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Autore: AlexEinfall    04/08/2015    4 recensioni
[Casey/Severide] Prima mia long-fic su questa coppia, che credo abbia un grosso potenziale.
Severide affronta Casey circa il suo comportamento sconsiderato, ma le cose non vanno mai come ci si aspetta. Questo è l'inizio di qualcosa oppure le resistenze e l'antico astio ostacoleranno la loro strada?
Un giorno qualunque alla Caserma 51 è destinato a cambiare ogni cosa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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27

Felipe

   Kelly aprì gli occhi con calma, ritrovandosi avvolto dalla luce calda del primo pomeriggio. Stirò appena i muscoli, attento a non smuovere la figura addormentata al suo fianco. Si girò su un fianco, la mano infilata tra la testa e il cuscino, mentre con quella libera carezzava delicatamente la testa bionda. I capelli sottili erano incollati dal sudore, che spalmava il torso chiaro e ben scolpito. Le palpebre erano chiuse e ferme, i tratti rilassati. Kelly sorrise, saggiando sotto i polpastrelli callosi la soffice consistenza dei capelli corti. Matt era di una bellezza infantile e innocent  mentre dormiva. Sorpirò, ripensando al modo in cui l'aveva stretto solo un'ora prima, sentendosi appagato e libero, come un animale appena uscito da una buia grotta che si ritrovi in una selvaggia e brillante foresta. Respirava aria limpida e calda, l'odore di sudore e sesso ancora dolce sul corpo e tra le lenzuola. Era in momenti come quello che avrebbe desiderato averlo così per sempre, perché aveva la chiara consapevolezza di quanto ciò che avevano fosse importante.

  Risistemò la testa sul cuscino, poggiando la mano sul fianco nudo del compagno. Il sonno tornò a colpire la sua mente, placido e ben accolto.


   Shay scese dall'ambulanza con uno sbuffo sonoro. Estrasse il cellulare dalla tasca e lesse il messaggio di Sam. Gabby vide sul volto dell'amica formarsi un cipiglio, che pian piano si trasformò in un sorriso.

  «Che succede?» chiese con un ghigno divertito.

  Shay scrollò le spalle e ripose il cellulare.

  «Sam e Matt sono amiche del cuore.»

  Gabby sollevò un sopracciglio, quindi esalò una breve risata. Si sentiva sollevata di come le cose, in fondo, cominciassero ad assestarsi da sole. Mentre vagava con lo sguardo nell'hunger, i suoi occhi incontrarono quelli scuri di Peter. Gli sorrise e lui le fece un cenno del capo, con quel suo dolce e genuino sorriso. Gabby fu colta dalla trepidazione. Quella sera Matt sarebbe passato al Molly's per delle riparazione, e lei era impaziente di testare la loro nuova amicizia.

 




   Felipe si morse il labbro, tirando con gli incisivi un pezzetto di pelle fino a sentire il sangue entrargli in bocca e pungergli la lingua. Alzò un dito e premette il cursore del pc. In pochi secondi l'articolo di giornale apparve sullo schermo. Con occhi attenti lesse ogni cosa, riuscendo a comprendere solo i tratti salienti. Anche se il suo inglese non era ottimo, quello che apprese gli bastò a sentire un profondo senso di disagio alla base dello stomaco.

  Tyrone lo aveva sempre trattato bene. Mai nulla più di un urlo quando Felipe si distraeva, rintanandosi nel suo mondo interiore. Non parlava, ma non era stupido, e poteva vedere la beffa negli occhi degli uomini di Tyrone. A nessuno piaceva, e dal canto suo a Felipe non piaceva nessuno. Tranne Tyrone. Lui non l'aveva mai trattato da stupido, mai rivolto uno sguardo di pietà o fastidio.

  Felipe sapeva che le cose sarebbero potute andargli molto peggio. Aveva sempre un pasto caldo, un letto pulito e nessuno a fargli del male. Tyrone lo proteggeva. Quando gli uomini lo avevano portato da Tyrone, dicendo di sbarazzarsi di lui perché era troppo stupido e buono a nulla, Felipe aveva davvero creduto di non riuscire a vedere un'altra alba. Eppure Tyrone lo aveva caricato nella sua auto e portato nel suo appartamento. Gli aveva dato un foglio di carta e chiesto se sapesse scrivere. Accidenti se sapeva farlo, aveva pensato Felipe. Nel suo liceo, giù in Colombia, era il ragazzo più brillante. Felipe amava la chimica e la biologia, le cose minute nascoste dietro gli angoli della realtà, lì dove nessuno guardava. Particelle che erano lì anche se tutti le ignoravano.. Come lui.

  «Hey.»

  La voce rude di Tyrone fece scattare la testa di Felipe, strappandolo ai ricordi. Guardò il capo, quindi batté le palpebre e abbassò lo sguardo sul pc. Velocemente lo chiuse, rendendosi poi conto di aver solo aggravato la sua situazione.

  Tyrone rise, sedendosi sul divano accanto a lui.

  «Ragazzo, se guardi un porno non ti devi vergognare» disse, facendolo arrossire. «Siamo in America, niño.»

  Felipe si guardò le mani e pensò a Matthew Casey. Lui aveva una famiglia, degli amici, qualcuno che lottava per lui. Ripensò agli occhi blu dell'uomo che era entrato con Voight. Kelly Severide. Chiuse gli occhi e si chiese se anche suo padre avesse quello sguardo determinato.

  Forse per se stesso e per suo padre non c'era più speranza, ma doveva essercene per Casey e Severide. Erano uomini giusti, Felipe poteva sentirlo, ed erano combattenti. Era affascinato nell'immaginarli come eroi. Gli mancavano i suoi fumetti. Anche se Tyrone gliene comprava molti, non avevano mai lo stesso odore di quelli con i quali era cresciuto.

  «Qualcosa non va?»

  Guardò Tyrone e scosse la testa. L'uomo lo osservò a lungo, con uno sguardo concentrato, prima di sorridere e alzarsi.

  «Tra dieci minuti usciamo, dobbiamo fare una consegna.»

  Felipe lo guardò uscire, quindi sospirò, poggiando la schiena ai cuscini del divano. Riprese a mordere quel pezzetto di labbro sanguinante, guardando il soffitto. Tyrone gli sarebbe mancato. Non era neanche certo che non lo avrebbe ucciso quando avrebbe scoperto cosa voleva fare. Odiava tradire la fiducia di qualcuno che per lui aveva fatto tanto, perché suo padre gli aveva sempre detto che il valore di un uomo si misura nella sua lealtà.

  Suo padre...l'uomo che, durante l'alluvione in cui sua madre era annegata nell'acqua e nel fango, si era gettato a mani nude tra i torrenti che erano strade, salvando quante più persone possibili. Suo padre, austero e silenzioso, con gli occhi vivi e le braccia forti. Suo padre che gli aveva insegnato cosa fosse giusto e cosa no.

  Aprì il pc e cercò l'indirizzo della Caserma 51.




  Scendendo dall'auto con la sacca degli attrezzi, Matt ebbe per un attimo la sensazione che tutto fosse come prima. Il Molly's era di fronte a lui, fedele a sé stesso, e la porta che aveva sistemato e montato uguale a come la ricordava.

   Eppure tutto era cambiato.

   Nella sua mente tornò l'immagine della foto scattata con Dowson su quegli scalini, e la sensazione che aveva provato vedendo Mills arrivare. Aveva davvero creduto che un giorno Gabriela sarebbe diventata qualcosa di più e la gelosia che aveva provato era stata reale. Ma lui aveva imparato che l'amore aveva mille facce.

   Strinse le maniche della sacca e si avviò all'ingresso. Dowson, appena sentita la porta aprirsi, alzò lo sguardo da un tavolo rovesciato. Una luce di imbarazzo le passò negli occhi, che distolse per un attimo, prima di alzarsi e rivolgergli un sorriso.

  «Allora, è quello il paziente?» chiese Matt, avvicinandosi con la sacca al tavolo.

  «Già. Questo tavolo sarà stato qui per anni e ora ha deciso di rompersi» spiegò Gabriela, passandosi una mano tra i capelli. «Dimmi che c'è speranza.»

  Matt finse un cipiglio, accovacciandosi a studiare il danno.

  «Allora?» chiese la ragazza trepitante.

  Il biondo alzò su di lei un sorriso, prima di aprire la sacca in cerca degli attrezzi.

  «Ci sono solo un paio di cardini saltati, il legno è in buono stato. Non sarà difficile o doloroso.»

  Gabriela rise nel tragitto per il bancone, sporgendosi a prendere due birre dal frigo portatile. Ne offrì una a Matt, poi si sedette su un tavolo vicino, le gambe incrociate e lo sguardo attento sul lavoro del tenente. Solo ora realizzava che, in effetti, era la prima volta che restavano da soli dopo l'ospedale. Deglutì e cercò di sembrare disinvolta.

  «Bella sacca» disse, indicando con la bottiglia di birra l'oggetto ai suoi piedi.

  «Uhm, sì. La mia, quella che tenevo a casa, era più grande, ma è andata distrutta» spiegò il biondo, mentre sganciava i cardini. Non gli sembrava opportuno dire che era un regalo di Kelly, o come lo avesse ringraziato. «Antonio dice che alcuni attrezzi erano ancora intatti, ma tanto valeva farsene di nuovi, no?»

  «Giusto» ammise Gabriela, prendendo un sorso di birra.

  Ci fu un breve momento di tensione e, sentendosi scomoda, decise di cambiare argomento prima che il silenzio diventasse insopportabile.

  «Tra te e Severide sembra funzionare, vero?»

  Si maledisse mentalmente, perché il silenzio che seguì le sue parole fu molto più imbarazzante del previsto. Matt interruppe qualunque cosa stesse facendo, guardando le gambe all'aria del tavolo in cerca di parole. Non trovando nulla di appropriato, si sedette sui talloni e poggiò le mani alle cosce, per poi riprendere a lavorare con un cacciavite.

  «Sì, abbiamo trovato il modo di far funzionare le cose.»

  Quando guardò Gabriela, la vide molto meno tesa di quanto credesse. Forse, si disse, avrebbero trovato una nuova sistemazione reciproca, un nuovo modo di far funzionare le cose anche tra loro.

  «Tu e Peter?» chiese con calma, estraendo una vite e poggiandola a terra.

  «Molto bene. Sai, all'inizio pensavo è troppo giovane, è ancora un ragazzino e cose del genere, ma sta andando molto bene. È...dolce.»

  «Mills è un bravo ragazzo» concordò Matt, prima di fare una smorfia in direzione del tavolo. «Qui due viti sono andate, le devo sostituire.» Prese un kit di viti e chiodi e cominciò a frugarlo in cerca di quella adatta. Quando la trovò, esultò e cominciò ad avvitarla. «Comunque» continuò, lanciando una rapida occhiata alla ragazza. «Sono davvero contento per voi.»

  «Anch'io» disse Gabriela. «Per voi due, intendo.»

  Matt la guardò stranito e, notando che lo intendeva davvero, ne sorrise. «Grazie.»

  Gabriela fece un gesto dismissivo con la mano, scendendo dal tavolo e raggiungendolo. Si chinò a guardare il lavoro e gli diede una pacca sulla spalla.

  «Ottimo lavoro, Tenente.»

  Il biondo si rialzò e insieme cominciarono a voltare il tavolo. Lo testò smuovendolo e trovandolo stabile.

  «Nulla di impegnativo, e poi ci ho guadagnato una birra.»

  Entrambi risero, bevendo i rimasugli delle rispettive birre. Matt studiò Gabby sopra l'orlo della bottiglia, sentendo un grosso peso scivolare via a ogni sorso. Tutto sembrava sistemarsi, la sua galassia personale ruotare e trovare un nuovo baricentro. Tutto era perfetto, malgrado ogni imperfezione.

  Così come la calma era giunta, depositandosi su di lui, l'alito freddo dell'imprevisto gli soffiò sul collo. Percepì appena la campanella sulla porta del locale aprirsi, perché il suo sguardo era concentrato sul viso sorpreso di Gabriela e sui suoi occhi spalancati.

  Si voltò e in un attimo la coltre di pace sulla sua mente cominciò a traballare.

  «Casey, Dowson» li salutò l'ultimo uomo che Matt avrebbe voluto incontrare.

  «Voight.»


  Voight non era tipo da vacillare nelle sue intenzioni. Prendeva una decisione e portava a termine il suo piano, qualunque esso fosse. Ogni imperfezione o inciampo nel percorso era solo una noia da sorpassare.

   Guardando la strada fredda appena fuori il Molly's, si ritrovò a chiedersi come le cose sarebbero andate. Studiò Matt, che teneva le baccia incrociate sul petto e quello sguardo di sfida sul volto, e si ritrovò a sorridere internamente. Non gli era occorso troppo per comprendere quell'uomo e, anche se non l'avrebbe mai detto a Casey, lo stimava. Al tempo del loro primo incontro, aveva compreso quanto simili fossero, e quanto il bisogno di proteggere i rispettivi affetti li avesse resi nemici. Lui voleva riparare il torto, ma c'era qualcosa negli occhi di Casey che gli suggeriva il perdono non fosse esattamente uno dei suoi punti forti. Non in questo caso.

  Sospirò e decise che tagliare la testa al toro fosse l'idea migliore.

  «So che non corre buon sangue tra noi.»

  Casey sbuffò una risata amara, poggiando la schiena al muro di mattoni dell'edificio. Voight lo ignorò e continuò deciso.

  «Credimi quando ti dico che ora non importa. Sono qui per farti un favore, e farne uno a me stesso.»

  «Hai davvero il coraggio di venirmi qui a parlare di favori

  Voight fissò Casey finché questo serrò le mascelle e sembrò capire di dover aspettare spiegazioni. Il detective rimase leggermente sorpreso che il vigile non fosse già andato via, ma che attualmente gli stesse concedendo il beneficio del dubbio. Poi lo colse l'intuizione: Casey sapeva. Tuttavia non lasciò trapelare la propria sorpresa.

  «So che Severide ti ha raccontato tutto, riguardo Tyrone.»

  Casey distolse appena lo sguardo, unico indizio di conferma. Questo, decisamente, gli facilitava le cose.

  «Allora vado dritto al punto» continuò Voight. «Il tuo amico ha buone intenzioni, ma deve stare fuori da questa faccenda.»

  La testa del biondo scattò come un ingranaggio iperattivo e le sue spalle, istintivamente, si staccarono dal muro per fargli acquistare una postura più aggressiva.

  «Stai scherzando? Tu lo hai portato dentro questa faccenda e ora lo vuoi fuori?»

  «Tu lo vuoi dentro questo schifo?» lo sfidò Voight.

  Matt non disse nulla, limitandosi a fissarlo senza batter ciglio.

  «Non l'ho tirato io dentro. È stato lui a chiamarmi di continuo. Voleva rendersi utile, e l'ho accontentato.»

  «Oh, davvero un samaritano, Voight» lo sbeffeggiò Casey.

  Voight si era ripromesso di mantenere la calma, ma c'era qualcosa nel modo di guardarlo di Casey che non mancava di irritarlo.

  «Ascoltami bene» disse, prendendo un grosso respiro per calmarsi. «L'ho portato con me perché credevo fosse capace di restare calmo e non fare stronzate. Ma a quanto pare non ne è capace.»

  «Attento a quello che dici» sibilò Matt.

  Voight rimase un attimo incerto. Cosa diavolo succedeva tra quei due? Fino a due mesi prima aveva creduto fossero cane e gatto, e ora sembravano un unico essere che si difende dal mondo. Si ricoverò subito, decidendo che non fossero affari suoi. Lui era lì per ben altri motivi.

  «Senti, pensa quello che vuoi» mormorò alla fine, pronto a tornare alla sua auto. «Fai un favore a me, a Severide e a te stesso se lo tieni fuori dai miei affari.»

  Si voltò e si incamminò, ma la voce di Casey lo bloccò.

  «Voight.»

  Quando gli lanciò uno sguardo oltre le spalle, lo vide assumere un'espressione diversa, come se stesse lottando con se stesso per decidersi a chiedere quello che premeva sulla lingua.

  «Quel ragazzo...Felipe. È tutto vero?»

  Voight serrò i pugni e si voltò. «Come ho detto, statene fuori.»



   Guardando Voight allontanarsi lungo la strada, Casey sentì una strana tensione raggrumarsi alla base della nuca. Per quanto la sua vita lo richiamasse, chiedendogli insistentemente di tornare alla normalità, ventilandogli davanti agli occhi una pace mai sperata prima, c'era sempre qualcosa che si incrinava nel suo progetto. Vedeva il suo futuro luminoso, calmo come il mare all'alba, eppure esisteva sempre questo piccolo rombo in fondo al cielo, come di un temporale mai acquietatosi. Ignorarlo era forse il miglior modo per godere del sole e dell'amore, ma non di debellare quelle nuvole sempre più cariche.

  E se tutta quell'energia negativa fosse esplosa in un giorno qualunque? Tutto ciò che aveva gli sarebbe stato sottratto, trascinato via dal temporale?

  Scosse la testa e guardò alle sue spalle, sentendosi osservato. Dalla cornice della porta, Gabriela lo guardava interrogativa.

  Lui sorrise, ma non riuscì a dire nulla. Mentirle non aveva alcun senso, perché lei poteva sempre sentire la menzogna nella sua voce. Sospirò e lanciò un ultimo sguardo alla strada umida.

  Forse, per una volta, Voight aveva ragione. Non potevano cacciare i Messer, o salvare Felipe. L'unica cosa che a lui e Kelly era rimasta era cercare di salvare se stessi.

  Spostò lo sguardo sul cielo oltre gli edifici, sentendo il carico dell'umidità trasportata dalle nuvole. Avrebbe piovuto, molto presto; lui era sempre stato capace di prevederlo. Sentiva quella particolare sensazione di prurito alla base del naso e come piccole formiche percorrergli la schiena e le braccia.

  La pioggia, pensò, sembrava la metafora perfetta: avrebbe lavato via ogni traccia del passato.

  «Hey. Tutto bene?»

  Guardò Gabriela, ora accanto a lui, e annuì. «Benissimo.»

  Forse non era davvero una bugia, perché lei sorrise e gli prese la mano.


 


  «Pronto?»

  «Chris, sono Matt. Come stai?»

  «Hey, Matt... Tutto bene. Tu? È da un po' che non vieni a trovarci. Violet chiede sempre di te.»

  «Lo so. Sono stati giorni-»

  «Impegnativi. Sì, lo so, Matt. Ma puoi venire quando vuoi, lo sai.»

  «Certo, lo so. Io e Kelly verremo presto.»

  Respiro trattenuto. Matt non sapeva se fosse solo il suo o anche quello della sorella. La sua risposta, in ogni caso, lo lasciò sorpreso.

  «Sai, mi chiedevo quando l'avresti portato qui per farcelo conoscere meglio. Quando l'ho visto all'ospedale...ci sono poche persone capaci di amare così tanto. Comunque, davvero, portalo qui. A Violet piacerà di sicuro. Anche se sarà un po' delusa.»

  «Delusa?»

  L'aria, questa volta, lasciò completamente i suoi polmoni.

  «Certo! Quando lo ha visto l'ultima volta ha detto di volerlo sposare.»

  Matt non riuscì a trattenere una risata liberatoria, tanto forte da fargli lacrimare gli occhi. Dopo un lungo silenzio, Christie sospirò nella cornetta del telefono.

  «Sono felice che tu abbia trovato finalmente ciò che cercavi. Lui ti rende felice?»

  Matt guardò l'uomo disteso sul divano, addormentato con la testa fuori dal cuscino e la bocca socchiusa.

  «Sì. Assolutamente.» Poté immaginare il sorriso della sorella oltre la cornetta, e questo gli diede forza per chiedere: «Perché non vieni all'inaugurazione del Molly's? Sarà questo sabato. Puoi portare anche Carl e Violet.»

  «Non credo che per Violet sia un buon esempio.»

  Matt rise ancora e annuì, sebbene la sorella non potesse vederlo.

  «Sai... alla mamma farebbe piacere conoscere Kelly.»

  «Uhm...» Matt non sapeva cosa dire, ma sapeva di non poter dire quello che pensava. Non c'era bisogno di resuscitare ancora il fantasma di Edward. «Ci penserò, Christie. A sabato?»

   «A sabato, Matt.»

  Quando riaggaciò, gli sembrò di poter respirare un po' meglio. Un altro pezzo del suo passato era stato rimesso a posto. Sospriò e si alzò, raggiungendo Kelly. Si chinò e gli baciò la tempia. Il moro mugugnò nel sonno e piano aprì gli occhi, arrossati e confusi.

  «Matt...tutto okay?»

  Matt sorrise e gli baciò le labbra. «Tutto benissimo.»

  Kelly annuì distrattamente diverse volte, chiudendo di nuovo gli occhi. «Bene...»

  Tutto bene, pensò Matt, credendoci davvero.

 



   Shay scese dall'ambulanza con uno sbuffo, sbattendo lo sportello dietro di sé.

  «Andiamo, stai esagerando» si lamentò, appena la collega la raggiunse.  

  «No, Shay, quella ad esagerare sei stata tu» ritorse Dowson, scuotendo la testa in disapprovazione.

  Shay roteò gli occhi, poi vide Otis passar loro accanto e lo intercettò. Il vigile la guardò sorpreso e sospettoso, soprattutto quando quest'ultima espose il suo ghigno meno promettente.

  «Otis, scenario: ultima chiamata del turno per un infarto, un ragazzo sotto effetto di MDMA che chiaramente non ha un infarto ma mani un po' troppo lunghe.»

  Questa volta fu Gabby a roteare gli occhi, prima di intimare a Otis di non assecondare la bionda. L'uomo dardeggiò lo sguardo tra le due, sentendosi in trappola.

  Gabby poteva essere una dura, ma Shay lo spaventava decisamente di più, quindi guardò quest'ultima e finse di ponderare a lungo le alternative.

  «Giusto per essere chiari» chiese per prendere tempo. «L'uomo è per me o per te?»

  «Entrambi» rispose seccamente la bionda. «A meno che tu non sia gay.»

  «Non in questa vita» rispose Otis. «Bhe...penso che...forse avrei reagito abbastanza male.»

  «Visto!» esultò Shay, guardando l'amica mentre indicava Otis.

  «Male nel tuo vocabolario è quasi rompere la mano a un uomo» puntualizzò Gabby.

  «Quasi è la parola chiave, amica mia.»

  Otis sorrise politicamente e tentò una ritirata, ma la voce possente del comandante Boden gli evitò ogni sotterfugio.

  «Dowson! Nel mio ufficio.»

  Shay guardò l'amica in tono di scusa, ma lei si limitò a sbuffare e raggiungere il comandante.

  Forse aveva davvero esagerato, pensò Shay guardando Gabby allontanarsi. D'altra parte era certa che il ragazzo non avrebbe mai sporto denuncia e che al massimo si sarebbe trattato di una piccola lavata di capo da parte di Boden. Avrebbero solo dovuto spiegare come un ragazzo che lamentava un possibile attacco cardiaco fosse finito in ospedale per una lesione alla mano. Erano incappate in guai peggiori, in passato.

   Ancora lievemente in colpa, si voltò in cerca di Otis, roteando gli occhi quando si accorse di essere rimasta sola.

   Era intenta a decidere come passare il tempo fino al ritorno di Dowson, quando qualcosa all'angolo del suo campo visivo attirò la sua attenzione. La sua mente impiegò poco a registrare il dettaglio e, ancor prima di poter capire cosa fosse, si ritrovò a fissare lo sguardo in due occhi scuri.

  Di fronte all'ambulanza, similmente comparso dal nulla, c'era un ragazzino dalla pelle olivastra e fitti capelli corvini.

  «Ehm...hai bisogno di qualcosa?» chiese con quanta dolcezza riuscisse a mostrare, e al momento non era molta.

  Il ragazzo si limitò a fissarla. C'era qualcosa in quello sguardo che insinuava sotto la sua pelle un brivido freddo.

  Si chinò di poco per raggiungere il suo livello, e chiese ancora: «Posso aiutarti? Parli la mia lingua?» Non ricevendo risposta, si raddrizzò e sposirò. «Immagino sia un no» mormorò, voltandosi. «Forse è meglio chiamare Gabby.»

  Dita sottili ma ferree si serrarono intorno alla manica della sua divisa. Guardò il ragazzino, che indicò il Camion 81.

  «Cerchi qualcuno dell'81?»

  Il ragazzo annuì, poi lasciò andare la presa ed estrasse dalla tasca un pezzo di carta e una penna. Poggiò il foglio sul cofano dell'ambulanza e scribacchiò in fretta. Risistemata la penna, lo porse al paramedico.

  Shay afferrò la nota con titubanza.

  I suoi occhi si spalancarono di fronte a ciò che lesse.


  Lt. Casey. Portami da lui, è importante. No polizia.


   Eppure fu lo sguardo di estrema preghiera negli occhi di quel ragazzo la cosa più convincente di tutte.

   




Note: Hi! Come promesso, eccomi. Ho cambiato la formattazione del testo, mi sembra così abbia più respiro e sia quindi più leggibile.
In questo capitolo me la sono presa comoda con le riflessioni, ma è solo perché nei prossimi ci sarà molta più azione. Non dico altro :D
Grazie della vostra infinita pazienza.
A presto!
Ax.
  
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