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Ofiuco
si era di nuovo manifestato innanzi a loro; gli
sembrarono sufficientemente immobili da poter mettere a terra Elena.
Egli guardò
Manigoldo con aria di superiorità compiaciuta.
“Hai intenzione di sferrare lo stesso attacco per l’ennesima
volta?
Non puoi fare nulla, Cancer. Puoi solo ritardare con colpi
insulsi una fine già annunciata, ma non si cambia il destino.
Volete salvare capra e cavoli, ma non salverete nulla, non
Elena, e neppure voi stessi.”
Manigoldo
fu solo capace di rivolgergli un’occhiata
rancorosa. I fuochi fatui baluginavano innanzi a loro, proiettavano le
loro
ombre opache su tutte le pareti.
“E adesso taci e osserva come rinasce una Surplice.
È un grande onore per due che stanno per morire come topi.”
Ofiuco
posò lo scrigno di Wivern a terra, in un punto in cui
fosse visibile a Sisifo, immobile, e che costringesse Manigoldo a
voltarsi in
direzione opposta rispetto alla quale era.
Sopra di esso, il nemico poggiò la schiena dell’esanime Elena
che prese una posa scomposta da burattino, il collo tutto all’indietro
e le
gambe in una posa spastica.
L’unghia
dell’uomo divenne un lungo artiglio, Ofiuco la
avvicinò pericolosamente al collo della donna. Manigoldo scagliò un
nuovo colpo
per allontanare il nemico, il quale, nuovamente scomparve nella sua
nube nera e
si manifestò alle sue spalle.
L’artiglio era stato preparato per Cancer, non per Elena, e
Manigoldo si sentì stupido. Ofiuco colpì lo stesso identico punto di
Sisifo.
Il Gold Saint fu percorso da una scossa improvvisa e
violentissima: gli sembrò che il corpo dovesse implodere, per un attimo
i suoi
nervi ebbero una percezione totale del mondo circostante, come se la
sua
coscienza si fosse espansa a tutto l’ambiente, per poi richiudersi
nuovamente
all’interno del suo corpo, ormai bloccato.
Come respirare tutta la forza della vita per un istante, per
poi trovarsela negata.
Fu bellissimo e straziante, durò un solo momento, prima di
essere costretto all’immobilità.
Riusciva a muovere solo gli occhi, la sua espressione doveva
essere bloccata nello spasmo di sorpresa di un attimo prima.
Ofiuco
ricomparve innanzi a loro dalla sua nube nera, accanto
alla donna.
La osservò con occhi vivaci e percorse con la punta dell’indice
la linea che avrebbe percorso con il pugnale che sfilò da una guaina
della
cintura.
La lama e l’elsa dell’arma, incrociandosi, formavano una
croce.
Sotto
questo segno vincerai*, pensò
Ofiuco,
carezzando l’intersezione delle parti.
*La
frase che un angelo
dice in sogno a Costantino, prima della battaglia di Ponte Milvio.
Si riferisce
alla croce.
***
Lo
scrigno si aprì da solo svelando la Viverna – nera, feroce
e fredda. Già essa sola trafiggeva Elena, gettata sulle sue punte.
Quando l’uomo si piegò in avanti e affondò la lama nella
gola, Sisifo provò freddo.
La donna emise un gemito gorgogliante e affogò nel suo stesso
sangue – solo allora, finalmente, morì.
Il
plasma eruppe elegante e crudele, grondando abbondante su
tutto il corpo e scivolando sul metallo. E scorreva come un fiume sulla
pelle,
ma, appena toccava la superficie della Surplice, esso scompariva – la
Viverna
se ne nutriva ingorda, goccia a goccia, e riacquisiva lucentezza.
Immobili,
i due Gold osservarono la sconfitta stillare rossa
da un collo da agnello, saziare il nemico, rinvigorirlo.
E non dissero nulla, perché non potevano.
E non pensarono nulla, perché si vergognarono di loro stessi.
“Dalla
gola si stilla il sangue della vita, che nutre
l’armatura, ma è dal petto e dal ventre che scorre l’elisir della
forza. Lì si
annida il dolore.”
Ofiuco spiegava continuando a fissare la sua vittima. Spostò
la lama nel centro del petto e tagliò la veste, svelando il seno della
donna.
Incise una grossa croce passando sui capezzoli, il sangue li nascose.
La veste divenne un
immenso sudario rosso e sfilacciato.
Infine
l’uomo scese al ventre, ma prima di sezionare
nuovamente guardò verso l’ombelico di Elena con sguardo carico di
pietà:
“Quanto hai rimpianto di essere donna? Quanto?
Per un uomo non posso immaginare un fato così tanto infelice
e miserevole.”
Si protese in avanti , verso il viso di Elena e la diede un bacio sulla
fronte,
mentre lasciò cadere la lama sul basso ventre, trafiggendola incurante.
***
Ofiuco
gettò un ultimo sguardo al sangue che grondava sulla
Viverna e si voltò nuovamente verso Sisifo e Manigoldo.
Il viso del nemico era una maschera di cera marezzata di
sangue, gli occhi erano alienati, l’espressione indecifrabile. Scrutò
prima
Sisifo e poi Manigoldo, borbottando qualcosa tra sé.
E
finiva tutto così? Sconfitti e linfa per il nemico?
In un bordello?, si chiese Manigoldo, qui si schianta la mia
onda? Una vita sorta nello squallore, deve morire nella stessa miseria?
Guardò
l’anima di Elena sollevarsi dal corpo e attorcigliarsi
su se stessa, piccola, desolata e cilestrina. Assomigliava all’Uroboro*
– il
simbolo dell’eterno ritorno dell’uguale -, era così dunque?
Se
avesse potuto, avrebbe riso.
Manigoldo rideva sempre in questi momenti, perché il riso
spiazza il nemico e perché si era giurato si non piangere mai, né di
rabbia, né
di tristezza, né di gioia – quindi non poteva fare altro che ridere.
*L’Uroboro
è un
simbolo che rappresenta un serpente che si morde la coda:
molto antico,
indica l’eterno ritorno dell’Identico, la ciclicità, l’unione del
tutto.
Avrebbe
voluto vedere l’espressione di Sisifo, perché, quando
era posseduto dai sentimenti più negativi, acquisiva una piacevole
umanità,
rivelava un’espressività inaspettata e feroce, diveniva mortale e forte
e a Manigoldo
piaceva.
Manigoldo si caricava.
Passarono
alcuni minuti in silenzio, Ofiuco guardava
compiaciuto il sangue colare sull’armatura, Manigoldo era un fiume di
pensieri
sconnessi – buffo, come diventasse riflessivo nei momenti meno
opportuni.
Sisifo aveva un piano ed era riuscito a riottenere una minima
padronanza delle palpebre, quanto bastasse per chiuderle.
Glielo
aveva spiegato Asmita – l’unica volta in cui avevano
conversato di qualcosa. Sentì la sua voce che snocciolava parole come
una preghiera:
ad occhi chiusi, dimentico del mondo,
fatti vicino al tuo cosmo – parlagli e ascoltalo.
Un
senso mutilo accresce la forza degli
altri: negati per un istante la vista, in realtà zavorra per un
Cavaliere, in
favore del Settimo Senso.