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Sisifo capì che lui era sempre stato lì, dal primo
istante.
Gli erano passati davanti quando erano entrati nella stanza,
ed era stato lì anche quando si erano voltati a guardare la maman
uscire dalla sala, aveva visto
Manigoldo piegarsi sulla donna, e Sisifo mentre la contemplava svuotato
da
tutti i pensieri.
Sisifo non avrebbe saputo dire da che
cosa lo aveva capito,
ma l'espressione dell'uomo in fondo alla stanza glielo confermava.
Li guardava con un riso sardonico e occhi iniettati di
sangue, che parevano tagliare l'oscurità, occhi di brace, vivi come
quelli
della faina che conficca le zanne nella preda e ne assapora il sangue
che ben
presto la inebria, mentre la linfa rossa le inzuppa l'intero muso.
“Ci hai messo tanto a notarmi, Gold
Saint. La punta di
diamante dell'armata di Athena non sa nemmeno scovare un nemico
nascosto dietro
la porta?”
Aveva una voce metallica e bassissima. Appena la ragazza la
udì cominciò a piangere più disperatamente: “perdono, perdono”, diceva.
Lo Specter si incamminò verso il
centro della sala, i suoi
passi erano inudibili. Sembrava levitare, si frusciava solo il suo
pesante
mantello, ma sarebbe potuta benissimo essere una delle tende lievemente
scossa
da un alito di brezza.
La superficie lucidissima della
Surplice rifletteva una luce
tremolante, e sembrava prendere consistenza sottraendola alle tenebre.
Era
un'armatura superba, con un immenso busto e gambali solidissimi che
proteggevano l'intera gamba.
Non aveva ali, ma non era meno imponente dell'armatura di
Minosse.
Sulle braccia e sulla vita vi erano degli intagli in oro,
componevano la figura di un serpente, e
sembrava che esso si muovesse insieme al suo possessore.
“Ofiuco”, sussurrò senza forza
Sisifo, comprendendo a chi si
riferisse la decorazione.
“Ofiuco, della saggezza celeste*.” confermò l'uomo per poi
piegarsi in un profondo inchino, “E sono qui per uccidervi”.
Manigoldo imitò il gesto con ironia sprezzante: “Guarda un
po’ i casi della vita.”.
“Le nostre strade condividono la
medesima meta, e questo è
buono. Purtroppo è un fine che non ci concede un percorso in amicizia.”
concluse il nemico.
Quando si fece più vicino mostrò un volto fastidiosamente
giovane, che strideva con la gravità della sua voce e la profondità
indecifrabile dei suoi occhi – rossi, proprio come quelli di un demonio.
“E non solo la meta ci impedisce quanto detto. Siete voi a
costringermi a questo lavoro infame.
Voi distruggete le Surplici, io devo ripararle.
Hades vuole questo e lo comanda.
Io obbedisco, ma – capite – la mia vocazione mi spingerebbe
alla ricerca del sapere.
E tuttavia proprio questa mia sapienza mi impedisce di
dedicarmi alla sapienza stessa.”
Parlava come se ogni sua frase fosse la premessa di un
sillogismo, scandiva ogni affermazione con un pausa pesante.
Aveva una strana fretta però, una
frenesia furiosa che non
tardò a manifestarsi.
“Perché in tutto l'esercito di Hades non c'è un
maledettissimo competente! E io devo stare qui a sbudellare troie e
rigenerare
infime Surplici per dei mentecatti che si fanno sbranare da degli
idioti che
non notano nemmeno il nemico quando sta fermo dietro di loro!” ululò
con tale
rabbia da sbilanciarsi in avanti.
“È un po' frustrato dalla
situazione”, osservò Manigoldo
provocatoriamente.
Sisifo tirò per un braccio il Cancro: “Taci, maledizione”, il
moro lo guardò offeso e confuso: “Taci”, ripeté in un ringhio il
compagno
Manigoldo si liberò bruscamente dalla sua stretta.
“Avanti, diglielo!, diglielo, Sisifo,
capo dei Saints, di' a
quello sprovveduto chi avete davanti, digli chi è Ofiuco!” urlò lo
Specter,
allargando le braccia e mostrandosi.
Il serpente d'oro sembrò dimenarsi sul suo corpo.
Sembrò che Sisifo dovesse prendere fiato
per rispondere. Poi
parlò con tono grave, guardando dritto innanzi a sé la figura del
nemico che
sorgeva dalle tenebre, più diretto a lui che a Manigoldo.
“Un semidio. Ofiuco, conosciuto anche come Asclepio, dio
guaritore, figlio di Apollo.”
C'era però fierezza negli occhi del Sagittario, perché un
nemico invincibile è sempre un meraviglioso fregio per un grande
guerriero.
Manigoldo si sentì rinvigorito
alla notizia e fece un sorriso
ferino: “So benissimo chi è Ofiuco. Allora dopo che ti avremo ucciso
intoneremo
un peana**.”
Ofiuco avanzò ancora di qualche passo verso la luce,
guardando la donna con fastidio, e così concentrato nel suo disprezzo
verso di
lei da non ribattere alla provocazione dell'avversario.
*POSTILLA DEGNA DI NOTA:
Tra le stelle celesti degli
specters, in LC quella della
saggezza non è incarnata da nessuno e quindi ho pensato che per Ofiuco
andasse
bene.
Troppo tardi mi sono ricordata
che Ofiuco fosse la costellazione di
Shaina.
Tra l’altro Ofiuco, identificato con Asclepio, è figlio di
Apollo, e si trova tra le 88 moderne costellazioni, non potrebbe essere
tra le
108 stelle malefiche.
D’altra parte, sebbene ci fosse già Shaina, mi pare di aver
letto che nel Next Dimension si accenni ad un tredicesimo cavaliere
d’oro,
risalente ai tempi del mito, Ofiuco, che fu maledetto.
Fingiamo che per qualche motivo nel XVIII secolo fosse passato
dalla parte di Hades. Ok? Ok.
Anche se non fosse così, vi chiedo di aver pazienza: Ofiuco
mi piaceva davvero tanto come antagonista per questo contesto, e molti
problemi
sono emersi solo dopo che la storia era stata completamente avviata e
quindi non
potevo, né volevo, sconvolgere tutto.
Prendetela come mera Fan Fiction.
Lo dico per “onestà intellettuale” (parola troppo grande per
una cagata del genere): se non avessi scritto nulla a proposito, forse
molti
non ci avrebbero nemmeno fatto caso. Ma amo Saint Seiya
vergognosamente,
ritengo di doverlo rispettare completamente.
**Canto di vittoria che si dedicava al dio
Apollo
***
“Un pessimo sangue...”, borbottò.
Lo Specter tendeva a
tenersi lontano dalla fonte luminosa principale, guardava la luce con
diffidenza. Aveva occhi piccoli, ed erano rossi per davvero.
Le mani erano curatissime e sottili, da medico, ed era
evidente che non si avvaleva della forza bruta; anche il resto del
corpo
sembrava piuttosto esile. Sulle spalle portava lo scrigno nero di una
Surplice.
Egli si portò nell'ala sinistra della sala, superò Sisifo che
lo seguì con sguardo diffidente, e, da un punto in ombra, sibilò
qualcosa
chiamando a sé la ragazza.
Lei si alzò come un burattino e cadde mollemente tra le sue
braccia.
“L'ho chiamata Elena,
è una
personalità immobile come colei che condannò Troia. Colpevole e
immobile.
Solo che è stata una
delusione: un nome troppo elevato per qualcosa di così infimo e
attaccato alla
vita.
Volevo chiamarla Lucrezia*,
per fortuna che ho risparmiato tale offesa a quella mirabile donna.”
Ofiuco prese
delicatamente il mento della donna tra le dita, scrutandone
intensamente gli
occhi – la guardava e ne parlava come un allevatore parla di un cavallo
di
razza: “Questa non riuscirebbe ad ammazzarsi nemmeno davanti alla
promessa di
un'eternità di dolore, resta attaccata alla sua miserabile vita a
qualsiasi
costo.
A qual pro, poi, proprio non
lo so.”
*La
matrona romana che, violentata sa Sesto Tarquinio,
nipote del re,
si suicidò per non dover convivere con un tale
disonore.
Personalità agli antipodi della bella Elena di Troia,
che, per quanto abbia potuto soffrire della sua condizione,
rimane sempre attaccata alla vita.
***
La
donna si specchiava nello
sguardo dello Specter con occhi sgranati, sotto le dita di Ofiuco a sua
pelle
sembrava ardere. E bruciava veramente, la pelle del viso poco a poco
cominciò a
piagarsi.
Ella piangeva con le labbra
serrate e in un miserevole silenzio. Chiuse gli occhi innanzi alla sua
sorte.
Fu allora che Ofiuco sembrò soddisfatto
e la lasciò ricadere ai suoi piedi come un bambola rotta.
L’uomo
armato di nero levò il
capo e lo sguardo nella direzione dei Santi. Aveva una chioma scura e
leonina,
la scosse con forza, chiudendo gli occhi come in preda ad un piacere
carnale intensissimo.
“Ma come tutte le prede
insulse, serve a qualcosa – chissà perché i grandi, proprio in virtù
della loro
magnificenza, cadono sempre nell’infamia, mentre gli insetti se la
cavano
puntualmente.
Buffo che solo un sangue tanto
sporco possa nutrire una delle armature più grandiose dell’esercito di
Hades, e
di questo me ne dispiaccio.
Ma mi consolerò: anche il
vostro sangue parteciperà alla libagione per Radamanthys*.”
*Mi
piaceva l’idea che Radamanthys fosse l’assassino
di Ilias
e, l’armatura danneggiata in quello scontro, tornasse
davanti a Sisifo.
***
Il
bel viso di Sisifo era teso
in una smorfia sdegnata, le labbra immobili e pallide, gli occhi così
concentrati sul figuro davanti a sé da sembrare vuoti.
Manigoldo tenne il fiato, come
se quel gesto avesse potuto fermare anche il tempo.
Si
erano già trattenuti troppo in inutili chiacchiere.
Fu
un momento: centinaia di
fuochi cilestrini apparvero nella sala, illuminando tutto di una luce
spettrale. L’istante dopo convergevano tutti su Ofiuco.
“Hai sbagliato persona”, disse
quello, prima di sparire nella successiva esplosione con il sorriso.
Manigoldo aveva annerito le
pareti e bruciato le tende con il suo attacco. La luce lunare inondò
allora la
sala, tutto ciò che era nella stanza assunse contorni marmorei, i
volti, già
pallidi, divennero cadaverici, le espressioni plastiche. Le candele
erano state
spente dallo spostamento d’aria.
Ofiuco
sembrava sparito
assieme ad Elena; tuttavia il suo cosmo doveva bruciare nella tenebra
di
qualche recanto, perché quello della donna era ancora lì, flebile come
la sua
tristezza.
Sisifo estrasse il suo arco,
aveva l’espressione tesa mentre cercava nel buio, un’inquietudine
rabbiosa
dentro gli occhi. Manigoldo lo guardò per un istante e pensò al fuoco
vivo che
sta per divenire incendio, e mangia piano, segretamente ingordo, il
combustibile – latitante.
Ofiuco
sorse d’improvviso
dalla tenebra al fianco di Sisifo. Egli levitava, gli appoggiò il mento
sullo
spallaccio destro dell’armatura e passò l’unghia dell’indice sinistro
sulla
giugulare, gesto che il Sagittario accolse con un’espressione
raggelata, rimase
immobile con gli occhi sbarrati, stringendo l’arco – non riusciva a
compiere
altri movimenti.
“Fattura
meravigliosa,
armatura degna di un Giudice Infernale, se avesse avuto la fortuna di
essere
Surplice…” Ofiuco parlava con voce strascicata, reggeva sull’altro
braccio il
corpo immobile di Elena, la quale aveva la testa reclinata tanto
all’indietro
che i capelli sfioravano il pavimento.
“Ma non è una Surplice, e
finirà oggi”
L’uomo
carezzò le decorazioni
sulla schiena di Sisifo, fino a che Manigoldo non tentò di afferrarlo
per il
collo. Quando questo avvenne, il Riparatore si dissolse in una nube
nera.
Parve una seppia, e sarebbe
stato divertente da guardare, se il Sagittario non fosse rimasto
immobilizzato
da quel breve contatto.
Come
quel mattino al Santuario,
Sisifo sembrò nuovamente un’aquila di marmo. Manigoldo incontrò quella
visione
con un nuovo terrore, un gelo indefinibile che gli tolse il fiato.
Guardò con occhi vuoti il fumo
nero tra le sue dita e le ali della Cloth del compagno.
La
voce del nemico rimbombò
allora tra le pareti: “Un racconto dice che Athena mi donò il sangue
della
Gorgone, e, da quel dì, il sangue del mio fianco sinistro è velenoso.
Io non so se la premessa sia
vera, tuttavia dispongo di tale potere.
Adesso tocca a te, Cancer. E
poi guarderemo tutti insieme la resurrezione della Viverna, alla quale
verserete anche voi il vostro contributo.”
Di nuovo la cadenza da
sillogismo, la cantilena della razionalità perfetta.
Manigoldo chiuse gli occhi per
sentire da dove provenisse, quei toni non gli erano mai piaciuti.
Cancer
scagliò i fuochi fatui
nella direzione della fonte sonora e circondò di altri se stesso e il
Sagittario. Appoggiò le spalle a quelle di Sisifo per essere certo di
avere
almeno un lato coperto.
Urtandosi, le Cloth generarono
un tintinnio argentino e acuto, piacevole, per quanto sbagliato nel
contesto
della battaglia.
Si
verificò un’altra piccola
esplosione nell’angolo vicino alla porta, e la nube nera sorse di nuovo
–
Manigoldo lo aveva quasi colpito.
Avrebbe
voluto poter vedere
Sisifo cosa fare in quel momento, perché proprio non ci capiva nulla:
Elena era
sacrificabile? Certo che no, avrebbe detto Sagittario – e avrebbe detto
Sage, e
avrebbero detto tranne lui che non ne era così sicuro, perché nella sua
testa
il valore della vita umana a volte ancora vacillava.
E
come fare, comunque, ad
essere certi di non averla uccisa?
Bisognava colpire solo Ofiuco,
che l’aveva in braccio.
E Ofiuco?
Manigoldo imprecò.
“Immagino
che lo
Yomotsu Hirasaka* non sia
contemplato, eh, Sisifo?”
Percepì le spalle di Sisifo irrigidirsi ulteriormente e
comprese: “Roger”, disse.
*L’anticamera
del mondo dei morti,
l’allegro parco
giochi, in cui il cavaliere di Cancer ha l’abitudine di
spedire i suoi
nemici.
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