27
Felipe
Kelly aprì gli occhi con
calma, ritrovandosi avvolto dalla luce calda del primo pomeriggio.
Stirò appena i muscoli, attento a non smuovere la figura
addormentata al suo fianco. Si girò su un fianco, la mano
infilata tra la testa e il cuscino, mentre con quella libera carezzava
delicatamente la testa bionda. I capelli sottili erano incollati dal
sudore, che spalmava il torso chiaro e ben scolpito. Le palpebre erano
chiuse e ferme, i tratti rilassati. Kelly sorrise, saggiando sotto i
polpastrelli callosi la soffice consistenza dei capelli corti. Matt era
di una bellezza infantile e innocent mentre dormiva.
Sorpirò, ripensando al modo in cui l'aveva stretto solo
un'ora prima, sentendosi appagato e libero, come un animale appena
uscito da una buia grotta che si ritrovi in una selvaggia e brillante
foresta. Respirava aria limpida e calda, l'odore di sudore e sesso
ancora dolce sul corpo e tra le lenzuola. Era in momenti come quello
che avrebbe desiderato averlo così per sempre,
perché aveva la chiara consapevolezza di quanto
ciò che avevano fosse importante.
Risistemò la testa sul cuscino,
poggiando la mano sul fianco nudo del compagno. Il sonno
tornò a colpire la sua mente, placido e ben accolto.
Shay scese dall'ambulanza con uno sbuffo
sonoro. Estrasse il cellulare dalla tasca e lesse il messaggio di Sam.
Gabby vide sul volto dell'amica formarsi un cipiglio, che pian piano si
trasformò in un sorriso.
«Che succede?» chiese con un
ghigno divertito.
Shay scrollò le spalle e ripose il
cellulare.
«Sam e Matt sono amiche del
cuore.»
Gabby sollevò un sopracciglio, quindi
esalò una breve risata. Si sentiva sollevata di come le
cose, in fondo, cominciassero ad assestarsi da sole. Mentre vagava con
lo sguardo nell'hunger, i suoi occhi incontrarono quelli scuri di
Peter. Gli sorrise e lui le fece un cenno del capo, con quel suo dolce
e genuino sorriso. Gabby fu colta dalla trepidazione. Quella sera Matt
sarebbe passato al Molly's per delle riparazione, e lei era impaziente
di testare la loro nuova amicizia.
Felipe si morse il labbro, tirando con gli
incisivi un pezzetto di pelle fino a sentire il sangue entrargli in
bocca e pungergli la lingua. Alzò un dito e premette il
cursore del pc. In pochi secondi l'articolo di giornale apparve sullo
schermo. Con occhi attenti lesse ogni cosa, riuscendo a comprendere
solo i tratti salienti. Anche se il suo inglese non era ottimo, quello
che apprese gli bastò a sentire un profondo senso di disagio
alla base dello stomaco.
Tyrone lo aveva sempre trattato bene. Mai nulla
più di un urlo quando Felipe si distraeva, rintanandosi nel
suo mondo interiore. Non parlava, ma non era stupido, e poteva vedere
la beffa negli occhi degli uomini di Tyrone. A nessuno piaceva, e dal
canto suo a Felipe non piaceva nessuno. Tranne Tyrone. Lui non l'aveva
mai trattato da stupido, mai rivolto uno sguardo di pietà o
fastidio.
Felipe sapeva che le cose sarebbero potute andargli
molto peggio. Aveva sempre un pasto caldo, un letto pulito e nessuno a
fargli del male. Tyrone lo proteggeva. Quando gli uomini lo avevano
portato da Tyrone, dicendo di sbarazzarsi di lui perché era
troppo stupido e buono a nulla, Felipe aveva davvero creduto di non
riuscire a vedere un'altra alba. Eppure Tyrone lo aveva caricato nella
sua auto e portato nel suo appartamento. Gli aveva dato un foglio di
carta e chiesto se sapesse scrivere. Accidenti se sapeva farlo, aveva
pensato Felipe. Nel suo liceo, giù in Colombia, era il
ragazzo più brillante. Felipe amava la chimica e la
biologia, le cose minute nascoste dietro gli angoli della
realtà, lì dove nessuno guardava. Particelle che
erano lì anche se tutti le ignoravano.. Come lui.
«Hey.»
La voce rude di Tyrone fece scattare la testa di
Felipe, strappandolo ai ricordi. Guardò il capo, quindi
batté le palpebre e abbassò lo sguardo sul pc.
Velocemente lo chiuse, rendendosi poi conto di aver solo aggravato la
sua situazione.
Tyrone rise, sedendosi sul divano accanto a lui.
«Ragazzo, se guardi un porno non ti devi
vergognare» disse, facendolo arrossire. «Siamo in
America, niño.»
Felipe si guardò le mani e
pensò a Matthew Casey. Lui aveva una famiglia, degli amici,
qualcuno che lottava per lui. Ripensò agli occhi blu
dell'uomo che era entrato con Voight. Kelly Severide. Chiuse gli occhi
e si chiese se anche suo padre avesse quello sguardo determinato.
Forse per se stesso e per suo padre non c'era
più speranza, ma doveva essercene per Casey e Severide.
Erano uomini giusti, Felipe poteva sentirlo, ed erano combattenti. Era
affascinato nell'immaginarli come eroi. Gli mancavano i suoi fumetti.
Anche se Tyrone gliene comprava molti, non avevano mai lo stesso odore
di quelli con i quali era cresciuto.
«Qualcosa non va?»
Guardò Tyrone e scosse la testa. L'uomo
lo osservò a lungo, con uno sguardo concentrato, prima di
sorridere e alzarsi.
«Tra dieci minuti usciamo, dobbiamo fare
una consegna.»
Felipe lo guardò uscire, quindi
sospirò, poggiando la schiena ai cuscini del divano. Riprese
a mordere quel pezzetto di labbro sanguinante, guardando il soffitto.
Tyrone gli sarebbe mancato. Non era neanche certo che non lo avrebbe
ucciso quando avrebbe scoperto cosa voleva fare. Odiava tradire la
fiducia di qualcuno che per lui aveva fatto tanto, perché
suo padre gli aveva sempre detto che il valore di un uomo si misura
nella sua lealtà.
Suo padre...l'uomo che, durante l'alluvione in cui
sua madre era annegata nell'acqua e nel fango, si era gettato a mani
nude tra i torrenti che erano strade, salvando quante più
persone possibili. Suo padre, austero e silenzioso, con gli occhi vivi
e le braccia forti. Suo padre che gli aveva insegnato cosa fosse giusto
e cosa no.
Aprì il pc e cercò
l'indirizzo della Caserma 51.
Scendendo dall'auto con la sacca degli attrezzi,
Matt ebbe per un attimo la sensazione che tutto fosse come prima. Il
Molly's era di fronte a lui, fedele a sé stesso, e la porta
che aveva sistemato e montato uguale a come la ricordava.
Eppure tutto era cambiato.
Nella sua mente tornò
l'immagine della foto scattata con Dowson su quegli scalini, e la
sensazione che aveva provato vedendo Mills arrivare. Aveva davvero
creduto che un giorno Gabriela sarebbe diventata qualcosa di
più e la gelosia che aveva provato era stata reale. Ma lui
aveva imparato che l'amore aveva mille facce.
Strinse le maniche della sacca e si
avviò all'ingresso. Dowson, appena sentita la porta aprirsi,
alzò lo sguardo da un tavolo rovesciato. Una luce di
imbarazzo le passò negli occhi, che distolse per un attimo,
prima di alzarsi e rivolgergli un sorriso.
«Allora, è quello il
paziente?» chiese Matt, avvicinandosi con la sacca al tavolo.
«Già. Questo tavolo
sarà stato qui per anni e ora ha deciso di
rompersi» spiegò Gabriela, passandosi una mano tra
i capelli. «Dimmi che c'è speranza.»
Matt finse un cipiglio, accovacciandosi a studiare
il danno.
«Allora?» chiese la ragazza
trepitante.
Il biondo alzò su di lei un sorriso,
prima di aprire la sacca in cerca degli attrezzi.
«Ci sono solo un paio di cardini saltati,
il legno è in buono stato. Non sarà difficile o
doloroso.»
Gabriela rise nel tragitto per il bancone,
sporgendosi a prendere due birre dal frigo portatile. Ne
offrì una a Matt, poi si sedette su un tavolo vicino, le
gambe incrociate e lo sguardo attento sul lavoro del tenente. Solo ora
realizzava che, in effetti, era la prima volta che restavano da soli
dopo l'ospedale. Deglutì e cercò di sembrare
disinvolta.
«Bella sacca» disse, indicando
con la bottiglia di birra l'oggetto ai suoi piedi.
«Uhm, sì. La mia, quella che
tenevo a casa, era più grande, ma è andata
distrutta» spiegò il biondo, mentre sganciava i
cardini. Non gli sembrava opportuno dire che era un regalo di Kelly, o
come lo avesse ringraziato. «Antonio dice che alcuni attrezzi
erano ancora intatti, ma tanto valeva farsene di nuovi, no?»
«Giusto» ammise Gabriela,
prendendo un sorso di birra.
Ci fu un breve momento di tensione e, sentendosi
scomoda, decise di cambiare argomento prima che il silenzio diventasse
insopportabile.
«Tra te e Severide sembra funzionare,
vero?»
Si maledisse mentalmente, perché il
silenzio che seguì le sue parole fu molto più
imbarazzante del previsto. Matt interruppe qualunque cosa stesse
facendo, guardando le gambe all'aria del tavolo in cerca di parole. Non
trovando nulla di appropriato, si sedette sui talloni e
poggiò le mani alle cosce, per poi riprendere a lavorare con
un cacciavite.
«Sì, abbiamo trovato il modo
di far funzionare le cose.»
Quando guardò Gabriela, la vide molto
meno tesa di quanto credesse. Forse, si disse, avrebbero trovato una
nuova sistemazione reciproca, un nuovo modo di far funzionare le cose
anche tra loro.
«Tu e Peter?» chiese con calma,
estraendo una vite e poggiandola a terra.
«Molto bene. Sai, all'inizio pensavo è troppo giovane,
è ancora un ragazzino e cose del genere, ma
sta andando molto bene. È...dolce.»
«Mills è un bravo
ragazzo» concordò Matt, prima di fare una smorfia
in direzione del tavolo. «Qui due viti sono andate, le devo
sostituire.» Prese un kit di viti e chiodi e
cominciò a frugarlo in cerca di quella adatta. Quando la
trovò, esultò e cominciò ad avvitarla.
«Comunque» continuò, lanciando una
rapida occhiata alla ragazza. «Sono davvero contento per
voi.»
«Anch'io» disse Gabriela.
«Per voi due, intendo.»
Matt la guardò stranito e, notando che
lo intendeva davvero, ne sorrise. «Grazie.»
Gabriela fece un gesto dismissivo con la mano,
scendendo dal tavolo e raggiungendolo. Si chinò a guardare
il lavoro e gli diede una pacca sulla spalla.
«Ottimo lavoro, Tenente.»
Il biondo si rialzò e insieme
cominciarono a voltare il tavolo. Lo testò smuovendolo e
trovandolo stabile.
«Nulla di impegnativo, e poi ci ho
guadagnato una birra.»
Entrambi risero, bevendo i rimasugli delle
rispettive birre. Matt studiò Gabby sopra l'orlo della
bottiglia, sentendo un grosso peso scivolare via a ogni sorso. Tutto
sembrava sistemarsi, la sua galassia personale ruotare e trovare un
nuovo baricentro. Tutto era perfetto, malgrado ogni imperfezione.
Così come la calma era giunta,
depositandosi su di lui, l'alito freddo dell'imprevisto gli
soffiò sul collo. Percepì appena la campanella
sulla porta del locale aprirsi, perché il suo sguardo era
concentrato sul viso sorpreso di Gabriela e sui suoi occhi spalancati.
Si voltò e in un attimo la coltre di
pace sulla sua mente cominciò a traballare.
«Casey, Dowson» li
salutò l'ultimo uomo che Matt avrebbe voluto incontrare.
«Voight.»
Voight non era tipo da vacillare nelle sue
intenzioni. Prendeva una decisione e portava a termine il suo piano,
qualunque esso fosse. Ogni imperfezione o inciampo nel percorso era
solo una noia da sorpassare.
Guardando la strada fredda appena fuori
il Molly's, si ritrovò a chiedersi come le cose sarebbero
andate. Studiò Matt, che teneva le baccia incrociate sul
petto e quello sguardo di sfida sul volto, e si ritrovò a
sorridere internamente. Non gli era occorso troppo per comprendere
quell'uomo e, anche se non l'avrebbe mai detto a Casey, lo stimava. Al
tempo del loro primo incontro, aveva compreso quanto simili fossero, e
quanto il bisogno di proteggere i rispettivi affetti li avesse resi
nemici. Lui voleva riparare il torto, ma c'era qualcosa negli occhi di
Casey che gli suggeriva il perdono non fosse esattamente uno dei suoi
punti forti. Non in questo caso.
Sospirò e decise che tagliare la testa
al toro fosse l'idea migliore.
«So che non corre buon sangue tra
noi.»
Casey sbuffò una risata amara, poggiando
la schiena al muro di mattoni dell'edificio. Voight lo
ignorò e continuò deciso.
«Credimi quando ti dico che ora non
importa. Sono qui per farti un favore, e farne uno a me
stesso.»
«Hai davvero il coraggio di venirmi qui a
parlare di favori?»
Voight fissò Casey finché
questo serrò le mascelle e sembrò capire di dover
aspettare spiegazioni. Il detective rimase leggermente sorpreso che il
vigile non fosse già andato via, ma che attualmente gli
stesse concedendo il beneficio del dubbio. Poi lo colse l'intuizione:
Casey sapeva. Tuttavia non lasciò trapelare la propria
sorpresa.
«So che Severide ti ha raccontato tutto,
riguardo Tyrone.»
Casey distolse appena lo sguardo, unico indizio di
conferma. Questo, decisamente, gli facilitava le cose.
«Allora vado dritto al punto»
continuò Voight. «Il tuo amico ha buone
intenzioni, ma deve stare fuori da questa faccenda.»
La testa del biondo scattò come un
ingranaggio iperattivo e le sue spalle, istintivamente, si staccarono
dal muro per fargli acquistare una postura più aggressiva.
«Stai scherzando? Tu lo hai portato
dentro questa faccenda e ora lo vuoi fuori?»
«Tu lo vuoi dentro questo
schifo?» lo sfidò Voight.
Matt non disse nulla, limitandosi a fissarlo senza
batter ciglio.
«Non l'ho tirato io dentro. È
stato lui a chiamarmi di continuo. Voleva rendersi utile, e l'ho
accontentato.»
«Oh, davvero un samaritano,
Voight» lo sbeffeggiò Casey.
Voight si era ripromesso di mantenere la calma, ma
c'era qualcosa nel modo di guardarlo di Casey che non mancava di
irritarlo.
«Ascoltami bene» disse,
prendendo un grosso respiro per calmarsi. «L'ho portato con
me perché credevo fosse capace di restare calmo e non fare
stronzate. Ma a quanto pare non ne è capace.»
«Attento a quello che dici»
sibilò Matt.
Voight rimase un attimo incerto. Cosa diavolo
succedeva tra quei due? Fino a due mesi prima aveva creduto fossero
cane e gatto, e ora sembravano un unico essere che si difende dal
mondo. Si ricoverò subito, decidendo che non fossero affari
suoi. Lui era lì per ben altri motivi.
«Senti, pensa quello che vuoi»
mormorò alla fine, pronto a tornare alla sua auto.
«Fai un favore a me, a Severide e a te stesso se lo tieni
fuori dai miei affari.»
Si voltò e si incamminò, ma
la voce di Casey lo bloccò.
«Voight.»
Quando gli lanciò uno sguardo oltre le
spalle, lo vide assumere un'espressione diversa, come se stesse
lottando con se stesso per decidersi a chiedere quello che premeva
sulla lingua.
«Quel ragazzo...Felipe. È
tutto vero?»
Voight serrò i pugni e si
voltò. «Come ho detto, statene fuori.»
Guardando Voight allontanarsi lungo la strada,
Casey sentì una strana tensione raggrumarsi alla base della
nuca. Per quanto la sua vita lo richiamasse, chiedendogli
insistentemente di tornare alla normalità, ventilandogli
davanti agli occhi una pace mai sperata prima, c'era sempre qualcosa
che si incrinava nel suo progetto. Vedeva il suo futuro luminoso, calmo
come il mare all'alba, eppure esisteva sempre questo piccolo rombo in
fondo al cielo, come di un temporale mai acquietatosi. Ignorarlo era
forse il miglior modo per godere del sole e dell'amore, ma non di
debellare quelle nuvole sempre più cariche.
E se tutta quell'energia negativa fosse esplosa in
un giorno qualunque? Tutto ciò che aveva gli sarebbe stato
sottratto, trascinato via dal temporale?
Scosse la testa e guardò alle sue
spalle, sentendosi osservato. Dalla cornice della porta, Gabriela lo
guardava interrogativa.
Lui sorrise, ma non riuscì a dire nulla.
Mentirle non aveva alcun senso, perché lei poteva sempre
sentire la menzogna nella sua voce. Sospirò e
lanciò un ultimo sguardo alla strada umida.
Forse, per una volta, Voight aveva ragione. Non
potevano cacciare i Messer, o salvare Felipe. L'unica cosa che a lui e
Kelly era rimasta era cercare di salvare se stessi.
Spostò lo sguardo sul cielo oltre gli
edifici, sentendo il carico dell'umidità trasportata dalle
nuvole. Avrebbe piovuto, molto presto; lui era sempre stato capace di
prevederlo. Sentiva quella particolare sensazione di prurito alla base
del naso e come piccole formiche percorrergli la schiena e le braccia.
La pioggia, pensò, sembrava la metafora
perfetta: avrebbe lavato via ogni traccia del passato.
«Hey. Tutto bene?»
Guardò Gabriela, ora accanto a lui, e
annuì. «Benissimo.»
Forse non era davvero una bugia, perché
lei sorrise e gli prese la mano.
«Pronto?»
«Chris, sono Matt. Come stai?»
«Hey,
Matt... Tutto bene. Tu? È da un po' che non vieni a
trovarci. Violet chiede sempre di te.»
«Lo so. Sono stati giorni-»
«Impegnativi. Sì, lo so, Matt. Ma puoi venire
quando vuoi, lo sai.»
«Certo, lo so. Io e Kelly verremo
presto.»
Respiro trattenuto. Matt non sapeva se fosse solo
il suo o anche quello della sorella. La sua risposta, in ogni caso, lo
lasciò sorpreso.
«Sai, mi chiedevo quando l'avresti portato qui per farcelo
conoscere meglio. Quando l'ho visto all'ospedale...ci sono poche
persone capaci di amare così tanto. Comunque, davvero,
portalo qui. A Violet piacerà di sicuro. Anche se
sarà un po' delusa.»
«Delusa?»
L'aria, questa volta, lasciò
completamente i suoi polmoni.
«Certo!
Quando lo ha visto l'ultima volta ha detto di volerlo
sposare.»
Matt non riuscì a trattenere una risata
liberatoria, tanto forte da fargli lacrimare gli occhi. Dopo un lungo
silenzio, Christie sospirò nella cornetta del telefono.
«Sono
felice che tu abbia trovato finalmente ciò che cercavi. Lui
ti rende felice?»
Matt guardò l'uomo disteso sul divano,
addormentato con la testa fuori dal cuscino e la bocca socchiusa.
«Sì. Assolutamente.»
Poté immaginare il sorriso della sorella oltre la cornetta,
e questo gli diede forza per chiedere: «Perché non
vieni all'inaugurazione del Molly's? Sarà questo sabato.
Puoi portare anche Carl e Violet.»
«Non
credo che per Violet sia un buon esempio.»
Matt rise ancora e annuì, sebbene la
sorella non potesse vederlo.
«Sai...
alla mamma farebbe piacere conoscere Kelly.»
«Uhm...» Matt non sapeva cosa
dire, ma sapeva di non poter dire quello che pensava. Non c'era bisogno
di resuscitare ancora il fantasma di Edward. «Ci
penserò, Christie. A sabato?»
«A
sabato, Matt.»
Quando riaggaciò, gli sembrò
di poter respirare un po' meglio. Un altro pezzo del suo passato era
stato rimesso a posto. Sospriò e si alzò,
raggiungendo Kelly. Si chinò e gli baciò la
tempia. Il moro mugugnò nel sonno e piano aprì
gli occhi, arrossati e confusi.
«Matt...tutto okay?»
Matt sorrise e gli baciò le labbra.
«Tutto benissimo.»
Kelly annuì distrattamente diverse
volte, chiudendo di nuovo gli occhi. «Bene...»
Tutto bene, pensò Matt, credendoci davvero.
Shay scese dall'ambulanza con uno sbuffo,
sbattendo lo sportello dietro di sé.
«Andiamo, stai esagerando» si
lamentò, appena la collega la raggiunse.
«No, Shay, quella ad esagerare sei stata
tu» ritorse Dowson, scuotendo la testa in disapprovazione.
Shay roteò gli occhi, poi vide Otis
passar loro accanto e lo intercettò. Il vigile la
guardò sorpreso e sospettoso, soprattutto quando
quest'ultima espose il suo ghigno meno promettente.
«Otis, scenario: ultima chiamata del
turno per un infarto, un ragazzo sotto effetto di MDMA che chiaramente
non ha un infarto ma mani un po' troppo lunghe.»
Questa volta fu Gabby a roteare gli occhi, prima di
intimare a Otis di non assecondare la bionda. L'uomo
dardeggiò lo sguardo tra le due, sentendosi in trappola.
Gabby poteva essere una dura, ma Shay lo spaventava
decisamente di più, quindi guardò quest'ultima e
finse di ponderare a lungo le alternative.
«Giusto per essere chiari»
chiese per prendere tempo. «L'uomo è per me o per
te?»
«Entrambi» rispose seccamente
la bionda. «A meno che tu non sia gay.»
«Non in questa vita» rispose
Otis. «Bhe...penso che...forse avrei reagito abbastanza
male.»
«Visto!» esultò
Shay, guardando l'amica mentre indicava Otis.
«Male nel tuo vocabolario è
quasi rompere la mano a un uomo» puntualizzò Gabby.
«Quasi
è la parola chiave, amica mia.»
Otis sorrise politicamente e tentò una
ritirata, ma la voce possente del comandante Boden gli evitò
ogni sotterfugio.
«Dowson! Nel mio ufficio.»
Shay guardò l'amica in tono di scusa, ma
lei si limitò a sbuffare e raggiungere il comandante.
Forse aveva davvero esagerato, pensò
Shay guardando Gabby allontanarsi. D'altra parte era certa che il
ragazzo non avrebbe mai sporto denuncia e che al massimo si sarebbe
trattato di una piccola lavata di capo da parte di Boden. Avrebbero
solo dovuto spiegare come un ragazzo che lamentava un possibile attacco
cardiaco fosse finito in ospedale per una lesione alla mano. Erano
incappate in guai peggiori, in passato.
Ancora lievemente in colpa, si
voltò in cerca di Otis, roteando gli occhi quando si accorse
di essere rimasta sola.
Era intenta a decidere come passare il
tempo fino al ritorno di Dowson, quando qualcosa all'angolo del suo
campo visivo attirò la sua attenzione. La sua mente
impiegò poco a registrare il dettaglio e, ancor prima di
poter capire cosa fosse, si ritrovò a fissare lo sguardo in
due occhi scuri.
Di fronte all'ambulanza, similmente comparso dal
nulla, c'era un ragazzino dalla pelle olivastra e fitti capelli corvini.
«Ehm...hai bisogno di
qualcosa?» chiese con quanta dolcezza riuscisse a mostrare, e
al momento non era molta.
Il ragazzo si limitò a fissarla. C'era
qualcosa in quello sguardo che insinuava sotto la sua pelle un brivido
freddo.
Si chinò di poco per raggiungere il suo
livello, e chiese ancora: «Posso aiutarti? Parli la mia
lingua?» Non ricevendo risposta, si raddrizzò e
sposirò. «Immagino sia un no»
mormorò, voltandosi. «Forse è meglio
chiamare Gabby.»
Dita sottili ma ferree si serrarono intorno alla
manica della sua divisa. Guardò il ragazzino, che
indicò il Camion 81.
«Cerchi qualcuno dell'81?»
Il ragazzo annuì, poi lasciò
andare la presa ed estrasse dalla tasca un pezzo di carta e una penna.
Poggiò il foglio sul cofano dell'ambulanza e
scribacchiò in fretta. Risistemata la penna, lo porse al
paramedico.
Shay afferrò la nota con titubanza.
I suoi occhi si spalancarono di fronte a
ciò che lesse.
Lt. Casey. Portami da
lui, è importante. No polizia.
Eppure fu lo sguardo di estrema preghiera negli
occhi di quel ragazzo la cosa più convincente di tutte.
↓
Note: Hi! Come promesso,
eccomi. Ho cambiato la formattazione del testo, mi sembra
così abbia più respiro e sia quindi
più leggibile.
In questo capitolo me la
sono presa comoda con le riflessioni, ma è solo
perché nei prossimi ci sarà molta più
azione. Non dico altro :D
Grazie della vostra
infinita pazienza.
A presto!
Ax.
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