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Autore: Terre_del_Nord    01/02/2009    13 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Orion - OB.003 - Amore

-- revisionato luglio 2018 --


OB.003""


Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - ottobre 1957

Sapevo che poteva accadere, nella mia famiglia era capitato molto spesso, anche ad Alshain e a Deidra era successo una volta, dopo la nascita di Mirzam. E comunque il Medimago aveva detto che non c'erano state complicazioni, avevamo perso il bambino, vero, ma non la possibilità di avere altri figli. Walburga, stranamente, sembrava essersene fatta subito una ragione, anzi aveva preso la notizia con una certa razionalità.
Io no.
Io sapevo che non era un semplice frutto del caso. Io sapevo che c’era un motivo se tutto questo stava accadendo. E quel motivo ero io.
Avevo commesso degli errori e il destino ora mi presentava il conto. Perché io desideravo un figlio non solo per dare un futuro alla mia famiglia. Io desideravo un figlio per vedere nei suoi occhi l’affetto che coglievo in Mirzam quando guardava suo padre. Ma io avevo sputato su quella possibilità quando avevo causato la morte di Elizabeth. E ora la sorte sembrava non volermi concedere una seconda possibilità.

***

Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - gennaio 1958

    «Sono felice che tu le sia vicina, Deidra, all’inizio sembrava che Walburga l’avesse accettato, ma da Natale, non lo so, sembra scivolare sempre di più verso l'apatia e la depressione. Ed è tutto ancora più difficile, con quei nostri dannati parenti, sempre lì ad assediarci, a chiedere spiegazioni, a chiedere conto dei tentativi a vuoto, giorno dopo giorno. La stanno facendo a pezzi!»

Deidra mi abbracciò, cercando di farmi coraggio: mi sembrava fossero passate tante vite, non dieci anni, da quando ero infatuato di lei. Ora era la mia amica più cara. In quegli ultimi mesi i rimorsi erano tornati ad attanagliarmi, con mia moglie mi sentivo colpevole, evitavo spesso il suo sguardo perché ero convinto che solo guardandomi avrebbe capito che ero io il responsabile di tutto. Passavo molto tempo a Nocturne Alley, con la scusa di acquisti e affari, in realtà cercavo di stare il più lontano possibile da lei, dai nostri parenti, dalle opprimenti atmosfere di Grimmauld Place. Con mia somma vergogna, varie volte, avevo cercato di ottenebrare la mia mente cedendo alle lusinghe dell’alcool e dei bordelli. E ogni volta, poi, mi ero sentivo peggio: ero certo che presto sarei caduto nel baratro com'era già avvenuto in passato.
Walburga non comprese il motivo del mio cambiamento, non diceva nulla, probabilmente si sentiva a sua volta giudicata e colpevole e questo aumentò la sua tristezza, poi la tristezza si trasformò in amarezza e rabbia: lo vedevo dalla piega che avevano gli angoli delle sue labbra, sapevo che appena avesse lasciato andare il primo insulto nei miei confronti, ne sarei stato completamente sommerso. Ma io non potevo farci nulla, era anche per lei che mi comportavo così, ero convinto che fosse inutile illuderla. Nulla di buono poteva nascere da me.

    «Sicuramente è solo una fase passeggera, Orion: dalle il tempo di riprendersi e comportati come l’anno scorso; fate un altro viaggio, magari, lontano da tutti… »
    «Il Medimago pensa che sia stato solo un incidente di percorso, che non ci sia nulla che non va, ma io… »
    «Orion, andrà tutto bene, non ti preoccupare, anche a noi è successo, certo porterai sempre dentro di te la sensazione di un vuoto, di un’occasione perduta, di una vita perduta, ma devi, anzi dovete andare avanti: ho visto con chiarezza i segni, avrete dei figli, almeno due, dovreste solo lasciarvi alle spalle tutte le pressioni della vostra ingombrante famiglia. Perché non andate a Doire? Mia sorella Rebecca sarebbe felicissima di ospitarvi!»

Doire: nei miei occhi si affacciavano immagini di alcuni dei momenti più belli della mia vita. Come avevo fatto a dimenticare tutto? Perché non avevo mai portato Walburga a Doire, uno dei posti che più evocavano in me felicità e spensieratezza? Forse valeva la pena fare un tentativo, forse aveva senso provare ancora un po' di speranza.

    «Orion, fidati di me, se riuscirai a convincere Walburga a fare questo viaggio, tornerete dall'Irlanda con un bambino!»

Il suo viso si era illuminato come quando eravamo ragazzi, mi prese per mano e mi costrinse a guardarla. Non capii subito.

    «Orion, ne varrà la pena, dovete andare subito da Rebecca, lei con quel tipo d’incantesimi è diventata eccezionale. Con me ha funzionato subito: a luglio, Alshain ed io avremo finalmente un altro bambino.»
    «Oh Deidra… davvero? Salazar, è da tanto che anche voi lo desideravate... sono così felice per te, per entrambi!»
    «Orion, vai da Rebecca con Walburga, si sistemerà tutto, ne sono più che certa!»

Come potevo non crederle? Forse c’era ancora una speranza: perché se davvero fossi stato così contaminato dagli errori che avevo commesso, Deidra non avrebbe potuto toccarmi senza ritrarsi orripilata, visto quanto era sensibile nel cogliere la vera natura delle persone. No, forse ancora non era tempo per me di lasciarmi andare. Mi strinse forte la mano e le ombre, in cui da troppo tempo mi muovevo di nuovo, si squarciarono: benché avessi fatto tanti errori, avevo due amici su cui contare e una moglie che a modo suo mi voleva bene e che anch’io, a modo mio, amavo. No, non avrei rovinato tutto, non di nuovo, avevo promesso che non avrei più fatto soffrire Walburga, l’avevo giurato. Mi sarei dato un’altra possibilità, avrei dato a entrambi un’altra possibilità. Sapevo che, in fondo al cuore, attendevo solo un segno. E come spesso accadeva quel segno mi era arrivato dagli Sherton.

***

Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - marzo 1958

In realtà, il vero segno arrivò alcune settimane più tardi, una domenica mattina, sotto forma non di Deidra, ma di Hermes, il gufo reale di Alshain. Fuori il cielo era tempestoso, la giornata era iniziata bene, tiepida e serena, avevamo invitato a pranzo i miei genitori, mia sorella e suo marito, i genitori e i fratelli di Walburga, tutti i marmocchi di casa, volevamo festeggiare la nostra partenza, avevamo deciso di passare la primavera e tutta l’estate a Doire. Anche per Walburga era un’ottima idea, nelle ultime settimane, da quando gliene avevo parlato, tra noi le cose erano tornate alla tranquilla serenità di un anno prima. Non avevo più cercato distrazioni inutili, addormentarmi con Walburga aveva smesso di provocarmi rimorsi, sentirmi di nuovo al suo fianco, partecipe, aveva portato lei a confidarmi le sue vere paure e, a quel punto, anch’io avevo confessato le mie, celando solo il vero motivo per cui mi sentivo responsabile della nostra attuale situazione. Quando si sciolse in lacrime nel mio abbraccio, capii che quello che provavo per Walburga Black non era solo un’illusione o un ripiego, io le volevo bene e stimavo quella donna che si rivelava pienamente solo a me, lasciandomi al tempo stesso affascinato e sconvolto: non riuscivo a credere quanto fosse diversa da come voleva apparire, quanto fosse fragile e insicura e dolcissima, lei, la donna di cui molti, già all’epoca, avevano paura. Volevo darle qualsiasi cosa, qualsiasi fosse stato il prezzo, anche perché era palese a entrambi che i nostri fini combaciavano perfettamente. Come combaciavano perfettamente le nostre anime, le nostre menti e i nostri corpi.
Stavo parlando con Cygnus di alcuni acquisti da fare in Francia, poteva benissimo occuparsene lui al mio posto finché eravamo in Irlanda, bastava che gli dessi delle lettere di presentazione, quando all’improvviso ero stato colto dai brividi. Che fossero un qualche tipo di presagio? Non gli diedi peso e continuai ad affidargli altre commissioni. Appena vidi Kreacher col gufo di Alshain, però, capii che era successo qualcosa d’irreparabile, prima ancora di aprire la lettera. La tenevo stretta in modo esagerato, tra le mani tremanti, e non riuscivo nemmeno a capire cosa c’era scritto, avevo chiaro solo che mi aveva convocato al San Mungo, mentre le parole restanti erano così assurde che più le rileggevo e meno la mia mente riusciva a comprenderle, quasi fossero solo una macchia d’inchiostro informe. Solo l’ultima frase, nitida, attraeva tutta la mia attenzione, quel “Mirzam è in fin di vita” mi squarciava il cervello con tutta la sua devastante potenza. Davanti a tutti, crollai sulla poltrona, le mani sugli occhi, pallido e tremante, Walburga prese la pergamena caduta ai miei piedi e a sua volta rimase impietrita.

    «Com'è possibile? Chi è stato? Chi può aver osato tanto?»

Come avevano potuto dei semplici babbani attaccare e ridurre a un passo dalla morte la moglie e il figlio di Alshain Sherton? Non era possibile, c’era dietro qualcosa di strano, lo capivo anche con la mente ottenebrata dal dolore. Non potevo credere che Deidra e Mirzam stessero lottando per sopravvivere, non potevo credere che forse non li avrei più rivisti. Non sapevo che cosa fare, la mia mente era azzerata, sapevo soltanto che stava per finire tutto, la parte migliore della mia vita era stata spazzata via, non rimaneva più niente: Alshain non poteva vivere senza sua moglie e suo figlio, ed io, senza i miei due migliori amici, non avevo la forza sufficiente per andare avanti e resistere al baratro che mi reclamava da tempo.

    «Devo andare in ospedale da Alshain.»

Mi alzai, la voce tremante, come un automa, potevo fare solo una cosa per volta, un passo alla volta, perché il futuro era all’improvviso scomparso. Sentii Walburga appoggiarsi al mio braccio, perché la sostenessi e al tempo stesso per darmi lei la forza di fare il passo successivo. La guardai: era al mio fianco, non ero più solo, eravamo in due ad affrontare il mondo, avevo qualcuno su cui poter contare, persino se mi fossi trovato davanti all’inferno. I sentimenti che avevo scoperto di provare nei suoi confronti, evidentemente, erano ricambiati. Non sapevo quando, ma l’indifferenza trasformatasi un anno prima in passione, tra noi, aveva assunto negli ultimi mesi una nuova forma, altrettanto devastante e assoluta, forse proprio a causa di quel bambino mai nato: seppur diverso da quello che vedevo tra Alshain e Deidra, tra me e Walburga c’era amore, amore vero.

    «Mi cambio e vengo con te, Salazar, come… »
    «No, tu resti a casa, andiamo io e tuo marito!»

Pollux cercò di frapporsi tra me e Walburga ma lei non glielo permise, serrandomi più forte il braccio, gli impedì di separarci e lo fulminò con uno sguardo carico d’odio che non le avevo visto mai: non mi preoccupai di capirne il perché, mi colpiva già abbastanza vedere che, nel momento del bisogno, mi stava ridando quel sostegno che io le avevo prestato difendendola proprio da suo padre, tanti mesi prima. Tornammo a guardarlo entrambi sconcertati: perché Pollux diventava sempre così nervoso quando c’era di mezzo Alshain Sherton? Anche al nostro matrimonio aveva reagito a quel modo. Non si rendeva conto che Alshain era il mio migliore amico e che negli ultimi anni anche per Walburga gli Sherton erano stati delle presenze importanti? Era solo per lui se ero ancora vivo, solo per lui se c’era ancora una speranza per i Black.

    «Tu devi pensare a prepararti per partire, qualsiasi cosa accada, voi due avete come primo compito quello di dare un erede ai Black!»
    «Ti pare questo il momento di pensare al viaggio? Alshain Sherton è il mio migliore amico ed io non mi allontanerò di certo da Londra proprio adesso!»
    «Tu e Walburga dovete tenervi alla larga da questa storia, Orion! Questo è un messaggio chiaro per Alshain Sherton: prima sono morti suo fratello e la sua famiglia, ora suo figlio e sua moglie… »
    «Non... non sono morti... sono feriti, ma non sono morti e, se Merlino vuole, si salveranno, padre!»
    «... per ora, non sono morti, Walburga, per ora... a questo punto è importante, di qualsiasi cosa si tratti, che non ci facciamo coinvolgere anche noi, non ora che la nostra famiglia è a un passo dal baratro e dall'estinzione! La nostra famiglia viene prima di tutto! E voi due, è tempo che vi assumiate una buona volta le vostre responsabilità nei confronti dei vostri avi!»

A quelle parole, mia moglie fulminò mio padre con uno sguardo che non ammetteva repliche.

    «Ce le stiamo assumendo, Arcturus, ed è per questo che io vado dove va mio marito!»

Su di noi si posarono gli sguardi di tutti i Black, trasecolati e stupiti, nessuno di loro immaginava che la situazione tra Walburga e me fosse quella, non dopo tutte le nostre difficoltà iniziali: sostenemmo con fierezza le loro occhiate sospettose, entrambi lieti di aver fatto capire a tutti loro che il nostro da tempo non era più soltanto un matrimonio di convenienza.

***

Orion Black
Londra/ Doire - 1958/1959

Stavolta feci di testa mia. Non lasciai Londra, e con notevole sorpresa e gioia, vidi che Walburga non solo comprese, ma arrivò a sostenere la mia posizione, contro tutti i Black, non solo in quell'occasione, ma ogni volta che i nostri cari parenti facevano pressioni perché cambiassi idea. Non ci comportammo in maniera irresponsabile, non andai a cercare di farmi giustizia da solo, come temeva mio suocero, né assunsi atteggiamenti diversi da quelli che tenevo di solito, non ero pazzo. Dimostrammo però di essere i migliori amici degli Sherton e ci comportammo come tali, sia nella fase più critica, quando per settimane le condizioni di Mirzam sembrarono aggravarsi invece di migliorare, sia in seguito, quando alle preoccupazioni per la sua salute si sostituirono paura, angoscia e sospetti a causa di un nemico invisibile quanto potente. Non era mai capitato nella storia della mia amicizia con Alshain che fossi io il trascinatore: dei due, sebbene più giovane, era lui quello più forte, quello che organizzava, quello che trovava soluzioni astute, io al massimo avevo da sempre una certa abilità nello scoprire vie di fuga quando la situazione si faceva pericolosa. Ora era diverso, ero io quello che manteneva la lucidità e ideava una strategia, io quello che consigliava, lui quello che valutava e accettava. La verità era che mai Sherton, neppure quando era stato cacciato da casa, aveva avuto dei veri motivi per sentirsi debole. E solo. Mai nessuno era arrivato a colpirlo dove era sensibile: la sua famiglia.
Presi in mano la situazione e mi meravigliai di quanto mi riuscisse bene: non ero solo abile nel gestire i suoi affari, per i quali sembrava aver perso qualsiasi slancio, sapevo dare consigli e sostegno, mostrando una maturità e solidità che non avevo mai creduto di possedere. Non io che in quasi trent’anni di vita ero stato capace solo di fare casini. Non mi ero mai reso conto del mio talento, nemmeno in tutti quegli anni in cui ero riuscito a far rifiorire gli affari di mio padre e poi i miei; scoprii soprattutto di avere una naturale propensione alla diplomazia e alla politica, quando mi resi conto che era necessario nascondere al mondo quanto l'erede del signore di Herrengton fosse provato da quello che gli stava accadendo. E ci riuscii. Nessuno doveva conoscere il suo segreto, nessun altro doveva capire che colpendo Deidra o Mirzam s’infliggeva una ferita mortale all’erede di Hifrig. Non potevo permettere che qualcun altro provasse a portargli via (e a portarmi via) alcune delle persone che più aveva (e avevo) nell’anima. Dopo quell’esperienza terribile la nostra non fu più solo un’amicizia, la nostra diventò una specie di simbiosi. La nuova fase del nostro sodalizio era talmente preziosa e carica di conseguenze, che non ne facemmo apertamente parola con nessuno, nemmeno con Deidra e Walburga: agli occhi del mondo eravamo solo i due soliti vecchi amici piantagrane che si erano conosciuti a Hogwarts tanti anni prima, nella realtà da quel momento chi si poneva in contrasto con uno di noi, si trovava a combattere contro entrambi, senza neanche sospettarlo. In più di un’occasione, negli anni seguenti, i colpi di mano di Lestrange ai suoi danni non riuscirono per interventi di disturbo che nessuno sospettò fossero mossi da me, così come, negli affari, spesso Malfoy si ritrovò battuto perché il suo vero avversario non ero io ma suo cugino.
La donna che avevo al mio fianco era troppo astuta per non rendersi conto di questa realtà: Walburga Black era forse l’unica ad aver intuito quanto “matura” fosse ormai la nostra amicizia e la consapevolezza finì con l’accendere le fantasie e le ambizioni di mia moglie. Alla nascita del loro secondogenito a maggio, prematuro per le conseguenze dell'attacco, nella mente di Walburga iniziarono a formarsi immagini fantasiose che ci vedevano imparentati con la più grande famiglia del Nord attraverso almeno una delle figlie di Cygnus. Era convinta, grazie all’ascendente che avevo su Alshain Sherton, che Herrengton in qualche modo potesse passare sotto l’influenza dei Black, che potessimo riportare in auge il nome della nostra famiglia riuscendo là dove un solo Black finora era riuscito, circa cinquecento anni prima. Arrivai a chiedermi se queste nuove macchinazioni avessero messo in secondo piano, in lei, il nostro comune desiderio di avere un figlio, diventato ancora più urgente per me nel momento in cui avevo visto la sofferenza del mio amico per Mirzam e avevo preso in braccio per la prima volta Rigel, di tutti i suoi figli, il mio prediletto, forse perché arrivato proprio al culmine di un momento tanto terribile. Fu per questo che, appena la fase acuta della crisi fu superata, ripresi in mano il progetto del soggiorno a Doire, facendone qualcosa di meno estemporaneo, arrivando persino a riflettere sull’ipotesi di un trasloco definitivo: comprai una casa lì, trovavo quei luoghi fiabeschi perfetti per passarci l’inverno, scelsi una dimora piccola, intima, immersa nel bosco, volevo che fossimo circondati dal bianco ovattato di una neve immacolata. Avevo da sempre un’acuta avversione per il freddo, ma immaginavo una soluzione che tra l’altro ben si armonizzava col motivo principale per cui saremmo andati in Irlanda. Lontani da presenze tediose e atmosfere fosche, le nostre giornate sarebbero state brevi e le nostre notti lunghissime, nella mia fantasia saremmo stati avvinghiati tra le coperte quasi tutto il tempo, affidando agli Elfi il compito di procurarci di che vivere, rifacendoci così -con gli interessi- anche dei mesi che avevo sprecato all’inizio della nostra storia. Quando Walburga mise piede per la prima volta nella nostra casa irlandese, semplice e piccola, ma comunque all’altezza di due Black come noi, fu più che chiaro dal suo sguardo carico di complicità, che non avremmo avuto nessun bisogno dei complicati incantesimi pro-fertilità di Rebecca Llywellyn. Adoravo la vera natura di mia moglie, così passionale, adoravo la totale dedizione che aveva per me, in certi momenti mi metteva su un piedistallo come fossi un dio e, a mia volta, cercavo in ogni modo di ripagarla con la stessa moneta, desiderando cancellare dalla sua memoria tutte le sofferenze del passato, dimostrandole che non ero nato solo per rovinarle la vita, come mi aveva accusato tanto tempo prima. Passammo mesi e stagioni nel nostro nido, scordandoci quanto c’eravamo lasciati alle spalle, a parte i gufi che spedivamo con notevole pigrizia a Londra ad amici e parenti per rassicurarli che andava tutto bene, non mantenemmo contatti di alcun genere con il mondo esterno. Esistevamo solo l’uno per l’altra. L’unica cosa di cui ognuno di noi aveva bisogno era la presenza dell’altro.
Alla fine, ritornammo a Londra per festeggiare il Natale del 1959, stupendo tutti: a nessuno, infatti, avevamo rivelato che nostro figlio sarebbe finalmente nato a febbraio.

***

Orion Black
Ospedale San Mungo, Londra - lun. 22 febbraio 1960

    «Ed è pure un maschio!»

Mio padre probabilmente stava per avere un infarto dalla felicità, mia madre piangeva, come alla fine di un lungo incubo. Irma, lacrime agli occhi, teneva per mano Walburga, ancora stravolta dal parto: questo figlio tanto ricercato aveva ritardato la nascita di quasi dieci giorni, portandola all’esasperazione a tal punto che per tutto il travaglio mi aveva maledetto lanciandomi tutti i peggiori anatemi più o meno innocui che conosceva. Era un piccolo toro, mio figlio, nella nostra famiglia mai nessun bambino era stato così grosso alla nascita, inoltre era nato già con dei lunghi capelli scuri e un musetto birbante, che mi ricordava me stesso, quando da piccolo facevo le smorfie allo specchio. Appena lo vide, Walburga mi chiamò a sé, io ero pronto a un’altra scarica d’imprecazioni ma, sorprendendomi, mi baciò la fronte teneramente, come faceva sempre quando era felice per qualcosa che avevo fatto per lei: mi disse che era talmente bello e che mi assomigliava talmente tanto e che mi era talmente grata per averla aiutata a metterlo al mondo, che si rimangiava tutto quello che mi aveva urlato contro dal giorno della mia nascita. La baciai teneramente anche’io, non avevo parole per dirle quanto più grande era il dono che mi aveva fatto lei: mi aveva tirato fuori dagli incubi in cui mi ero cacciato con la mia dabbenaggine e mi aveva dato l’unica cosa che desiderassi davvero.

    «Dovremmo chiamarlo Phineas Orion Black, così sarà chiaro da subito che sarà un grande preside di Hogwarts.»

Pollux gongolava, come se l’avesse fatto lui: mi ero reso conto di odiarlo sempre di più, anche senza un valido motivo, ed ero più che intenzionato a non dargliela vinta.

«Si chiamerà Sirius Orion Black: ha riportato la luce nelle tenebre della nostra famiglia, ci ha salvato dal baratro dell’estinzione, perciò deve portare il nome della stella più luminosa del cielo.»

A Walburga non avevo mai detto nulla, ma già da quando eravamo ragazzi, con Deidra e Alshain avevamo giurato che i nostri figli avrebbero avuto i nomi delle stelle di Orione e del Cane, così sarebbero stati legati da amicizia per tutta la vita, proprio come noi. E questo aveva ancora più importanza in quel momento, perché anche loro aspettavano un bambino, sarebbe nato a maggio: quando avevamo scoperto che sarebbero nati a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, avevamo compreso che il futuro delle nostre famiglie sarebbe stato sempre più roseo.

    «Brindiamo a Sirius Black III! Sì, può andare bene lo stesso!»

Sorrisi sprezzante a mio suocero: che la vedesse come voleva, la verità non poteva di certo immaginarla, forse solo Walburga la poteva intuire. E mia moglie mi guardò e annuì, era l’unica conferma che aveva valore per me in quel momento.

    «E’ bellissimo, complimenti!»

Alshain era venuto da solo, Deidra aveva alcuni problemi di equilibrio durante quell’ultima gravidanza, e forse era il più emozionato dopo di me e Walburga: non riusciva a staccargli gli occhi di dosso e sapevo che in quel piccolo mostriciattolo urlante, vedeva le stesse cose che vedevo io. Un minuscolo Orion Black. La fine dei miei incubi. La ragione della mia vita, quella che inseguivo da anni, da quando avevo scoperto la gioia che Mirzam riusciva a trasmettergli con un semplice sguardo. Non che potessi dimenticare il passato, certo, ma… Sirius era la seconda occasione che il destino mi concedeva, non me la sarei lasciata sfuggire, a qualunque costo avrei dato il meglio di me. Sarei stato un padre perfetto, avrei meritato il suo amore, esattamente come il mio migliore amico. Avevo convocato Alshain a scanso di equivoci, subito, doveva essere chiaro a tutti che sarebbe stato lui il padrino del mio primogenito e di qualsiasi altro figlio avessi avuto in seguito, naturalmente Pollux non gradì la scelta ma a me e a Walburga andava bene così. Sherton si chinò sul bambino, che mia moglie teneva stretto a sé, lei non voleva di certo separarsene, ma Alshain le fece cenno che non era necessario, lei poteva tenerlo tra le braccia mentre lui si sfilava l’anello serpentesco che aveva ottenuto per l'occasione da suo padre. Lo passò come una lieve carezza sugli occhi, le labbra e il cuore di mio figlio, recitando quella che a orecchi ignoranti sembrava una semplice cantilena in gaelico: in realtà gli stava imprimendo la traccia degli Sherton, una delle protezioni più forti per gli Slytherin, qualsiasi cosa fosse successa nella nostra vita, mio figlio avrebbe sempre potuto contare sulla protezione di Herrengton. Si guardarono come non avevano fatto mai, sapevo che quel bambino ci avrebbe uniti anche di più: mentre lo teneva tra le braccia e Alshain gli prometteva che l’avrebbe difeso a costo della sua stessa vita, anche Walburga si rese conto che aveva di fronte a sé non solo un amico ma un fratello.

***

Orion Black
74, Essex Street, Londra - merc. 23 marzo 1960

    «Brindiamo a un anno straordinario, alle nostre belle mogli e ai nostri adorati figli!»

Alshain mi sorrise, di nuovo, era talmente felice che ormai da due giorni non riusciva a smettere, temevo che senza accorgercene l'avesse colpito una paralisi facciale. Sorrisi a mia volta. Una figlia femmina, nata nel giorno di Habarcat: sembrava fosse nata apposta due mesi in anticipo solo per soddisfare quella dannata profezia. Chiunque al suo posto avrebbe rischiato di rimetterci le penne, di sicuro al vecchio Sherton era quasi preso un colpo, lui che si era tanto opposto a quel matrimonio, che invece stava dando soddisfazioni alla loro famiglia al di là delle più rose aspettative.

    «Salazar, sai Orion che non ci credo ancora? Com’è possibile che tra tanti, in sette secoli, ci siamo riusciti proprio Deidra ed io?»
    «Perché tua moglie è una dea e tu sei un dannato bastardo fortunato, ecco perché!»
    «Non ci posso credere… e poi è così bella, Orion, è molto piccola, vero, piccolissima, ma è tanto bella! Credo sia quanto di meglio sia riuscito a fare nella mia vita!»
    «Beh, sei ancora troppo giovane perché tu possa tirare le somme, Alshain, ma di sicuro quella signorina è una piccola truffatrice, proprio come te, se ha cominciato da subito a giocare sporco col destino, nascendo in anticipo: è proprio degna di suo padre!»

Risi. Era piccola, vero, ma lo vedevo da me, come tutti, che era bellissima. E appena l’avevo vista, subito mi era passata per la testa, come un flash, un’immagine, la stessa che aveva in testa mia moglie e la maggior parte dei Black. Chissà se anche Alshain aveva lo stesso pensiero in quel momento? Erano passati settecento anni prima di veder nascere la bambina che poteva rompere la maledizione e l’evento era accaduto esattamente un mese dopo la nascita di mio figlio, il miracolo che aveva salvato i Black dall'estinzione. Per me era un segno. Quei due erano nati per stare insieme, per suggellare il legame già solidissimo tra le nostre famiglie. E sapendo cosa la leggenda diceva dei figli di quella mitica bambina, al pensiero che potessero essere i miei nipoti, il cervello mi andava in confusione, proprio come dopo una sbornia stratosferica: sarebbero stati i Black più potenti di tutti i tempi, con quel sangue sarebbero stati al livello di Salazar Slytherin stesso, forse l’avrebbero persino superato, avrebbero riscritto probabilmente persino la storia della Magia. Guardai per un attimo smarrito il mio bicchiere, poi tirai un sospiro fondo, osservando di sottecchi Alshain.

    No.

Dovevo smetterla di guardarla con occhi simili a quelli di mio padre e mio suocero, quella bambina era la figlia dei miei migliori amici ed io dovevo solo sperare di vederla entrare un giorno nella mia famiglia in nome dell’amicizia e dell’amore. Era quello che meritavano lei e mio figlio, avevo vissuto sulla mia pelle la devastazione degli accordi familiari, se mi ero salvato, alla fine, era solo perché Walburga non era come gli altri ed io ero dannatamente, e assai poco meritatamente, fortunato.

    «Speriamo che a tempo debito finisca a Serpeverde, Orion, altrimenti quella deliziosa bambina non sarà poi tanto fortunata: quel bastardo di Elija Sherton si è fatto fregare e ha accettato che la prima femmina a nascere diventasse una Malfoy. E se questo dovesse accadere, se il nostro potere finisse nelle mani di mio cugino Abraxas, sarebbe una disgrazia per tutto il mondo magico, oltre che una tragedia personale per la mia famiglia!»

Lo guardai atterrito, una morsa mi prese al petto e mi strizzò il cuore tanto da farlo urlare: era vero, conoscevo quel dannato accordo, la verità terrificante, purtroppo, era quella, ma io non volevo pensarci, nessuno di noi voleva pensarci.

    No, non può accadere questo. Non permetterò che finisca così. Si infrangerebbero i miei sogni, ma soprattutto toccherebbe un futuro orrendo a quella bambina, a cui già voglio così bene!

Il bicchiere che avevo in mano, pezzo di una preziosa collezione di cristalli di Boemia, si andò a frantumare al suolo, ma nessuno dei due se ne curò. Lo giurai a me stesso. Avrei fatto di tutto per aiutarlo a evitare quello scempio.

***

Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - settembre 1960

Mi alzai, Sirius era agitato, quella mattina: il fatto che Walburga non riuscisse ad allattarlo aveva fatto sì, fin dall’inizio, che trovassimo delle difficoltà con lui, soprattutto nell’alimentarlo, ma sembrava che l’ultima diavoleria che ci aveva consigliato il Medimago gli piacesse, a patto che fossi io a preparargliela. Quel piccolo demonietto prometteva di diventare un Mago di prim’ordine, visto quanto era sensibile, già a pochi mesi di vita sapeva riconoscere le differenze tra la mia Magia e quella di sua madre. Con solo i pantaloni del pigiama addosso ero sceso in cucina, era bastata un’occhiataccia per far dileguare gli Elfi, con mio figlio non ammettevo interferenze: Sirius, tra le mie braccia, mi tirava i capelli arruffati dal sonno con le manine paffute, rideva giocoso mentre mi distraevo dalla pozione e gli facevo le mie smorfie più buffe, che gli piacevano tanto. Con i ditini mi seguì la linea del naso, identico al suo, non riuscivo a smettere di ridere e subito il mascalzone mi mise un dito nell’occhio. Capitava quasi tutte le mattine ed io tutte le volte ci cadevo, piccolo delinquente! Approfittai dei minuti di posa che dovevo concedere al filtro, e ne approfittai per cullarmelo addosso, la sua pelle era così morbida e delicata, profumava di buono, mi faceva quasi venire voglia di mordergli i piedini. Ero sicuro che tutta quella felicità potesse anche uccidermi all’istante. Sirius gorgogliò come per dirmi che non l’avrebbe mai permesso ed io gli scoccai un bacio sulla fronte, lo avrei divorato di baci. All’improvviso mi ripresi, visto che gradivo mantenere privati quegli atteggiamenti che riservavo a mio figlio. E mi era sembrato di non essere più solo.

    «Walburga non ti preoccupare, ci sto pensando io!»

Mi sembrava di aver visto con la coda dell’occhio la figura di mia moglie sull’arco della porta, ma voltandomi non la vidi più, ritornai in camera sempre con Sirius tra le braccia, ma non era nemmeno lì. Dei rumori strani, eppure familiari, mi portarono nel bagno privato di Walburga, aprii lentamente la porta, e la trovai china sul lavandino a sciacquarsi la bocca, l’aria completamente sfatta.

    «Non ci sono più dubbi, Orion Arcturus Black, il nostro piccolo mostriciattolo avrà presto un fratellino con cui giocare.»

Si voltò e avanzò ancora un po' tremante verso di noi, era radiosa e sapevo che sul mio viso si specchiava la sua stessa espressione di felicità e trionfo, si avvinghiò al mio corpo, baciando prima Sirius, stretto tra noi, e poi me: li avvolsi entrambi tra le mie braccia. Non l’avrei mai creduto possibile, ma sapevo di essere ormai l’uomo più felice e completo della terra.

***

Orion Black
74, Essex Street, Londra - mar. 24 gennaio 1961

    «Regulus non fa parte di Orione né del Cane, non mi convince!»
    «E' in assoluto una delle stelle più brillanti, non puoi dargli il nome di un'altra delle stelle di Orione o del Cane, Orion, visto che sono tutte pallidissime rispetto a Sirius: vuoi fargli capire che gli preferisci suo fratello ancor prima che dica la sua prima parola?»

Mi rigirai il liquido ambrato nel bicchiere, con ampi cerchi morbidi e lenti per nascondere la mia aria colpevole.

    «Credi sia tanto orrendo se un padre ha una predilezione per un figlio? Vuoi farmi credere che tu stesso non muori dietro alla piccola Meissa, molto più di quanto fai dietro agli altri due?»

Lo guardai ghignante e non mi sfuggì il colorito imbarazzato che subito gli si stampò sul viso abbronzato, abbassò gli occhi, sapevo di averlo colto in castagna: il grande Alshain Sherton, il mitico dongiovanni di Hogwarts, era rimasto letteralmente colpito e affondato dai verdi occhi di quella mocciosa di sua figlia.

    «Ora stiamo parlando del nome del tuo secondogenito, non di Meissa, ed io credo che la proposta di Walburga sia perfetta!”»
    «Tu! Bastardo immorale! Quanto sei abile a cambiare discorso!! E ti sei pure coalizzato con Walburga ai miei danni, non è così?»
    «Non più di quanto state facendo tu e Deidra contro di me, infame!»

Ridemmo come dei ragazzini, non potevo negare che fosse vero, da quando Deidra mi aveva fatto capire che sentiva sempre di più la mancanza di suo marito, avevo iniziato a lavorarlo ai fianchi, portandolo a considerare sempre con maggiore serietà l’ipotesi di chiuderla con il Quidditch. Sapevo che ormai stava cedendo, quella sarebbe stata la sua ultima stagione. Potevo anche concedergli di festeggiare la coppa che avrebbe vinto di certo anche quell’anno, portandoci Sirius e Regulus al seguito come mascotte.
In fondo erano i suoi figliocci.

    «D’accordo, vada per Regulus, ma col prossimo torniamo alla tradizione!»
    «Il prossimo? Allora ci stai prendendo gusto, vecchio marpione! Chi l’avrebbe mai detto che tu e Walburga… »
    «Non dire zozzerie su mia moglie, chiaro? E Walburga non è come tutti gli altri Black, lei è come me!»

Alshain mi guardò perplesso, poi annuì, sapevo che non aveva una grande considerazione per la mia famiglia, che non vedeva di buon occhio i genitori di Walburga, Pollux in particolare, ma negli anni aveva imparato a portare rispetto per mia moglie.

    «Però ancora non accetta di buon grado la mia idea di invitare te e Sirius allo stadio, la prossima settimana!»
    «Ma Alshain, renditi conto, tu vorresti che mio figlio, l’erede dei Black, si facesse fare una foto con quella dannata casacca blu e gialla! Non so come Walburga non sia svenuta, quando gliel'hai detto!»

Rise di cuore, in effetti, quando ci aveva sorpresi a parlarne, Walburga era letteralmente sbiancata e…

    «Dannati Black, così legati a etichetta e convenienza!»
    «Va bene. D’accordo, lo farò. Però devi giurarmi che poi non farai mai vedere a Walburga le foto che gli scatteremo, intesi?»
    «Non sono mica votato al martirio, Orion! So bene che se Walburga trovasse le prove, una Cruciatus non ce la eviterebbe nessuno!»

Gli versai un altro whisky incendiario, e tra le risate generali brindammo per l’ennesima volta alla nascita anticipata del mio secondogenito, Regulus Arcturus Black: anche su di lui, Sherton aveva tracciato la protezione di Herrengton poche ore dopo la nascita. E questa volta era stata mia moglie, ancor prima di me, a chiedergli di esserne il padrino.

***

Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - giov. 31 agosto 1961

La grande sala dell’arazzo di Grimmauld Place era più rumorosa del solito. Sorrisi tra me, appena rientrato dalla mia solita visita a Nocturne Alley: erano già arrivati i nostri ospiti. Com’erano lontani i tempi in cui consideravo oscura e asfissiante quella vecchia casa! In quegli ultimi mesi mi ero messo d’impegno a lavorare sulla protezione del vecchio maniero, col tempo ero diventato abile, anche più di Walburga, con certi sofisticati incanti di Magia Oscura. Lasciai il mio mantello al vecchio Kreacher e mi avviai con passo imperioso per il corridoio, da quel punto riconoscevo già i vagiti del piccolo Regulus, il cocco di sua madre. Era anche lui un bambino bellissimo ma, forse perché nato prematuro, mi trasmetteva un’idea di eccessiva delicatezza, tanto da avere a volte persino paura nel toccarlo, come se solo sfiorandolo potessi romperlo. Tutta un’altra cosa, insomma, rispetto al mio campione! Stravedevo per Sirius, non potevo farci nulla, e anche se Walburga non gradiva, perché sosteneva non fosse né giusto né saggio avere delle preferenze, non potevo evitare di avere sempre uno sguardo compiaciuto verso la mia copia in miniatura. Da parte sua Walburga aveva finito con lo sviluppare, come contrappeso, una predilezione per Regulus, facilitata anche dal fatto che con lui sembravano non esserci quei problemi nell’allattarlo che avevano contraddistinto il primo anno di vita di Sirius. A me stava bene così, per il momento, una volta cresciuto avrei bilanciato l’eccessiva influenza di mia moglie facendo anche di Regulus un perfetto Black. Un Black come me.

    «Finalmente! Eccoti!»

Walburga mi si fece incontro con Regulus in braccio e mi baciò, radiosa: era stretta in un bellissimo abito borgogna che la fasciava in maniera incantevole, i capelli bruni raccolti in un morbido chignon, gli occhi blu esprimevano quello che per anni non avevo mai ritenuto possibile. Benché avesse trentasei anni e due figli sfornati da poco, aveva sempre un corpo perfetto e dentro di me sapevo benissimo che anche quella sera avrei apprezzato appieno i nostri ospiti solo quando se ne fossero andati tutti, lasciandoci finalmente soli. L’occhiata complice che mi rilanciò mi fece capire che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Ormai eravamo una delle coppie più invidiate del mondo magico: da sempre, ancor prima di innamorarsi davvero di me, si era vantata di essere la mia promessa sposa, facendosi bella, con amiche e conoscenti, per aver avuto in sorte uno sposo giovane, affascinante e promettente, invece nel classico vecchio bavoso che capitava alla stragrande maggioranza delle ragazze Slytherins. Sapevo anche, però, che tutti, conoscendomi, la compiangevano pensando che il nostro non sarebbe mai stato un matrimonio felice. E per un po', per colpa mia, avevano indovinato.
La nascita dei nostri figli aveva cambiato tutto: due maschi, uno più bello dell’altro e un amore sincero tra noi, che ormai persino i ciechi riconoscevano. A volte mi chiedevo se tanta felicità e una certa dose d’indubbia superbia, non rischiassero di attirare l’invidia degli dei, come in quelle vecchie tragedie greche che Alshain mi aveva fatto leggere da ragazzo. Poi però mi dicevo che avevamo sofferto a sufficienza e che forse avevamo pagato in anticipo per le fortune che sembravamo raccogliere in quel momento. Ed eccola lì, l’altra fonte della mia fortuna. Quella sera ci riunivamo non solo con i nostri parenti ma anche con gli Sherton per festeggiare tra l’altro la partenza di Mirzam per Hogwarts: i miei figli non sarebbero partiti prima di altri dieci anni, il che significava che dinanzi a noi si prospettavano circa venti anni durante i quali quella benedetta scuola avrebbe subito costantemente la nostra influenza grazie ai nostri eredi. Una prospettiva meravigliosa, ero sicuro che i miei figli avrebbero tenuto alto il mio nome e il mio ricordo nei sacri sotterranei di Serpeverde. Sorrisi mentre Cygnus mi si avvicinava per parlarmi di uno dei suoi sciagurati affari, chiedendomi consigli per riportarsi in carreggiata, ma io non gli prestavo troppa attenzione. C’era ben altro che m’interessava, proprio lì, davanti al sacro arazzo dei Black, una scena che faceva presagire che, di lì a venti anni, avremmo potuto festeggiare qualcosa di ben più importante. Erano ancora tanto piccoli, ma già Meissa e Sirius, quando giocavano insieme, sembravano deliziosamente affiatati: lei era bellissima, con i boccoli nero corvino che scendevano morbidi oltre le spalle e i grandi occhi verdi e lui… Beh lui dimostrava già di essere mio figlio, quando, tutto gentile, le offriva quello che teneva in mano e la fissava trasognato e impettito, con i miei stessi occhi, i capelli sempre irriducibilmente scomposti, a far dannare sua madre. Aveva un carattere forte e anche un po' prepotente, sembrava aver capito da subito quanto importante fosse il suo nome e il suo sangue, ed io me ne compiacevo, anche se c’erano momenti in cui sua madre aveva chiare difficoltà a star dietro a tanta vivacità. Ed io dopo aver sorriso sotto i baffi, ero ben lieto di darle una mano. Da perfetto fratello maggiore, Mirzam aveva per sua sorella un atteggiamento protettivo e controllava la scena assicurandosi che Meissa non si facesse male, benché Bellatrix, altro bel caratterino, facesse di tutto per attirare su di sé la sua attenzione. Quello era un altro punto nevralgico, nei nostri più rosei progetti, non c’era un Black che non sognasse di veder trasformare in qualcosa di serio quelle timide simpatie adolescenziali, anche se, secondo me, per il carattere riflessivo di Mirzam, forse la ragazzina più adatta era proprio Andromeda: anche lei pareva interessata, ma non aveva il coraggio né la sfacciataggine della sorella. A chiudere il quadro delle persone per me più importanti in quella stanza, Deidra era seduta sul divano e controllava Rigel, che galoppava in giro per la sala su un piccolo manico di scopa, suscitando anche lui un certo interesse da parte del fratello maggiore: Alshain diceva sempre che sua moglie per quel ragazzino aveva una predilezione paragonabile alla mia. Narcissa infine le stava accanto sul divano, altezzosa e bellissima, un angelo biondo talmente etereo e perfetto che a volte mi domandavo a chi l'avessero rubato i miei cognati.
Dopo cena, mentre i nostri genitori erano impegnati a romperci le scatole, al solito, insistendo perché Cygnus e Druella pensassero a legare le ragazze a importanti famiglie slytherin come i Malfoy o i Lestrange, Alshain mi guardò in modo strano e capii che voleva parlarmi da solo, così con un paio di battute mi liberai degli altri e gli feci cenno di venire con me nello studio.

    «Che succede? Sei così silenzioso, sembri addirittura turbato. Ti senti vecchio perchè domani Mirzam partirà per Hogwarts?»
    «Ci hai quasi preso! In effetti, provo un’emozione strana, non me l'aspettavo»
    «Sei il più giovane tra tutti noi e il primo ad avere un figlio che parte. Hai sempre avuto una dannata fretta, Sherton, e ora la paghi!»

Si alzò e andò alla finestra, dandomi le spalle, non bastava nemmeno la mia ironia, si vedeva che era preoccupato.

    «Credo che il tempo sia arrivato Orion… »
    «Sta dunque così male tuo padre?»
    «Le condizioni peggiorano di giorno in giorno, credo che quest’anno dovrò presenziare per forza al suo posto, a Yule.»

Trangugiò di colpo tutto il suo whisky, poi tornò a guardarmi, il viso afflitto e rassegnato.

    «Ebbene sì, è arrivato anche per me il momento di crescere.»
    «Dai! Non sarà poi così terribile. Come vedi ci sono riuscito persino io!»

Risi, a volte non riuscivo a credere di aver raddrizzato la mia vita.

    «Quando mi sono rappacificato con mio padre e sono ritornato a Herrengton, ho messo delle condizioni e… poi però la mia vita non è mai stata tanto diversa da com’era prima, il Quidditch, Londra, lui lontano io libero… ma ora… Io non ho alcuna intenzione di lasciare la mia vita qui a Londra per tornare a Herrengton, passi aver abbandonato il Quidditch, passi aver assunto l’impegno al Wizengamot al posto suo, ma… io non voglio la responsabilità di Herrengton, non voglio custodire Habarcat, non voglio fingere di condividere appieno quei precetti, che nella realtà dei fatti ora mi trovo spesso a contestare!»
    «Ti prego, basta così, so che non lo pensi davvero, so che anche per te i precetti di Serpeverde sono sacri. Adori quella terra Alshain, i dubbi che hai sono relativi solo ai giusti timori per la tua libertà!»
    «Io… »
    «Nulla t’impedirà di tornare quando vuoi, nessuno ti obbligherà a lasciare per sempre Essex Street, fidati di me... »

Sospirò, sapevo che sarebbe arrivato il momento ma non volevo sentirlo, troppe volte ero riuscito ad arginarlo, ma non sapevo se ci sarei riuscito questa volta.

    «Orion, ti ricordi quel discorso? Tanti anni fa, prima che ti sposassi? Io parlavo sul serio… io non sono più così sicuro che quello che ci hanno insegnato sia giusto... »

Eccoci. No, non potevo sopportarlo di nuovo. Non volevo sentire quelle parole che avrebbero riaperto certe strane pieghe della mia anima.

    «Anch’io parlavo sul serio, Alshain, e non voglio più sentirti dire quelle cazzate. Quel giorno ero sbronzo, ero fuori di testa, e voglio credere di aver capito male e che… »
    «Ma tu non hai capito male, io so di non essere più quello che ero da ragazzo... »

Mi avvicinai rapido e gli misi una mano sulla bocca senza tanti riguardi. Mi guardò interrogativo.
Quello sarebbe stato l'ultimo segreto, ce lo saremmo portato nella tomba.

    «Non voglio sentire una parola di più, Sherton, impara almeno questo da me, visto che da te io ho imparato tanto: nel nostro mondo, alcune cose non devi confessarle nemmeno a te stesso, o le conseguenze potrebbero essere devastanti!»

***

Orion Black
Diagon Alley, Londra - maggio 1964

La lettera arrivò mentre uscivo da “Borgin and Burkes”, avevo appena comprato un oggettino niente male per il nostro anniversario di matrimonio: non conoscevo il gufo, e nemmeno la calligrafia sulla busta mi diceva granché, avevo quasi voglia di stracciarla. Ormai molto spesso mi arrivavano lettere con richieste assurde, da quando si era diffusa la voce che fossi un vero “Mago” nel risollevare le sorti degli imperi di famiglia, ero contattato quasi quotidianamente anche da perfetti sconosciuti che volevano “comprare” la mia consulenza. Arrivai da Florean Fortescue e mi accomodai a un tavolo, la giornata era meravigliosamente primaverile, per completare la perfezione del momento sarebbe stato bello avere la compagnia di Alshain, ma forse stava arringando i vecchi della Confraternita sull’importanza del ripristino delle vere tradizioni, tra le quali l’utilizzo massiccio del Quidditch nella formazione dei giovani rampolli delle famiglie del Nord. Quelle vecchie cariatidi l’avrebbero preso per pazzo, ripristinare le vecchie tradizioni significava fare un ricorso limitato ed essenziale alla Magia, assumere stili di vita sobri e aderire non solo esteriormente al Cammino del Nord, ma sarebbe bastato loro dar solo uno sguardo ai suoi figli, per capire quanto quelle idee innovative e bizzarre fossero veritiere.

    E pensare che eri così dubbioso prima di partire…

Appena arrivato invece, la sua Scozia l’aveva completamente affascinato e nel giro di pochi mesi aveva assunto quel ruolo di leader che gli spettava per sangue e nascita. Ero felice per lui, anche se un po' invidiavo quei bastardi scozzesi che potevano godere della sua compagnia al mio posto. Florean mi portò quanto avevo ordinato e alla fine mi decisi a guardare il contenuto della lettera: era così strana, leggera, l’aprii e vidi che c’era solo una foto, l’estrassi e, quando la guardai, pensai che gli occhi mi stessero facendo qualche strano scherzo, la girai per capirci qualcosa, ma non c’era scritto nulla di utile. Feci un sospiro e tornai a voltarla: era una semplice foto babbana, benché il soggetto, lo sapevo benissimo, fosse una Strega.

    Che cosa sei, un'illusione o la realtà?

La Magia rispose alla mia domanda, apparvero una data e un indirizzo di Liverpool, che subito si dissolsero, riducendo anche la foto e la busta in cenere. Un brivido mi scosse da dentro, ero ormai diventato sensibile ai presagi e quello mi sembrava foriero di sventure. Ma sapevo anche che mi sarei pentito per tutta la vita se non fossi andato a quell’appuntamento.

***

Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - giugno 1964

    «Va tutto bene, Orion?»

Walburga era stesa al mio fianco, dovevo averla svegliata con la mia agitazione, sospirai, non sapevo come affrontare il discorso, erano giorni che mi chiedevo se non fosse il momento di dirle la verità. Si voltò verso di me, accarezzandomi con la mano delicata il viso, scansandomi i capelli dagli occhi per guardarmi con l’intento di sondarmi l’anima: ormai ci riusciva tanto bene, anche senza Magia. Le presi la mano e la baciai poi accarezzai il suo viso e lo avvicinai al mio, un bacio carico di passione, con l’altro braccio la strinsi forte a me, ma lei fece resistenza e mi allontanò.

    «Vorrei che mi rispondessi, prima… »
    «Non è nulla Walburga, sono solo un po' agitato… »
    «Per l’appuntamento di domani? Di cosa si tratta Orion?»
    «Devo vedere una persona che… è una storia assurda, Walburga… Non so chi sia, non so che cosa voglia da me, ma forse ha delle informazioni che m'interessano, qualcosa che non mi torna… »
    «Non starai correndo un pericolo, Orion?»
    «No, non credo… Voglio dire… chi potrebbe avercela con me?»
    «Orion, se non sei convinto… forse faresti meglio a non andare, fidati del tuo istinto… »
    «Non posso... devo scoprire la verità, lo devo a me stesso... e anche e soprattutto... a te... Ti ricordi... Salazar... quanto è difficile... ti ricordi... che ero convinto che fosse colpa mia se non eravamo felici, Walburga? Ero sicuro... che il destino mi stesse punendo... per aver causato la morte di una donna… ma ora… ora questa lettera... Walburga... ho motivi per credere che sia tutto falso, credo di aver vissuto... e aver fatto vivere anche te... dieci anni nell'angoscia... senza motivo… »
    «Che cosa stai dicendo? Io non capisco, Orion... »
    «Walburga… ricordi com'ero da ragazzo? Prima di conoscerti ho fatto tante cazzate, ma davvero... tante… mi vergogno ad ammetterlo e… ho creduto... ho avuto motivi seri per credere che tu soffrissi a causa dei miei errori… che il destino mi punisse per il male che avevo fatto... che tu, innocente, ci fossi finita in mezzo… ora ho la possibilità di verificare che, per lo meno, ecco... che no, io Orion Arcturus Black, per lo meno, non sono un assassino… tutto il resto non posso correggerlo, ma… forse... almeno quello… »
    «Un assassino? Ma cosa dici, Orion? Certo che non lo sei…»

Mi baciò, con lo stesso atteggiamento protettivo che riservava sempre ai nostri figli.

    «Lo faccio per noi, Walburga… te l’ho giurato, non soffrirai mai più a causa mia. E ora voglio che questo incubo finisca per sempre… »

Scivolò leggera sopra di me, baciandomi con passione, si avventò sul mio collo e con le mani iniziò a graffiarmi leggera il petto, ero perso tra i suoi capelli e il calore del suo corpo, feci scivolare le sue spalline, la seta si ritrasse sui suoi fianchi, lasciando finalmente libera la sua pelle calda e diafana. Le arpionai i fianchi e la guardai, mi stava fissando con uno sguardo che ormai conoscevo benissimo. Tra le sue braccia il vecchio Orion Black, quello sbagliato, era scomparso. Per sempre.

***

Orion Black
Liverpool, UK - giugno 1964

Non potevo crederci: io, Orion Arcturus Black aspettavo una donna, impaziente, con le mani sudate e la gola secca. Per la precisione, aspettavo in una piazza commerciale di Liverpool, al tavolino di un bar e guardavo quel mondo babbano che mi era così estraneo con totale indifferenza. Quando la vidi comparire, mi resi conto che era più adatta a quel mondo che non al nostro. Perché anche nei suoi confronti ero indifferente. Non avrei mai creduto che sarei stato così forte dinanzi all'apparizione della rediviva Elizabeth McKinnon: in fondo all’anima temevo che avrei perso la testa, mandato al diavolo tutto e rovinato quello che avevo costruito con sacrificio e dolore negli ultimi anni.
No... non ero più un debole, lei era una donna, una donna per la quale avevo preso fuoco, ma che ora, ora che conoscevo davvero l’amore, sapevo benissimo di non aver amato mai… se l’avessi amata, non sarei mai fuggito... se l’avessi amata, avrei scoperto già da tempo che quello era tutto un inganno. A dire il vero, ora mi era ben chiaro che ero lì solo per scoprire l’identità di chi mi aveva ingannato. La bambina non c’era, ma Elizabeth mi portò delle foto, per dimostrarmi che era tutto vero ed io non potevo negare, osservando la linea perfetta del naso e gli occhi identici ai miei, che Margareth McKinnon, nove anni, era davvero mia figlia. Non sapevo, però, cosa pensare nemmeno di lei, non sapevo cosa provavo: quando me l’ero immaginata, anni addietro, il mio animo era pervaso di emozione, in quel momento mi sentivo solo a disagio, pensavo soltanto a cosa sarebbe successo se Walburga e gli altri ne fossero venuti a conoscenza. Ora rischiavo troppo, rischiavo di perdere davvero troppo. Un tempo sarei solo stato bollato come traditore del sangue puro. Ora avrei perso un mondo intero: i miei figli, la mia vita, mia moglie. Guardavo Elizabeth e le foto della bambina e vedevo in loro solo le prove di quanto dovessi vergognarmi del mio passato.

    «Perché mi hai spedito quella foto e mi hai invitato qui, dopo tutti questi anni?»
    «Sono io ad aver ricevuto la tua lettera, in cui mi chiedevi di vederci… la prima in tanti anni in cui ho cercato di contattarti. Non mi hai risposto mai… »
    «Non ho mai ricevuto lettere da te, Elizabeth, addirittura fino a un mese fa ti credevo morta… »
    «Beh… evidentemente non sei l’assassino che temevi di essere, Orion… »

Mi voltai, Walburga Black era dietro di me, in tutta la sua terrificante magnificenza. Mi fu subito tutto chiaro. Alla fine era arrivato il giorno in cui avrei pagato per tutti i miei peccati.



*continua*



NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, aggiunto a preferiti/seguiti, recensito ecc ecc.

Valeria



Scheda
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