il demone della notte 3
Capitolo III –
epilogo
Dopo che il
terremoto ebbe scosso le Terre di Iktali nella Notte, il regno era precipitato
nel caos: all’inizio, il malcontento popolare sfociò in piccoli conflitti tra
villaggi e città vicine per la supremazia in una determinata regione. Con il
passare del tempo, le scaramucce divennero una guerra civile.
Girava la voce che
Tairan fosse morto e alcuni nobili, approfittando dell’occasione, si
autoproclamarono re: i loro regni duravano, però, poco. C’era sempre qualcuno
più spietato e scaltro di loro che pretendeva il trono.
La capitale divenne
ben presto un campo di battaglia per una guerra senza quartiere: fazioni
opposte si scontravano nelle vie e le stragi di civili erano all’ordine del
giorno.
Nessuno sembrava in
grado di cambiare la situazione: da ogni parte del regno giungevano notizie di
nuove battaglie, carneficine e rivolte.
Alla situazione già
compromessa sul piano politico e sociale, si aggiunse il dilagare di carestie e
pestilenze e la popolazione delle Terre di Iktali ben presto fu dimezzata.
La foresta intorno a
Raxum era sempre uguale: una moltitudine di scheletri di alberi morti che
cingeva un tempio abbandonato.
Tairan rabbrividì,
stringendo la mano sull'elsa della spada.
Appellarsi al
passato per vincere il futuro.
Non era sicuro che
ciò, insegnatoli da Tait nei mesi precedenti, potesse aiutarlo a vincere.
Da quando era
avvenuta la Notte, esattamente un anno prima, il sole non aveva più accarezzato
le terre di Iktali con i suoi raggi caldi: una sola, perpetua notte le aveva
avvolte, creando a una situazione di guerre civili in cui l'autorità del
sovrano non era più riconosciuta come tale.
Tairan aveva vagato
a lungo, disprezzato dai sudditi e abbandonato da chi chiamava amici.
Tait era la sua sola
compagnia: lui e il ricordo di Isgar lo spingevano ad andare avanti,
impedendogli di capitolare davanti a Nyris.
Era sfuggito ai suoi
stacchi già molte volte, sempre salvatosi, talvolta in extremis, grazie al
potere della spada.
«Che cosa devo fare
adesso?» aveva chiesto una sera a Tait.
«Combattere».
Combattere, per
guadagnarsi un futuro di luce e giustizia.
Combattere, per
salvare il regno.
«Nessuno potrà
aiutarti all'intero della foresta. Sarai da solo e la tua forza risiede nella
spada: essa contiene la speranza della giustizia. Il destino dello scontro tra
bene e male dipende da te».
Così Tait l'aveva
ammonito prima che entrasse nella foresta.
Ma in quel momento,
solo nell'oscurità, Tairan si sentiva fin troppo vulnerabile: quei canti
lugubri, che accompagnavano i suoi passi verso Raxum, gli facevano gelare il
sangue nelle vene. Figure etere di spiriti vagavano tra i rami: i loro colori
cupi spezzavano a tratti l'oscurità della foresta.
Ma Tairan, sebbene
non lo vedesse, era certo che lo spirito della Morte - compagno inseparabile di
Nyris - lo stesse seguendo.
Qualsiasi richiamo
degli animali notturni che lì abitavano lo faceva rabbrividire: ognuno di essi
gli appariva come un preannuncio della fine.
Poi, all'improvviso,
ogni rumore cessò: Tairan avanzò lentamente mentre la paura cresceva nel suo
animo.
Lo scricchiolare dei
rametti caduti a terra lo accompagnò fino alla scalinata del tempio.
Tairan si fermò:
sentiva la mano tremare sull'elsa e si disse che mai era stato così impaurito
prima di un combattimento.
Il tempio, corrotto
dal tempo e dalla potenza maligna, si erigeva maestoso davanti a lui.
Le colonne erano
avvolte da piante rampicanti e solo a tratti si poteva scorgere la policromia
del marmo.
Salendo i tre
gradini della scalinata, Tairan notò che sui muri si vedeva ancora
l'annerimento causato dalle fiaccole.
Si fermò davanti a
una colonna, allungando una mano per toccare la pianta che la ricopriva. Le
foglie che sfiorava cadevano a terra polverizzate.
Ogni cosa, in quel
tempio, aveva il sapore della morte: il tempo sembrava essersi fermato,
lasciando che il male s’impossessasse del luogo.
Tuttavia, Tairan si
sentiva messo in soggezione da quelle colonne.
C'erano molte
leggende su Raxum: una di queste riguardava la sua costruzione.
Dopo aver ascoltato
quella leggenda, Tairan aveva passato molte notti a fantasticare sulle creature
che l'avevano costruito.
Quegli strani esseri
- ghoul, spiriti elementari e famigli - avevano popolato i suoi sogni di
bambino. Alcuni dicevano che su alcune colonne si vedessero i segni lasciati
dagli artigli dell'Ultimo Drago.
Tairan accarezzò
un'ultima volta il fusto della colonna prima di avanzare nel pronao.
Continuava a
guardarsi stupito intorno, certo di essere uno dei pochi sovrani di Terre di
Iktali a mettere piede in quel tempo così antico e maledetto.
«Cosa vi succede,
maestà?»
Tairan alzò gli
occhi, fissando un famiglio che lo guardava con aria di scherno.
«Avete forse paura,
maestà?» aggiunse un altro, arrampicandosi velocemente su una colonna.
«Guardate, guardate,
sua altezza va alla morte: alla corte lugubri canti intonare voi possiate»
cantilenò uno spirito del fuoco, volteggiando sopra la sua testa.
Tairan. alzando la
testa, notò che aveva un colore diverso da quello di Tait: le sue fiamme erano
d'un rosso cupo, quasi nero.
«Venite a offrirvi
in sacrificio a colei che regnerà sulle terre di Iktali?» gli chiese un piccolo
famiglio posandosi sulla sua spalla.
Tairan lo scacciò
con un gesto stizzito della mano, avanzando più velocemente.
Il coraggio gli
veniva meno a ogni passo: si sentiva impaurito quanto un contadino la prima
volta che si presentava al suo cospetto.
Tante volte aveva
visto il terrore negli occhi mentre, inginocchiati davanti al trono,
balbettavano le loro suppliche. E in quel momento era certo di avere lo stesso
terrore dipinto sul viso intanto che si accingeva a varcare l'ingresso di
Raxum.
La presenta di
spiriti e famigli sopra la sua testa lo irritava abbastanza: fece per estrarre
la spada ma, allarmato dallo sfrigolio prodotto dalla lama sul fodero, uno
spirito gli fermò la mano.
Persuaso dalle sue
parole, Tairan rinfoderò la spada e, accompagnato dal coro di voci non troppo
rassicurante del gruppo di spiriti e famigli, varcò la soglia del tempio.
L'edificio era
composto di una sola, grande sala e spessi muri la circondavano.
Sul pavimento c'era
una scritta di colore rosso sangue: la profezia che gli aveva cambiato la vita
si stagliava minacciosa davanti ai suoi occhi. Un ammonimento per il futuro o
un richiamo del passato?
Tairan non seppe
dirlo.
Estrasse la spada
dal fodero, ripetendo tra sé il giuramento di venticinque anni prima, il giorno
della sua incoronazione.
Nel ricordarsi della
cerimonia, non riuscì a non pensare a Isgar. Quel giorno, fu lui a posargli la
corona sul capo; quel giorno, gli giurò fedeltà.
Tairan si avvicinò
con cautela al braciere posto sul fondo della sala, tenendo avanti a sé la
spada: all'interno di esso vi era il globo luminoso. Lo toccò con la punta
della spada e quello si agitò. Tairan non nascose un sorriso vedendo che il
globo si muoveva all'impazzata quando era toccato dalla spada.
Tairan osservò la
sala del tempio: sembrava che anche in essa il tempo si fosse fermato. Le
statue degli antichi idoli, poste nelle nicchie alle pareti, fissavano Tairan
con lo stesso sguardo di pietra con cui, anni addietro, avevano scrutato i
fedeli.
Avanzò fino al
centro della sala, fermandosi davanti a un trono coperto da un drappo nero con
ricami dorati.
Accanto a esso, notò
una spada: probabilmente, Nyris avrebbe usato quella nello scontro.
«Sei venuto a
morire, Tairan?»
«Sono qui per
riportare l'ordine nelle Terre di Iktali. È troppo tempo ormai che i tuoi
spiriti dilagano nel regno portando morte e distruzione!»
«È passato un anno
dalla Notte. In questo giorno si deciderà la sorte di queste terre».
Tairan, nel sentire
quelle parole, sussultò e la spada gli cadde di mano. Dalla penombra, vide
venire avanti uno spirito.
«Isgar...»
Nyris rise,
spezzando il silenzio che si era formato.
«Vedo che nel tuo
animo si mescolano paura e incertezza: ma ciò può essere un bene. Per me» disse
sprezzante Nyris sedendosi sul trono. Rivolse a Tairan un'occhiata di sfida,
subito ricambiata da quello.
«La vostra spada,
maestà».
Isgar teneva la
spada tra le mani e Tairan la prese, senza mai staccare gli occhi da lui. Lo
spirito indugiò a lungo con la mano sopra quella di Tairan.
«Isgar... Cosa ti è
successo?»
«Credo sia giunto il
momento di spiegargli alcune cose. Non lo credi anche tu, Isgar, figlio di
Iagei?»
Isgar strinse i
pugni, rivolgendo uno sguardo carico d'odio a Nyris. Sospirò, allottandosi da
Tairan e posando una mano sul bordo del braciere.
«Kecycira ha
divorato il mio corpo. Ti ho aiutato con il fuoco e per mezzo del fuoco sono
perito. Ahimè! Quanto dolore rivederti adesso!»
«Tait... Allora
l'hai evocato tu?»
Isgar lo guardò,
annuendo poi con la testa.
«Era l'unico modo
che avessi per salvarti: riesco... riuscivo ad evocare solo spiriti
elementari».
«Capisco. L'unica
cosa che posso fare è ringraziarti. Tait mi ha aiutato in questo anno».
«Perché l'hai
chiamato lealtà?»
Tairan sorrise.
«Perché tu sei
l'unico che mi sei rimasto fedele in ogni momento: ho visto persone
abbandonarmi nel momento del bisogno».
«È stata anche la
prima parola che hai imparato nella lingua degli spiriti».
Sorrisero entrambi e
poi Isgar riprese a parlare.
«Immagino che tu
abbia molti dubbi».
«È così, infatti».
«Mi spiace averti
nascosto per così tanto tempo verità forse importanti. Cent'anni prima della
notte, Iagei - mio padre - evocò un demone dell'abbondanza: questa zona era
molto povera e molte persone chiedevano insistentemente aiuto all'oracolo di
Raxum. Sollecitato da tali richieste, mio padre evocò un demone con la
convinzione che avrebbe cambiato la situazione. Purtroppo la situazione gli
sfuggì di mano: evocò un demone troppo potente che-».
Nyris lo interruppe.
«Non appena ebbi
l'occasione, gli tutte le sue conoscenze sull'arte dell'evocazione. Da quel
momento in poi, Iagei non poté evocare più uno spirito. A causa di ciò, il
medaglione che portava al collo diventò nero. Alcuni spiriti li rimasero fedeli
nonostante tutto: ne hai avuto la prova, Tairan, quando ti invitò a Raxum e
quello spirito ti condusse fino al limitare della foresta. Altri, invece,
passarono sotto il mio comando e l'oscurità macchiò il loro splendore. Da quel
giorno in poi, gli spiriti vagarono nella foresta, aspettando il momento in cui
sarei giunta al massimo del potere e avrei potuto impadronirmi del potere. Ci
sarebbero voluti cent'anni.
In ogni caso, volli
premiare chi mi aveva permesso di portare a buon fine questo: feci in modo che
Iagei vivesse fino alla Notte, in modo da vedere a cosa aveva portato il suo
gesto».
«Ma la sua crudeltà
non finì qui» Isgar riprese a parlare.
«Avevo osservato
tutto, nascosto dietro una colonna e, non appena ne ebbi la possibilità,
scappai dal tempio attraverso la foresta. Per tutto il tempo, sentivo gli occhi
di Nyris addosso. Per tutto il tempo della fuga, uno spirito del tempo mi
volteggiò intorno. Non appena uscii, notai che sul braccio avevo una catena di
anelli concentrici: era il simbolo della maledizione. Per me, ogni cinque anni
equivalevano a uno».
«Capisco...»
«Arrivai nella
capitale dopo giorni di cammino e mi rifugiai presso un vecchio amico di mio
padre. Rimasi presso di lui per otto anni: quando ne compii sedici, lui fu
chiamato a corte per insegnare al principe. Mi portò con sé e come ci siamo
incontrati lo sai. Quello che ti ho nascosto è il perché avessi quel vestito».
Tairan gli si
avvicinò, facendo poi intrecciare le loro mani.
«Dimmelo...»
«Votia aveva una
figlia che purtroppo morì in tenera età. Straziato dal dolore, mi pregò di
prendere il suo posto visto che nessuno sapeva della mia presenza nella
capitale. Accettai e quando fummo invitati al ballo fui costretto a indossare
quel vestito. Rimasi in terrazza tutto il tempo per la paura che, ballando,
qualcuno avrebbe scoperto la verità».
«L'hanno scoperta
tutti grazie a te» gli disse Tairan alzando un sopracciglio e Isgar sospirò.
«Isgar!» urlò Nyris
e quello fu costretto a lasciare la mano di Tairan per avvicinarsi a lei; prese
la spada che il demone teneva tra le mani e si avvicinò nuovamente a Tairan,
fermandoglisi davanti.
«Combattete!» ordinò
ai due.
«Isgar... Cosa cu
succederà?»
«È semplice: se
vinci tu, io scomparirò per sempre e di me resterà solo il ricordo. Se vinco
io...»
Isgar si voltò verso
Nyris, implorandola con lo sguardo.
«E va bene: farò in
modo che l'ultimo desiderio espresso da Isgar si compia».
«Cos'hai
desiderato?» chiese Tairan incuriosito.
«Che al momento
della morte, tu diventassi uno spirito. Così saremmo rimasti insieme per
sempre...»
Tairan sorrise,
accarezzandogli il volto.
«Non potrei chiedere
di meglio...»
«Pensaci bene,
Tairan. Sconfiggendomi, avresti la possibilità di portare nuovamente questo
regno allo splendore».
«È vero, non lo
nego. In ogni caso, anche se ti vinco, dovrei scontrarmi con lei. E non sono
sicuro di riuscirci. In quel caso, rimarrei con il dolore di averti perso per
sempre e la consapevolezza di essere stato la causa della rovina definitiva
delle Terre di Ikatli. Lo capisci, Isgar, che ormai non possiamo fare più
niente? È troppo tempo che il male spadroneggia!»
«Lo so, Tairan.
Ma...»
«Ma, cosa, Isgar?
Abbiamo fatto il possibile, ogni tentativo è vano!»
«Sei il solito
idiota! Preferisci arrenderti adesso e non provare nemmeno a salvare il tuo
regno?»
Tairan scosse la
testa.
«Non è questo: so
già che la mia mano vacillerebbe nel colpirti. Non riuscirei mai a convivere
con la consapevolezza di avere fatto scomparire la persona che amo».
Isgar sussultò.
«Tutto... Tutto ciò
che Tait ha cercato di insegnarti in questi mesi non è servito a nulla?»
«Io volevo solo
ritrovarti, Isgar. Volevo vederti un'ultima volta prima di morire. E ciò che
Tait mi ha insegnato, è servito a far prendere forma al mio progetto di
rivederti. Sei stato l'unico che mi ha sempre sostenuto e senza di te io non
sapevo che fare...»
«Tai...»
«Da quant'è che non
mi chiami così?»
«Dal giorno della
tua salita al trono».
Tairan, sorridendo,
gettò la spada lontano e il rumore metallico risuonò nella stanza.
«Fai ciò che devi
fare, Isgar!»
Lo spirito si voltò
verso Nyris, annuendo poi con la testa.
Il demone si
accarezzò il mento, osservando compiaciuta la scena: il suo piano stava
finalmente per giungere a compimento.
«Non è per volontà
mia se adesso questa spada ti darà la morte...» mormorò Isgar mentre, con mano
tremante, affondava la spada nel petto di Tairan.
Il sangue macchiò
subito le sue vesti e il sovrano cadde a terra, tenendosi una mano sulla
ferita.
Isgar gli si
inginocchiò accanto, prendendogli una mano e stringendo a sé il corpo
dell'altro. Tairan cercava di tenere gli occhi aperti ma sentiva le forze
venirgli meno. Isgar iniziò a cantare, accarezzandogli dolcemente i capelli e
Tairan sorrise appena nel riconoscere la canzone che aveva rallegrato la notte
in cui si erano conosciuti.
Nyris si avvicinò ai
due e fece segno a Isgar di spostarsi: quello ubbidì, raccogliendo la spada e
allontanandosi di pochi passi.
Nyris pronunciò
alcune formule rituali e Isgar osservò con apprensione tutta la scena.
Non appena Nyris
ebbe finito, Isgar si avvicinò al corpo di Tairan, rimandando immobile accanto
ad esso.
Nyris, intanto, era
giunta sulla scalinata: si voltò indietro un'ultima volta, osservando Tairan e
Isgar che si abbracciavano, piangendo la loro sorte.
Ghignò e iniziò a
camminare attraverso la foresta: man mano che avanzava, gli spiriti formavano
un corteggio dietro di lei. Accanto al demone camminava lo spirito della Morte.
Narrano le cronache che a distanza di un anno e otto
giorni dalla Notte, Nyris prese il potere.
Molti ricordano che la cerimonia fu solenne e
sfarzosa.
A partire da quel giorno, interi villaggi furono rasi
al suolo e gli spiriti, corrotti dal male, portavano la rovina in ogni parte
del regno.
Dicono anche che solo due spiriti, eterni prigionieri delle
colonne di Raxum, si siano salvati dalla violenza e dalla furia del demone.
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