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La casa troneggiava nel buio, era così imponente che sembrava
pesare terribilmente sul terreno; quasi tutte le luci erano accese, un
vociare
lieve proveniva dall'interno. Se non avessero saputo della sua reale
funzione,
avrebbero pensato di essere capitati nella residenza di un nobile che
aveva
organizzato un qualche ballo.
Dopo essersi allontanati dalla giovane donna, avevano
indossato le armature e si erano coperti con dei vestiti larghi perché
non si
vedessero*. Erano molto imponenti o molto buffi abbigliati così.
Sisifo continuava a ticchettare il dito sul suo petto, per
sentire l'armatura sotto il tessuto e calmarsi.
“Allora entriamo” affermò Manigoldo, già dimentico del
discorso precedente.
Sisifo lo seguì lentamente, a due passi di distanza.
Sagittario sembrava camminare sulle uova, aveva le labbra
secche, un'inspiegabile ansia addosso. Si voltò indietro a controllare
che
nessuno li vedesse.
Ti pesa ancora il giudizio altrui, sibilò una voce
nella sua testa. Fratello di Ilias, disse.
Schiavo del tuo sangue.
Si guardò indietro un'ultima volta.
*Vi ricordate quando Sage incontra Manigoldo
la prima volta? Le
armature erano coperte su per giù alla stessa maniera.
***
Sisifo non pensava a niente, sentiva solo l'ansia crescergli
in petto, come se una colonnina d'acqua gli risalisse attraverso la
trachea.
I tamburi nella testa, un vago senso di colpevolezza per sé e
di disgusto verso gli altri, la voglia di scappare e, invece,
l'immagine del
sedere di uno dei due, che si alza e si abbassa, fissa come un chiodo
nel
cervello.
Dei mormorii giungevano da una sala adiacente, davanti
all'entrata della quale vi era solo uno spesso tendaggio; da lì
provenivano
odore di sigari e risatine femminili e sommesse, sopraffatte da altre
risa
maschili e sguaiate.
Sisifo pregò che fosse voluto, ma, ad ogni modo, inveì contro
il pessimo tempismo del suo collega. Se l'attacco fosse stato
immediato, lui
non avrebbe avuto la forza di reagire.
La maman li squadrò
diffidente, ma non sembrò aver colto nulla dietro a quel breve bagliore.
Sisifo rispose impallidendo ulteriormente, Manigoldo annuì
fiero.
La donna li condusse in una piccola stanza al secondo piano,
salendo le scale si sentivano gemiti salire e scendere dagli altri
piani,
un'atmosfera da girone infernale.
“Si può sapere cosa ti prende?”
“Eh?”
Sisifo era semplicemente stordito da tutto, consumato e
ottenebrato da quell'angoscia che lo macerava da dentro.
L'uomo biondo lo guardò in modo isterico, non aveva la forza
di mentire, si sentiva nuovamente ubriaco: ”Dov'è? Fuori dalla porta
è...
“Ma che diamine...”
“Vuoi sapere che c'è?! Questo posto, tutto, voglio farla
finita con questa storia”, solo quello scatto d'ira riuscì a scuotere
Sisifo.
anche tu, eh.”
*La brillantissima opera di Petronio, I sec.
a.C.,
nella quale l’autore mostra la pacchianeria di un liberto arricchito,
Trimalchione.
***
L'atmosfera era molto pittoresca, i passi rimbombavano tra le
pareti bianchissime e spoglie.
Una figura esile e dai lunghi capelli era seduta sul bordo
del letto, guardava dritta innanzi a sé il tremolare della fiamma, come
se non
avesse notato la loro presenza.
Sisifo si guardò per un istante indietro, ma il passaggio
dalla luce al buio gli aveva momentaneamente indebolito la vista; pensò
che in
quel momento la donna fosse sembrata un monaco che usciva rispettoso da
una
chiesa.
Lui e Manigoldo si guardarono per un istante, suggerendosi
senza parlare di stare in guardia.
Ella era immobile come una statua, ma le ombre che danzavano
intorno per il baluginare della fiamma, rendevano difficile definirne i
lineamenti e la posa. Ora bisognava farla parlare.
E nemmeno quando il cavaliere moro, audace, posò un ginocchio
sul materasso e avvicinò il viso al suo collo. Parlò con voce
bassissima, quasi
un sospiro, con una dolcezza sensuale e pericolosa: “Niente da
dichiarare?”
Era quello che voleva Manigoldo: una reazione.
La veste bianca le era scivolata lungo le cosce, scoprendo un
paio di gambe magre e troppo bianche per indossare con grazia quel
colore; il
pallore non era smorzato dalla luce calda della candela, sembrava
opalescente.
Manigoldo e Sisifo si trovarono innanzi ad un agnello
sacrificale – all'innocenza immolata e insultata.
“Io mi scuso... voi... No, voi con me...!”
Ella sollevò la testa all'indietro: “No! No!
Dio si scusi con noi!...” sussurrò sibilando: “Maledetti
tutti!”
Manigoldo pensò con stizza ad un maiale che sta venendo
portato all'ammazzatoio.
Piangeva con lamenti lunghi, come un cervo in autunno,
rimbombavano contro le pareti dell'ampia sala, il buio sembrava
dilatare lo
spazio e amplificare i suoni.
Per un istante Sisifo si rivolse verso la porta, come a
cercare di vedere dove andassero a finire quei lamenti.
Fu allora che lo vide.