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Autore: Jailer    02/09/2015    4 recensioni
"La vita è un’onda, il Cancro lo sa perché è un segno che viene dal mare.
La vita è acqua che si schianta, acqua che può distruggere e tornare al mare o rimanere sulla roccia ed evaporare via. Un fluido che sale e scende, senza certezze e senza requie.
Come può saperlo il Fuoco, che brucia come se non ci fosse un domani, per poi spegnersi senza rumore?
Manigoldo guardò allora il mare e chiuse gli occhi, il suo mantello oscillava lieve ad una brezza leggera e intristita.
Che lui lo avesse voluto o no, la vita lo aveva condotto fin lassù.
Davvero è un’onda, pensò.
"
Storia di certezze che vanno e vengono.
[Sisifo x Manigoldo]
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Cancer Manigoldo, Nuovo Personaggio, Sisifo di Sagitter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5

 
La casa troneggiava nel buio, era così imponente che sembrava pesare terribilmente sul terreno; quasi tutte le luci erano accese, un vociare lieve proveniva dall'interno. Se non avessero saputo della sua reale funzione, avrebbero pensato di essere capitati nella residenza di un nobile che aveva organizzato un qualche ballo.

 
Dopo essersi allontanati dalla giovane donna, avevano indossato le armature e si erano coperti con dei vestiti larghi perché non si vedessero*. Erano molto imponenti o molto buffi abbigliati così.
Sisifo continuava a ticchettare il dito sul suo petto, per sentire l'armatura sotto il tessuto e calmarsi.
“Allora entriamo” affermò Manigoldo, già dimentico del discorso precedente.
Sisifo lo seguì lentamente, a due passi di distanza.
Sagittario sembrava camminare sulle uova, aveva le labbra secche, un'inspiegabile ansia addosso. Si voltò indietro a controllare che nessuno li vedesse.
Ti pesa ancora il giudizio altrui, sibilò una voce nella sua testa. Fratello di Ilias, disse.
Schiavo del tuo sangue.

 Per il Santuario, pensò. Nessuna vergogna.
Si guardò indietro un'ultima volta.

 

*Vi ricordate quando Sage incontra Manigoldo la prima volta? Le armature erano coperte su per giù alla stessa maniera.

 

***

 Le pareti erano ricoperte di moquette rossa, così come i pavimenti. Le lampade erano dei complicatissimi candelieri appesi al soffitto, centinaia di fiammelle grondavano luce e cera. A prima vista sembrava di entrare in una dimora di lusso, ma basta un'occhiata in più per scorgere il tessuto tarlato e le macchie di cenere ovunque, qualche pulce saltellava sui cuscini di un divano nell'angolo.

 Manigoldo si sentì con una certa soddisfazione nel Satyricon*.
Sisifo non pensava a niente, sentiva solo l'ansia crescergli in petto, come se una colonnina d'acqua gli risalisse attraverso la trachea.

Non sapeva come spiegarselo, sapeva di avere avuto la medesima sensazione la prima volta in cui aveva per sbaglio scorto due giovani imboscati nel mezzo di un coito.
I tamburi nella testa, un vago senso di colpevolezza per sé e di disgusto verso gli altri, la voglia di scappare e, invece, l'immagine del sedere di uno dei due, che si alza e si abbassa, fissa come un chiodo nel cervello.

 L'atmosfera era pesante e l'aria opprimente non aiutavano: le candele profumate servivano a coprire un lezzo indescrivibile di cui le pareti erano impregnate, un misto di umori umani e pareti marcite per l'umidità; tuttavia esse non solo riuscivano male nel loro intento, ma scaldavano terribilmente.
Dei mormorii giungevano da una sala adiacente, davanti all'entrata della quale vi era solo uno spesso tendaggio; da lì provenivano odore di sigari e risatine femminili e sommesse, sopraffatte da altre risa maschili e sguaiate.

 Sisifo si sentì ancora peggio quando vide Manigoldo appoggiarsi al bancone per parlare con la maman, una donna grassa e severa. Nel mentre vide brillare l'armatura del Cancro vicino al colletto della camicia di Manigoldo.
Sisifo pregò che fosse voluto, ma, ad ogni modo, inveì contro il pessimo tempismo del suo collega. Se l'attacco fosse stato immediato, lui non avrebbe avuto la forza di reagire.
La maman li squadrò diffidente, ma non sembrò aver colto nulla dietro a quel breve bagliore.

 La donna li guardo torva: “Siete insieme?”
Sisifo rispose impallidendo ulteriormente, Manigoldo annuì fiero.
La donna li condusse in una piccola stanza al secondo piano, salendo le scale si sentivano gemiti salire e scendere dagli altri piani, un'atmosfera da girone infernale.

 

 Manigoldo sulla scala aveva preso a braccetto Sisifo, per prenderlo da parte. Cercava di sussurrare, ma riuscì solo ad urlare sottovoce. Fortuna volle che quella sembrasse la discussione di un amico che cerca di coinvolgere un compagno benpensante in qualche impresa.
“Si può sapere cosa ti prende?”
“Eh?”
Sisifo era semplicemente stordito da tutto, consumato e ottenebrato da quell'angoscia che lo macerava da dentro.

“Vedi? Sembri demente, dov'è il tuo solito smalto?!”
L'uomo biondo lo guardò in modo isterico, non aveva la forza di mentire, si sentiva nuovamente ubriaco: ”Dov'è? Fuori dalla porta è...
“Ma che diamine...”
“Vuoi sapere che c'è?! Questo posto, tutto, voglio farla finita con questa storia”, solo quello scatto d'ira riuscì a scuotere Sisifo.

 Manigoldo scrollò le spalle, poi gli sorrise saccente e soddisfatto: ”Allora sei un essere umano
anche tu, eh.”
 

*La brillantissima opera di Petronio, I sec. a.C.,
nella quale l’autore mostra la pacchianeria di un liberto arricchito, Trimalchione.

 

 

***

 La donna li condusse senza parlare ad una grande stanza in fondo al piano, chiusa dietro una pesante porta. All'interno vi era un enorme salone, dai soffitti altissimi, completamente vuoto, eccezione fatta per un pesante letto a baldacchino sul fondo, rialzato da una pedana in legno. Dalle finestre penetrava solo qualche debole spiraglio di luce lunare, quando lo permetteva qualche fessura tra le tende. Solo sul fondo, intorno al baldacchino, erano accese delle candele, dei mozziconi già consumati per metà.

 
L'atmosfera era molto pittoresca, i passi rimbombavano tra le pareti bianchissime e spoglie.
Una figura esile e dai lunghi capelli era seduta sul bordo del letto, guardava dritta innanzi a sé il tremolare della fiamma, come se non avesse notato la loro presenza.

 La maman scomparve presto e in silenzio, chiudendosi la porta alle spalle. Sbattendo, le porte sembrarono produrre uno strano suono metallico, inadatto al legno di cui erano fatte.
Sisifo si guardò per un istante indietro, ma il passaggio dalla luce al buio gli aveva momentaneamente indebolito la vista; pensò che in quel momento la donna fosse sembrata un monaco che usciva rispettoso da una chiesa.

 L'ansia del Sagittario era stata sostituita dalla nuova curiosità per quella figurina.
Lui e Manigoldo si guardarono per un istante, suggerendosi senza parlare di stare in guardia.

 

Camminarono lentamente verso il baldacchino; ogni passo risuonava forte, unico rumore, e sembrava una condanna a morte, come quando il boia sale sulla forca e nessuno parla, e tutti ascoltano solo lui che cammina.

 La ragazza restava immobile davanti alla candela, le spalle esili e ingobbite, i capelli d'oro sciolti lungo una spalla eburnea. Stava recitando un rosario, le labbra rosee di muovevano senza pronunciare nulla, tra le dita sgranava una coroncina.
Ella era immobile come una statua, ma le ombre che danzavano intorno per il baluginare della fiamma, rendevano difficile definirne i lineamenti e la posa. Ora bisognava farla parlare.

Costei non si mosse nemmeno quando Sisifo le fu davanti ad un lato del letto e Manigoldo si posizionò dall'altro lato alle sue spalle.
E nemmeno quando il cavaliere moro, audace, posò un ginocchio sul materasso e avvicinò il viso al suo collo. Parlò con voce bassissima, quasi un sospiro, con una dolcezza sensuale e pericolosa: “Niente da dichiarare?”

La giovane, che Sisifo giudicò bellissima, per quanto di una bellezza abbacchiata e tendenzialmente invisibile, reagì solo quando il Saint del Cancro le passò una mano tra i capelli.
Era quello che voleva Manigoldo: una reazione.

 La videro irrigidirsi e d'improvviso la sua schiena fu scossa da un singhiozzo. Pensarono entrambi che fosse scoppiata a piangere: si era ripiegata tutta su se stessa, portandosi le ginocchia al petto e posando la testa su di esse.
La veste bianca le era scivolata lungo le cosce, scoprendo un paio di gambe magre e troppo bianche per indossare con grazia quel colore; il pallore non era smorzato dalla luce calda della candela, sembrava opalescente.

Nulla c'era nulla in quella donna che potesse far pensare ad una prostituta.
Manigoldo e Sisifo si trovarono innanzi ad un agnello sacrificale – all'innocenza immolata e insultata.

La donna, piegata su se stessa, non piangeva ma parlava fittamente tra sé, con il passare del tempo il tono di voce salì e alcune parole di scusa divennero comprensibili.
“Io mi scuso... voi... No, voi con me...!”
Ella sollevò la testa all'indietro: “No! No!
Dio si scusi con noi!...” sussurrò sibilando: “Maledetti tutti!”

 Fu solamente allora che la donna cominciò davvero a piangere. Singhiozzava forte e stringeva la stoffa del vestito con rabbia.
Manigoldo pensò con stizza ad un maiale che sta venendo portato all'ammazzatoio.
Piangeva con lamenti lunghi, come un cervo in autunno, rimbombavano contro le pareti dell'ampia sala, il buio sembrava dilatare lo spazio e amplificare i suoni.

 Il Sagittario pensò alla litania delle Troiane catturate dagli Achei, a Cassandra e alla sua eternità di frustrazione e dolore; la punizione di Apollo abbattutasi su di lei prima, la tragedia della storia dopo
Per un istante Sisifo si rivolse verso la porta, come a cercare di vedere dove andassero a finire quei lamenti.
Fu allora che lo vide.

   
 
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