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Autore: Terre_del_Nord    24/01/2009    17 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Orion - OB.002 - Rimorso

-- revisionato luglio 2018 --


OB.002


Orion Black
Manchester, UK - marzo 1954

    “Sono incinta …”

Non potevo evitare di ripetermi quelle parole nella mente, mentre bevevo al bancone di un pub.

    Che cosa provo? Eccitazione... Paura... Terrore... Vergogna... Felicità…
    In che ordine? Felicità… Vergogna? No, terrore forse…

Nella mia mente si stagliavano molteplici scenari, in cui mi vedevo felice come mai avevo creduto possibile, e disperato, più che nei miei incubi peggiori. Non sapevo cosa fare, cosa fosse meglio fare, ma dovevo decidere in fretta, molto in fretta.
Chiesi al barista un altro Firewhisky, l’ennesimo, quella sera.

    Quali scelte ho? Fuggire? E dove? Quanto lontano dovrei andare perché mio padre non ci trovi? E come potremmo vivere fuggendo e nascondendoci per tutta la vita?
    Restare e affrontarlo? Che cosa può farmi in fondo? Uccidermi? Diseredarmi? No, sa che, al punto in cui siamo, non me ne importerebbe nulla… Fare del male a Elizabeth, rapirla, ucciderla? Sì, è questo che farebbe, punirebbe la mia ribellione lavando con il sangue di Elizabeth e di nostro figlio la vergogna e il disonore.
    Potrei minacciarlo: nessun figlio Black se toccherai Elizabeth! No, per lui e per quel pazzo di Pollux l’onore dei Black vale più di tutto… Elizabeth rischia troppo...

    Fuggire, la soluzione migliore per noi due è fuggire…
    O forse…


Bevvi altri bicchieri di seguito, la gola talmente chiusa dai miei pensieri da non sentire nemmeno il liquido scendermi dentro.

    Devo fare il Black fino in fondo, ciò in cui sono tanto bravo: abbandonarla al suo destino, ferirla con la mia scomparsa, farmi odiare da lei per assicurare l’incolumità sua e di nostro figlio. Poco importa se morirò o impazzirò lontano da lei. Poco importa se….

Il barista mi negò l’ennesimo bicchiere, così piazzai i Galeoni sul bancone, mi alzai a fatica e mi avviai all’uscita.
La nebbia gelida mi avvolse mentre barcollando mi avviavo Merlino solo sapeva dove. Ondeggiai per un po' fino a un muro…
E lì io, Orion Arcturus Black, svenni. Come un alcolizzato qualsiasi.

***

Orion Black
74, Essex Street, Londra - giugno 1954

    «Mi dirai mai che cosa sta succedendo?»

Alshain stava dietro la sua copia del “Daily Prophet”, sul divano del salotto, Mirzam giocava con le figurine dei giocatori di Quidditch sul tappeto, ai suoi piedi, io ero perso a osservare i vetri striati dalla pioggia, gli arabeschi delle gocce che si fondevano tra loro mi ricordavano i giochi delle mie dita tra i capelli di Elizabeth. Il vetro mi rimandava un’immagine che non era la mia, barba di diversi giorni, sguardo vacuo, capelli in disordine all’inverosimile.
Non ricordavo nemmeno che giorno fosse e come fossi arrivato a Londra. Mi ero ritrovato a Essex Street di prima mattina, probabilmente al termine di una notte di vagabondaggi. Merlino solo sapeva cosa diavolo cercassi, ciò che avevo perso non si trovava di certo lì. Quando mi aveva visto, Alshain mi aveva squadrato severo ma mi aveva fatto entrare, aveva chiesto alla Maganò che gli faceva da domestica di prepararmi un bagno e dei vestiti puliti, poi, paziente, aveva aspettato che il brutto della sbornia passasse.
Con Sherton da un po' non ci vedevamo molto spesso: dopo essere fuggito come un vigliacco dalla casa di Elizabeth, lasciandole una busta piena di soldi per qualsiasi necessità e la chiave di una cassetta di sicurezza alla Gringott -come se fosse questo che le sarebbe mancato di me, di noi, della vita che avevamo sognato-, mi ero rifugiato nel Cornwall. Mi ero detto stanco e provato dai continui viaggi e, per evitare imbarazzanti domande da parte dei miei, avevo acconsentito che il matrimonio con Walburga avvenisse il prima possibile. La cerimonia, con soddisfazione di tutti, era stata fissata per la primavera successiva, il tempo di rendere abitabile il 12 di Grimmauld Place e organizzare quella che si preannunciava una festa faraonica, di cui tutto il mondo magico avrebbe parlato.
Inutile dire che dopo aver fatto il mio dovere verso la famiglia, erano iniziati i miei vagabondaggi tra pub e bordelli, per ottenebrarmi la mente il più possibile e annullare la mia coscienza, che aveva molto da urlarmi contro, in quel periodo.

    «Come hai detto scusa?»
    «Ho ricevuto l’invito per il tuo matrimonio, pensavo che me l’avresti detto a voce, molto prima che mi arrivasse questo.»

Mi voltai, aveva tra le mani una pergamena pregiatissima, firmata personalmente dalla mia “adorata” futura consorte: anche a distanza riconoscevo la sua firma leziosa dipanarsi tra svolazzi d’inchiostro. Cercai di non mostrare alcuna emozione.

    «Non sapevo che fossero già in giro, non mi occupo io di certe faccende, Walburga vuole decidere su tutto… »
    «Orion, non prendermi per il culo, per favore, io ti conosco!»

Sospirai e andai a versarmi da bere, sedendomi pesantemente sulla poltrona di fronte a lui, Alshain rapido fece sparire tutti gli alcolici dalla stanza: lo guardai supplice e ricevetti a mia volta uno sguardo di completa disapprovazione.

    «Parlarne non serve a nulla, Alshain, lasciamo perdere… »
    «No che non lascio perdere, Orion, sono più di dieci anni che ti conosco e non ti ho mai visto così, non faremo finta di nulla!»

Si sporse verso di me, prendendomi per l’avambraccio, come faceva sempre.

    «Lo sai, io devo fare un figlio che sia al 100% Black… »

Mi uscì una risatina isterica, il mio cervello ormai sembrava incartarsi sempre sul concetto di “FIGLIO”.

    «Lo sai da sempre, Orion, ma mai ti sei ridotto a un relitto umano per questo! Io non capisco… »

Mi guardava stranito, aveva la stessa faccia che avevo io quando ero tanto lucido da pensare a cosa avessi fatto.

    «Non ho intenzione di parlarne.»

Sospirai. Mentire, avere segreti con Sherton era devastante, mi sentivo male per il senso d’isolamento in cui mi ero cacciato da solo. Stavolta però avevo inanellato una serie di cazzate una dietro l’altra e nemmeno Alshain avrebbe potuto trovare qualcosa di buono in tutta quella dannata storia.

    «Sfogarti ti farebbe bene Orion, il bicchiere non ti serve a nulla, mentre io potrei aiutarti!»
    «Io… no… nessuno mi può più aiutare, e tu… tu non capiresti... io… »
    «Sembra quasi che tu abbia paura di me, Orion, com’è possibile? Dopo tutti questi anni non sono più l’amico cui affideresti la tua vita a occhi chiusi?»

I miei occhi gli dissero che era così, che solo di lui potevo fidarmi, ma che stavolta ero andato troppo oltre. Alshain parve capire, di sicuro mostrava indulgenza e pena per me. Forse persino paura per me. E qualcosa mi si sciolse dentro, anche se sapevo che non potevo permettermelo, perché l’abisso era ormai a un passo.
Mi alzai, non riuscivo a guardarlo in faccia mentre raccontavo, tornai alla finestra, vedevo la sua immagine riflessa, stava a capo chino e si torturava le mani una con l’altra, ansioso, mentre facevo un riassunto molto stringato e lacunoso della situazione.

    «Ho conosciuto una donna durante i miei viaggi, sto… stavo bene con lei, ma come puoi immaginare era una storia senza futuro.»
    «E chi lo dice, Orion? Se ricordi, neanch’io avevo la benedizione di mio padre, ma Deidra in questo momento è di là e Mirzam è proprio qui, davanti ai nostri occhi!»

Alzò la testa di scatto per guardarmi attraverso i nostri riflessi.

    «Sai che noi Black siamo diversi, sai bene cosa vogliono tutti da me.»
    «Orion, la tua famiglia rischia di morire con te, se non nasce almeno un maschio. Se ti sposassi con questa donna e avessi un figlio da lei, avresti comunque salvato il nome dei Black, indipendentemente dal cognome di tua moglie: a quel punto tuo padre smetterebbe di fare lo schizzinoso e tu vivresti in pace. E felice!»
    «E invece no, Alshain! Vedi… io… lei... lei era… lei... è... lei... Elizabeth è… Mezzo... sangue… »

Cercai invano di mantenere la voce ferma. No, non me la sentivo di aggiungere altro. Non avevo detto ad alta voce nemmeno a me stesso cosa ero stato capace di fare. Non finii la frase, annientato dal chiasso del suo silenzio. Per lui, probabilmente, già il fatto che fosse Mezzosangue era imperdonabile, figuriamoci se avesse scoperto tutto il resto. Per questo non osavo alzare lo sguardo su Alshain: immaginavo di vedere dipinto il disprezzo e il disgusto sul suo viso. Ed io non sarei riuscito a sopportare in lui, nel mio migliore amico, in quello che era di fatto mio fratello, lo stesso disprezzo che vedevo in me ogni volta che, sobrio, mi guardavo allo specchio.

    «Ok... stavolta hai superato te stesso ed anche me… diciamo di molto, Orion... lo ammetto!»

Rise, non riuscivo a capire se a rompere il silenzio fosse una risata isterica o una delle sue solite risate spensierate: avevo il cuore che mi rombava fin nelle orecchie, per la prima volta avevo detto ad alta voce la verità o almeno una parte di essa e mi confondeva il fatto di non essere stato colpito da un fulmine come meritavo, mentre lo dicevo, tanto più che c'era un bambino, un innocente, a fare da testimone alle mie bestemmie.

    «Merlino santissimo, Orion, potresti diventare uno degli uomini più ricchi d’Inghilterra se tuo padre lo sapesse, te ne rendi conto? Non potrebbe non restarci secco, per questa storia! E tu, invece di prepararti a festeggiare ti riduci così e organizzi il matrimonio con la befana?»
    «Che cosa diavolo stai dicendo Alshain? Questo non è uno scherzo! Questa è… »
    «Questa donna ti rende felice e si capisce che tu la ami! Ti pare il caso di ridursi come un vagabondo per il suo stato di sangue? Dove sta il problema? Cosa diavolo t’interessa del resto? Che ci pensino Cygnus e Alphard a dare un erede alla famiglia, sono Black anche loro! E tu, al massimo farai la fine di quei tuoi due o tre avi che si son fatti cacciare di casa per storie simili a questa, sai che perdita! Deidra ed io saremo lieti di ospitare te e la tua compagna, e se avrai bisogno di aiuto, quello che è mio, è tuo, lo sai… ma col fiuto per gli affari che hai, non avrai problemi, non sei certo il tipo d'uomo che ha bisogno dei soldi di suo padre, come i tuoi cognati rammolliti! Bene, naturalmente ora mi aspetto di farti da testimone al tuo vero matrimonio, fratello mio!»

Dov’era il disgusto nei suoi occhi, quello che avevo visto per mesi ogni volta che avevo immaginato quella scena? Se gli avessi parlato di tutto il resto che cosa sarebbe successo? No! Di quello non potevo parlarne nemmeno con lui. Era vergogna quella che sentivo nel cuore? O solo paura? Paura di essere tradito? Paura che… Non potevo espormi, no, nemmeno con Alshain. Probabilmente mi vide turbato, perciò cercai di depistarlo.

    «Tu sei un pazzo! Ci sarà un solo e unico matrimonio, Alshain, quello con Walburga Black, perché io non intendo essere cancellato dall’arazzo di famiglia! Io sono un Black e sono orgoglioso di esserlo, io credo nei principi della mia famiglia, io… »
    «E allora abbandona la donna che ami e il futuro che potrebbe darti, per i tuoi maledetti principi, BLACK! Sposati con la tua dannata cugina, Black e purosangue, facci un figlio PUROSANGUE, da sacrificare alla NOBILE e ANTICHISSIMA CASATA dei BLACK, rendilo INFELICE come stai rendendo infelice te stesso! Guarda bene quella finestra, BLACK, perché la parte migliore della tua vita ti sta scivolando via dalle mani come quella pioggia su quei vetri! Ti stai rendendo la vita un inferno per che cosa? Per degli stupidi pregiudizi! Ecco cosa stai facendo!»

Mi sentii soffocare da un’onda che mi montava nel petto, ma cercai di scacciarla argomentando la mia difesa.

    «Non sono stupidi pregiudizi, cosa sarebbe accaduto se avessi avuto un figlio? Io non voglio che si parli di me come di un traditore del sangue! E anche tu devi finirla di parlare come se lo fossi!»
    «E se lo fossi davvero? Eh, ci hai mai pensato? O se un giorno lo diventassi? Che cosa faresti, Orion? Manderesti al diavolo me? Manderesti a puttane la nostra amicizia? Se scoprissi che il mio non è solo un atteggiamento aperto, se ti dicessi che mi piacciono i miei vicini babbani, i loro vestiti, le loro cose, se me li volessi scopare, se ti dicessi che non vedo differenza tra il mio sangue e il loro, che... »
    «BASTA! SMETTILA! PER MERLINO E TUTTI I FONDATORI, NON DIRE QUESTE BESTEMMIE DAVANTI A ME E A TUO FIGLIO!»
    «E tu apri gli occhi e impara a riconoscere il vero valore di ciò che ti circonda, Black!»
    «Visto come la pensi su certi argomenti, non sei tu a potermi dire cosa ha vero valore, Sherton!»
    «Beh qualcuno deve avere il coraggio di dirtelo, invece, perché stavolta stai toppando di brutto, consideri importanti più le teorie sulla purezza, del figlio che potresti avere un giorno! Ecco che cosa stai facendo!»

Rimanemmo in silenzio, io non avevo più parole, sentivo solo un calore umido sul viso, senza accorgermene stavo piangendo, Alshain si tratteneva a stento dal dirmi anche di peggio, ma di colpo la sua diventò la faccia di chi ha messo a posto l’ultima tessera e vede per la prima volta il quadro nella sua completezza. Mirzam smise di giocare, silenzioso, con quegli occhi di luna puntati, meravigliati e adoranti, verso suo padre, Alshain, in silenzio, gli fece il cenno di lasciarci soli e il bambino uscì dalla stanza. Io pensavo soltanto che quel figlio che avevo abbandonato avrebbe potuto un giorno guardarmi nello stesso modo e che ero stato io a distruggere quella possibilità. Per sempre. Il cuore mi mancò un colpo.
   
    Mio figlio… Con i miei occhi, il mio sangue…

A pensarci adesso, non era affatto importante che quel sangue per ¼ fosse babbano, in confronto alla possibilità di vivergli accanto come Alshain poteva fare con suo figlio. Io non avevo avuto le palle che aveva lui. Io non avevo avuto il coraggio necessario ad affrontare le conseguenze. Mi ero illuso di averlo fatto per proteggerli. In realtà era solo la scelta più semplice, la sola che poteva fare un vigliacco come me.

    «In realtà, quel figlio… quel figlio c’è già, non è così, Orion? E tu… »

Di colpo sembrava invecchiato di decenni, di colpo sembrava portare sulle spalle lo stesso peso che avevo io. Si lasciò ricadere sulla poltrona, le mani affondate nei capelli.

    «Cosa cazzo hai fatto, Orion? Ti prego, dimmi che non è quello che penso!»

Rimasi in silenzio, a lungo, poi, con la voce di un fantasma, le parole iniziarono a uscire, a singhiozzi.

    «Quando me l’ha detto… alcuni giorni dopo sono… sono tornato a casa... e mentre lei non c’era... le ho lasciato una busta... con del denaro... la chiave di un conto alla Gringott... che ho aperto per lei... e il bambino, e… »
    «Salazar santissimo! Come hai potuto? COME CAZZO HAI POTUTO FARE UNA STRONZATA SIMILE?»
    «Non avevo scelta, se mio padre l’avesse scoperto, di sicuro li avrebbe uccisi, solo per farmela pagare! Lo capisci?»
    «Oh sì, Orion, ed è stata sempre per paura di tuo padre che sei stato tanto vigliacco da non dirglielo di persona, da lasciarle un biglietto… un biglietto, Orion?! Ah già, e dei soldi, trattandola come che cosa? Una puttana da ricompensare? O un problema di cui liberarsi? Sei… sei senza vergogna e senza morale, ecco cosa sei!»
    «Ho solo pensato di essere un pericolo per loro… io… l’ho fatto per loro… solo per loro... »
    «Hai ragione, questa è l’unica cosa giusta che hai detto finora: tu sei un pericolo, anzi meglio, tu sei una disgrazia, ecco cosa sei! Merlino santissimo! Mandare a puttane la tua vita così... e per che cosa? Perché non sei venuto da me? Perché, Orion? Avrei potuto nascondervi, e lo sai! Magari non a Herrengton, se lei è Mezzosangue, senza l'aiuto di mio padre, sarebbe difficile anche per me... ma Merlino mi è testimone, avrei potuto nascondere tutti voi ad Amesbury per mesi, addirittura per anni! Perché non me l'hai chiesto? Davvero ti fidi così poco di me? Avevi paura che ti tradissi? Che mi facessi schifo? NO... era a te che faceva schifo… il suo sangue non ti faceva schifo quando te la scopavi, ma era troppo impuro per fartela considerare un essere umano... “Che cosa m'importa, le diamo due soldi e ce ne liberiamo, che mi frega, tanto è solo feccia, anche mio figlio è solo feccia! Pensa che vergogna, in società, se si sapesse!”: è questo che hai pensato, Orion?”»

Mi accasciai a terra, preda di singhiozzi e tremiti, Alshain impallidì, nonostante la furia che l'aveva colto, capì subito che cosa mi stava accadendo, mi corse incontro per sostenermi, la rabbia già trasformata in preoccupazione.

    «Cazzo, Orion! Dove hai messo la pozione contro le convulsioni?»

Si affannava su di me come fossi una bambola, mi faceva domande per tenermi vigile mentre scivolavo nell’oblio. Avevo smesso di prendere i miei farmaci da mesi.

    «Hai deciso di morire... è questo il tuo grande piano... è così che vuoi punirti e punire i tuoi... Ma io te lo impedirò, Merlino santissimo! Salazar! AIUTAMI, DEIDRA! CHIAMA IL MEDIMAGO, SVELTA! ORION STA MALE!»

Con quel poco di barlume che mi restava, vidi che anche lui aveva gli occhi pieni di lacrime, mi teneva stretto a sé, l’unico calore umano, l’unica persona amica, che ancora non ero riuscito a distruggere.

    «Te la ritroverò Orion, te lo giuro, vi porterò al sicuro, nessuno toccherà te e tuo figlio! Te lo giuro! Ora stai tranquillo, sono qui accanto a te… Scusami, per l’amor di Merlino… perdonami per le cattiverie che ti ho detto... non cedere, ti prego... non cedere adesso!»

Non riuscivo a parlargli, ma nella mia mente gli dicevo che era tutto inutile, io avevo rovinato tutto, e l’avrei pagata per quel poco di vita di merda che mi restava: Elizabeth non sarebbe mai tornata. Mai più. C’era ancora una cosa che dovevo dirgli ma gliela avrei nascosta per sempre. La verità mi aveva travolto tre giorni dopo che l’avevo lasciata, un piccolo trafiletto del “Daily Prophet” raccontava la triste storia della giovane Elizabeth McKinnon, trovata morta per abuso di sonniferi babbani nel suo appartamento. L’unica cosa che ero stato capace di fare, sconvolto com'ero, era stato mandare il mio Elfo alla Gringott con un bel gruzzolo, perché non fosse resa pubblica la storia di quella cassetta di sicurezza. Per la mia codardia e i miei pregiudizi, avevo perso tutto ciò che aveva valore per me. Per evitare che di Orion Arcturus Black rimanesse solo una macchia bruciata sull’arazzo, avevo rinunciato alla mia famiglia.

    Per sempre.

***

Orion Black
Zennor, Cornwall - maggio 1955

Il Celebrante era accanto a me, sentivo addosso gli occhi di tutti e i bisbigli alle mie spalle, al mio fianco Alshain, il mio testimone, mi diceva qualcosa che non capivo. Mio padre non l’aveva mai sopportato ma negli ultimi tempi le cose erano cambiate: nessuno della mia famiglia ne conosceva i motivi ma era chiaro a tutti loro che ero stato a un passo dal commettere un gesto disperato. Mio padre sapeva con certezza solo una cosa, che se ero ancora vivo, e con me era viva la speranza di un erede per la nostra famiglia, il merito era solo di Alshain Sherton: così ora lo guardavo sorridergli, quasi avesse trovato in lui un figlio più meritevole di me.
Nell’ultimo anno avevo passato quasi tutto il mio tempo a casa, o con le famiglie di Alshain e di Walburga, avevo smesso da tempo di andare in giro per locali e bordelli, non bevevo da mesi, mi ero persino ritirato dagli affari, più che altro perché erano occasioni in cui sarei stato solo, e tutti quanti erano concordi nel pensare che avessi bisogno costante di persone fidate al mio fianco. Avevo anche ripreso il controllo della mia salute: c’erano voluti mesi, durante i quali avevo scoperto che il mio cuore era più debole di quanto finora avessimo sospettato. La notizia era rimasta circoscritta tra me e mio padre, soprattutto per evitare che Pollux, già piuttosto astioso nei miei confronti, strappasse l’accordo. Fu il periodo peggiore della mia convalescenza, perché se quella storia fosse saltata fuori anni prima, bollandomi come merce avariata, sarei stato libero, e mio figlio e sua madre sarebbero stati ancora vivi.
Alshain non mi parlava mai della promessa che mi aveva fatto quando ero più morto che vivo, ma dalla faccia spesso preoccupata e dai suoi silenzi, avevo capito che era arrivato alla verità e all’inizio non si decideva se fosse meglio per me saperla oppure no, poi doveva essersi convinto che fosse meglio lasciare tutto come stava, visto che sembravo più tranquillo e in via di ripresa.
Walburga, da parte sua, mi travolgeva con il suo entusiasmo, dovuto al fatto che finalmente sarebbe uscita dalla casa dei suoi genitori e poteva mostrarmi come trofeo alle amiche, senza più il rischio di essere umiliata e delusa: secondo l'opinione di tutti, ero uno dei migliori partiti d’Inghilterra, un giovane uomo attraente e affascinante, abile negli affari e brillante in società… ma a parte tutto questo, provava per me lo stesso interesse e lo stesso trasporto che io provavo per lei.
In quel modo i giorni passarono rapidi e pieni di distrazioni, ma al calar della notte, tutte le notti, i fantasmi si affacciavano alla mia mente: Elizabeth danzava nei miei sogni e al risveglio avevo sempre la sensazione di aver tenuto tra le braccia un bambino dagli occhi grigi come i miei. Dentro di me, un’ansia e un desiderio feroce mi strappavano le viscere: se fossi scappato con loro, avremmo appena festeggiato il suo primo compleanno.
La musica iniziò pomposa, era il matrimonio tra due Black, tutta l’alta società magica aspettava da una vita quell’evento. Walburga apparve in una nuvola di petali: oggettivamente era molto bella e avrebbe meritato anche lei una sorte diversa, ma sembrava che i Black avessero come scopo principale quello di rovinare la vita dei propri figli. Ed io col suo aiuto, dovevo dare alla famiglia almeno un altro disgraziato, vittima come tutti noi delle fissazioni dei Black. Era per questo nobile scopo che avevo condannato a morte la donna che amavo e il figlio che aspettava da me.
All'improvviso eravamo arrivati al momento dello scambio degli anelli e delle promesse, senza neanche accorgermene ero legato per sempre alla donna sbagliata. Il resto della cerimonia scorse senza che partecipassi più di quanto fosse necessario, mio padre e mio suocero facevano muro attorno a me, mi trattavano come se fossi un pezzo dei gioielli della corona: li vedevo scambiarsi occhiatacce sordide, parlare del futuro erede, per un attimo, con terrore, mi chiesi se sarebbero arrivati a piantonarmi persino in camera da letto con Walburga. Il pensiero della notte che si avvicinava mi angosciava, avevo un terrore sordo che si muoveva gelido nelle mie vene: non ero mai andato a letto con una donna che non mi piacesse, per questo, neanche da adolescente, neanche durante le mie prime esperienze con le ragazze, mi ero sentito tanto in ansia. E a essere sinceri, dopo Elizabeth, avevo fatto sesso sempre e solo con le professioniste. Ora mi si chiedeva di… Mi sembrava di affogare.
Per lo meno sembrava che in quel momento lei si divertisse, era l’oggetto dell’attenzione di tutti, era il suo grande giorno; io pregavo che tutto finisse in fretta, che nel giro di nove mesi arrivasse quel dannato figlio, così poi non avrei avuto più l’obbligo di stare in quella casa con lei, i miei affari mi avrebbero tenuto lontano e probabilmente lei non se ne sarebbe nemmeno dispiaciuta troppo.
Alshain si mosse rapido al mio fianco, per parlarmi, aveva una strana luce negli occhi e di colpo mi percorse un brivido di terrore, ma Pollux gli sibilò un “Non ora, Sherton, devo accompagnarli a casa…”. Tirai un sospiro di sollievo, mentre la folla festante mi separava da lui e ci salutava: accompagnati da Pollux, ci Smaterializzammo da Zennor per prendere possesso della nostra nuova casa e iniziare la nostra vita al 12 di Grimmauld Place.

***

Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - febbraio 1956

    «Tu non vali niente! Niente!»

Walburga si rimise addosso la sua bella sottoveste di pizzo nero e, per l’ennesima volta, fuggì via dal nostro baldacchino come una furia. Io rimasi immobile a letto a fissare il soffitto della struttura dorata, più immobile e freddo di una statua, come tutte le altre notti, da quando erano iniziate la nostra luna di miele prima e la nostra normale vita da sposati, in seguito. Prima o poi, se le cose non fossero cambiate, sarebbe stato palese a tutti che nella nostra vita coniugale qualcosa non funzionava…

    E quel qualcosa naturalmente sono io…

Come poteva Walburga mettere in cantiere questo benedetto erede, se la evitavo come la peste, se, appena mi raggiungeva a letto, fingevo di dormire, o se il mio corpo si rifiutava di reagire quando, umiliandosi come aveva fatto anche quella sera, mi si avvicinava con intenzioni ben chiare? Dopo tutte le donne che mi ero portato a letto, era assurdo che non riuscissi nemmeno ad avvicinarmi a Walburga Black, mia moglie. Eppure era proprio così. Sembrava che il mio cuore malandato m’impedisse di concedermi perché, anima e corpo, io apparteneva a un’altra. E ormai iniziavo a sentirmi in colpa anche con Walburga, perché nonostante i suoi insulti e la sua arroganza, soffriva per quella situazione e per le pressioni dei nostri parenti quanto me. Soltanto per colpa mia.

***

Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - novembre 1956

    «… un’altra femmina! Un’altra stramaledettissima figlia femmina! E voi… »

Pollux come al solito urlava al piano di sotto, mia moglie cercava in qualche modo di placarlo, ma la terza sciagurata figlia femmina di Cygnus era ancora un argomento di difficile digestione, anche se era nata da più di un anno.

    «… voi, incapaci che non siete altro, quando vi deciderete a mettere in cantiere un dannato marmocchio?»
    «Ti prego, calmati, padre, lo sai che ti fa male al cuore!»
    «Sciagurata, se t’importasse qualcosa del mio cuore, a quest’ora saresti incinta!»
    «Ma… »

Sentii chiaramente il suono di uno schiaffo e subito dopo i singhiozzi repressi di Walburga.

    «Siete un disonore, tutti e due, maledetti!»

A quel punto non ne potevo più: non era la prima volta che succedeva, e finora mi ero limitato a educate proteste, non potevo sopportare che Walburga fosse trattata in quel modo, anche se il bastardo era suo padre. Soprattutto perché non lo meritava, lei non aveva colpe. Mi precipitai fuori dal mio studio, Bacchetta in mano, cogliendo di sorpresa sia Walburga, che non credeva di avere in me un difensore, visto quanto poco io la considerassi e quanto spesso lei m’insultasse, sia suo padre, che non immaginava fossi in casa e avessi ascoltato, mio malgrado, la lite; odiavo quell’uomo con tutte le mie forze, senza un reale motivo, a parte il fatto che l'idea dell’accordo che aveva condannato tutti quanti all'infelicità era stata sua. Avevo catalizzato su di lui l’odio che in realtà provavo per me stesso e ormai cercavo solo una scusa per potergli puntare la Bacchetta addosso e pronunciare la formula mortale: non ero mai stato così rabbioso e feroce come mi sentivo quando lo guardavo.

    «Esci subito da casa nostra e non osare più toccare mia moglie!»

Pollux ghignò, sapeva che era mia la colpa e ora, con la stessa espressione sordida di mio padre, mi dileggiava per la mia incapacità.

«Ti preme tanto il suo bel viso, Orion? Allora cerca di sbrigarti a fare il tuo dovere, non vedi che ogni giorno che passa tua moglie diventa troppo vecchia per sfornare figli?»

Walburga scoppiò in lacrime e scappò al piano di sopra, lo guardai con odio mentre quello continuava a ghignare sprezzante.

    «È questo l’amore che avete per i figli che reclamate tanto? Vattene Pollux, vattene o potrei scordarmi di essere un galantuomo!»

Non mi curai di vedere se andava via, salii a grandi balzi fino in camera: Walburga era affondata sul copriletto, piangeva come non l’avevo vista mai, nemmeno da piccola quando, correndo, a volte cadeva e si sbucciava le ginocchia.

    «Walburga… »
    «Lasciami sola! È tutta colpa tua! Ti odio! Da quando sei nato, mi hai rovinato la vita!»

Riprese a piangere, la schiena scossa da singhiozzi terribili. Mi avvicinai, mi sedetti sul letto accanto a lei, le appoggiai una mano sulla spalla, con timore: dal giorno del matrimonio, un anno e mezzo prima, non l’avevo mai neppure abbracciata.

    «Hai ragione, è colpa mia, ma per favore non piangere. Pollux si sbaglia, tu sei ancora giovane per avere dei figli e sei sempre bellissima... »

Si voltò, una maschera di lacrime, sembrava avesse perso tutte le sue corazze: avevo sempre creduto che anche lei fosse interessata solo a quel dannato arazzo, alle sorti della nostra famiglia, ma ora che la guardavo con occhi privi di pregiudizi, vedevo che era soprattutto una donna pronta a diventare madre, lo desiderava davvero, aveva lo stesso fuoco che mi sentivo dentro quando guardavo Mirzam. Aprii le braccia e l’accolsi, lasciai che si sfogasse sul mio petto per un tempo interminabile, mentre le accarezzavo la schiena e i capelli, sciolti e morbidi sul tessuto pregiato del bel vestito verde.

    «Sei un bugiardo! Io lo so che non mi ami Orion, lo so che non ti piaccio. Ma io… »
    «Walburga… sei una delle donne più belle e attraenti che abbia mai conosciuto e sappiamo entrambi che i nostri problemi non dipendono da te, sono io… sono io quello… sbagliato… »
    «Che cosa vuoi dire?»

Mi puntò addosso quei suoi gelidi occhi azzurri, Black, privi della solita sfumatura di sfacciata malizia, velati invece di un sordo terrore. Era la prima volta che parlavamo con sincerità, chissà quale oscuro segreto temeva stessi per confessarle.

    «Sono un immaturo, Walburga, un irresponsabile, tutto qui. Entrambi siamo stati costretti a farlo, a sposarci, inutile negarlo, so bene che anche tu, se avessi potuto scegliere, non avresti mai guardato me, ma tu sei una donna responsabile, rispetti la famiglia e, per questo, hai accettato stoicamente il tuo destino. Io invece ho continuato a ribellarmi, invano, e come uno stupido ho vissuto nell'illusione di riuscire a conquistare prima o poi la libertà... Ottenendo solo di fare del male a te, non certo di essere libero. Me ne rendo conto solo adesso, mi rendo conto che dopo quasi due anni nemmeno ti conosco, perché tutto preso a piangermi addosso non mi sono mai impegnato a farlo, io… Che cosa posso dire? Ti ho rifiutata solo perché mi sei stata imposta, non perché ho qualcosa contro di te come persona: come potrei? Non so nemmeno chi sei: chi sei, Walburga? Che cosa pensi? Che cosa ti piace, che cosa odi, a parte me? Ti chiedo scusa… posso fare solo questo... ma, se me lo permetterai, mi impegnerò da subito a cambiare e a vivere la nostra vita insieme come desideri e come meriti… »

Mi prese la mano -dov’era la donna altezzosa e arrogante che rispondeva al nome di Walburga Black?- se la portò alle labbra e me la baciò. Le accarezzai il viso, asciugandole le ultime lacrime, avvicinai il viso, sentii il profumo delicato delle sue labbra e della sua pelle, il suo candore timido e incerto, e la baciai: il primo vero bacio che davo a mia moglie.

    «Ti prego, Orion, non mi lasciare… »

Quelle parole, quelle precise parole, quelle che avrei dovuto ascoltare da Elizabeth se non fossi stato tanto vigliacco da non affrontarla a viso aperto, mi si conficcarono dentro, impedendomi quasi di respirare. Lo giurai, su quel poco di me che meritava ancora di vivere: non avrei più permesso che soffrisse a causa mia, non avrei combinato un disastro anche con lei. Quella notte restai nella sua stanza, lasciai che si addormentasse nel mio abbraccio, mentre osservavo per la prima volta i suoi lineamenti alla luce della luna.

***

Orion Black
località sconosciuta, Anatolia - giugno 1957

Eravamo in viaggio da marzo, lontano da Grimmauld Place, Walburga ed io sembravamo rinati. Non avevo mai saputo molto di lei, per me era da sempre solo la cugina odiosa e arrogante che viveva a Lacock, ma negli ultimi mesi, da quando avevo deciso di prestarle attenzione, avevo scoperto una donna interessante. Era una Strega molto abile, soprattutto quando si trattava di Pozioni e Trasfigurazioni e aveva una conoscenza approfondita di alcune pratiche oscure che me la resero subito molto intrigante. Fin da quando ero solo un ragazzino a Hogwarts, la cosiddetta "Sezione Proibita" era stata l’unico reparto della biblioteca che mi attraesse, così come, tra tutte le materie, la mia preferita era Difesa contro le Arti Oscure: mi piaceva apprendere e subito dopo sperimentare, più che altro per fare dispetti spettacolari ai danni dei Grifondoro. Walburga, invece, aveva fatto di quelle conoscenze un’arte. In particolare era abile a manipolare i pensieri e spesso temevo che ci riuscisse anche con me, anche se, grazie ad Alshain, ero diventato negli anni un passabile Occlumante.
Le cose tra noi erano migliorate, iniziava a esserci una buona complicità, anche se ancora si fermava sulla soglia della nostra camera da letto. L’atteggiamento di Walburga però era cambiato, sembrava apprezzare il mio interesse per lei, e vedevo che a sua volta s’impegnava di più per conoscermi. Il viaggio si rese necessario per evitare che quel periodo di tregua tra noi potesse essere danneggiato dalle interferenze delle nostre famiglie, che imperversavano importunandoci sempre con le stesse richieste.
Avevamo scelto di spostarci lungo il Mediterraneo, alla ricerca delle tracce dei grandi maghi del passato, volevamo visitare l’Egitto e la Giordania, poi avremmo fatto rotta verso la Siria e la Turchia, non avevamo problemi né di tempo né di denaro. Le giornate scorrevano lievi, Walburga sembrava affascinata dalla mia passione per le arti antiche e la ricerca di vecchi manufatti magici del passato.
Spesso dovevamo accontentarci di sistemazioni di fortuna e all’inizio avevo temuto che mia moglie non fosse il tipo di Strega capace di adattarsi e di accontentarsi, così avevo chiesto in prestito ad Alshain una delle sue famose tende piene di comodità che usava durante le notti dei riti della Confraternita. Partire all’avventura con Walburga fu però meno traumatico del previsto.
La condivisione di spazi esigui, inoltre, creò spesso situazioni d’intimità, in cui mi scoprivo a guardare mia cugina con occhi diversi e, piano piano, a desiderarla. All’inizio, abituata com’era al mio disinteresse, mia moglie neppure se ne accorse, ma io sentivo che tra noi le cose stavano cambiando: ero diventato sensibile al suo odore, approfittavo dello spazio ristretto dei letti a nostra disposizione per odorarle la pelle e stringermi a lei, sfiorarla iniziava a essere non più un dovere ma un piacere vero.
Quella sera, come sempre, era avvolta in una bella sottoveste scura, che faceva risaltare ancora di più il candore della sua pelle alla luce lunare. Mi immaginava del tutto insensibile alle sue provocazioni, quelle vesti perciò non erano un tentativo di sedurmi, ma un piacere personale, amava sentirsi addosso quella seta, amava dormire in quel modo. Avevo scoperto, osservandola, che Walburga era una donna che amava soddisfare i propri sensi e i propri desideri, lo si capiva dai suoi gusti raffinati a tavola, dai suoi interessi, dai tessuti e dai profumi che sceglieva, spesso mi chiedevo se sarebbe stata passionale anche tra le mie braccia.
Rendermi conto della sua natura fu la svolta della nostra vita: viverle accanto smise di essere un’odiosa costrizione, per diventare una sfida, una sfida con me stesso. Ero curioso di sapere se sarei stato capace di incendiare di desiderio il suo corpo, come avevo fatto con tante prima di lei.
Non sapevo se dormisse, mi dava la schiena ed io non riuscivo a prendere sonno, le mie domande da qualche settimana avevano iniziato a prendere il posto dei miei continui sensi di colpa, guardavo la curva elegante della scapola e del collo e mi chiedevo se mia moglie fosse il tipo di donna che tremava se le avessi baciato i polsi come sapevo fare tanto bene. Scivolai piano verso di lei, delicatamente abbassai una spallina della sua sottoveste, liberando un’ampia porzione di schiena alla mia vista e al mio tocco.
Appoggiai le labbra sulla curva della spalla, risalendo piano verso il collo, lasciando una scia umida. Volevo sentire quanto veloce scorreva il suo sangue nelle vene. Sentire se e quanto pulsava forte il sangue, il nostro nobile sangue. A causa mia. Feci aderire il mio petto nudo alla sua schiena, altrettanto nuda, un braccio l’andò a stringere al fianco, con la mano feci scivolare leggera la seta sulla sua pelle, candida e già accaldata. Me la serrai quasi con violenza al corpo, era sveglia e volevo che non avesse più dubbi su quanto desiderio provassi per lei. Salii al suo lobo con le labbra e iniziai a giocare su quella carne morbida. Il mio respiro e la mia lingua la facevano tremare. La mano salì ancora portandosi dietro la seta, posizionandosi sul ventre, ormai nudo, le dita che lambivano dal basso il seno morbido e pieno guizzavano a stringersi attorno a quei capezzoli turgidi e appuntiti. La sentii sospirare, la pelle scottava sotto le mie dita, e di colpo quel calore e quel profumo mi fecero riscoprire affamato, come non credevo potessi essere più. Voleva girarsi verso di me, ma glielo impedii, intenzionato a farla impazzire, lentamente: doveva godersi fino all’ultimo gemito quella notte che bramava da tanto, da troppo. Mi avventai sul suo collo, facendola tremare ancora, le piegai piano la testa verso di me, per baciarla mentre la mia mano risaliva le cosce, andando a esplorarla, a strapparle gemiti che subito intrappolavo tra le mie labbra.

    «Ti voglio… »

Ritornammo a Londra in autunno, dopo quasi sei mesi dalla nostra partenza, e finalmente annunciammo che eravamo in attesa del nostro primo figlio. Non avevo mai visto Walburga così radiosa, e non avrei mai creduto prima di allora di poter essere felice al suo fianco.



*continua*



NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, aggiunto a preferiti/seguiti, recensito ecc ecc.

Valeria



Scheda
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