in questo. Ora va da lui e sistema le cose, perché non vale la pena far scaturire da una tragedia un'altra.»
  Matt chiuse gli occhi, massaggiandosi il ponte del naso con la mano libera. Sam aveva ragione e Matt sapeva che nulla di tutto questo dovesse essere facile per Kelly. Entrambi avevano reagito come avevano sempre fatto: cercare di farcela da soli, risolvendo il problema prima di capire quale realmente fosse.
  Ma lui sapeva, aveva imparato, che quello che ha sempre funzionato non è destinato a funzionare per sempre. Questa relazione era qualcosa di nuovo per entrambi.
  Si alzò, pronto a tornare a casa, quando Sam lo richiamò. Nei suoi occhi c'era un'espressione dura, ma non accusatoria. «Tutti mentiamo, Matt, e quando siamo fortunati lo facciamo per un buon motivo. Anche tu gli hai mentito, te lo leggo in faccia.»
  Improvvisamente, Matt si sentì tanto in colpa da non riuscire a reggere il suo sguardo.





   Il buio lo avvolgeva, schiarito solo dalla luna oltre le finestre. Si strinse nella coperta quando sentì la porta aprirsi. Chiuse gli occhi mentre l'uscio veniva richiuso con cura. Un sospiro risuonò nella stanza. Sapeva che era lui, sapeva che sarebbe arrivato per spiegargli le sue ragioni, ma lui non voleva sentirle. Gregory Casey voleva essere considerato nel giusto, sempre. Quando non poteva farlo in un'aula di tribunale, lo faceva tra le mura di casa, con i suoi sorrisi falsi e le sue parole studiate.
  Matt avrebbe voluto che credesse stesse dormendo, ma in fondo suo padre lo conosceva dannatamente bene.
  «Matthew.»
  Odiava quel nome. Suo padre e sua madre erano gli unici, al di fuori della scuola, a chiamarlo così, e quel giorno Matt decise che nessun'altro avrebbe dovuto.
   «So che non dormi» disse il padre, avvicinandosi.
   Matt poté sentirlo sedersi sulla sedia alla scrivania, quella sulla quale era stato Edward. Strinse gli occhi, impedendo alle lacrime di scendere. Non poteva mostrarsi debole con lui nella stessa stanza, neanche a se stesso, malgrado volesse solo la pace e la sicurezza della solitudine, per liberare le sue paure e i suoi dolori. Suo padre non sembrava volergli concedere neanche questo.
   «Non capisci quello che ho fatto, e forse mi odi, ma va bene così per ora. Sei un ragazzo intelligente e so che presto capirai, quando non sarai più arrabbiato. Tu meriti meglio di questo. Quella vita non fa per te, Matthew; tu sei meglio di questo, io lo so. Sei mio figlio e ti conosco meglio di chiunque altro. Eri confuso e ti sei lasciato trascinare da quel ragazzo.»
  Matt avrebbe voluto difendere Edward, ma le parole erano bloccate in gola. Quando suo padre cominciava la sua arringa, sembrava non esserci spazio per alcuna protesta.
   «Alle persone che fanno quel tipo di cose succedono cose brutte, lo capisci? Tu non lo sai perché sei giovane e ingenuo, e io voglio che non ti capiti mai di scoprirlo sulla pelle.»
   Lo sentì alzarsi e sospirare, e in qualche modo trovò la forza di chiedere:  «Mi manderai via come hai fatto con Chris?»
   «Certo che no, figliolo. Tua sorella è una testa calda. Sei tu il futuro della famiglia.» Il tono divertito nella sua voce, in qualche modo, fu peggiore di tutte le sue parole.  «Per questo sono sicuro che i miei nipotini verranno da te.»
   Matt si addormentò solo quando ebbe pianto tanto da restarne esausto. Dopo quella notte, non versò più lacrime per Edward. Quando il pensiero e i ricordi bussavano alla porta, lui li scacciava via. Non parlarono mai più di quello che era successo. Matt non ebbe mai la possibilità di confessare chi fosse in realtà, e in qualche modo lasciò che quella maschera divenisse la sua seconda pelle. Scoprì che poteva davvero provare un affetto profondo per le ragazze e le donne che si avvicinavano a lui, e si illuse di chiamarlo amore. Quando un ragazzo attirava la sua attenzione, risvegliando i suoi istinti, chiudeva gli occhi e prendeva un grosso respiro. Una ricaduta era inevitabile, ma la mattina seguente non c'era spazio per domande e ripensamenti. Rabbia era la prima emozione, dopo la vergogna. Non era avvenuto, si diceva. Era un incubo, qualcosa che non era lui.
  Perché Matthew Casey non era gay, non lo era mai stato e non lo sarebbe stato mai.





   Quando un battere frenetico risuonò tra le assi della porta, Kelly sobbalzò nel suo posto sul divano, nel quale aveva passato l'ultima ora e mezzo guardando cronache sportive senza un reale interesse. Impiegò qualche secondo ad alzarsi e raggiungere l'offeso uscio. Sbirciando nell'occhiello, vide il volto agitato di Matt. Si accigliò. Ricordò che Matt era uscito così di fretta da dimenticare le chiavi. Sospirò e afferrò la maniglia, preparandosi a uno scontro verbale che davvero non aveva voglia di affrontare. Ma, in fondo, sentiva di meritarlo.
  Raccolse respiro e forze e aprì la porta. Matt abbassò il pugno ed entrò nell'appartamento, sorpassandolo.
  Chiudendo piano la porta, Kelly poteva sentirlo alle sue spalle osservarlo in attesa. Si voltò e aprì la bocca per scusarsi ancora, ma Matt alzò una mano e lo bloccò.
  «Ho mentito.»
  Kelly rimase pietrificato. Né le parole né il tono erano quello che si attendeva. Malgrado la postura ancora tesa, la voce di Matt era calma e ragionevole. Lui poteva benissimo vedere tutti i piccoli indizi corporei che essudavano senso di colpa. Una strana agitazione gli montò in petto.
  «Io» mormorò Matt, prima di sospirare, gli occhi fissi sulla maglietta di Kelly. Quando li alzò e incontrò i suoi, Kelly fu quasi certo che dalle sue prossime parole sarebbe dipesa la propria vita. Era una sensazione sciocca e strana, ma non poté evitarla. «Quando tu hai detto tutto a Boden...quando Mills ci ha scoperti, e poi Hermann-»
  «Hermann lo sa?» si ritrovò a chiedere meccanicamente.
  Matt sospirò ancora e annuì. «Non è questo il punto...»
  «Allora quale?» chiese Kelly, con voce più dura del necessario. Matt sembrò urtato dal suo tono, ma si riprese in fretta.
  «Ti ho detto che non mi interessava chi lo sapesse, ma non era vero. Io ho provato vergogna» ammise.
  «Cosa? Ti vergogni di me?»
  «No... no, assolutamente.» Matt rimase in silenzio, come se cercasse di capire come rimediare al suo errore, o rovistasse nella sua mente per trovare le parole.
  Kelly sentiva il familiare fuoco dell'offosa serrargli i pugni, sovrastando le proprie colpe. La rabbia in quel momento gli sembrava il rifugio migliore, senza il quale sarebbe stato esposto al senso di tradimento che percepiva.
  «Kel...» mormorò Matt. La sua testa scattò e sembrò ricordare come usare le parole. «Quando mio padre...quando ha scoperto me e Edward...tu non hai idea di cosa ho provato.»
  Kelly serrò le labbra, perché Matt aveva ragione. In un modo contorto, avrebbe voluto saperlo.
  «Dopo quel giorno, mi sentivo sporco e sbagliato. Ho impiegato così tante energie a cambiare ciò che ero, ciò che sono... A nasconderlo. Ma quella vergogna non è mai andata via. Io so che essere ciò che sono non è vergognoso, non c'è nulla di sbagliato, ma non riuscivo a convincere me stesso ad accettarmi. Mio padre era un bravo uomo, ma aveva i suoi difetti...direi che mi ha incasinato il cervello, uhm?»
  L'ombra di un sorriso triste passò sul suo volto. I suoi occhi tornarono sui propri piedi, prima di alzarsi tentativi verso Kelly. Nello sguardo del compagno vide confusione, attenzione e una punta di tristezza.
  «Quando ho sentito alla radio la tua voce...eri in pericolo e lì ho sentito che nient'altro contava. Io non posso perderti, Kelly. Semplicemente non posso.»
   Kelly sentì la sua rabbia sciogliersi e qualcosa di molto più sereno e appagante espandersi nel petto.
   Non riusciva a dir nulla, ma malgrado ciò Matt disse: «Ora ascoltami e non parlare.» Appuratosi che Kelly avesse capito, Matt continuò: «Quello che hai fatto lo avrei fatto anche io. Diamine, se qualcuno avesse anche solo provato a sfiorarti lo avrei ammazzato. Non dico che è giusto, ma lo capisco. Noi siamo così, siamo combattenti, è quello che facciamo. Noi proteggiamo chi amiamo.» Matt distolse un attimo lo sguardo, passandosi una mano sulla fronte sudata, prima di guardarlo di nuovo. «Ciò non vuol dire che non mi hai fatto incazzare, ma che...lo capisco. Ma ti sei messo in una situazione pericolosa e la cosa peggiore è che non me lo hai detto non perché non volessi ferirmi. Non me lo hai detto perché sapevi che ti avrei fermato, e tu sei troppo fottutamente orgoglioso e testardo per lasciarmelo fare. Lo capisco. Avrei fatto lo stesso.»
  Kelly sentì gli angoli delle proprie labbra sollevarsi a tono con il battito del proprio cuore. Che diavolo aveva fatto per meritarsi un uomo del genere nella sua vita?
  «Io sono gay, Kelly» sputò fuori. Spalancò gli occhi, come sorpreso dalla forza di quelle parole. Era lui, era vero, ed era la cosa più giusta da dire. Alzò lo sguardo e sorrise così giovialmente che Kelly capì quanto quella semplice parola, in fondo, fosse capace di farlo sentire bene. «E ti amo, okay? Kelly, ti amo così tanto che farei qualunque cosa per te» ammise Matt, e Kelly non ebbe dubbi su quanto gli fosse costato dirlo, anche solo a se stesso. «Ma tu non permetterti mai più di fare una cosa del genere alle mie spalle. Se siamo nella merda, ci siamo insieme. Io voglio essere ovunque tu sei. Siamo insieme in tutto questo, intesi?»
  Matt riprese fiato e Kelly fu attratto dal petto che si alzava ed abbassava frenetico. Una scossa gli percorse la schiena, sciogliendo ogni ansia in un intenso desiderio in fondo allo stomaco. Alzò lo sguardo e lo fissò in quello di Matt. In quel momento, tutto il suo essere si sentiva attratto da lui come mai prima d'ora. Matt lo comprendeva ad un livello così profondo da scuoterlo. Non solo lo capiva, ma lo accettava. Kelly si sentiva nudo e sentiva quello sguardo, come dita calde, frugargli nel petto.
  «Siamo a posto, ora?» chiese in un sussurro.
  Matt roteò gli occhi, ma un sorriso gli curvò le labbra. «Certo, siamo a posto, Kel.»
  «Bene» mormorò Kelly, raggiungendolo. Gli poggiò una mano sul collo, carezzando il punto in cui poteva sentire le pulsazioni veloci del suo cuore. Inclinò la testa e ghignò. «Perché ora ho una voglia matta di portarti a letto.»
  Matt esalò la risata più liberatoria che Kelly gli avesse mai sentito.
  «Meglio per te che ne valga la pena.»








Note: Hello. Come scusa per la mia assenza, ho deciso di non tagliare questo capitolo come inizialmente pensavo di fare, così da darvi qualcosa di più sostanzioso da leggere. Il prossimo sarà presto in arrivo (cambio di pc e altre diavolerie tecniche mi hanno rallentata). Grazie ancora a Cecimolli e Sasuke_kun_Uchiha per la loro presenza. Vi apprezzo molto
Piccole precisazioni: la professione di Gregory Casey, così come tutto ciò che lo riguarda, è frutto di mie congetture e non è fedelle allo Show originale, dal quale si ricavano poche informazioni su di lui.
A presto,
Ax.
  
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