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Quando uscirono dalla locanda il sole era già
tramontato, ma
la luce non era cessata. C'era un'atmosfera quieta e sospesa
tutt'intorno.
Poche persone e il brontolio del mare presso il molo, il
dondolare pigro dei pescherecci ormeggiati, l'aria umida e fresca
tipica delle
sere sul mare.
Era una pace estranea ad Atene, come se si fosse a migliaia
di chilometri da essa, e non a poche miglia di nave. Sul far della sera
la
capitale greca era una groviglio di persone e vicoli, il Pireo diveniva
un
formicaio, era una fiera senza fine e senza festa, la sagra del male di
vivere.
Sisifo pensò che, forse, se fosse
nato qui e non ad Atene
sarebbe potuto cambiare qualcosa del suo spirito, o forse no, perché
l'animo
inquieto non conosce porto sereno, e la serenità, come quella della
piccola
città, non può che generargli nuova irrequietezza, nuovi rammarichi.
Gli irrequieti non percorrono strade, ma dondolano nei
labirinti dei se e dei ma.
Sisifo amava per questo Atene: vi si specchiava, era la sua
parallela.
Restarono lungo tempo in silenzio
ad attendere che il buio
calasse; lentamente, le figure delle case e delle navi si fecero pure
sagome, e
anche i lineamenti di Sisifo e Manigoldo sembrarono quasi scomporsi in
quell'oscurità. L'unica fonte di luce erano i pochi e baluginanti
lampioni
disseminati avaramente per la città e il ruotare nervoso e indifferente
del
faro, il cui fascio quasi opalescente, quando giungeva, urtava gli
occhi con la
violenza di un'apparizione divina.
L'atmosfera era lievemente inquietante, le uniche tracce di
vita risalivano al vociare ovattato proveniente dalla Bella Bionda.
Fu quando Sisifo ruotò il capo per
guardare proprio in
direzione della locanda che scorse una donna con una mantella gialla*
che
riconobbe subito.
Costei era appoggiata con le spalle contro le mura di
un'abitazione, illuminata poco poco dalla luce di un lampione.
Indossava una
lunga gonna rosa e i capelli biondissimi e sciupati le ricadevano oltre
spalle
fino ad incorniciarle il seno. La distanza e il buio non permettevano
di dire
se fosse bella o no.
Intorno a lei regnava una languida desolazione, che pareva
corporea, sembrava colarle addosso come la luce del lampione, un
liquame
metafisico e densissimo.
Il Sagittario richiamò con uno schiocco di dita l'attenzione
di Manigoldo che, da tempo, era perso nella contemplazione dei deboli
flutti
che battevano contro il molo.
Quando egli la vide, le rivolse
uno sguardo grave che Sisifo
non gli aveva mai visto fare. Allora il custode del Cancro si caricò in
spalla
lo scrigno della Cloth, e disse: “Abbiamo il nostro passpartout. Lasci
parlare
me, sì?”
Sisifo non si oppose, tuttavia una saetta sdegnata gli
attraversò lo sguardo: “Sembri molto pratico di
queste cose.”
“Ho la faccia di uno pratico?” Manigoldo rigirò contro Sisifo
la stessa malizia irosa.
Per la prima volta sembrarono pesargli addosso i pensieri
altrui: “Sono pratico meno di quanto pensiate tutti...
Ma visto che, almeno esternamente, io sono esattamente chi
gli altri pensano che io sia, per la
signorina lì presente io sarò un cliente da manuale.”
“Non ha senso quello che stai dicendo, te ne rendi conto?”
“Nemmeno la tua espressione sdegnata aveva un senso, visto
che siamo sulla stessa barca.
Stiamo andando a puttane insieme, Sisifo. E questo è solo
l'inizio, visto che finiremo nel solito bagno di sangue.
Tieniti per te le tue sentenze da quattro soldi, perché la
faccia, oggi, ce la metti anche tu.
Anche il perfetto Sagittario, capo dei cavalieri, varcherà le
soglie di un bordello, e in compagnia del pratico sottoscritto.
Sissignore.”
Sisifo ammutolì, mortificato e offeso al
medesimo tempo.
Manigoldo si calmò immediatamente, e sorrise diplomatico: “E ora,
Sisifo –
calcò volontariamente e con disprezzo sul nome – reggimi il gioco. Si
aprono le
danze.”
Non è vero che chi è stato
ferito cesserà di ferire. Sarà,
anzi, il più feroce.
Sisifo si era ripromesso di rendere quella sentenza solo una
fandonia. Aveva giurato di non giudicare mai più nessuno, di attribuire
solo
secondo i meriti o le colpe verificati da lui medesimo in prima persona.
Se non vedo non credo**, né al
bene né al male – ecco la
sua massima di vita.
Una vita e non hai imparato nulla: è per la tua scarsa
capacità di gestire te stesso che condannerai tutti.
Non sei fedele nemmeno a te stesso, si disse.
*La mantella con la quale si identificavano,
soprattutto nel medioevo, ma anche successivamente, le prostitute
**S. Tommaso apostolo
***
Manigoldo si avvicinò lentamente
alla giovane prostituta
guardandola negli occhi. La giovane si richiuse nelle spalle, come una
tartaruga; aveva occhi vuoti e delle manine magre magre che stringevano
nervosamente la gonna.
Doveva essere una delle donne rapite, non aveva più di
diciassette anni.
Manigoldo sulle labbra sfoggiava
il suo sorriso più
rassicurante e tremendo, mentre lo sguardo da predatore faceva gelare
il sangue
nelle vene. C'era una malizia autentica e bestiale nella sua posa.
Egli percepiva la paura della donna e sembrava piacergli
farvi leva,vederla annaspare.
Introdusse Sisifo, il quale era rimasto leggermente in
disparte a guardare per aria, indicandolo come: “il mio amico qui
presente” e
trattò velocemente.
“Però vorremmo un luogo, come dire:
più... intimo e riparato”
disse con voce strascicata, sfumando il suono della parole. Nel buio
del porto
sembrava tutto più losco.
La ragazza tirò un sospiro di sollievo: “Allora non è con me
che dovete parlare, andate alla casa, lì troverete il posto
che
cercate.”
Mentre la giovane donna parlava, Sisifo
aveva visto
affacciarsi sul viso di Manigoldo un sorriso smaliziato e cattivo.
Ecco, una delle sue trovate. Il
Sagittario ebbe un moto di stizza, perché voleva concludere in
fretta e provava pena per quella giovane. Non approvava il modo di fare
di
Manigoldo, uguale a quello del gatto che ammazza il topo ma si limita a
giocarvi crudelmente, senza mangiarlo.
“E se non mi andasse bene?” In un
attimo Manigoldo balzò in
avanti e strinse la ragazza tra sé e il muro, puntellandosi sulle
braccia. Il
viso della prostituta divenne la maschera del Terrore, spalancò i
grandi occhi
scuri e le narici si dilatarono come quelle di un animaletto. Si era
portata le
mani al petto, la sinistra era salita al proprio collo a stringere un
piccolo
crocifisso dorato.
Sisifo tirò, dall'altra parte, Manigoldo
per il tessuto della
camicia: “Dacci un taglio!”, sibilò con rabbia.
“Oh, insomma!”, liberò la giovane con delicatezza: “stavo
solo scherzando, signorina, ovviamente.”
Lei li guardò spaesata.
Sisifo aveva già cominciato ad
allontanarsi, Manigoldo si
voltò un ultima volta verso la prostituta e le lanciò una moneta di
alto
valore.
“Statemi bene, signorina. Da questa notte andrà meglio,
parola di Manigoldo.” Cancer finse di togliersi un cappello immaginario
per il
saluto e fece un piccolo inchino galante.
“Mi spieghi perché devi sempre perderti in queste cose?!”
Sagittarius era sinceramente arrabbiato, decisamente furibondo, pensò
il
moro. Quando Sisifo era arrabbiato, scoprì Manigoldo, non alzava il
tono di
voce, come le persone normali, no: sibilava.
Assottigliava gli occhi e le labbra.
Pareva proprio un serpente, e più che di semplice ira,
sembrava gonfiarsi di un rancore profondo e velenoso.
Siamo vendicativi, qui, lo canzonò nella mente il
compagno.
“Oh, suvvia, non essere lagnoso. Ci ho
solo giocato un po',
non abbiamo nemmeno perso tempo.”
“Spiegami perché.”
Manigoldo ridacchiò e accelerò un poco, abbastanza da
trovarsi di un paio di passi avanti a Sisifo, il quale ne vedeva ora
solo la
spalla e le crine nerissime nella notte.
“Ho visto un sacco di cose a questo
mondo, e anche
nell'altro, a dir la verità – Manigoldo indicò verso il basso – ma
ancora non
ho trovato nulla di così sorprendente come la reazione del terrore. È
sempre
diversa, non te ne stufi mai. È un rivelatore anche migliore di “A che
cosa
brinderesti?”.”
Sisifo trovava invero la questione estremamente interessante,
ma non poteva concederglielo: “Non è questo il punto. Qui, ora.”
“Perché un'altra volta ho fatto una cosa
del genere con
un'altra prostituta e quella aveva tentato di infilzarmi con un
coltello che
teneva nel reggiseno.” Manigoldo rise e continuò: “Tu non hai idea di
che
sberla di lama tenesse in mezzo alle te...”
Sisifo lo zittì, muovendo una mano in aria: “Siamo arrivati.”
Cancer lo guardò contrariato, era uno dei suoi aneddoti
preferiti, sbuffò.
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