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Non
erano mai andati in missione
insieme, avevano parlato poche volte e brevemente, di argomenti
impersonali,
cenni sulla guerra.
Si resero conto di essere poco più che
spettri l’uno per l’altro.
Non si conoscevano e, tuttavia, ciascuno
aveva già espresso il proprio verdetto.
“Irresponsabile
inaffidabile” e
“esibizionista
tronfio”.
Non si stimavano, non erano compagni, ma
due generali in competizione – Achille ed Ettore riuniti sotto la
stessa
bandiera.
Parlare
non fu facile, sebbene Cancer
fosse piuttosto chiacchierone: ogni sua frase sembrava una sfida
lanciata, un
provocazione mal celata.
“In missione sempre con El Cid tu, eh?”
Sisifo scoprì che intorno a Manigoldo
regnava sempre un’elettricità inquieta, pregnante e carica; era come
trovarsi
innanzi ad un cavallo immenso e giovane, sempre in bilico tra il gioco
e la
minaccia. Il suo sorriso era eterno, ma nascondeva migliaia di
sfumature – tra
di esse, non vi era mai quella della gioia sincera, mentre dominava
un’amarezza
sarcastica, una presa in giro verso la vita.
“Spesso.”
Sagittarius rispondeva freddamente, lo
sguardo rabbuiato. Egli guardava lontano, un punto imprecisato
all’orizzonte,
nella direzione in cui la costa era scomparsa.
“Da brividi quel tizio.”
“Parla poco, ma è assolutamente
affidabile.” il custode della Nona Casa aveva sottolineato aspramente
l’ultimo
aggettivo.
La
barca che li portava a destinazione
dondolava pigra, Manigoldo si appoggiò scompostamente al parapetto e
inclinò la
testa verso Sisifo. Le labbra si tesero in un sorriso gelido, mentre
gli occhi
brillavano di una scintilla curiosa e divertita.
“Leggo una velata critica nei miei
confronti.”
“Non ho affermato nulla di tutto ciò,
io.” le labbra del Sagittario erano una linea pallida e rigida, la
mandibola serrata.
“Oh no, questo no.
Be’, allora vorrà dire che ho la coda di
paglia!”
Manigoldo rise reclinando il capo verso
il cielo, una risata breve e leggera, piacevole. Sisifo non poté
evitare di
piegarsi ad un sorriso complice.
“Ridi?”,
chiese come se non fosse ovvio.
Fu solo per sentire che risposta l’altro avrebbe dato.
“Mica posso piangere come quelli che si prendono sul serio.
Finché si ride si possono cambiare le
sorti, e, chissà, magari potrei anche diventare affidabile.
Ma dimmi: si dice così male di me al
Santuario?”
Sisifo ricordò quanto si diceva di lui
un tempo - solo l’ombra del fratello – e
si sentì colpevole per aver ascoltato e prestato fede a pettegolezzi su
altri.
Non rispose.
Manigoldo
era rilassato, però. Era
leggero come la nave, che già puntava verso il porto dell’isoletta.
Non gliene importava davvero, dondolava
i piedi al di là del parapetto, come un bambino.
“Siamo arrivati...”, interruppe Sisifo,
indicò la piccola baia con un gesto lieve, e si preparò a caricare in
spalla lo
scrigno della Cloth.
Manigoldo lo seguì poco dopo.
Scendendo
a terra, il biondo sentì che
Cancer gli era diventato un poco fratello, un poco proiezione di quella
leggerezza cercata e mai davvero raggiunta, la leggerezza della brezza
che
porta via le nuvole incombenti.
Manigoldo, specchio e proiezione.
E mille altre sfumature indefinibili –
quante quelle del suo sorriso.
***
Lo
sguardo sospeso perennemente verso un
orizzonte più distante e l’umore del cielo d’Irlanda - Sisifo era
un’altalena
tra la serenità dell’uomo forte e un dolore lacerante e profondissimo.
Come
chi ha sempre qualcosa da nascondere, anche a se stesso, pensò
Manigoldo, chissà cosa, alzò le
spalle e spostò l’attenzione verso un grosso e brutto edificio poco
fuori della
cittadina portuale.
Era
costruito su tre piani, un
parallelepipedo ingombrante e dall’intonaco grigio e scrostato dalla
salsedine.
Le finestre avevano però una certa eleganza, anche se ormai decadente;
agli
ultimi piani si vedevano pesanti tende rosse. Una grande cancellata
proteggeva
il giardino e impediva di vedere l’entrata al piano terra.
Manigoldo
fischiò sfacciatamente e
sibilò: “Certo che è notevole per una cittadina così piccola, hai
capito i
pescatori…”
“Una casa di piacere…” meditò Sisifo.
“Così la chiamano i ben pensanti e gli amanti delle perifrasi. Sì, è un
bordello.”
“Una casa di piacere.”, ripeté
indispettito e accigliato Sisifo: esigeva rispetto per le armature che
avevano
addosso.
Manigoldo capì al volo – conosceva
l’antifona, giacché anche Sage aveva la stessa fisima del “parlar
bene e comportarsi adeguatamente con le Cloth addosso – e
sarebbe bene farlo anche senza”, gli sembrò di sentire la voce del
suo
maestro che lo rimbrottava.
“Casa di piacere, aggiudicato.”
Sisifo
corrugò la fronte con aria grave,
“Che sia la risposta a ciò che stiamo cercando?”
Continuò tra sé e sé: “Sparizioni di
donne e ragazzini; Surplici di Specters distrutte che tornano come
nuove. Tutti
coloro che hanno indossato le armature restaurate avevano qualche
legame con
questa cittadina.
Ma qui non c’è niente, eccetto questo posto.
Manigoldo, una Surplice esige
necessariamente il sangue del suo legittimo proprietario per tornare
alla vita,
dopo essere stata distrutta?”
Cancer meditò un istante: “Una Surplice
in realtà non ha propriamente un legittimo
proprietario. Nel caso degli Specters è la Cloth a dominare e ad
annichilire la personalità del guerriero*. Si nutre dei sentimenti
negativi, ma
non importa chi tu sia, lei ti annullerà in ogni caso. Quindi…”
“Quindi non conta di chi sia il
sangue... è solo sangue per sangue. Basterebbe che il donatore sia
dominato
dalla negatività.”
“Non ho mai visto prostitute
sinceramente allegre. Se poi si tratta di donne e ragazzetti rapiti e
rinchiusi
qui dentro...”
“L’agnello sacrificale perfetto.”
“È il posto che stavamo cercando.”
chiuse Manigoldo. Rivolse uno sguardo affilato e trepidante
all’edificio.
*
Gli Specter hanno tutti la stessa faccia da una guerra all’altra perché
sono
spiriti ridestati e le Surplici plagiano il loro possessore.
***
“Bene,
controlliamo ancora in giro per
toglierci ogni dubbio, poi torniamo sta notte.”
“Non pensavo che si sarebbe mai visto il
grande Sagittario in un simile postaccio!”, lo provocò Cancer.
“Parli come se te ne intendessi.” il
Sagittario lo pungolò, a ciò Manigoldo
rispose con un sorriso enigmatico.
“E poi ho alternative?”, continuò indispettito
Sisifo.
Manigoldo si atteggiò in una posa
profondamente saggia e pensierosa, parlò con voce bassa e suadente e rivolse uno sguardo penetrante al suo
interlocutore: “C’è sempre
un’alternativa”.
Egli rimase per un istante come stordito
– la mente di Sagittarius era stata per un attimo preda dall’ansia per
tutti i
suoi rammarichi.
Sembrava che quelle parole e il loro
tono lo avessero davvero colpito, rimase cupo.
Rivolse uno sguardo nostalgico al cielo,
Manigoldo sorrideva da solo, in preda ad un ricordo divertente.
Un’arietta
leggera si era sollevata sul
far della sera e muoveva leggermente le fronde degli alberi, il suono
del
ridere di Manigoldo vi si mischiava naturalmente come l’acqua di un
ruscello ad
un fiume.
Sisifo avrebbe voluto divenire fibra di
quella corale di leggerezza e voglia di vivere; si morse le labbra per
la
frustrazione.
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