That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Orion - OB.003
- Amore
-- revisionato luglio 2018 --
Orion
Black
12, Grimmauld Place, Londra - ottobre 1957
Sapevo che poteva accadere, nella mia famiglia era capitato molto
spesso, anche ad Alshain e a Deidra era successo una volta, dopo la nascita di Mirzam.
E comunque il Medimago aveva detto che non c'erano state
complicazioni, avevamo perso il bambino, vero, ma non la
possibilità di avere altri figli. Walburga, stranamente, sembrava
essersene fatta subito una ragione, anzi aveva preso la notizia con una
certa razionalità.
Io no. Io sapevo che non era un semplice frutto del caso. Io sapevo che
c’era un motivo se tutto questo stava accadendo. E quel motivo
ero io. Avevo commesso degli errori e il destino ora mi presentava il
conto. Perché io desideravo un figlio non solo per dare un
futuro alla mia famiglia. Io desideravo un figlio per vedere nei suoi
occhi l’affetto che coglievo in Mirzam quando guardava suo
padre. Ma io avevo sputato su quella possibilità quando avevo
causato la morte di Elizabeth. E ora la sorte sembrava non volermi concedere una
seconda possibilità.
***
Orion
Black
12, Grimmauld Place, Londra - gennaio 1958
«Sono felice che tu le sia
vicina, Deidra, all’inizio sembrava
che Walburga l’avesse accettato, ma da Natale, non lo so, sembra scivolare sempre
di più verso l'apatia e la depressione. Ed è tutto ancora più difficile, con quei nostri dannati parenti, sempre lì ad assediarci, a chiedere spiegazioni, a chiedere conto dei tentativi a vuoto, giorno dopo giorno. La stanno facendo a
pezzi!»
Deidra mi abbracciò, cercando di farmi coraggio: mi sembrava
fossero passate tante vite, non dieci anni, da quando ero infatuato di lei. Ora era la mia amica più cara. In quegli
ultimi mesi i rimorsi erano tornati ad attanagliarmi, con mia moglie mi
sentivo colpevole, evitavo spesso il suo sguardo perché ero
convinto che solo guardandomi avrebbe capito che ero io il responsabile
di tutto. Passavo molto tempo a Nocturne Alley, con la scusa di
acquisti e affari, in realtà cercavo di stare il
più lontano possibile da lei, dai nostri parenti, dalle
opprimenti atmosfere di Grimmauld Place. Con mia somma vergogna, varie
volte, avevo cercato di ottenebrare la mia mente cedendo alle lusinghe
dell’alcool e dei bordelli. E ogni volta, poi, mi ero sentivo
peggio: ero certo che presto sarei caduto nel
baratro com'era già avvenuto in passato. Walburga non comprese il motivo del mio cambiamento, non diceva
nulla, probabilmente si sentiva a sua volta giudicata e colpevole e
questo aumentò la sua tristezza, poi la
tristezza si trasformò in amarezza e rabbia: lo vedevo dalla
piega che avevano gli angoli delle sue labbra, sapevo che appena avesse
lasciato andare il primo insulto nei miei confronti, ne sarei stato
completamente sommerso. Ma io non potevo farci nulla, era anche per lei
che mi comportavo così, ero convinto che fosse inutile
illuderla. Nulla di buono poteva nascere da me.
«Sicuramente è solo
una fase passeggera, Orion: dalle il tempo di riprendersi e comportati
come l’anno scorso; fate un altro viaggio,
magari, lontano da tutti… »
«Il Medimago pensa che sia
stato solo un incidente di percorso, che non ci sia nulla che non
va, ma io… »
«Orion, andrà tutto
bene, non ti preoccupare, anche a noi è successo,
certo porterai sempre dentro di te la sensazione di un
vuoto, di un’occasione perduta, di una vita
perduta, ma devi, anzi dovete andare avanti: ho visto con
chiarezza i segni, avrete dei figli, almeno due,
dovreste solo lasciarvi alle spalle tutte le pressioni della vostra ingombrante
famiglia. Perché non andate a Doire? Mia sorella Rebecca
sarebbe felicissima di ospitarvi!»
Doire: nei miei occhi si affacciavano immagini di alcuni dei momenti
più belli della mia vita. Come avevo fatto a dimenticare
tutto? Perché non avevo mai portato Walburga a Doire, uno dei
posti che più evocavano in me felicità e
spensieratezza? Forse valeva la pena fare un tentativo, forse aveva
senso provare ancora un po' di speranza.
«Orion, fidati di me, se riuscirai a convincere Walburga a fare questo viaggio, tornerete dall'Irlanda con un bambino!»
Il suo viso
si era illuminato come quando eravamo ragazzi, mi prese
per mano e mi costrinse a guardarla. Non capii subito.
«Orion, ne
varrà la pena, dovete andare subito da Rebecca, lei con quel tipo d’incantesimi
è diventata eccezionale. Con me ha funzionato subito: a luglio, Alshain ed io avremo finalmente un altro
bambino.»
«Oh Deidra… davvero? Salazar, è da tanto che anche voi lo desideravate... sono
così felice per te, per entrambi!»
«Orion, vai da Rebecca con
Walburga, si sistemerà tutto, ne sono
più che certa!»
Come potevo non crederle? Forse c’era ancora una
speranza: perché se davvero fossi stato così
contaminato dagli errori che avevo commesso, Deidra non avrebbe potuto
toccarmi senza ritrarsi orripilata, visto quanto era sensibile nel
cogliere la vera natura delle persone. No, forse ancora non era tempo
per me di lasciarmi andare. Mi strinse forte la mano e le ombre, in cui
da troppo tempo mi muovevo di nuovo, si squarciarono: benché
avessi fatto tanti errori, avevo due amici su cui contare e una moglie
che a modo suo mi voleva bene e che anch’io, a modo mio,
amavo. No, non avrei rovinato tutto, non di nuovo, avevo
promesso che non avrei più fatto soffrire Walburga,
l’avevo giurato. Mi sarei dato un’altra
possibilità, avrei dato a entrambi un’altra
possibilità. Sapevo che, in fondo al cuore, attendevo solo un
segno. E come spesso accadeva quel segno mi era arrivato dagli Sherton.
***
Orion
Black
12, Grimmauld Place, Londra - marzo 1958
In realtà, il vero segno arrivò alcune settimane
più tardi, una domenica mattina, sotto forma non di Deidra, ma
di Hermes, il gufo reale di Alshain. Fuori il cielo era tempestoso, la
giornata era iniziata bene, tiepida e serena, avevamo invitato a pranzo i
miei genitori, mia sorella e suo marito, i genitori e i fratelli di
Walburga, tutti i marmocchi di casa, volevamo festeggiare la nostra partenza,
avevamo deciso di passare la primavera e tutta l’estate a Doire. Anche per Walburga
era un’ottima idea, nelle ultime settimane, da quando gliene
avevo parlato, tra noi le cose erano tornate alla tranquilla
serenità di un anno prima. Non avevo più cercato
distrazioni inutili, addormentarmi con Walburga aveva smesso di provocarmi
rimorsi, sentirmi di nuovo al suo fianco, partecipe, aveva portato lei
a confidarmi le sue vere paure e, a quel punto, anch’io avevo
confessato le mie, celando solo il vero motivo per cui mi sentivo
responsabile della nostra attuale situazione. Quando si sciolse in
lacrime nel mio abbraccio, capii che quello che provavo per Walburga
Black non era solo un’illusione o un ripiego, io le volevo
bene e stimavo quella donna che si rivelava pienamente solo a
me, lasciandomi al tempo stesso affascinato e sconvolto: non riuscivo a
credere quanto fosse diversa da come voleva apparire, quanto fosse
fragile e insicura e dolcissima, lei, la donna di cui molti,
già all’epoca, avevano paura. Volevo darle
qualsiasi cosa, qualsiasi fosse stato il prezzo, anche
perché era palese a entrambi che i nostri fini combaciavano
perfettamente. Come combaciavano perfettamente le nostre anime, le
nostre menti e i nostri corpi. Stavo parlando con Cygnus di alcuni
acquisti da fare in Francia, poteva benissimo occuparsene lui al mio
posto finché eravamo in Irlanda, bastava che gli dessi delle
lettere di presentazione, quando all’improvviso ero stato
colto dai brividi. Che fossero un qualche tipo di presagio?
Non gli diedi peso e continuai ad affidargli altre commissioni. Appena
vidi Kreacher col gufo di Alshain, però, capii che era
successo qualcosa d’irreparabile, prima ancora di aprire la lettera. La tenevo stretta in modo esagerato,
tra le mani tremanti, e non riuscivo nemmeno a capire cosa
c’era scritto, avevo chiaro solo che mi aveva convocato al
San Mungo, mentre le parole restanti erano così assurde che
più le rileggevo e meno la mia mente riusciva a
comprenderle, quasi fossero solo una macchia d’inchiostro
informe. Solo l’ultima frase, nitida, attraeva tutta la mia
attenzione, quel “Mirzam
è in fin di vita” mi squarciava il
cervello con tutta la sua devastante potenza. Davanti a tutti, crollai
sulla poltrona, le mani sugli occhi, pallido e
tremante, Walburga prese la pergamena caduta ai miei piedi e a sua
volta rimase impietrita.
«Com'è
possibile? Chi è stato? Chi può aver osato tanto?»
Come avevano potuto dei semplici babbani attaccare e ridurre a un passo
dalla morte la moglie e il figlio di Alshain Sherton? Non era
possibile, c’era dietro qualcosa di strano, lo capivo anche
con la mente ottenebrata dal dolore. Non potevo credere che Deidra e
Mirzam stessero lottando per sopravvivere, non potevo
credere che forse non li avrei più rivisti. Non sapevo che cosa fare, la mia
mente era azzerata, sapevo soltanto che stava per
finire tutto, la parte migliore della mia vita era stata spazzata via, non rimaneva più niente: Alshain
non poteva vivere senza sua moglie e suo figlio, ed io, senza i miei
due migliori amici, non avevo la forza
sufficiente per andare avanti e resistere al baratro che mi reclamava
da tempo.
«Devo andare in ospedale da
Alshain.»
Mi alzai, la voce tremante, come un automa, potevo fare solo una cosa
per volta, un passo alla volta, perché il futuro era
all’improvviso scomparso. Sentii Walburga
appoggiarsi al mio braccio, perché la sostenessi e al tempo
stesso per darmi lei la forza di fare il passo successivo. La guardai: era al mio fianco, non ero più solo, eravamo in due
ad affrontare il mondo, avevo qualcuno su cui
poter contare, persino se mi fossi trovato davanti
all’inferno. I sentimenti che avevo scoperto di provare nei
suoi confronti, evidentemente, erano ricambiati. Non sapevo quando, ma
l’indifferenza trasformatasi un anno prima in passione, tra
noi, aveva assunto negli ultimi mesi una nuova forma, altrettanto
devastante e assoluta, forse proprio a causa di quel bambino mai nato:
seppur diverso da quello che vedevo tra Alshain e Deidra, tra me e Walburga c’era amore, amore vero.
«Mi cambio e vengo con te,
Salazar, come… »
«No, tu resti a casa, andiamo
io e tuo marito!»
Pollux cercò di frapporsi tra me e Walburga ma lei non glielo
permise, serrandomi più forte il braccio, gli
impedì di separarci e lo fulminò con uno sguardo
carico d’odio che non le avevo visto mai: non mi preoccupai
di capirne il perché, mi colpiva già abbastanza
vedere che, nel momento del bisogno, mi stava ridando quel sostegno che
io le avevo prestato difendendola proprio da suo padre, tanti mesi prima.
Tornammo a guardarlo entrambi sconcertati: perché Pollux diventava sempre così nervoso
quando c’era di mezzo Alshain Sherton? Anche al nostro
matrimonio aveva reagito a quel modo. Non si rendeva conto che Alshain
era il mio migliore amico e che negli ultimi anni anche per Walburga gli
Sherton erano stati delle presenze importanti? Era solo per lui se ero
ancora vivo, solo per lui se c’era ancora una speranza per i
Black.
«Tu devi pensare a prepararti
per partire, qualsiasi cosa accada, voi due avete come primo compito
quello di dare un erede ai Black!»
«Ti pare questo il momento di
pensare al viaggio? Alshain Sherton è il mio migliore amico
ed io non mi allontanerò di certo da Londra proprio
adesso!»
«Tu e Walburga dovete tenervi
alla larga da questa storia, Orion! Questo è
un messaggio chiaro per Alshain Sherton: prima sono morti suo fratello e la sua famiglia, ora suo figlio e sua moglie… »
«Non... non sono morti... sono feriti, ma non sono morti e, se Merlino vuole, si salveranno, padre!»
«... per ora, non sono morti, Walburga, per ora... a questo punto è importante, di qualsiasi cosa si
tratti, che non ci facciamo coinvolgere anche noi, non
ora che la nostra famiglia è a un passo dal baratro e dall'estinzione!
La nostra famiglia viene prima di tutto! E voi due, è tempo che vi assumiate una buona volta le vostre responsabilità nei confronti dei vostri avi!»
A quelle parole, mia moglie fulminò mio padre con uno
sguardo che non ammetteva repliche.
«Ce le stiamo assumendo,
Arcturus, ed è per questo che io vado dove va mio
marito!»
Su di noi si posarono gli sguardi di tutti i Black, trasecolati e
stupiti, nessuno di loro immaginava che la situazione tra
Walburga e me fosse quella, non dopo tutte le nostre
difficoltà iniziali: sostenemmo con fierezza le loro
occhiate sospettose, entrambi lieti di aver fatto capire a tutti loro che il nostro da tempo non era più soltanto un
matrimonio di convenienza.
***
Orion
Black
Londra/ Doire - 1958/1959
Stavolta feci di testa mia. Non lasciai Londra, e con notevole sorpresa
e gioia, vidi che Walburga non solo comprese, ma arrivò a
sostenere la mia posizione, contro tutti i Black, non solo
in quell'occasione, ma ogni volta che i nostri cari parenti facevano
pressioni perché cambiassi idea. Non ci comportammo in
maniera irresponsabile, non andai a cercare di farmi giustizia da solo,
come temeva mio suocero, né assunsi atteggiamenti diversi da
quelli che tenevo di solito, non ero pazzo. Dimostrammo però di essere i migliori amici degli Sherton e ci comportammo
come tali, sia nella fase più critica, quando per settimane
le condizioni di Mirzam sembrarono aggravarsi invece di migliorare, sia
in seguito, quando alle preoccupazioni per la sua salute si
sostituirono paura, angoscia e sospetti a causa di un nemico invisibile
quanto potente. Non era mai capitato nella storia della mia amicizia
con Alshain che fossi io il trascinatore: dei due, sebbene
più giovane, era lui quello più forte, quello che
organizzava, quello che trovava soluzioni astute, io al massimo avevo
da sempre una certa abilità nello scoprire vie di fuga
quando la situazione si faceva pericolosa. Ora era
diverso, ero io quello che manteneva la lucidità e ideava
una strategia, io quello che consigliava, lui quello che valutava e
accettava. La verità era che mai Sherton, neppure quando era
stato cacciato da casa, aveva avuto dei veri motivi per sentirsi
debole. E solo. Mai nessuno era arrivato a colpirlo dove era sensibile: la sua famiglia.
Presi in mano la situazione e mi meravigliai di quanto mi riuscisse
bene: non ero solo abile nel gestire i suoi affari, per i quali
sembrava aver perso qualsiasi slancio, sapevo dare consigli e sostegno,
mostrando una maturità e solidità che non avevo
mai creduto di possedere. Non io che in quasi trent’anni di
vita ero stato capace solo di fare casini. Non mi ero mai reso conto
del mio talento, nemmeno in tutti quegli anni in cui ero riuscito a far rifiorire gli affari di mio padre e poi i miei; scoprii
soprattutto di avere una naturale propensione alla diplomazia e alla
politica, quando mi resi conto che era necessario nascondere al mondo
quanto l'erede del signore di Herrengton fosse provato da quello che gli stava
accadendo. E ci riuscii. Nessuno doveva conoscere il suo
segreto, nessun altro doveva capire che colpendo Deidra o Mirzam
s’infliggeva una ferita mortale all’erede di
Hifrig. Non potevo permettere che qualcun altro provasse a portargli
via (e a portarmi via) alcune delle persone che più aveva (e
avevo) nell’anima. Dopo quell’esperienza terribile
la nostra non fu più solo un’amicizia, la nostra
diventò una specie di simbiosi. La nuova fase del nostro sodalizio era
talmente preziosa e carica di conseguenze, che non ne facemmo
apertamente parola con nessuno, nemmeno con Deidra e Walburga: agli occhi del
mondo eravamo solo i due soliti vecchi amici piantagrane che si erano
conosciuti a Hogwarts tanti anni prima, nella realtà da quel
momento chi si poneva in contrasto con uno di noi, si trovava a
combattere contro entrambi, senza neanche sospettarlo. In
più di un’occasione, negli anni seguenti, i colpi
di mano di Lestrange ai suoi danni non riuscirono per interventi di
disturbo che nessuno sospettò fossero mossi da me,
così come, negli affari, spesso Malfoy si
ritrovò battuto perché il suo vero avversario non
ero io ma suo cugino.
La donna che avevo al mio fianco era troppo astuta per
non rendersi conto di questa realtà: Walburga
Black era forse l’unica ad aver intuito quanto
“matura” fosse ormai la nostra amicizia e la
consapevolezza finì con l’accendere le fantasie e
le ambizioni di mia moglie. Alla nascita del loro secondogenito a maggio, prematuro per le conseguenze dell'attacco, nella mente di Walburga iniziarono a formarsi immagini
fantasiose che ci vedevano imparentati con la più grande famiglia del Nord
attraverso almeno una delle figlie di Cygnus. Era convinta, grazie
all’ascendente che avevo su Alshain Sherton, che Herrengton
in qualche modo potesse passare sotto l’influenza dei Black, che potessimo riportare in auge il nome della nostra
famiglia riuscendo là dove un solo Black finora era
riuscito, circa cinquecento anni prima. Arrivai a chiedermi se queste
nuove macchinazioni avessero messo in secondo piano, in lei, il nostro
comune desiderio di avere un figlio, diventato ancora più
urgente per me nel momento in cui avevo visto la sofferenza del mio
amico per Mirzam e avevo preso in braccio per la prima volta Rigel, di
tutti i suoi figli, il mio prediletto, forse perché arrivato
proprio al culmine di un momento tanto terribile. Fu per questo che, appena la fase acuta
della crisi fu superata, ripresi in mano il progetto del soggiorno a
Doire, facendone qualcosa di meno estemporaneo, arrivando persino a
riflettere sull’ipotesi di un trasloco definitivo: comprai
una casa lì, trovavo quei luoghi fiabeschi perfetti per
passarci l’inverno, scelsi una dimora piccola, intima, immersa nel bosco, volevo che fossimo
circondati dal bianco ovattato di una neve immacolata. Avevo da sempre
un’acuta avversione per il freddo, ma immaginavo una soluzione che tra l’altro ben si
armonizzava col motivo principale per cui saremmo andati in Irlanda.
Lontani da presenze tediose e atmosfere fosche, le nostre giornate
sarebbero state brevi e le nostre notti lunghissime,
nella mia fantasia saremmo stati avvinghiati tra le coperte quasi tutto
il tempo, affidando agli Elfi il compito di procurarci di che vivere,
rifacendoci così -con gli interessi- anche dei mesi che
avevo sprecato all’inizio della nostra storia. Quando
Walburga mise piede per la prima volta nella nostra casa irlandese,
semplice e piccola, ma comunque all’altezza di due
Black come noi, fu più che chiaro dal suo sguardo carico di
complicità, che non avremmo avuto nessun bisogno dei
complicati incantesimi pro-fertilità di Rebecca Llywellyn.
Adoravo la vera natura di mia moglie, così passionale,
adoravo la totale dedizione che aveva per me, in certi momenti mi
metteva su un piedistallo come fossi un dio e, a mia volta, cercavo in
ogni modo di ripagarla con la stessa moneta, desiderando cancellare
dalla sua memoria tutte le sofferenze del passato, dimostrandole che
non ero nato solo per rovinarle la vita, come mi aveva accusato tanto
tempo prima. Passammo mesi e stagioni nel nostro nido, scordandoci
quanto c’eravamo lasciati alle spalle, a
parte i gufi che spedivamo con notevole pigrizia a Londra ad amici e
parenti per rassicurarli che andava tutto bene, non mantenemmo contatti
di alcun genere con il mondo esterno. Esistevamo solo l’uno
per l’altra. L’unica cosa di cui ognuno di noi
aveva bisogno era la presenza dell’altro.
Alla fine, ritornammo a Londra per festeggiare il Natale del 1959,
stupendo tutti: a nessuno, infatti, avevamo rivelato che nostro figlio
sarebbe finalmente nato a febbraio.
***
Orion
Black
Ospedale San Mungo, Londra - lun. 22 febbraio 1960
«Ed è pure un
maschio!»
Mio padre probabilmente stava per avere un infarto dalla
felicità, mia madre piangeva, come alla fine di un lungo
incubo. Irma, lacrime agli occhi, teneva per mano Walburga, ancora
stravolta dal parto: questo figlio tanto ricercato aveva ritardato la
nascita di quasi dieci giorni, portandola all’esasperazione a
tal punto che per tutto il travaglio mi aveva maledetto lanciandomi
tutti i peggiori anatemi più o meno innocui che conosceva.
Era un piccolo toro, mio figlio, nella nostra famiglia mai nessun
bambino era stato così grosso alla nascita, inoltre era nato
già con dei lunghi capelli scuri e un musetto birbante, che mi ricordava me stesso, quando da piccolo facevo le
smorfie allo specchio. Appena lo vide, Walburga mi chiamò a
sé, io ero pronto a un’altra scarica
d’imprecazioni ma, sorprendendomi, mi baciò la
fronte teneramente, come faceva sempre quando era felice per qualcosa che avevo fatto per lei: mi disse che era talmente
bello e che mi assomigliava talmente tanto e che mi era talmente grata
per averla aiutata a metterlo al mondo, che si rimangiava tutto quello
che mi aveva urlato contro dal giorno della mia nascita. La baciai
teneramente anche’io, non avevo parole per dirle quanto
più grande era il dono che mi aveva fatto lei: mi aveva
tirato fuori dagli incubi in cui mi ero cacciato con la mia
dabbenaggine e mi aveva dato l’unica cosa che desiderassi
davvero.
«Dovremmo chiamarlo Phineas
Orion Black, così sarà chiaro da subito che
sarà un grande preside di Hogwarts.»
Pollux gongolava, come se l’avesse fatto lui: mi ero reso
conto di odiarlo sempre di più, anche senza
un valido motivo, ed ero più che intenzionato a non
dargliela vinta.
«Si chiamerà Sirius Orion Black: ha riportato la
luce nelle tenebre della nostra famiglia, ci ha salvato dal baratro
dell’estinzione, perciò deve portare il nome della
stella più luminosa del cielo.»
A Walburga non avevo mai detto nulla, ma già
da quando eravamo ragazzi, con Deidra e Alshain avevamo giurato che i nostri
figli avrebbero avuto i nomi delle stelle di Orione e del Cane,
così sarebbero stati legati da amicizia per tutta la vita,
proprio come noi. E questo aveva ancora più importanza in
quel momento, perché anche loro aspettavano un bambino,
sarebbe nato a maggio: quando avevamo scoperto che sarebbero nati a
pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, avevamo
compreso che il futuro delle nostre famiglie sarebbe stato sempre
più roseo.
«Brindiamo a Sirius Black III!
Sì, può andare bene lo
stesso!»
Sorrisi sprezzante a mio suocero: che la vedesse come voleva, la
verità non poteva di certo immaginarla, forse solo Walburga
la poteva intuire. E mia moglie mi guardò e
annuì, era l’unica conferma che aveva valore per
me in quel momento.
«E’ bellissimo, complimenti!»
Alshain era venuto da solo, Deidra aveva alcuni problemi di equilibrio
durante quell’ultima gravidanza, e forse era il
più emozionato dopo di me e Walburga: non riusciva a staccargli
gli occhi di dosso e sapevo che in quel piccolo
mostriciattolo urlante, vedeva le stesse cose che vedevo io. Un
minuscolo Orion Black. La fine dei miei incubi. La ragione della mia
vita, quella che inseguivo da anni, da quando avevo scoperto la gioia
che Mirzam riusciva a trasmettergli con un semplice sguardo. Non che
potessi dimenticare il passato, certo, ma… Sirius era la
seconda occasione che il destino mi concedeva, non me la sarei lasciata
sfuggire, a qualunque costo avrei dato il meglio di me. Sarei stato un
padre perfetto, avrei meritato il suo amore, esattamente come il mio
migliore amico. Avevo convocato Alshain a scanso di equivoci, subito,
doveva essere chiaro a tutti che sarebbe stato lui il padrino del mio
primogenito e di qualsiasi altro figlio avessi avuto in seguito,
naturalmente Pollux non gradì la scelta ma a me e a Walburga
andava bene così. Sherton si chinò sul bambino,
che mia moglie teneva stretto a sé, lei non voleva di certo
separarsene, ma Alshain le fece cenno che non era necessario, lei poteva
tenerlo tra le braccia mentre lui si sfilava l’anello serpentesco
che aveva ottenuto per l'occasione da suo padre. Lo
passò come una lieve carezza sugli occhi, le labbra e il
cuore di mio figlio, recitando quella che a orecchi ignoranti sembrava
una semplice cantilena in gaelico: in realtà gli stava
imprimendo la traccia degli Sherton, una delle protezioni
più forti per gli Slytherin, qualsiasi cosa fosse successa
nella nostra vita, mio figlio avrebbe sempre potuto contare sulla
protezione di Herrengton. Si guardarono come non avevano fatto mai,
sapevo che quel bambino ci avrebbe uniti anche di più:
mentre lo teneva tra le braccia e Alshain gli prometteva che
l’avrebbe difeso a costo della sua stessa vita, anche
Walburga si rese conto che aveva di fronte a sé non solo un
amico ma un fratello.
***
Orion
Black
74, Essex Street, Londra - merc. 23 marzo 1960
«Brindiamo a un anno
straordinario, alle nostre belle mogli e ai nostri adorati
figli!»
Alshain mi sorrise, di nuovo, era talmente felice che ormai da due
giorni non riusciva a smettere, temevo che senza accorgercene l'avesse colpito una paralisi facciale. Sorrisi a mia volta. Una figlia femmina, nata nel giorno di Habarcat: sembrava
fosse nata apposta due mesi in anticipo solo per soddisfare quella
dannata profezia. Chiunque al suo posto avrebbe rischiato di rimetterci
le penne, di sicuro al vecchio Sherton era quasi preso un colpo, lui
che si era tanto opposto a quel matrimonio, che invece stava dando
soddisfazioni alla loro famiglia al di là delle
più rose aspettative.
«Salazar, sai Orion
che non ci credo ancora? Com’è possibile che tra
tanti, in sette secoli, ci siamo riusciti proprio Deidra ed io?»
«Perché tua moglie
è una dea e tu sei un dannato bastardo fortunato,
ecco perché!»
«Non ci posso
credere… e poi è così
bella, Orion, è molto piccola, vero, piccolissima, ma
è tanto bella! Credo sia quanto di meglio sia
riuscito a fare nella mia vita!»
«Beh, sei ancora troppo
giovane perché tu possa tirare le somme, Alshain, ma di sicuro quella signorina è una piccola truffatrice, proprio come te, se ha
cominciato da subito a giocare sporco col destino, nascendo in anticipo: è
proprio degna di suo padre!»
Risi. Era piccola, vero, ma lo vedevo da me, come tutti, che
era bellissima. E appena l’avevo vista, subito mi era passata
per la testa, come un flash, un’immagine, la
stessa che aveva in testa mia moglie e la maggior parte dei
Black. Chissà se anche Alshain aveva lo stesso
pensiero in quel momento? Erano passati settecento anni
prima di veder nascere la bambina che poteva rompere la maledizione e
l’evento era accaduto esattamente un mese dopo la nascita di
mio figlio, il miracolo che aveva salvato i Black
dall'estinzione. Per me era un segno. Quei due
erano nati per stare insieme, per suggellare il legame già
solidissimo tra le nostre famiglie. E sapendo cosa la leggenda diceva dei
figli di quella mitica bambina, al pensiero che potessero essere i miei
nipoti, il cervello mi andava in confusione, proprio come
dopo una sbornia stratosferica: sarebbero stati i Black
più potenti di tutti i tempi, con quel sangue sarebbero
stati al livello di Salazar Slytherin stesso, forse
l’avrebbero persino superato, avrebbero riscritto
probabilmente persino la storia della Magia. Guardai per un attimo smarrito il
mio bicchiere, poi tirai un sospiro fondo, osservando di sottecchi
Alshain.
No.
Dovevo smetterla di guardarla con occhi simili a quelli di mio padre e
mio suocero, quella bambina era la figlia dei miei migliori amici ed io
dovevo solo sperare di vederla entrare un giorno nella mia famiglia in
nome dell’amicizia e dell’amore. Era
quello che meritavano lei e mio figlio, avevo vissuto sulla mia pelle
la devastazione degli accordi familiari, se mi ero salvato, alla fine,
era solo perché Walburga non era come gli altri ed io ero
dannatamente, e assai poco meritatamente, fortunato.
«Speriamo che a tempo debito
finisca a Serpeverde, Orion, altrimenti quella deliziosa bambina non sarà
poi tanto fortunata: quel bastardo di Elija Sherton si è
fatto fregare e ha accettato che la prima femmina a nascere diventasse una
Malfoy. E se questo dovesse accadere, se il nostro potere finisse nelle mani di mio cugino Abraxas, sarebbe una disgrazia per tutto il mondo magico, oltre
che una tragedia
personale per la mia famiglia!»
Lo guardai atterrito, una morsa mi prese al petto e
mi strizzò il cuore tanto da farlo urlare: era vero, conoscevo quel dannato accordo, la verità terrificante, purtroppo, era quella, ma io non volevo pensarci, nessuno di noi voleva pensarci.
No, non può accadere questo. Non
permetterò che finisca così. Si
infrangerebbero i miei sogni, ma soprattutto toccherebbe un
futuro orrendo a quella bambina, a cui già voglio così
bene!
Il bicchiere che avevo in mano, pezzo di una preziosa collezione di
cristalli di Boemia, si andò a frantumare al suolo, ma
nessuno dei due se ne curò. Lo giurai a me stesso. Avrei
fatto di tutto per aiutarlo a evitare quello scempio.
***
Orion
Black
12, Grimmauld Place, Londra - settembre 1960
Mi alzai, Sirius era agitato, quella mattina: il fatto
che Walburga non riuscisse ad allattarlo aveva fatto sì, fin
dall’inizio, che trovassimo delle difficoltà con
lui, soprattutto nell’alimentarlo, ma sembrava che
l’ultima diavoleria che ci aveva consigliato il Medimago gli
piacesse, a patto che fossi io a preparargliela. Quel piccolo
demonietto prometteva di diventare un Mago di prim’ordine,
visto quanto era sensibile, già a pochi mesi di vita sapeva
riconoscere le differenze tra la mia Magia e quella di sua madre. Con
solo i pantaloni del pigiama addosso ero sceso in cucina, era bastata
un’occhiataccia per far dileguare gli Elfi, con mio figlio
non ammettevo interferenze: Sirius, tra le mie braccia, mi tirava i
capelli arruffati dal sonno con le manine paffute, rideva giocoso
mentre mi distraevo dalla pozione e gli facevo le mie smorfie
più buffe, che gli piacevano tanto. Con i ditini mi
seguì la linea del naso, identico al suo, non riuscivo a
smettere di ridere e subito il mascalzone mi mise un dito
nell’occhio. Capitava quasi tutte le mattine ed io tutte le
volte ci cadevo, piccolo delinquente! Approfittai dei minuti di posa
che dovevo concedere al filtro, e ne approfittai per cullarmelo
addosso, la sua pelle era così morbida e delicata, profumava
di buono, mi faceva quasi venire voglia di mordergli i piedini. Ero
sicuro che tutta quella felicità potesse anche uccidermi
all’istante. Sirius gorgogliò come per dirmi che
non l’avrebbe mai permesso ed io gli scoccai un bacio sulla
fronte, lo avrei divorato di baci. All’improvviso mi ripresi,
visto che gradivo mantenere privati quegli atteggiamenti che riservavo
a mio figlio. E mi era sembrato di non essere più solo.
«Walburga non ti preoccupare, ci
sto pensando io!»
Mi sembrava di aver visto con la coda dell’occhio la figura
di mia moglie sull’arco della porta, ma voltandomi non la
vidi più, ritornai in camera sempre con Sirius tra le
braccia, ma non era nemmeno lì. Dei rumori
strani, eppure familiari, mi portarono nel bagno
privato di Walburga, aprii lentamente la porta, e la trovai china sul
lavandino a sciacquarsi la bocca, l’aria completamente sfatta.
«Non ci sono
più dubbi, Orion Arcturus Black, il nostro piccolo
mostriciattolo avrà presto un fratellino con cui
giocare.»
Si voltò e avanzò ancora un po'
tremante verso di noi, era radiosa e sapevo che sul mio viso si
specchiava la sua stessa espressione di felicità e trionfo,
si avvinghiò al mio corpo, baciando prima Sirius, stretto
tra noi, e poi me: li avvolsi entrambi tra le mie braccia. Non
l’avrei mai creduto possibile, ma sapevo di essere ormai
l’uomo più felice e completo della terra.
***
Orion
Black
74, Essex Street, Londra - mar. 24 gennaio 1961
«Regulus non fa parte di
Orione né del Cane, non mi convince!»
«E' in assoluto una delle
stelle più brillanti, non puoi dargli il nome di
un'altra delle stelle di Orione o del Cane, Orion, visto che
sono tutte pallidissime rispetto a Sirius: vuoi fargli capire che gli
preferisci suo fratello ancor prima che dica la sua prima
parola?»
Mi rigirai il liquido ambrato nel bicchiere, con ampi cerchi morbidi e
lenti per nascondere la mia aria colpevole.
«Credi sia tanto orrendo se un
padre ha una predilezione per un figlio? Vuoi farmi credere che tu
stesso non muori dietro alla piccola Meissa, molto più di
quanto fai dietro agli altri due?»
Lo guardai ghignante e non mi sfuggì il colorito imbarazzato
che subito gli si stampò sul viso abbronzato,
abbassò gli occhi, sapevo di averlo colto in castagna: il
grande Alshain Sherton, il mitico dongiovanni di Hogwarts, era rimasto
letteralmente colpito e affondato dai verdi occhi di quella mocciosa di
sua figlia.
«Ora stiamo parlando del nome
del tuo secondogenito, non di Meissa, ed io credo che la proposta
di Walburga sia perfetta!”»
«Tu! Bastardo immorale! Quanto
sei abile a cambiare discorso!! E ti sei pure coalizzato con Walburga ai
miei danni, non è così?»
«Non più di quanto
state facendo tu e Deidra contro di me, infame!»
Ridemmo come dei ragazzini, non potevo negare che fosse vero, da quando
Deidra mi aveva fatto capire che sentiva sempre di più la
mancanza di suo marito, avevo iniziato a lavorarlo ai fianchi,
portandolo a considerare sempre con maggiore serietà
l’ipotesi di chiuderla con il Quidditch. Sapevo che ormai
stava cedendo, quella sarebbe stata la sua ultima stagione. Potevo
anche concedergli di festeggiare la coppa che avrebbe vinto di certo
anche quell’anno, portandoci Sirius e Regulus al seguito come
mascotte.
In fondo erano i suoi figliocci.
«D’accordo, vada per
Regulus, ma col prossimo torniamo alla tradizione!»
«Il prossimo? Allora ci stai
prendendo gusto, vecchio marpione! Chi l’avrebbe mai detto che tu e
Walburga… »
«Non dire zozzerie su mia moglie, chiaro? E Walburga non è come
tutti gli altri Black, lei è come
me!»
Alshain mi guardò perplesso, poi annuì, sapevo
che non aveva una grande considerazione per la mia famiglia,
che non vedeva di buon occhio i genitori di Walburga, Pollux in
particolare, ma negli anni aveva imparato a portare rispetto per mia moglie.
«Però ancora non
accetta di buon grado la mia idea di invitare te e Sirius allo stadio,
la prossima settimana!»
«Ma Alshain, renditi
conto, tu vorresti che mio figlio, l’erede dei
Black, si facesse fare una foto con quella dannata casacca blu e
gialla! Non so come Walburga non sia svenuta, quando gliel'hai detto!»
Rise di cuore, in effetti, quando ci aveva sorpresi a parlarne, Walburga
era letteralmente sbiancata e…
«Dannati Black,
così legati a etichetta e convenienza!»
«Va bene.
D’accordo, lo farò. Però devi giurarmi che poi
non farai mai vedere a Walburga le foto che gli
scatteremo, intesi?»
«Non sono mica votato
al martirio, Orion! So bene che se Walburga trovasse le prove, una Cruciatus non ce la
eviterebbe nessuno!»
Gli versai un altro whisky incendiario, e tra le risate generali
brindammo per l’ennesima volta alla nascita anticipata del
mio secondogenito, Regulus Arcturus Black: anche su di lui, Sherton
aveva tracciato la protezione di Herrengton poche ore dopo la nascita.
E questa volta era stata mia moglie, ancor prima di me, a chiedergli di
esserne il padrino.
***
Orion
Black
12, Grimmauld Place, Londra - giov. 31 agosto 1961
La grande sala dell’arazzo di Grimmauld Place era
più rumorosa del solito. Sorrisi tra me, appena rientrato
dalla mia solita visita a Nocturne Alley: erano
già arrivati i nostri ospiti. Com’erano lontani i
tempi in cui consideravo oscura e asfissiante quella vecchia casa! In
quegli ultimi mesi mi ero messo d’impegno a lavorare sulla
protezione del vecchio maniero, col tempo ero diventato
abile, anche più di Walburga, con certi sofisticati incanti di Magia Oscura. Lasciai il mio mantello al vecchio Kreacher e mi
avviai con passo imperioso per il corridoio, da quel punto riconoscevo
già i vagiti del piccolo Regulus, il cocco di
sua madre. Era anche lui un bambino bellissimo ma, forse perché nato
prematuro, mi trasmetteva un’idea di eccessiva
delicatezza, tanto da avere a volte persino paura nel toccarlo, come se
solo sfiorandolo potessi romperlo. Tutta un’altra cosa,
insomma, rispetto al mio campione! Stravedevo per Sirius, non potevo
farci nulla, e anche se Walburga non gradiva, perché sosteneva
non fosse né giusto né saggio avere delle
preferenze, non potevo evitare di avere sempre uno sguardo compiaciuto
verso la mia copia in miniatura. Da parte sua Walburga aveva finito con
lo sviluppare, come contrappeso, una predilezione per Regulus, facilitata
anche dal fatto che con lui sembravano non esserci quei problemi
nell’allattarlo che avevano contraddistinto il primo anno di
vita di Sirius. A me stava bene così, per il momento, una
volta cresciuto avrei bilanciato l’eccessiva influenza di mia
moglie facendo anche di Regulus un perfetto Black. Un Black come me.
«Finalmente!
Eccoti!»
Walburga mi si fece incontro con Regulus in braccio e mi baciò,
radiosa: era stretta in un bellissimo abito borgogna che la fasciava in
maniera incantevole, i capelli bruni raccolti in un morbido chignon,
gli occhi blu esprimevano quello che per anni non avevo mai ritenuto
possibile. Benché avesse trentasei anni e due figli sfornati
da poco, aveva sempre un corpo perfetto e dentro di me sapevo benissimo
che anche quella sera avrei apprezzato appieno i nostri ospiti solo
quando se ne fossero andati tutti, lasciandoci finalmente soli.
L’occhiata complice che mi rilanciò mi fece capire
che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Ormai
eravamo una delle coppie più invidiate del mondo magico:
da sempre, ancor prima di innamorarsi davvero di me, si
era vantata di essere la mia promessa sposa, facendosi
bella, con amiche e conoscenti, per aver avuto in sorte uno sposo giovane,
affascinante e promettente, invece nel classico vecchio bavoso che
capitava alla stragrande maggioranza delle ragazze Slytherins. Sapevo
anche, però, che tutti, conoscendomi, la compiangevano
pensando che il nostro non sarebbe mai stato un matrimonio felice. E
per un po', per colpa mia, avevano indovinato.
La nascita dei nostri figli aveva cambiato tutto: due maschi, uno
più bello dell’altro e un amore sincero tra noi,
che ormai persino i ciechi riconoscevano. A volte mi chiedevo se tanta
felicità e una certa dose d’indubbia superbia, non
rischiassero di attirare l’invidia degli dei, come in quelle
vecchie tragedie greche che Alshain mi aveva fatto leggere da ragazzo.
Poi però mi dicevo che avevamo sofferto a
sufficienza e che forse avevamo pagato in anticipo per le fortune che
sembravamo raccogliere in quel momento. Ed eccola lì,
l’altra fonte della mia fortuna. Quella sera ci riunivamo non
solo con i nostri parenti ma anche con gli Sherton per festeggiare tra
l’altro la partenza di Mirzam per Hogwarts: i miei figli non
sarebbero partiti prima di altri dieci anni, il che significava che
dinanzi a noi si prospettavano circa venti anni durante i quali quella
benedetta scuola avrebbe subito costantemente la nostra influenza
grazie ai nostri eredi. Una prospettiva meravigliosa, ero sicuro che i
miei figli avrebbero tenuto alto il mio nome e il mio ricordo nei sacri
sotterranei di Serpeverde. Sorrisi mentre Cygnus mi si avvicinava per
parlarmi di uno dei suoi sciagurati affari, chiedendomi consigli per
riportarsi in carreggiata, ma io non gli prestavo troppa attenzione.
C’era ben altro che m’interessava, proprio
lì, davanti al sacro arazzo dei Black, una scena che faceva
presagire che, di lì a venti anni, avremmo potuto
festeggiare qualcosa di ben più importante. Erano ancora
tanto piccoli, ma già Meissa e Sirius, quando giocavano
insieme, sembravano deliziosamente affiatati: lei era bellissima, con i
boccoli nero corvino che scendevano morbidi oltre le spalle e i grandi
occhi verdi e lui… Beh lui dimostrava già di
essere mio figlio, quando, tutto gentile, le offriva quello che teneva
in mano e la fissava trasognato e impettito, con i miei stessi occhi, i
capelli sempre irriducibilmente scomposti, a far dannare sua madre.
Aveva un carattere forte e anche un po' prepotente, sembrava
aver capito da subito quanto importante fosse il suo nome e il suo
sangue, ed io me ne compiacevo, anche se c’erano momenti in
cui sua madre aveva chiare difficoltà a star dietro a tanta
vivacità. Ed io dopo aver sorriso sotto i baffi, ero ben
lieto di darle una mano. Da perfetto fratello maggiore, Mirzam aveva
per sua sorella un atteggiamento protettivo e controllava la
scena assicurandosi che Meissa non si facesse male, benché
Bellatrix, altro bel caratterino, facesse di tutto per attirare su di
sé la sua attenzione. Quello era un altro punto nevralgico,
nei nostri più rosei progetti, non c’era un Black
che non sognasse di veder trasformare in qualcosa di serio quelle
timide simpatie adolescenziali, anche se, secondo me, per il carattere
riflessivo di Mirzam, forse la ragazzina più adatta era
proprio Andromeda: anche lei pareva interessata, ma non aveva il
coraggio né la sfacciataggine della sorella. A chiudere il
quadro delle persone per me più importanti in quella stanza,
Deidra era seduta sul divano e controllava Rigel, che galoppava in giro
per la sala su un piccolo manico di scopa, suscitando anche lui un
certo interesse da parte del fratello maggiore: Alshain diceva sempre
che sua moglie per quel ragazzino aveva una predilezione paragonabile
alla mia. Narcissa infine le stava accanto sul divano, altezzosa e
bellissima, un angelo biondo talmente etereo e perfetto che a volte mi
domandavo a chi l'avessero rubato i miei cognati.
Dopo cena, mentre i nostri genitori erano impegnati a romperci le
scatole, al solito, insistendo perché Cygnus e Druella
pensassero a legare le ragazze a importanti famiglie slytherin come i
Malfoy o i Lestrange, Alshain mi guardò in modo strano e capii che
voleva parlarmi da solo, così con un paio di battute mi
liberai degli altri e gli feci cenno di venire con me nello studio.
«Che succede? Sei così
silenzioso, sembri addirittura turbato. Ti senti vecchio
perchè domani Mirzam partirà per
Hogwarts?»
«Ci hai
quasi preso! In effetti, provo un’emozione strana, non me l'aspettavo»
«Sei il più giovane
tra tutti noi e il primo ad avere un figlio che parte. Hai
sempre avuto una dannata fretta, Sherton, e ora la paghi!»
Si alzò e andò alla finestra, dandomi le spalle,
non bastava nemmeno la mia ironia, si vedeva che era
preoccupato.
«Credo che il tempo sia
arrivato Orion… »
«Sta dunque così
male tuo padre?»
«Le condizioni peggiorano di
giorno in giorno, credo che quest’anno
dovrò presenziare per forza al suo posto, a Yule.»
Trangugiò di colpo tutto il suo whisky, poi tornò
a guardarmi, il viso afflitto e rassegnato.
«Ebbene sì,
è arrivato anche per me il momento di
crescere.»
«Dai! Non sarà poi
così terribile. Come vedi ci sono riuscito
persino io!»
Risi, a volte non riuscivo a credere di aver
raddrizzato la mia vita.
«Quando mi sono rappacificato
con mio padre e sono ritornato a Herrengton, ho messo delle condizioni
e… poi però la mia vita non è mai
stata tanto diversa da com’era prima, il Quidditch, Londra, lui lontano io libero… ma
ora… Io non ho alcuna intenzione di lasciare la mia vita qui a Londra
per tornare a Herrengton, passi aver abbandonato il
Quidditch, passi aver assunto l’impegno al Wizengamot al posto suo,
ma… io non voglio la responsabilità di
Herrengton, non voglio custodire Habarcat, non voglio fingere di condividere
appieno quei precetti, che nella realtà dei fatti ora mi
trovo spesso a contestare!»
«Ti prego, basta così, so che
non lo pensi davvero, so che anche per te i precetti di
Serpeverde sono sacri. Adori quella terra Alshain, i dubbi che hai sono
relativi solo ai giusti timori per la tua
libertà!»
«Io… »
«Nulla t’impedirà
di tornare quando vuoi, nessuno ti obbligherà a lasciare per
sempre Essex Street, fidati di me... »
Sospirò, sapevo che sarebbe arrivato il momento ma non
volevo sentirlo, troppe volte ero riuscito ad arginarlo, ma non sapevo
se ci sarei riuscito questa volta.
«Orion, ti ricordi quel
discorso? Tanti anni fa, prima che ti sposassi? Io parlavo
sul serio… io non sono più così sicuro che quello che ci hanno insegnato sia giusto... »
Eccoci. No, non potevo sopportarlo di nuovo. Non volevo sentire quelle
parole che avrebbero riaperto certe strane pieghe della mia anima.
«Anch’io parlavo sul
serio, Alshain, e non voglio più sentirti dire
quelle cazzate. Quel giorno ero sbronzo, ero fuori di testa,
e voglio credere di aver capito male e che… »
«Ma tu non hai capito
male, io so di non essere più quello che ero da ragazzo... »
Mi avvicinai rapido e gli misi una mano sulla bocca senza tanti
riguardi. Mi guardò interrogativo.
Quello sarebbe stato l'ultimo segreto, ce lo saremmo portato nella tomba.
«Non voglio sentire una parola
di più, Sherton, impara almeno questo da me, visto
che da te io ho imparato tanto: nel nostro mondo, alcune cose non devi
confessarle nemmeno a te stesso, o le conseguenze potrebbero essere devastanti!»
***
Orion
Black
Diagon Alley, Londra - maggio 1964
La lettera arrivò mentre uscivo da
“Borgin and Burkes”, avevo appena comprato un
oggettino niente male per il nostro anniversario di matrimonio: non
conoscevo il gufo, e nemmeno la calligrafia sulla busta mi diceva
granché, avevo quasi voglia di stracciarla. Ormai molto
spesso mi arrivavano lettere con richieste assurde, da quando si era
diffusa la voce che fossi un vero “Mago” nel
risollevare le sorti degli imperi di famiglia, ero contattato quasi
quotidianamente anche da perfetti sconosciuti che volevano
“comprare” la mia consulenza. Arrivai da Florean
Fortescue e mi accomodai a un tavolo, la giornata era meravigliosamente
primaverile, per completare la perfezione del momento sarebbe stato
bello avere la compagnia di Alshain, ma forse stava arringando
i vecchi della Confraternita sull’importanza del ripristino
delle vere tradizioni, tra le quali l’utilizzo massiccio del
Quidditch nella formazione dei giovani rampolli delle famiglie del
Nord. Quelle vecchie cariatidi l’avrebbero preso
per pazzo, ripristinare le vecchie tradizioni significava fare un
ricorso limitato ed essenziale alla Magia, assumere stili di vita sobri
e aderire non solo esteriormente al Cammino del Nord, ma sarebbe
bastato loro dar solo uno sguardo ai suoi figli, per capire quanto
quelle idee innovative e bizzarre fossero veritiere.
E pensare che eri così dubbioso prima di partire…
Appena arrivato invece, la sua Scozia l’aveva completamente
affascinato e nel giro di pochi mesi aveva assunto quel
ruolo di leader che gli spettava per sangue e nascita. Ero felice per
lui, anche se un po' invidiavo quei bastardi scozzesi che
potevano godere della sua compagnia al mio posto. Florean mi
portò quanto avevo ordinato e alla fine mi decisi a guardare
il contenuto della lettera: era così strana, leggera,
l’aprii e vidi che c’era solo una foto,
l’estrassi e, quando la guardai, pensai che gli occhi mi
stessero facendo qualche strano scherzo, la girai per capirci qualcosa,
ma non c’era scritto nulla di utile. Feci un sospiro e tornai
a voltarla: era una semplice foto babbana, benché il
soggetto, lo sapevo benissimo, fosse una Strega.
Che cosa sei, un'illusione o la realtà?
La Magia rispose alla mia domanda, apparvero una data e un indirizzo di
Liverpool, che subito si dissolsero, riducendo anche la foto e la busta
in cenere. Un brivido mi scosse da dentro, ero ormai diventato
sensibile ai presagi e quello mi sembrava foriero di sventure. Ma
sapevo anche che mi sarei pentito per tutta la vita se non fossi andato
a quell’appuntamento.
***
Orion
Black
12, Grimmauld Place, Londra - giugno 1964
«Va tutto bene,
Orion?»
Walburga era stesa al mio fianco, dovevo averla
svegliata con la mia agitazione, sospirai, non sapevo come affrontare il discorso, erano giorni che mi chiedevo se non fosse il momento di dirle la
verità. Si voltò verso di me, accarezzandomi con
la mano delicata il viso, scansandomi i capelli dagli occhi per
guardarmi con l’intento di sondarmi l’anima: ormai
ci riusciva tanto bene, anche senza Magia. Le presi la mano e la baciai
poi accarezzai il suo viso e lo avvicinai al mio, un bacio carico di
passione, con l’altro braccio la strinsi forte a me, ma lei
fece resistenza e mi allontanò.
«Vorrei che mi rispondessi,
prima… »
«Non è nulla Walburga,
sono solo un po' agitato… »
«Per l’appuntamento
di domani? Di cosa si tratta Orion?»
«Devo vedere una persona
che… è una storia assurda,
Walburga… Non so chi sia, non so che cosa voglia da me, ma
forse ha delle informazioni che m'interessano, qualcosa che
non mi torna… »
«Non starai correndo un
pericolo, Orion?»
«No, non credo…
Voglio dire… chi potrebbe avercela con me?»
«Orion, se non sei
convinto… forse faresti meglio a non andare, fidati del tuo
istinto… »
«Non posso... devo scoprire la verità, lo devo a me stesso... e anche e soprattutto... a te... Ti ricordi... Salazar... quanto è difficile... ti ricordi... che ero convinto
che fosse colpa mia se non eravamo felici, Walburga? Ero sicuro... che il
destino mi stesse punendo... per aver causato la morte di una
donna… ma ora… ora questa lettera... Walburga... ho motivi per credere che sia
tutto falso, credo di aver vissuto... e aver fatto vivere anche te... dieci anni nell'angoscia... senza
motivo… »
«Che cosa stai
dicendo? Io non capisco, Orion... »
«Walburga… ricordi com'ero da ragazzo? Prima di
conoscerti ho fatto tante cazzate, ma davvero... tante… mi
vergogno ad ammetterlo e… ho creduto... ho avuto motivi seri per credere che tu
soffrissi a causa dei miei errori… che il destino mi punisse
per il male che avevo fatto... che tu, innocente, ci fossi finita in
mezzo… ora ho la possibilità di verificare che,
per lo meno, ecco... che no, io Orion Arcturus Black, per lo meno, non sono un assassino… tutto il resto non posso
correggerlo, ma… forse... almeno quello… »
«Un assassino? Ma cosa dici, Orion? Certo che non lo sei…»
Mi baciò, con lo stesso atteggiamento protettivo che
riservava sempre ai nostri figli.
«Lo faccio per noi,
Walburga… te l’ho giurato, non soffrirai mai
più a causa mia. E ora voglio che questo incubo finisca per
sempre… »
Scivolò leggera sopra di me, baciandomi con passione, si
avventò sul mio collo e con le mani iniziò a
graffiarmi leggera il petto, ero perso tra i suoi capelli e il calore
del suo corpo, feci scivolare le sue spalline, la seta si ritrasse sui
suoi fianchi, lasciando finalmente libera la sua pelle calda e diafana.
Le arpionai i fianchi e la guardai, mi stava fissando con uno sguardo
che ormai conoscevo benissimo. Tra le sue braccia il vecchio Orion
Black, quello sbagliato, era scomparso. Per sempre.
***
Orion
Black
Liverpool, UK - giugno 1964
Non potevo crederci: io, Orion Arcturus Black aspettavo una donna,
impaziente, con le mani sudate e la gola secca. Per la precisione,
aspettavo in una piazza commerciale di Liverpool, al tavolino di un bar
e guardavo quel mondo babbano che mi era così estraneo con
totale indifferenza. Quando la vidi comparire, mi resi conto che era più adatta a quel mondo che non al nostro.
Perché anche nei suoi confronti ero indifferente. Non avrei
mai creduto che sarei stato così forte dinanzi
all'apparizione della rediviva Elizabeth McKinnon: in fondo
all’anima temevo che avrei perso la testa, mandato al diavolo
tutto e rovinato quello che avevo costruito con sacrificio e dolore
negli ultimi anni.
No... non ero più un debole, lei era una
donna, una donna per la quale avevo preso fuoco, ma che ora, ora che
conoscevo davvero l’amore, sapevo benissimo di non aver amato
mai… se l’avessi amata, non sarei mai fuggito...
se l’avessi amata, avrei scoperto già da tempo che
quello era tutto un inganno. A dire il vero, ora mi era ben chiaro che
ero lì solo per scoprire l’identità di
chi mi aveva ingannato. La bambina non c’era, ma Elizabeth mi
portò delle foto, per dimostrarmi che era tutto vero ed io
non potevo negare, osservando la linea perfetta del naso e gli occhi
identici ai miei, che Margareth McKinnon, nove anni, era davvero mia
figlia. Non sapevo, però, cosa pensare nemmeno di lei, non
sapevo cosa provavo: quando me l’ero immaginata, anni
addietro, il mio animo era pervaso di emozione, in quel momento mi sentivo solo a disagio, pensavo soltanto a cosa sarebbe successo se
Walburga e gli altri ne fossero venuti a conoscenza. Ora rischiavo troppo, rischiavo di
perdere davvero troppo. Un tempo sarei solo stato bollato come
traditore del sangue puro. Ora avrei perso un mondo intero: i miei
figli, la mia vita, mia moglie. Guardavo Elizabeth e le foto della
bambina e vedevo in loro solo le prove di quanto dovessi vergognarmi
del mio passato.
«Perché mi hai
spedito quella foto e mi hai invitato qui, dopo tutti questi
anni?»
«Sono io ad aver ricevuto la
tua lettera, in cui mi chiedevi di vederci… la prima in
tanti anni in cui ho cercato di contattarti. Non mi hai risposto
mai… »
«Non ho mai ricevuto lettere
da te, Elizabeth, addirittura fino a un mese fa ti credevo
morta… »
«Beh… evidentemente
non sei l’assassino che temevi di essere,
Orion… »
Mi voltai, Walburga Black era dietro di me, in tutta la sua
terrificante magnificenza. Mi fu subito tutto chiaro. Alla fine era
arrivato il giorno in cui avrei pagato per tutti i miei peccati.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, aggiunto a preferiti/seguiti,
recensito ecc ecc.
Valeria
Scheda
Immagine: al
momento non riesco a ritrovare la fonte di questa immagine.
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