That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Orion - OB.002
- Rimorso
-- revisionato luglio 2018 --
Orion
Black
Manchester, UK - marzo 1954
“Sono incinta
…”
Non potevo evitare di ripetermi quelle parole nella mente, mentre
bevevo al bancone di un pub.
Che cosa provo? Eccitazione... Paura... Terrore... Vergogna...
Felicità…
In che ordine? Felicità… Vergogna? No, terrore
forse…
Nella mia mente si stagliavano molteplici scenari, in cui mi vedevo
felice come mai avevo creduto possibile, e disperato, più
che nei miei incubi peggiori. Non sapevo cosa fare, cosa fosse meglio
fare, ma dovevo decidere in fretta, molto in
fretta.
Chiesi al barista un altro Firewhisky,
l’ennesimo, quella sera.
Quali scelte ho? Fuggire? E dove? Quanto lontano dovrei andare
perché mio padre non ci trovi? E come
potremmo vivere fuggendo e nascondendoci per tutta la vita?
Restare e affrontarlo? Che cosa può farmi in fondo?
Uccidermi? Diseredarmi? No, sa che, al punto in cui siamo, non me ne
importerebbe nulla… Fare del male a Elizabeth, rapirla,
ucciderla? Sì, è questo che farebbe, punirebbe la
mia ribellione lavando con il sangue di Elizabeth e di nostro figlio la
vergogna e il disonore.
Potrei minacciarlo: nessun figlio Black se
toccherai Elizabeth! No, per lui e per quel pazzo di Pollux
l’onore dei Black vale più di tutto…
Elizabeth rischia troppo...
Fuggire, la soluzione migliore per noi due è
fuggire…
O forse…
Bevvi altri bicchieri di seguito, la gola talmente chiusa dai miei
pensieri da non sentire nemmeno il liquido scendermi dentro.
Devo fare il Black fino in fondo, ciò in cui sono
tanto bravo: abbandonarla al suo destino, ferirla con la mia scomparsa,
farmi odiare da lei per assicurare l’incolumità
sua e di nostro figlio. Poco importa se morirò o
impazzirò lontano da lei. Poco importa
se….
Il barista mi negò l’ennesimo bicchiere,
così piazzai i Galeoni sul bancone, mi alzai a fatica e mi
avviai all’uscita.
La nebbia gelida mi avvolse mentre
barcollando mi avviavo Merlino solo sapeva dove. Ondeggiai
per un po' fino a un muro…
E lì io,
Orion Arcturus Black, svenni. Come un alcolizzato
qualsiasi.
***
Orion
Black
74, Essex Street, Londra - giugno 1954
«Mi dirai mai che cosa sta
succedendo?»
Alshain stava dietro la sua copia del “Daily
Prophet”, sul divano del salotto, Mirzam giocava con le figurine dei giocatori di Quidditch sul tappeto, ai suoi
piedi, io ero perso a osservare i vetri
striati dalla pioggia, gli arabeschi delle gocce che si fondevano tra
loro mi ricordavano i giochi delle mie dita tra i capelli di Elizabeth. Il
vetro mi rimandava un’immagine che non era la mia, barba di
diversi giorni, sguardo vacuo, capelli in disordine
all’inverosimile. Non ricordavo nemmeno che giorno
fosse e come fossi arrivato a Londra. Mi ero ritrovato a Essex Street
di prima mattina, probabilmente al termine di una notte di
vagabondaggi. Merlino solo sapeva cosa diavolo cercassi, ciò
che avevo perso non si trovava di certo lì.
Quando mi aveva visto, Alshain mi aveva squadrato severo ma mi aveva
fatto entrare, aveva chiesto alla Maganò che gli
faceva da domestica di prepararmi un bagno e dei vestiti puliti, poi,
paziente, aveva aspettato che il brutto della sbornia passasse. Con
Sherton da un po' non ci vedevamo molto spesso: dopo essere fuggito
come un vigliacco dalla casa di Elizabeth, lasciandole una busta piena
di soldi per qualsiasi necessità e la chiave di una cassetta
di sicurezza alla Gringott -come se fosse questo che le sarebbe mancato
di me, di noi, della vita che avevamo sognato-, mi ero rifugiato nel
Cornwall.
Mi ero detto stanco e provato dai continui viaggi e, per
evitare imbarazzanti domande da parte dei miei, avevo acconsentito che
il matrimonio con Walburga avvenisse il prima possibile. La cerimonia,
con soddisfazione di tutti, era stata fissata per la primavera successiva, il
tempo di rendere abitabile il 12 di Grimmauld Place e organizzare
quella che si preannunciava una festa faraonica, di cui tutto il
mondo magico avrebbe parlato. Inutile dire che dopo aver
fatto il mio dovere verso la famiglia, erano iniziati i miei
vagabondaggi tra pub e bordelli, per ottenebrarmi la mente il
più possibile e annullare la mia coscienza, che aveva molto da urlarmi contro, in quel periodo.
«Come hai detto
scusa?»
«Ho ricevuto
l’invito per il tuo matrimonio, pensavo che me
l’avresti detto a voce, molto prima che mi arrivasse
questo.»
Mi voltai, aveva tra le mani una pergamena pregiatissima, firmata
personalmente dalla mia “adorata” futura consorte:
anche a distanza riconoscevo la sua firma leziosa dipanarsi tra
svolazzi d’inchiostro. Cercai di non mostrare alcuna
emozione.
«Non sapevo che fossero già in giro, non mi occupo io di certe faccende, Walburga vuole decidere su tutto… »
«Orion, non
prendermi per il culo, per favore, io ti conosco!»
Sospirai e andai a versarmi da bere, sedendomi pesantemente sulla
poltrona di fronte a lui, Alshain rapido fece sparire tutti gli alcolici
dalla stanza: lo guardai supplice e ricevetti a mia volta uno sguardo
di completa disapprovazione.
«Parlarne non serve a nulla,
Alshain, lasciamo perdere… »
«No che non lascio perdere,
Orion, sono più di dieci anni che ti conosco e
non ti ho mai visto così, non faremo finta di
nulla!»
Si sporse verso di me, prendendomi per l’avambraccio, come
faceva sempre.
«Lo sai, io devo fare un
figlio che sia al 100% Black… »
Mi uscì una risatina isterica, il mio cervello ormai
sembrava incartarsi sempre sul concetto di “FIGLIO”.
«Lo sai da sempre, Orion, ma
mai ti sei ridotto a un relitto umano per questo! Io non
capisco… »
Mi guardava stranito, aveva la stessa faccia che avevo io quando ero
tanto lucido da pensare a cosa avessi fatto.
«Non ho intenzione di parlarne.»
Sospirai. Mentire, avere segreti con Sherton era devastante, mi sentivo
male per il senso d’isolamento in cui mi ero cacciato
da solo. Stavolta però avevo inanellato una serie di cazzate una
dietro l’altra e nemmeno Alshain avrebbe potuto
trovare qualcosa di buono in tutta quella dannata storia.
«Sfogarti ti farebbe bene
Orion, il bicchiere non ti serve a nulla, mentre io potrei
aiutarti!»
«Io… no… nessuno mi può più aiutare, e tu… tu non
capiresti... io… »
«Sembra quasi che tu abbia
paura di me, Orion, com’è possibile?
Dopo tutti questi anni non sono più l’amico cui
affideresti la tua vita a occhi chiusi?»
I miei occhi gli dissero che era così, che solo di
lui potevo fidarmi, ma che stavolta ero andato troppo oltre.
Alshain parve capire, di sicuro mostrava
indulgenza e pena per me. Forse persino paura per me. E qualcosa mi si sciolse dentro, anche se sapevo che non potevo permettermelo, perché
l’abisso era ormai a un passo.
Mi alzai, non riuscivo a
guardarlo in faccia mentre raccontavo, tornai alla finestra, vedevo la
sua immagine riflessa, stava a capo chino e si torturava le mani una con
l’altra, ansioso, mentre facevo un riassunto molto stringato e
lacunoso della situazione.
«Ho conosciuto una donna
durante i miei viaggi, sto… stavo bene con lei, ma
come puoi immaginare era una storia senza futuro.»
«E chi lo dice, Orion? Se
ricordi, neanch’io avevo la benedizione di mio
padre, ma Deidra in questo momento è di
là e Mirzam è proprio qui, davanti ai nostri occhi!»
Alzò la testa di scatto per guardarmi attraverso i nostri
riflessi.
«Sai che noi Black siamo diversi, sai bene cosa vogliono tutti da me.»
«Orion, la tua famiglia
rischia di morire con te, se non nasce almeno un maschio. Se
ti sposassi con questa donna e avessi un figlio da lei, avresti
comunque salvato il nome dei Black, indipendentemente dal cognome di
tua moglie: a quel punto tuo padre smetterebbe di fare lo schizzinoso e
tu vivresti in pace. E felice!»
«E invece no, Alshain!
Vedi… io… lei... lei era… lei... è... lei...
Elizabeth è… Mezzo... sangue… »
Cercai invano di mantenere la voce ferma. No, non me la sentivo di
aggiungere altro. Non avevo detto ad alta voce nemmeno a me stesso cosa
ero stato capace di fare. Non finii la frase, annientato dal chiasso
del suo silenzio. Per lui, probabilmente, già il fatto che
fosse Mezzosangue era imperdonabile, figuriamoci se avesse scoperto
tutto il resto. Per questo non osavo alzare lo sguardo su
Alshain: immaginavo di vedere dipinto il disprezzo e il disgusto sul
suo viso. Ed io non sarei riuscito a sopportare in lui, nel mio migliore amico, in quello che era di fatto mio fratello, lo stesso disprezzo che vedevo in me ogni volta
che, sobrio, mi guardavo allo specchio.
«Ok...
stavolta hai superato te stesso ed anche me… diciamo di
molto, Orion... lo ammetto!»
Rise, non riuscivo a capire se a rompere il silenzio fosse una risata
isterica o una delle sue solite risate spensierate: avevo il cuore
che mi rombava fin nelle orecchie, per la prima volta avevo detto ad
alta voce la verità o almeno una
parte di essa e mi confondeva il fatto di non essere stato colpito
da un fulmine come meritavo, mentre lo dicevo, tanto più che c'era un bambino, un innocente, a fare da testimone alle mie bestemmie.
«Merlino santissimo, Orion,
potresti diventare uno degli uomini più ricchi
d’Inghilterra se tuo padre lo sapesse, te ne rendi conto? Non
potrebbe non restarci secco, per questa storia! E tu, invece di
prepararti a festeggiare ti riduci così e organizzi il
matrimonio con la befana?»
«Che cosa diavolo stai dicendo
Alshain? Questo non è uno scherzo! Questa
è… »
«Questa donna ti rende felice
e si capisce che tu la ami! Ti pare il caso di ridursi come un
vagabondo per il suo stato di sangue? Dove sta il problema? Cosa
diavolo t’interessa del resto? Che ci pensino Cygnus e Alphard a dare un erede alla famiglia, sono Black anche loro! E tu, al massimo farai la fine di
quei tuoi due o tre avi che si son fatti cacciare di casa per storie
simili a questa, sai che perdita! Deidra ed io saremo lieti di ospitare te
e la tua compagna, e se avrai bisogno di aiuto, quello che è
mio, è tuo, lo sai… ma col fiuto per gli affari che
hai, non avrai problemi, non sei certo il tipo d'uomo che ha bisogno dei soldi di suo padre, come i tuoi cognati rammolliti! Bene, naturalmente ora mi
aspetto di farti da testimone al tuo vero
matrimonio, fratello mio!»
Dov’era il disgusto nei suoi
occhi, quello che avevo visto per mesi ogni volta che avevo immaginato
quella scena? Se gli avessi parlato di tutto il resto che cosa
sarebbe successo? No! Di quello non potevo parlarne nemmeno
con lui. Era vergogna
quella che sentivo nel cuore? O solo paura? Paura di essere
tradito? Paura che… Non potevo espormi, no, nemmeno con
Alshain. Probabilmente mi vide turbato, perciò cercai di
depistarlo.
«Tu sei un pazzo! Ci sarà un solo e
unico matrimonio, Alshain, quello con Walburga Black, perché io non intendo
essere cancellato dall’arazzo di famiglia! Io sono un Black e sono
orgoglioso di esserlo, io credo nei principi della mia famiglia,
io… »
«E allora
abbandona la donna che ami e il futuro che potrebbe darti, per i tuoi
maledetti principi, BLACK! Sposati con la tua dannata cugina, Black e purosangue,
facci un figlio PUROSANGUE, da sacrificare alla NOBILE e ANTICHISSIMA CASATA
dei BLACK, rendilo INFELICE come stai rendendo infelice te
stesso! Guarda bene quella finestra, BLACK, perché la
parte migliore della tua vita ti sta scivolando via dalle mani
come quella pioggia su quei vetri! Ti stai rendendo la vita un inferno per che cosa? Per
degli stupidi pregiudizi! Ecco cosa stai facendo!»
Mi sentii soffocare da un’onda che mi montava nel petto, ma
cercai di scacciarla argomentando la mia difesa.
«Non sono stupidi pregiudizi,
cosa sarebbe accaduto se avessi avuto un figlio? Io non voglio che si
parli di me come di un traditore del sangue! E anche tu devi
finirla di parlare come se lo fossi!»
«E se lo fossi davvero? Eh, ci hai mai pensato? O se un giorno lo diventassi? Che cosa faresti, Orion? Manderesti al diavolo me? Manderesti a puttane la nostra amicizia? Se
scoprissi che il mio non è solo un atteggiamento aperto, se
ti dicessi che mi piacciono i miei vicini babbani, i loro vestiti, le
loro cose, se me li volessi scopare, se ti dicessi che non vedo differenza tra il mio
sangue e il loro, che... »
«BASTA!
SMETTILA! PER MERLINO E TUTTI I FONDATORI, NON DIRE QUESTE BESTEMMIE DAVANTI A ME
E A TUO FIGLIO!»
«E tu apri gli occhi e impara a
riconoscere il vero valore di ciò che ti
circonda, Black!»
«Visto come la pensi su certi argomenti, non sei tu a potermi dire cosa ha
vero valore, Sherton!»
«Beh qualcuno deve avere il
coraggio di dirtelo, invece, perché stavolta stai toppando
di brutto, consideri importanti più le teorie
sulla purezza, del figlio che potresti avere un
giorno! Ecco che cosa stai facendo!»
Rimanemmo in silenzio, io non avevo più parole, sentivo solo
un calore umido sul viso, senza accorgermene stavo
piangendo, Alshain si tratteneva a stento dal dirmi anche di
peggio, ma di colpo la sua diventò la faccia di chi ha messo a posto
l’ultima tessera e vede per la prima volta il quadro nella
sua completezza. Mirzam smise di giocare, silenzioso, con quegli occhi
di luna puntati, meravigliati e adoranti, verso suo padre, Alshain, in silenzio, gli fece il cenno di lasciarci soli e il bambino uscì dalla stanza. Io pensavo soltanto che quel figlio che avevo abbandonato avrebbe potuto un giorno
guardarmi nello stesso modo e che ero stato io a distruggere quella
possibilità. Per sempre. Il cuore mi mancò un
colpo.
Mio figlio… Con i miei occhi, il mio sangue…
A pensarci adesso, non era affatto importante che quel sangue per
¼ fosse babbano, in confronto alla possibilità di
vivergli accanto come Alshain poteva fare con suo figlio. Io non avevo
avuto le palle che aveva lui. Io non avevo avuto il coraggio
necessario ad affrontare le conseguenze. Mi ero illuso di
averlo fatto per proteggerli. In realtà era solo
la scelta più semplice, la sola che poteva fare un vigliacco
come me.
«In
realtà, quel figlio… quel figlio
c’è già, non è
così, Orion? E tu… »
Di colpo sembrava invecchiato di decenni, di colpo sembrava portare
sulle spalle lo stesso peso che avevo io. Si lasciò ricadere
sulla poltrona, le mani affondate nei capelli.
«Cosa cazzo hai fatto, Orion?
Ti prego, dimmi che non è quello che
penso!»
Rimasi in silenzio, a lungo, poi, con la voce di un fantasma, le parole iniziarono a uscire, a singhiozzi.
«Quando me l’ha
detto… alcuni giorni dopo sono… sono tornato a
casa... e mentre lei non c’era... le ho lasciato una busta... con del
denaro... la chiave di un conto alla Gringott... che ho aperto per lei... e il
bambino, e… »
«Salazar santissimo! Come hai
potuto? COME CAZZO HAI POTUTO FARE UNA STRONZATA SIMILE?»
«Non avevo scelta, se mio padre l’avesse scoperto, di
sicuro li avrebbe uccisi, solo per farmela pagare! Lo capisci?»
«Oh sì, Orion, ed
è stata sempre per paura di tuo padre che sei stato tanto
vigliacco da non dirglielo di persona, da lasciarle un
biglietto… un biglietto, Orion?! Ah già, e dei
soldi, trattandola come che cosa? Una puttana da ricompensare? O un
problema di cui liberarsi? Sei… sei senza vergogna e senza
morale, ecco cosa sei!»
«Ho solo pensato di essere un
pericolo per loro… io… l’ho fatto per
loro… solo per loro... »
«Hai ragione, questa è l’unica cosa
giusta che hai detto finora: tu sei un pericolo,
anzi meglio, tu sei una disgrazia, ecco cosa sei!
Merlino santissimo! Mandare a puttane la tua vita così... e per che cosa? Perché non sei venuto da me? Perché, Orion? Avrei potuto nascondervi, e lo sai! Magari non a
Herrengton, se lei è Mezzosangue, senza l'aiuto di mio padre, sarebbe difficile anche per me... ma Merlino mi è testimone, avrei potuto nascondere tutti voi ad Amesbury per mesi, addirittura per anni! Perché non me l'hai chiesto? Davvero ti fidi così poco di me? Avevi paura che ti tradissi? Che mi facessi schifo? NO... era a te che faceva schifo… il suo sangue non ti faceva schifo quando te la scopavi, ma era
troppo impuro per fartela considerare un essere umano...
“Che cosa m'importa, le diamo due soldi e ce ne liberiamo, che mi frega, tanto è solo feccia, anche mio
figlio è solo feccia! Pensa che vergogna, in società, se si sapesse!”: è
questo che hai pensato, Orion?”»
Mi accasciai a terra, preda di singhiozzi e tremiti, Alshain
impallidì, nonostante la furia che l'aveva colto, capì subito che cosa mi stava accadendo, mi corse incontro per sostenermi, la rabbia
già trasformata in preoccupazione.
«Cazzo, Orion! Dove hai messo
la pozione contro le convulsioni?»
Si affannava su di me come fossi una bambola, mi faceva domande per tenermi vigile mentre scivolavo
nell’oblio. Avevo smesso di prendere i miei farmaci da mesi.
«Hai deciso di morire... è questo il tuo grande piano... è così che vuoi punirti e punire i tuoi... Ma io te lo impedirò, Merlino santissimo! Salazar! AIUTAMI, DEIDRA! CHIAMA IL MEDIMAGO, SVELTA! ORION STA MALE!»
Con quel poco di barlume che mi restava, vidi che anche lui aveva gli
occhi pieni di lacrime, mi teneva stretto a sé,
l’unico calore umano, l’unica persona amica, che
ancora non ero riuscito a distruggere.
«Te la ritroverò
Orion, te lo giuro, vi porterò al sicuro, nessuno toccherà te e tuo figlio! Te
lo giuro! Ora stai tranquillo, sono qui accanto a
te… Scusami, per l’amor di Merlino… perdonami per le cattiverie che ti ho detto... non cedere, ti prego... non cedere adesso!»
Non riuscivo a parlargli, ma nella mia mente gli dicevo che era tutto
inutile, io avevo rovinato tutto, e l’avrei pagata per quel poco di vita di merda che mi restava: Elizabeth non sarebbe mai tornata.
Mai più. C’era ancora una cosa che dovevo
dirgli ma gliela avrei nascosta per sempre. La
verità mi aveva travolto tre giorni dopo che
l’avevo lasciata, un piccolo trafiletto del “Daily Prophet” raccontava la triste storia della giovane
Elizabeth McKinnon, trovata morta per abuso di sonniferi babbani nel
suo appartamento. L’unica cosa che ero stato capace di fare, sconvolto com'ero, era stato mandare il mio Elfo alla Gringott con un bel gruzzolo,
perché non fosse resa pubblica la storia di quella cassetta
di sicurezza. Per la mia codardia e i miei pregiudizi, avevo
perso tutto ciò che aveva valore per me. Per evitare che
di Orion Arcturus Black rimanesse solo una macchia bruciata
sull’arazzo, avevo rinunciato alla mia famiglia.
Per sempre.
***
Orion
Black
Zennor, Cornwall - maggio 1955
Il Celebrante era accanto a me, sentivo addosso gli occhi di tutti e i
bisbigli alle mie spalle, al mio fianco Alshain, il mio testimone, mi
diceva qualcosa che non capivo. Mio padre non l’aveva mai
sopportato ma negli ultimi tempi le cose erano cambiate:
nessuno della mia famiglia ne conosceva i motivi ma era
chiaro a tutti loro che ero stato a un passo dal commettere un gesto
disperato. Mio padre sapeva con certezza solo una cosa, che se ero ancora vivo, e con me era viva
la speranza di un erede per la nostra famiglia, il merito era solo di Alshain Sherton:
così ora lo guardavo sorridergli, quasi avesse trovato in
lui un figlio più meritevole di me. Nell’ultimo
anno avevo passato quasi tutto il mio tempo a casa, o con le
famiglie di Alshain e di Walburga, avevo smesso da tempo di andare in
giro per locali e bordelli, non bevevo da mesi, mi ero persino ritirato dagli affari, più che altro perché erano
occasioni in cui sarei stato solo, e tutti quanti erano concordi nel
pensare che avessi bisogno costante di persone fidate al mio fianco.
Avevo anche ripreso il controllo della mia salute: c’erano
voluti mesi, durante i quali avevo scoperto che il mio cuore era
più debole di quanto finora avessimo sospettato. La notizia era rimasta circoscritta tra me e mio padre, soprattutto
per evitare che Pollux, già piuttosto astioso nei miei
confronti, strappasse l’accordo. Fu il periodo peggiore della
mia convalescenza, perché se quella storia fosse saltata
fuori anni prima, bollandomi come merce avariata, sarei stato libero, e mio figlio e sua madre sarebbero stati ancora vivi.
Alshain non mi parlava mai della promessa che mi aveva fatto quando ero
più morto che vivo, ma dalla faccia spesso preoccupata e dai
suoi silenzi, avevo capito che era arrivato alla verità e
all’inizio non si decideva se fosse meglio per me saperla
oppure no, poi doveva essersi convinto che fosse meglio lasciare tutto
come stava, visto che sembravo più tranquillo e in via di
ripresa.
Walburga, da parte sua, mi travolgeva con il suo entusiasmo,
dovuto al fatto che finalmente sarebbe uscita dalla
casa dei suoi genitori e poteva mostrarmi come trofeo alle amiche, senza più il rischio di essere umiliata e delusa: secondo l'opinione di tutti, ero uno
dei migliori partiti d’Inghilterra, un giovane uomo attraente e affascinante, abile negli affari e
brillante in società… ma a parte tutto questo, provava per me lo stesso interesse e lo stesso trasporto che io provavo per
lei.
In quel modo i giorni passarono rapidi e pieni di distrazioni, ma
al calar della notte, tutte le notti, i fantasmi si affacciavano alla
mia mente: Elizabeth danzava nei miei sogni e al risveglio avevo sempre la
sensazione di aver tenuto tra le braccia un bambino dagli occhi grigi
come i miei. Dentro di me, un’ansia e un desiderio feroce mi
strappavano le viscere: se fossi scappato con loro, avremmo appena
festeggiato il suo primo compleanno.
La musica iniziò pomposa, era il matrimonio tra due Black,
tutta l’alta società magica aspettava da una vita
quell’evento. Walburga apparve in una nuvola di petali: oggettivamente era molto bella e avrebbe meritato anche lei
una sorte diversa, ma sembrava che i Black avessero come scopo
principale quello di rovinare la vita dei propri figli. Ed io col suo
aiuto, dovevo dare alla famiglia almeno un altro disgraziato, vittima come tutti
noi delle fissazioni dei Black. Era per questo nobile scopo che avevo condannato a morte la donna
che amavo e il figlio che aspettava da me.
All'improvviso eravamo arrivati al momento dello scambio degli anelli e delle promesse, senza neanche accorgermene ero legato per sempre
alla donna sbagliata. Il resto della cerimonia scorse senza che
partecipassi più di quanto fosse necessario, mio padre e mio
suocero facevano muro attorno a me, mi trattavano come se fossi un
pezzo dei gioielli della corona: li vedevo scambiarsi occhiatacce
sordide, parlare del futuro erede, per un attimo, con terrore, mi
chiesi se sarebbero arrivati a piantonarmi persino in camera da letto
con Walburga. Il pensiero della notte che si avvicinava mi
angosciava, avevo un terrore sordo che si muoveva gelido nelle mie
vene: non ero mai andato a letto con una donna che non mi piacesse, per questo,
neanche da adolescente, neanche durante le mie prime esperienze con le ragazze, mi ero
sentito tanto in ansia. E a essere sinceri, dopo Elizabeth, avevo fatto sesso sempre e solo con le
professioniste. Ora mi si chiedeva di… Mi sembrava di affogare.
Per lo meno sembrava che in quel momento lei si divertisse, era
l’oggetto dell’attenzione di tutti, era il suo
grande giorno; io pregavo che tutto finisse in fretta, che nel giro di
nove mesi arrivasse quel dannato figlio, così poi non avrei
avuto più l’obbligo di stare in quella casa con
lei, i miei affari mi avrebbero tenuto lontano e probabilmente lei non
se ne sarebbe nemmeno dispiaciuta troppo. Alshain si mosse rapido al
mio fianco, per parlarmi, aveva una strana luce negli occhi e di colpo
mi percorse un brivido di terrore, ma Pollux gli sibilò un “Non ora, Sherton,
devo accompagnarli a casa…”. Tirai
un sospiro di sollievo, mentre la folla festante mi separava da lui e
ci salutava: accompagnati da Pollux, ci Smaterializzammo da
Zennor per prendere possesso della nostra nuova casa e iniziare la nostra vita al 12 di
Grimmauld Place.
***
Orion
Black
12, Grimmauld Place, Londra - febbraio 1956
«Tu non vali niente!
Niente!»
Walburga si rimise addosso la sua bella sottoveste di pizzo nero e, per
l’ennesima volta, fuggì via dal nostro baldacchino
come una furia. Io rimasi immobile a letto a fissare il soffitto della
struttura dorata, più immobile e freddo di una statua, come tutte le altre notti, da quando erano iniziate la
nostra luna di miele prima e la nostra normale vita da sposati, in
seguito. Prima o poi, se le cose non fossero cambiate, sarebbe stato
palese a tutti che nella nostra vita coniugale qualcosa non funzionava…
E quel qualcosa naturalmente sono io…
Come poteva Walburga mettere in cantiere questo benedetto erede, se la
evitavo come la peste, se, appena mi raggiungeva a letto, fingevo di
dormire, o se il mio corpo si rifiutava di reagire quando, umiliandosi
come aveva fatto anche quella sera, mi si avvicinava con intenzioni ben
chiare? Dopo tutte le donne che mi ero portato a letto, era assurdo che non
riuscissi nemmeno ad avvicinarmi a Walburga Black, mia moglie. Eppure
era proprio così. Sembrava che il mio cuore malandato
m’impedisse di concedermi perché, anima e corpo,
io apparteneva a un’altra. E ormai iniziavo a sentirmi in
colpa anche con Walburga, perché nonostante i suoi insulti e
la sua arroganza, soffriva per quella situazione e per le
pressioni dei nostri parenti quanto me. Soltanto per colpa mia.
***
Orion
Black
12, Grimmauld Place, Londra - novembre 1956
«…
un’altra femmina! Un’altra stramaledettissima
figlia femmina! E voi… »
Pollux come al solito urlava al piano di sotto, mia moglie cercava in
qualche modo di placarlo, ma la terza sciagurata figlia femmina di
Cygnus era ancora un argomento di difficile digestione, anche se era
nata da più di un anno.
«… voi, incapaci
che non siete altro, quando vi deciderete a mettere in
cantiere un dannato marmocchio?»
«Ti prego, calmati, padre, lo
sai che ti fa male al cuore!»
«Sciagurata, se
t’importasse qualcosa del mio cuore, a quest’ora
saresti incinta!»
«Ma… »
Sentii chiaramente il suono di uno schiaffo e subito dopo i singhiozzi
repressi di Walburga.
«Siete un disonore, tutti e
due, maledetti!»
A quel punto non ne potevo più: non era la prima volta che
succedeva, e finora mi ero limitato a educate proteste, non potevo
sopportare che Walburga fosse trattata in quel modo, anche se il bastardo era suo
padre. Soprattutto perché non lo meritava, lei non aveva colpe.
Mi precipitai fuori dal mio studio, Bacchetta in mano, cogliendo di
sorpresa sia Walburga, che non credeva di avere in me un
difensore, visto quanto poco io la considerassi e quanto spesso lei
m’insultasse, sia suo padre, che non immaginava
fossi in casa e avessi ascoltato, mio malgrado, la lite; odiavo
quell’uomo con tutte le mie forze, senza un reale motivo, a
parte il fatto che l'idea dell’accordo che aveva condannato tutti quanti all'infelicità era stata sua. Avevo
catalizzato su di lui l’odio che in
realtà provavo per me stesso e ormai cercavo solo una scusa
per potergli puntare la Bacchetta addosso e pronunciare la formula
mortale: non ero mai stato così rabbioso e feroce come mi
sentivo quando lo guardavo.
«Esci subito da casa nostra e
non osare più toccare mia moglie!»
Pollux ghignò, sapeva che era mia la colpa e ora,
con la stessa espressione sordida di mio padre, mi dileggiava per la
mia incapacità.
«Ti preme tanto il
suo bel viso, Orion? Allora cerca di sbrigarti a fare il tuo dovere, non vedi che ogni
giorno che passa tua moglie diventa troppo vecchia per sfornare figli?»
Walburga scoppiò in lacrime e scappò al piano di
sopra, lo guardai con odio mentre quello continuava a ghignare
sprezzante.
«È questo l’amore che avete per i figli che
reclamate tanto? Vattene Pollux, vattene o potrei scordarmi di essere un galantuomo!»
Non mi curai di vedere se andava via, salii a
grandi balzi fino in camera: Walburga era affondata sul copriletto,
piangeva come non l’avevo vista mai,
nemmeno da piccola quando, correndo, a volte cadeva e
si sbucciava le ginocchia.
«Walburga… »
«Lasciami sola! È
tutta colpa tua! Ti odio! Da quando sei nato, mi hai rovinato la
vita!»
Riprese a piangere, la schiena scossa da singhiozzi terribili. Mi
avvicinai, mi sedetti sul letto accanto a lei, le appoggiai una mano
sulla spalla, con timore: dal giorno del
matrimonio, un anno e mezzo prima, non l’avevo mai neppure
abbracciata.
«Hai ragione, è
colpa mia, ma per favore non piangere. Pollux si sbaglia, tu sei ancora giovane per avere dei figli e sei sempre bellissima... »
Si voltò, una maschera di lacrime, sembrava avesse perso
tutte le sue corazze: avevo sempre creduto che anche lei fosse
interessata solo a quel dannato arazzo, alle sorti della nostra
famiglia, ma ora che la guardavo con occhi privi di pregiudizi, vedevo
che era soprattutto una donna pronta a diventare madre, lo desiderava
davvero, aveva lo stesso fuoco che mi sentivo dentro quando guardavo
Mirzam. Aprii le braccia e l’accolsi, lasciai che si sfogasse sul
mio petto per un tempo interminabile, mentre le accarezzavo la schiena
e i capelli, sciolti e morbidi sul tessuto pregiato del bel vestito
verde.
«Sei un bugiardo! Io lo so che non mi ami Orion,
lo so che non ti piaccio. Ma io… »
«Walburga… sei una
delle donne più belle e attraenti che abbia mai
conosciuto e sappiamo entrambi che i nostri problemi non dipendono da te, sono
io… sono io quello…
sbagliato… »
«Che cosa vuoi dire?»
Mi puntò addosso quei suoi gelidi occhi azzurri, Black, privi della solita sfumatura di sfacciata malizia, velati invece di un sordo terrore.
Era la prima volta che parlavamo con sincerità, chissà quale oscuro segreto temeva stessi per confessarle.
«Sono un immaturo, Walburga,
un irresponsabile, tutto qui. Entrambi siamo stati costretti a farlo, a sposarci,
inutile negarlo, so bene che anche tu, se avessi potuto scegliere, non
avresti mai guardato me, ma tu sei una donna responsabile, rispetti la
famiglia e, per questo, hai accettato stoicamente il tuo destino. Io invece ho
continuato a ribellarmi, invano, e come uno stupido ho vissuto nell'illusione di riuscire a conquistare prima o poi la libertà... Ottenendo solo di fare del male a te, non certo di essere libero. Me ne rendo conto solo
adesso, mi rendo conto che dopo quasi due anni nemmeno ti conosco, perché tutto preso a piangermi addosso non
mi sono mai impegnato a farlo, io… Che cosa posso dire? Ti ho rifiutata solo
perché mi sei stata imposta, non perché ho
qualcosa contro di te come persona: come potrei? Non so nemmeno chi
sei: chi sei, Walburga? Che cosa pensi? Che cosa ti piace, che cosa odi, a parte me? Ti chiedo scusa… posso fare solo questo... ma, se me lo permetterai, mi impegnerò da subito a cambiare e a vivere la nostra vita insieme come desideri e come
meriti… »
Mi prese la mano -dov’era la donna altezzosa e arrogante che
rispondeva al nome di Walburga Black?- se la portò alle
labbra e me la baciò. Le accarezzai il viso, asciugandole le
ultime lacrime, avvicinai il viso, sentii il profumo delicato delle sue
labbra e della sua pelle, il suo candore timido e incerto, e la baciai:
il primo vero bacio che davo a mia moglie.
«Ti prego, Orion, non mi
lasciare… »
Quelle parole, quelle precise parole, quelle che avrei dovuto ascoltare
da Elizabeth se non fossi stato tanto vigliacco da non affrontarla a
viso aperto, mi si conficcarono dentro, impedendomi quasi di respirare.
Lo giurai, su quel poco di me che meritava ancora di vivere: non avrei
più permesso che soffrisse a causa mia, non avrei combinato
un disastro anche con lei. Quella notte restai nella sua stanza,
lasciai che si addormentasse nel mio abbraccio, mentre osservavo per la
prima volta i suoi lineamenti alla luce della luna.
***
Orion
Black
località sconosciuta, Anatolia - giugno
1957
Eravamo in viaggio da marzo, lontano da Grimmauld Place, Walburga ed io
sembravamo rinati. Non avevo mai saputo molto
di lei, per me era da sempre solo la cugina odiosa e arrogante che
viveva a Lacock, ma negli ultimi mesi, da quando avevo deciso di
prestarle attenzione, avevo scoperto una donna interessante. Era una
Strega molto abile, soprattutto quando si trattava di Pozioni e
Trasfigurazioni e aveva una conoscenza approfondita di alcune
pratiche oscure che me la resero subito molto intrigante. Fin da
quando ero solo un ragazzino a Hogwarts, la cosiddetta "Sezione
Proibita" era stata l’unico reparto della biblioteca che mi
attraesse, così come, tra tutte le materie, la mia preferita
era Difesa contro le Arti Oscure: mi piaceva apprendere e subito dopo
sperimentare, più che altro per fare dispetti spettacolari
ai danni dei Grifondoro. Walburga, invece, aveva fatto di quelle
conoscenze un’arte. In particolare era abile a manipolare i
pensieri e spesso temevo che ci riuscisse anche con me, anche
se, grazie ad Alshain, ero diventato negli anni un passabile Occlumante. Le
cose tra noi erano migliorate, iniziava a esserci una buona
complicità, anche se ancora si fermava sulla soglia della
nostra camera da letto. L’atteggiamento di Walburga però
era cambiato, sembrava apprezzare il mio interesse per lei, e vedevo
che a sua volta s’impegnava di più per
conoscermi. Il viaggio si rese necessario per evitare che
quel periodo di tregua tra noi potesse essere danneggiato dalle
interferenze delle nostre famiglie, che imperversavano importunandoci
sempre con le stesse richieste. Avevamo scelto di spostarci lungo il
Mediterraneo, alla ricerca delle tracce dei grandi maghi del passato,
volevamo visitare l’Egitto e la Giordania, poi
avremmo fatto rotta verso la Siria e la Turchia, non avevamo problemi né di tempo né di denaro. Le giornate
scorrevano lievi, Walburga sembrava affascinata dalla mia
passione per le arti antiche e la ricerca di vecchi manufatti magici
del passato. Spesso dovevamo accontentarci di sistemazioni di fortuna e
all’inizio avevo temuto che mia moglie non fosse il tipo di
Strega capace di adattarsi e di accontentarsi, così avevo
chiesto in prestito ad Alshain una delle sue famose tende piene di
comodità che usava durante le notti dei riti della Confraternita. Partire all’avventura
con Walburga fu però meno traumatico del previsto. La
condivisione di spazi esigui, inoltre, creò spesso
situazioni d’intimità, in cui mi scoprivo a
guardare mia cugina con occhi diversi e, piano piano, a desiderarla.
All’inizio, abituata com’era al mio disinteresse,
mia moglie neppure se ne accorse, ma io sentivo che tra noi le cose stavano cambiando: ero
diventato sensibile al suo odore, approfittavo dello spazio ristretto
dei letti a nostra disposizione per odorarle la pelle e stringermi a
lei, sfiorarla iniziava a essere non più un dovere ma un
piacere vero.
Quella sera, come sempre, era avvolta in una bella sottoveste scura, che
faceva risaltare ancora di più il candore della sua pelle
alla luce lunare. Mi immaginava del tutto insensibile alle sue
provocazioni, quelle vesti perciò
non erano un tentativo di sedurmi, ma un piacere
personale, amava sentirsi addosso quella seta, amava dormire in quel
modo. Avevo scoperto, osservandola, che Walburga era una donna che amava
soddisfare i propri sensi e i propri desideri, lo si capiva dai suoi gusti raffinati a
tavola, dai suoi interessi, dai tessuti e dai profumi che sceglieva,
spesso mi chiedevo se sarebbe stata passionale anche tra le mie
braccia. Rendermi conto della sua natura fu la svolta della nostra
vita: viverle accanto smise di essere un’odiosa costrizione,
per diventare una sfida, una sfida con me stesso. Ero curioso di sapere
se sarei stato capace di incendiare di desiderio il suo corpo, come avevo fatto con
tante prima di lei.
Non sapevo se dormisse, mi dava la schiena ed io non riuscivo a
prendere sonno, le mie domande da qualche settimana avevano iniziato a
prendere il posto dei miei continui sensi di colpa, guardavo la curva
elegante della scapola e del collo e mi chiedevo se mia moglie fosse il
tipo di donna che tremava se le avessi baciato i polsi come sapevo fare
tanto bene. Scivolai piano verso di lei, delicatamente abbassai
una spallina della sua sottoveste, liberando un’ampia
porzione di schiena alla mia vista e al mio tocco.
Appoggiai le labbra sulla curva della spalla, risalendo piano verso il
collo, lasciando una scia umida. Volevo sentire quanto veloce scorreva il suo sangue nelle vene.
Sentire se e quanto pulsava forte il sangue, il nostro nobile sangue. A causa mia.
Feci aderire il mio petto nudo alla sua
schiena, altrettanto nuda, un braccio l’andò a
stringere al fianco, con la mano feci scivolare leggera la seta sulla
sua pelle, candida e già accaldata. Me la serrai quasi con
violenza al corpo, era sveglia e volevo che non avesse più dubbi
su quanto desiderio provassi per lei. Salii al suo lobo con
le labbra e iniziai a giocare su quella carne morbida. Il mio respiro e
la mia lingua la facevano tremare. La mano salì ancora
portandosi dietro la seta, posizionandosi sul ventre, ormai nudo, le
dita che lambivano dal basso il seno morbido e pieno guizzavano a stringersi attorno a quei capezzoli turgidi e appuntiti. La sentii
sospirare, la pelle scottava sotto le mie dita, e di colpo quel calore
e quel profumo mi fecero riscoprire affamato, come non credevo potessi
essere più. Voleva girarsi verso di me, ma glielo impedii,
intenzionato a farla impazzire, lentamente: doveva godersi fino
all’ultimo gemito quella notte che bramava da tanto, da
troppo. Mi avventai sul suo collo, facendola tremare ancora,
le piegai piano la testa verso di me, per baciarla mentre la mia mano
risaliva le cosce, andando a esplorarla, a strapparle gemiti che subito
intrappolavo tra le mie labbra.
«Ti
voglio… »
Ritornammo a Londra in autunno, dopo quasi sei mesi dalla nostra
partenza, e finalmente annunciammo che eravamo in attesa del nostro
primo figlio. Non avevo mai visto Walburga così radiosa, e non
avrei mai creduto prima di allora di poter essere felice al suo fianco.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, aggiunto a preferiti/seguiti,
recensito ecc ecc.
Valeria
Scheda
Immagine: al
momento non riesco a ritrovare la fonte di questa immagine.
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