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La casa troneggiava nel buio, era così imponente che sembrava
pesare terribilmente sul terreno; quasi tutte le luci erano accese, un
vociare
lieve proveniva dall'interno. Se non avessero saputo della sua reale
funzione,
avrebbero pensato di essere capitati nella residenza di un nobile che
aveva
organizzato un qualche ballo.
Dopo essersi allontanati dalla giovane donna, avevano
indossato le armature e si erano coperti con dei vestiti larghi perché
non si
vedessero*. Erano molto imponenti o molto buffi abbigliati così.
Sisifo continuava a ticchettare il dito sul suo petto, per
sentire l'armatura sotto il tessuto e calmarsi.
“Allora entriamo” affermò Manigoldo, già dimentico del
discorso precedente.
Sisifo lo seguì lentamente, a due passi di distanza.
Sagittario sembrava camminare sulle uova, aveva le labbra
secche, un'inspiegabile ansia addosso. Si voltò indietro a controllare
che
nessuno li vedesse.
Ti pesa ancora il giudizio altrui, sibilò una voce
nella sua testa. Fratello di Ilias, disse.
Schiavo del tuo sangue.
Per il Santuario, pensò. Nessuna
vergogna.
Si guardò indietro un'ultima volta.
*Vi ricordate quando Sage incontra Manigoldo
la prima volta? Le
armature erano coperte su per giù alla stessa maniera.
***
Le pareti erano ricoperte di
moquette rossa, così come i
pavimenti. Le lampade erano dei complicatissimi candelieri appesi al
soffitto,
centinaia di fiammelle grondavano luce e cera. A prima vista sembrava
di
entrare in una dimora di lusso, ma basta un'occhiata in più per
scorgere il
tessuto tarlato e le macchie di cenere ovunque, qualche pulce
saltellava sui
cuscini di un divano nell'angolo.
Manigoldo si sentì con una certa
soddisfazione nel Satyricon*.
Sisifo non pensava a niente, sentiva solo l'ansia crescergli
in petto, come se una colonnina d'acqua gli risalisse attraverso la
trachea.
Non sapeva come spiegarselo, sapeva di
avere avuto la
medesima sensazione la prima volta in cui aveva per sbaglio scorto due
giovani
imboscati nel mezzo di un coito.
I tamburi nella testa, un vago senso di colpevolezza per sé e
di disgusto verso gli altri, la voglia di scappare e, invece,
l'immagine del
sedere di uno dei due, che si alza e si abbassa, fissa come un chiodo
nel
cervello.
L'atmosfera era pesante e l'aria
opprimente non aiutavano: le
candele profumate servivano a coprire un lezzo indescrivibile di cui le
pareti
erano impregnate, un misto di umori umani e pareti marcite per
l'umidità;
tuttavia esse non solo riuscivano male nel loro intento, ma scaldavano
terribilmente.
Dei mormorii giungevano da una sala adiacente, davanti
all'entrata della quale vi era solo uno spesso tendaggio; da lì
provenivano
odore di sigari e risatine femminili e sommesse, sopraffatte da altre
risa
maschili e sguaiate.
Sisifo si sentì ancora peggio
quando vide Manigoldo
appoggiarsi al bancone per parlare con la maman,
una donna grassa e severa. Nel mentre vide brillare l'armatura del
Cancro
vicino al colletto della camicia di Manigoldo.
Sisifo pregò che fosse voluto, ma, ad ogni modo, inveì contro
il pessimo tempismo del suo collega. Se l'attacco fosse stato
immediato, lui
non avrebbe avuto la forza di reagire.
La maman li squadrò
diffidente, ma non sembrò aver colto nulla dietro a quel breve bagliore.
La donna li guardo torva: “Siete
insieme?”
Sisifo rispose impallidendo ulteriormente, Manigoldo annuì
fiero.
La donna li condusse in una piccola stanza al secondo piano,
salendo le scale si sentivano gemiti salire e scendere dagli altri
piani,
un'atmosfera da girone infernale.
Manigoldo sulla scala aveva preso
a braccetto Sisifo, per
prenderlo da parte. Cercava di sussurrare, ma riuscì solo ad urlare
sottovoce.
Fortuna volle che quella sembrasse la discussione di un amico che cerca
di
coinvolgere un compagno benpensante in qualche impresa.
“Si può sapere cosa ti prende?”
“Eh?”
Sisifo era semplicemente stordito da tutto, consumato e
ottenebrato da quell'angoscia che lo macerava da dentro.
“Vedi? Sembri demente, dov'è il tuo
solito smalto?!”
L'uomo biondo lo guardò in modo isterico, non aveva la forza
di mentire, si sentiva nuovamente ubriaco: ”Dov'è? Fuori dalla porta
è...
“Ma che diamine...”
“Vuoi sapere che c'è?! Questo posto, tutto, voglio farla
finita con questa storia”, solo quello scatto d'ira riuscì a scuotere
Sisifo.
Manigoldo scrollò le spalle, poi
gli sorrise saccente e
soddisfatto: ”Allora sei un essere umano
anche tu, eh.”
*La brillantissima opera di Petronio, I sec.
a.C.,
nella quale l’autore mostra la pacchianeria di un liberto arricchito,
Trimalchione.
***
La donna li condusse senza parlare
ad una grande stanza in
fondo al piano, chiusa dietro una pesante porta. All'interno vi era un
enorme
salone, dai soffitti altissimi, completamente vuoto, eccezione fatta
per un
pesante letto a baldacchino sul fondo, rialzato da una pedana in legno.
Dalle
finestre penetrava solo qualche debole spiraglio di luce lunare, quando
lo
permetteva qualche fessura tra le tende. Solo sul fondo, intorno al
baldacchino, erano accese delle candele, dei mozziconi già consumati
per metà.
L'atmosfera era molto pittoresca, i passi rimbombavano tra le
pareti bianchissime e spoglie.
Una figura esile e dai lunghi capelli era seduta sul bordo
del letto, guardava dritta innanzi a sé il tremolare della fiamma, come
se non
avesse notato la loro presenza.
La maman scomparve
presto e in silenzio, chiudendosi la porta alle spalle. Sbattendo, le
porte
sembrarono produrre uno strano suono metallico, inadatto al legno di
cui erano
fatte.
Sisifo si guardò per un istante indietro, ma il passaggio
dalla luce al buio gli aveva momentaneamente indebolito la vista; pensò
che in
quel momento la donna fosse sembrata un monaco che usciva rispettoso da
una
chiesa.
L'ansia del Sagittario era stata
sostituita dalla nuova
curiosità per quella figurina.
Lui e Manigoldo si guardarono per un istante, suggerendosi
senza parlare di stare in guardia.
Camminarono lentamente verso il
baldacchino; ogni passo
risuonava forte, unico rumore, e sembrava una condanna a morte, come
quando il
boia sale sulla forca e nessuno parla, e tutti ascoltano solo lui che
cammina.
La ragazza restava immobile
davanti alla candela, le spalle
esili e ingobbite, i capelli d'oro sciolti lungo una spalla eburnea.
Stava
recitando un rosario, le labbra rosee di muovevano senza pronunciare
nulla, tra
le dita sgranava una coroncina.
Ella era immobile come una statua, ma le ombre che danzavano
intorno per il baluginare della fiamma, rendevano difficile definirne i
lineamenti e la posa. Ora bisognava farla parlare.
Costei non si mosse nemmeno quando
Sisifo le fu davanti ad un
lato del letto e Manigoldo si posizionò dall'altro lato alle sue spalle.
E nemmeno quando il cavaliere moro, audace, posò un ginocchio
sul materasso e avvicinò il viso al suo collo. Parlò con voce
bassissima, quasi
un sospiro, con una dolcezza sensuale e pericolosa: “Niente da
dichiarare?”
La giovane, che Sisifo giudicò
bellissima, per quanto di una
bellezza abbacchiata e tendenzialmente invisibile, reagì solo quando il
Saint
del Cancro le passò una mano tra i capelli.
Era quello che voleva Manigoldo: una reazione.
La videro irrigidirsi e
d'improvviso la sua schiena fu scossa
da un singhiozzo. Pensarono entrambi che fosse scoppiata a piangere: si
era
ripiegata tutta su se stessa, portandosi le ginocchia al petto e
posando la
testa su di esse.
La veste bianca le era scivolata lungo le cosce, scoprendo un
paio di gambe magre e troppo bianche per indossare con grazia quel
colore; il
pallore non era smorzato dalla luce calda della candela, sembrava
opalescente.
Nulla c'era nulla in quella donna che
potesse far pensare ad
una prostituta.
Manigoldo e Sisifo si trovarono innanzi ad un agnello
sacrificale – all'innocenza immolata e insultata.
La donna, piegata su se stessa, non
piangeva ma parlava
fittamente tra sé, con il passare del tempo il tono di voce salì e
alcune
parole di scusa divennero comprensibili.
“Io mi scuso... voi... No, voi con me...!”
Ella sollevò la testa all'indietro: “No! No!
Dio si scusi con noi!...” sussurrò sibilando: “Maledetti
tutti!”
Fu solamente allora che la donna
cominciò davvero a piangere.
Singhiozzava forte e stringeva la stoffa del vestito con rabbia.
Manigoldo pensò con stizza ad un maiale che sta venendo
portato all'ammazzatoio.
Piangeva con lamenti lunghi, come un cervo in autunno,
rimbombavano contro le pareti dell'ampia sala, il buio sembrava
dilatare lo
spazio e amplificare i suoni.
Il Sagittario pensò alla litania
delle Troiane catturate
dagli Achei, a Cassandra e alla sua eternità di frustrazione e dolore;
la
punizione di Apollo abbattutasi su di lei prima, la tragedia della
storia dopo
Per un istante Sisifo si rivolse verso la porta, come a
cercare di vedere dove andassero a finire quei lamenti.
Fu allora che lo vide.
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